Archivio per Sergio Marchionne
SIT TIBI TERRA GRAVIS
Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags FIAT, Liberthalia, Sergio Marchionne on 25 luglio 2018 by SendivogiusAlla giovane età di 66 anni è venuto a mancare Sergio Marchionne. Ci mancherà la sua incontenibile simpatia e l’insuperabile modestia; la straordinaria carica empatica e l’incandescente calore umano; l’attenzione sempre prestata ai rapporti con le maestranze nell’assoluto rispetto della loro libertà di rappresentanza, nella tutela dei diritti a partire da quelli sanciti dalla Costituzione. L’uomo che salvò un’azienda fallita, comprando un’altra azienda fallita con miliardi non suoi presi in prestito dal governo americano, scappando via dall’Italia (che la FIAT l’aveva pompata di miliardi pubblici fino al giorno prima) e portando il malloppo all’estero dove venisse tassato meno, tanto che oggi non produce quasi più nulla al di fuori della Jeep e dei dividendi per i rampolli degli Agnelli.
Ô Capitaine! Mon Capitaine!
Posted in Kulturkampf, Muro del Pianto with tags Articolo 18, CGIL, CISL, Costituzione, Diritti, Italia, Lavoro, Luigi Angeletti, Margherita, Marianna Madia, Matteo Renzi, Minoranza, Padroni, PD, Politica, Rottamazione, Savino Pezzotta, Sergio Marchionne, Silvio Berlusconi, Sindacati, Sindacato giallo, Società, Statuto dei Lavoratori, Tiziano Treu, Tutele, UIL on 22 settembre 2014 by Sendivogius
Dopo anni di chiacchiere inutili, finalmente un leader cazzuto che sa di cosa parla, forgiato com’è nelle fucine del duro lavoro e che allo stesso modo conosce bene il mondo dell’impresa, per frequentazione diretta e appartenenza implicita.
E, da “dirigente”, ne comprende talmente bene i meccanismi e le sfumature, a tal punto che l’impresa di famiglia non s’è fatta mancare proprio nulla: bancarotta fraudolenta; falso in bilancio; omessa contribuzione… e quant’altro verrà eventualmente accertato dalla magistratura, prima di essere riformata secondo il nuovo corso a braccetto con l’Interdetto di Arcore e la sua gang.
Una simile esperienza imprenditoriale e di lavoro, maturata in anni di esercizio come “amministratore delegato” ed unico dipendente fisso nell’aziendina di papà, portata avanti nei ritagli di tempo tra un incarico politico e l’altro, non poteva certo andare dispersa. Per questo è stata subito messa a frutto insieme ad altri valori aggiunti, come la “straordinaria
incompetenza” di Marianna Madia: la Maddalena addolorata alla Pubblica Amministrazione, apparsa direttamente a Medjugorje al posto della Madonna e miracolata al governo con una poltrona da ministro.
Allo stesso modo, sa benissimo come rilanciare l’occupazione in tempi di recessione con una economia in deflazione: favorire i licenziamenti, aggirando le tutele già ridotte al minimo dell’Articolo 18 dello “Statuto dei Lavoratori”, ormai prossimo alla rottamazione. Ce lo chiede l’Europa, la BCE di Mario Draghi, il Fondo Monetario Internazionale… ma anche Sergio Marchionne ed i negrieri di confindustria, e pure Sacconi, Alfano, il rianimato Pornonano, e tutta la destra al gran completo. Insomma, si tratta dei migliori e più fedeli alleati del Telemaco al governo; come si potrebbe mai scontentarli, rispondendo loro di no?!?
Attualmente, il figliol prodigo della Generazione Erasmus è in America, in visita di cortesia presso l’amico Marchionne: il cazzaro dei due mondi, da cui si attendono ancora i 20 miliardi di investimenti promessi in Italia.
Ma prima di partire il bullo fiorentino ha voluto lasciarci uno dei suoi video propaganda, appositamente confezionati allo scopo, proprio come un Berlusconi qualunque. Certo, non ha ancora messo la calza davanti all’obiettivo della telecamera, o la finta libreria di cartone dietro le spalle, ma col giusto indirizzo siamo certi avrà modo di recuperare in fretta. L’allievo è zelante…
E poi può sempre chiedere consiglio al suo mentore e sodale: il Papi della Patria, reintegrato in servizio al Senato per la “riforma” della Costituzione… Una “merda”, come ha avuto modo di definirla l’odontotecnico Roberto Calderoli: l’altro padre costituente (!) promosso a relatore della nuova Carta (igienica?).
Nel video con cui il Caro Leader alterna i tweet, vengono indicati i veri nemici della nazione riunita attorno al suo condottiero e quindi additati a causa di ogni male. L’elenco è lungo e di volta in volta funzionale a dissimulare la millanteria fanfarona dell’esecutivo delle meraviglie…
Stavolta è il turno della minoranza piddì, che in quanto tale ha il dovere di tacere e genuflettersi alle sorti radiose del ritrovato duce d’Italia, a gloria imperitura del suo (provvisorio) 41%. Non la pensava così questo ostensorio da sagrestia quando, a parti inverse, non perdeva occasione di attaccare, criticare e dileggiare l’allora maggioranza del suo partito, ottenendone però ogni candidatura possibile a Firenze e Provincia (abolita quando ormai non gli serviva più), rivendicando una sorta di prerogativa generazionale alla “rottamazione”.
E ovviamente, come ogni esponente della destra neo-liberista e thatcheriana che si rispetti, ha riservato il suo attacco più duro ai sindacati, e soprattutto alla CGIL (la bestia rossa dei padroni e di ogni fascista che aneli al potere assoluto), che chissà dov’erano quando la precarietà esplodeva in Italia con l’invasione dei contratti atipici.
Be’, tanto per ricordare, la cattolicissima CISL di Savino Pezzotta, insieme a compare Angeletti della UIL, si accordava sottobanco e di nascosto con Gianfranco Fini ed il Governo Berlusconi nel cosiddetto “patto della lavanderia”, emarginare la CGIL e favorire la spaccatura dell’unità sindacale. Ma la strategia fiancheggiatrice, perseguita dai due accomodanti sindacati gialli per i quali ogni occasione è buona per vendere i diritti dei lavoratori al miglior offerente, viene continuamente riproposta nel tempo. E nel tempo si approderà alla firma dei contratti separati da parte di CISL e UIL ed alla loro sottoscrizione in blocco della legge Maroni-Sacconi (e chiamata Biagi), che porterà le tipologie di contratti atipici e pessimamente retribuiti a livelli parossistici.
Il primo ad introdurre il lavoro precario e sottopagato in Italia è però il ministro Tiziano Treu, che lo scalpitante Bambino Matteo dovrebbe ricordare bene, non foss’altro perché provengono entrambi dallo stesso partito: la “Margherita” coltivata nell’orto der Cicoria al secolo Francesco Rutelli, gran protettore e sponsor del Telemaco allo sbaraglio ed insieme al veltronismo la peggior piaga che mai si sia abbattuta a sinistra (Telemaco escluso!).
E, in alternativa, questo fighetto figlio di papà potrebbe rivelarci cosa faceva lui, nell’azienda bancarottiera e in fallimento dell’inquisito genitore.
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La Fine del Lavoro
Posted in Business is Business with tags Articolo 8, Ceto medio, Diritti, Disoccupazione, Economia, FIAT, Giuseppe De Rita, Indignati, Italia, Lavoro, Liberthalia, Licenziamenti facili, Luigi Arisio, Marcia dei quarantamila, Marco Revelli, Maurizio Sacconi, Mercato, Occupazione, Precariato, Sergio Marchionne, Società, UE on 27 ottobre 2011 by Sendivogius
Nel lontano 1994 un clown miliardario promise un milione di nuovi posti di lavoro, rilanciando la posta ad ogni elezione. È superfluo ricordare come nel Paese di Borgo-Citrullo lo spot sia stato un successo, mentre i disoccupati aumentavano e la qualità del lavoro peggiorava a livelli mai visti prima.
Oggi che la disoccupazione ha raggiunto il suo record storico, con milioni di senza lavoro e salari da fame per chi un’occupazione ancora ce l’ha, l’imbolsito Capo-comico, ridotto a parodia di sé stesso, annuncia trionfante:
PIÙ LICENZIAMENTI PER TUTTI!
È la promessa ‘epocale’ di questa barzelletta ambulante, per l’intrattenimento di Bruxelles, che non fa più ridere e al massimo suscita i sorrisi sarcastici dei partner europei, evidentemente preoccupati dall’inquietante Mascherone sesso-dipendente, che ciondola travestito da Al Capone per i corridoi istituzionali delle sedi comunitarie.
Nella letterina di intenti presentata ai tecnocrati della UE, accompagnata da un forte abbraccio ai presidenti della Commissione e del Consiglio europeo che non toccherebbero il Pornonano manco con un bastone, tra promesse di “efficientamento“ e privatizzazioni selvagge, calendarizzate in 8 mesi impossibili, spunta l’ennesima “riforma del mercato del lavoro”. Non manca poi lo smantellamento di quel poco di umanistico che ancora rimane nella scuola pubblica (la Cultura non si mangia), insieme all’irrinunciabile riforma della Giustizia, ed altri impiastri in una lettera scritta a più mani, dove sono evidenti le zampate dell’accoppiata Brunetta-Sacconi.
Le ultime riforme del lavoro sono state un fallimento totale. Nel rilancio dell’occupazione femminile, di maggior successo si sono rivelati invece gli inviti a “sposare un milionario”… Tuttavia, in assenza di più impegnative proposte di matrimonio, come sa bene “la donna che è consapevole di sedere sulla propria fortuna e che ne faccia partecipe chi può concretarla” (la brillante ‘metafora’ è di Piero Ostellino), al Milionario basta garantire una serie di prestazioni occasionali, opportunamente retribuite previo utilizzo finale.
L’attuale bozza dei cattivi propositi introduce inoltre i “licenziamenti facili”, a discrezione assoluta del ‘padrone’ (è ora di tornare a chiamarli col loro vero nome) e senza alcuna garanzia per il lavoratore sottoposto a perenne ricatto.
Come contropartita, si promettono generiche tutele per i lavoratori atipici, con l’introduzione di più stringenti condizioni nell’uso dei “contratti para-subordinati”.
In concreto, mentre le “misure addizionali” per contrastare le forme improprie di lavoro dei giovani sono ancora tutte da elaborare, confinate al limbo delle intenzioni aleatorie, a demolizione degli ultimi contratti di lavoro a tempo indeterminato è già pronto invece il famigerato Articolo 8 della normativa Sacconi, che spazza via ogni garanzia residua a livello contrattuale, rimandando a tempi incerti la ben più cogente riforma degli ammortizzatori sociali. È la filosofia stringente di chi è convinto che l’incremento dei licenziamenti favorisca l’occupazione, salvaguardando il reddito.
Naturalmente, i vari Draghi… Marcegaglia.. Cordero di Montezemolo… non hanno nulla da dire in merito a quell’ossimoro economico, che reputa gli over-35 troppo vecchi per essere assunti, i lavoratori 50enni dei pezzi obsoleti dei quali disfarsi quanto prima (licenziamento facile), mentre si innalza il tetto dell’età pensionabile pensando di prolungare la permanenza al lavoro fino ai 70 anni.
In Italia, il crollo occupazionale coincide in massima parte con una disoccupazione giovanile crescente, determinando una frattura ed una sperequazione generazionale, come mai si era verificato prima, attraverso una serie di anomalie sistemiche giunte a livelli insostenibili.
D’altra parte, le sedicenti politiche di sviluppo e di rilancio sono incentrate unicamente sulla “flessibilità del mercato del lavoro”, che nella prassi si traduce in una precarietà esasperata (ad vitam!) e stipendi al minimo, condita da licenziamenti facili, totale assenza di tutele per i neo-assunti e una progressiva erosione delle garanzie contrattuali per gli occupati di lungo corso.
Si potrebbe quasi dire che il Lavoratore (o quel che ne rimane), de-individualizzato e disarticolato, perde la sua “centralità” per diventare funzionale al Lavoro, parcellizzato e de-contrattalizzato, senza però alcuna reale contropartita e senza che vi siano riflessi di lungo periodo, sulla creazione di nuovi posti di lavoro degni di questo nome. In alternativa, resta il cumulo di lavoretti stagionali, rigorosamente al nero; “collaborazioni” e “progetti” farlocchi, per impieghi para-subordinati, magari travestiti da stage. Sono i fenomeni di vecchio e nuovo sfruttamento, che contraddistinguono un’intera generazione di poor workers risucchiata nei gorghi del “lavoro atipico”.
In questa parodia oscena del darwinismo sociale, dove a soccombere sono i poveri, i giovani, e quelli nati nella famiglia sbagliata, fuori dal giro e dalla raccomandazione giusta, non potevano mancare due protagonisti d’eccezione nella pletora di personaggi lombrosiani…
Il primo è un ministro del Lavoro, e delle politiche sociali inglesizzate in welfare. Si tratta di un ex ‘socialista’, cattolico devoto convertito alla “sussidiarietà” (ovvero stornare risorse pubbliche verso le imprese gestite dall’integralismo temporale di CL), e tra i principali responsabili dell’attuale sfascio finanziario [QUI]. L’unico scopo di questo innesto craxiano nel corpo del berlusconismo sembra essere quello di smantellare l’intero diritto del lavoro, spezzare ogni residua unità sindacale, ed entrare a gamba tesa nelle vertenze contrattuali come dodicesimo giocatore travestito da arbitro.
Il secondo è l’amministratore delegato di un’azienda automobilistica ormai decotta, assistita per quasi un secolo da commesse pubbliche e investimenti di Stato, ma oggi sommersa dai debiti e di fatto commissariata dalle banche creditrici. Parliamo di un’industria che non riesce più a produrre un modello decente in grado di competere sul mercato e reggere la concorrenza delle grandi case automobilistiche europee. Che ripropone da almeno venti anni gli stessi ibridi, col medesimo nome, varianti minime e qualche ritocco estetico: come un buon film (magari non eccelso), subissato da una raffica di sequel più o meno all’altezza.
Attualmente, le sorti del gruppo sono affidate al maglioncino dei due mondi, convinto che il rilancio dell’azienda risieda nell’ulteriore ribasso dei salari e nella cinesizzazione delle maestranze, con minacce, ultimatum, ricatti, potendo contare sul supporto di più sindacati gialli a fare da sponda… È l’omone dei pull-over che veste in serie, come nel guardaroba di Paolino Paperino, terribilmente simile ad un nero scarrafone dei motori, nel parco demolizioni della metalmeccanica italiana.
Le cosiddette “misure a sostegno dell’occupazione” del ministro Sacconi sembrano pensate e scritte apposta per Lui: il socialdemocratico chietino-canadese, con residenza svizzera, deciso ad abbattere il costo del lavoro, incrementando il numero di ore e le turnazioni di lavoro a salari ridotti.
Con uno stipendio annuo di 4.782.400 euro, costituisce un fulgido esempio di risparmio e sacrificio a fronte di strabilianti risultati di vendite e qualità dei prodotti.
È il tipico esemplare di un capitalismo assistito, che non investe un centesimo in innovazione e formazione, che sopravvive grazie alla domanda indotta di appalti pubblici e agevolazioni fiscali, che predica e invoca “sacrifici” e “scelte impopolari”, ma non è disposto a rinunciare a nulla e niente concedere. A partire dai famosi investimenti promessi per gli stabilimenti FIAT di Pomigliano e Mirafiori.
In tempo di crisi e recessioni in arrivo, con aziende in dismissione e lavoratori sul lastrico, il buon Marchionne si è assicurato per la sua sussistenza personale una retribuzione di 1037 volte superiore allo stipendio medio di un metalmeccanico Fiat in Italia. A questa vanno però aggiunte circa 20 milioni di azioni gratuite, stock grant e stock option, per un valore complessivo calcolato attorno ai 200 milioni di euro (fluttuazioni di mercato permettendo): la paga annuale di quasi 13.000 operai italiani della FIAT, giacché gli stipendi delle controparti polacche e brasiliane non arrivano a 600 euro.
Da notare che lo stabilimento principale di Torino ha circa 5.400 lavoratori. L’amministratore Marchionne percepisce da solo più del doppio di tutte le loro paghe e liquidazioni messe insieme; però parla di tagli dei costi senza vergogna di apparire osceno.
La letterina bruxellese, che tanto è piaciuta ai guardiani del Debito ed ai sacerdoti del neo-monetarismo globalizzato, è l’ultimo atto (ma non il definitivo) all’insegna dello smantellamento progressivo dell’idea stessa che possa esistere qualcosa di “sociale”, sacrificata sull’altare delle divinità del mercato e di un’austerità che taglia i servizi per pagare le banche d’affari.
Coincide con la fine delle ultime lotte sindacali, prima che le “associazioni dei lavoratori” si trasformassero in agenzie di collocamento, collettori di favore politico, e dispensatori di servizi per la terza età. È speculare al generale disimpegno sociale e disinteresse pubblico. Da questo punto di vista, il segno più evidente è il reflusso dei rigurgiti craxiani di parassitismo politico che tuttora governano il Paese, dopo averlo condotto al dissesto economico sull’onda lunga degli Anni ’80.
È l’incapacità di strutturare un dissenso, elaborato in nuove strategie, nell’ansia da conformismo di un corpo sociale che in massima parte non esprime “idee” ma “status”, nella frustrazione di una mancata accettazione e riconoscimento titoli. O, al suo estremo, tutto rigetta nella catarsi distruttiva di un nichilismo senza prospettive.
Nel primo caso, la “protesta” non ha alcun carattere propulsivo e galleggia nella medesima carenza propositiva. È destinata piuttosto a diventare lo specchio pubblico delle angosce di borghesi-piccoli-piccoli (o aspiranti tali) dalle ambizioni frustrate: reflussi di “ceto medio” in declino, in attesa di stabile collocazione, che scalciano (ma non troppo) per rivendicare il proprio posto al sole, in un sistema che non contestano (se non in minima parte) e dal quale si sentono momentaneamente esclusi, pur aspirando a farne parte e possibilmente scalarne le gerarchie, perpetrandone intatta la struttura.
È in fondo una diretta conseguenza di quella che, a suo modo, il sociologo Giuseppe De Rita ha definito “cetomedizzazione” [QUI], attraverso il livellamento progressivo delle coscienze e delle aspirazioni in nome dell’omologazione al ‘sistema’.
In quest’ottica, la variante italiana al movimento degli “Indignados” rischia di esaurirsi presto per assenza di reali prospettive di lungo corso, declinate a favore delle rivendicazioni minime degli indignati dell’ultima ora, aggregati alla protesta unicamente perché sospinti da una crisi che li relega ai margini senza che possano capacitarsi del perché. Ma bene attenti a rimuovere e sopprimere ogni forma di conflitto.
I prodromi erano già in embrione da tempo. Oggi ci limitiamo a raccoglierne i frutti nefasti. Ogni involuzione ha la sua data simbolica che ne decreta l’inizio. Il reflusso italiano comincia a Torino, il 14 Ottobre del 1980. E non è un caso che la ricorrenza sia praticamente passata sotto silenzio, scavalcata dall’ennesima fiducia alla pornocrazia berlusconiana e dall’effimera manifestazione di Sabato 15 Ottobre, vivacizzata dalla presenza del ben più vitale gruppo degli inkazzati (veri), dopo la quale le proposte degli Indignati hanno lasciato il passo ad un generico (quanto imbarazzante) elogio della delazione e della repressione poliziesca.
Per concludere, sarà il caso di riproporre, a dispetto di una vulgata agiografica che tanto successo ebbe a partire dalle colonne de La Repubblica, le pagine che Marco Revelli dedicò alla cosiddetta “marcia dei quarantamila”, prima della grande febbre del berlusconimo post-craxiano alla fiera dei nani, quando tutti si identificarono col padrone e credettero che bastasse disprezzare gli ultimi per sentirsi ricchi:
[…] Al Teatro Nuovo, dove il “Coordinamento dei capi e dei quadri intermedi” aveva convocato una manifestazione nazionale contro il blocco dei cancelli e l’inerzia delle autorità, succede un fatto inedito, e per tutti inatteso. Intorno alla sala, già stipata nei suoi duemila posti dai quadri più attivi di quel nuovo “movimento”, si raccoglie una folla numerosa e incerta. Riempie lentamente il piazzale antistante, trabocca sul corso e nelle vie adiacenti. Alcuni sono venuti per convinzione. Altri per bisogno, curiosità, paura. Sostano a lungo in attesa, poi con una qualche ritrosia si inquadrano, incominciano a muoversi, nasce un corteo.
Una massa grigia e pervasiva incomincia silenziosamente a dilagare verso le vie del centro, cancellando segni e ricordi delle mille rumorose manifestazioni operaie, ripristinando le regolari geometrie dell’ordine di fabbrica e della quiete sabauda. Non un colore rompe l’uniformità cromatica, solo i cartelli tutti uguali del Coordinamento: “Il lavoro si difende lavorando”, “Diritto al lavoro”. Non un grido, uno slogan, una voce che non sia quella metallica dell’altoparlante. Solo lo scalpiccio sordo dei piedi sul selciato e quel brusio basso che esce dalle folle in attesa, dagli assembramenti casuali.
Sono l’altra faccia della fabbrica, l’incarnazione del lavoro privo di soggettività ribelle, a tal punto identificato con l’organizzazione produttiva da divenirne parte integrante, da farne la fonte della propria identità ed esistenza. «Non siamo – proclama il loro leader, Luigi Arisio – il partito dei capi. Siamo il ben più grande partito della voglia di lavorare, di produrre, di competere con la concorrenza». Interrogato, il giorno dopo, sulla sensazione provata davanti ai picchetti che sbarrano i cancelli, uno di loro risponderà, con calma, senza rabbia né calore, con solo un lieve accento di disprezzo nella voce: «Una sensazione di grande pena nel vedere un impianto così perfezionato in tutte le sue parti, immobile per colpa di quella gente».
La lineare perfezione della tecnica e la rumorosa imperfezione degli uomini, la compatta efficienza della macchina e l’anarchica soggettività del lavoro vivo: ora sono lì, appunto, per dichiararne lo scandalo. Per rivendicare che la contraddizione sia sanata. Marciano, e strappano agli operai i luoghi tradizionali d’espressione: Piazza San Carlo, la Prefettura, Piazza del Municipio. In un’ora cancellano, con il loro silenzio, trentatre giorni di rumore operaio. Marciano, e con un semplice gesto conquistano il centro della scena: 15.000 dirà il telegiornale, 30.000 titolerà “La Stampa”, 40.000 sparerà infine “Repubblica”. E tali rimarranno, nella storia e nell’immaginario collettivo. Sono loro i “vincitori”: d’ora in poi incarneranno lo “spirito del mondo”. Rappresentano “la notizia”, il novum che un sistema dei media ormai annoiato dalla ripetitività operaia attende. La loro manifestazione è “nuova” sotto molti punti di vista. Nelle forme: non più scandita, come gli obsoleti cortei operai, dai tradizionali “cordoni” ma strutturata per centri concentrici secondo la catena gerarchica, con al centro il capo ufficio, il capo reparto, il capo officina, e intorno via via, i subalterni.
Nelle tecniche di comunicazione: la prima grande mobilitazione telematica, il cui strumento di convocazione principale è stato il telefono. Nuova soprattutto nei volti, nelle espressioni, nei “soggetti”. La prima grande mobilitazione di massa del “capitale”, uscito finalmente dalla sua dimensione di “oggetto” e trasformato, per una sorta di feticismo della merce alla rovescia, in “movimento”.
Cosa abbia permesso a quel pezzo di fabbrica di animarsi; cosa abbia portato a un effimero e recalcitrante protagonismo quello strato abituato solitamente a comandare e tacere, è difficile dirlo. All’origine deve aver pesato certamente l’esasperazione, dopo oltre un mese d’immobilità coatta e di assenza di salario.
Così come presente, e centrale, è stata senza dubbio, per un’ampia parte, la preoccupazione per la situazione di mercato dell’azienda. L’identificazione con le ragioni della proprietà e con le leggi ferree della competizione economica (molti di loro erano, effettivamente, come dirà Agnelli, «gente la cui unica gratificazione è il successo dell’azienda e la soddisfazione nel proprio lavoro»). L’intenzione, quindi, di denunciare alla città i gusti temuti; di comunicare il proprio senso di pericolo. Né deve essere stato estraneo a quella mobilitazione un certo “spirito di vendetta”; la voglia di rifarsi di dieci anni di umiliazioni e di sconfitte esistenziali. Ma un ruolo di rilievo deve averlo giocato anche, e forse soprattutto, la paura. Il timore non solo e non tanto della perdita del posto, del fallimento dell’impresa, quanto piuttosto del declassamento, della ricaduta nell’universo anonimo e seriale del lavoro manuale.
L’orrore, in sostanza, per una condizione operaia vissuta come regno dell’irrilevanza individuale e dell’invisibilità sociale, da cui erano usciti proprio in forza del loro ruolo di comando – dell’accesso al mondo di chi esiste perché dirige -, e in cui rischiavano di essere ricacciati da un processo di innovazione tecnologica e di riorganizzazione aziendale che andava erodendo le basi stesse del loro micropotere.
La maggior parte dei capi Fiat era stata formata per esercitare funzioni di comando sugli uomini. Scarsamente qualificata sul piano strettamente tecnico, ignorava quasi del tutto le nuove tecnologie. Di esse sapeva soltanto che avrebbero ridimensionato decisamente il “fattore umano” nel processo lavorativo, e che avrebbero assorbito molti di quei compiti di coordinamento e gestione della forza lavoro che fino ad allora avevano giustificato buona parte delle posizioni gerarchiche a livello di officina. Gli altri, i quadri intermedi burocratici, gli impiegati, intuivano che quello stesso processo tecnologico dal quale erano stati resi “esuberanti” decine di migliaia di operai, se applicato al lavoro d’ufficio, avrebbe aperto vuoti ben più devastanti. La mobilitazione contro i picchetti, la “piazza”, devono essere sembrate a molti un’occasione insperata per proporre e stringere con la direzione d’impresa un tacito patto. Per tentare di scambiare fedeltà contro sicurezza, sostegno politico all’operazione di selezione e bonifica della componente operaia contro la garanzia del mantenimento di uno status e di un ruolo gerarchico non più giustificati sul piano tecnico.
La frase bisbigliata al passaggio del corteo da un anziano saldatore delle Carrozzerie – “Questi non vogliono il diritto di lavorare, ma di farci lavorare” -, coglie lo spirito di quella “marcia” più di cento ricerche sociologiche.
Marco Revelli
“Lavorare in Fiat. Da Valletta ad Agnelli a Romiti.”
Garzanti, 1989.
Ci sarebbe da chiedersi quanti tra quei sedicenti “quarantamila” abbiano oggi figli e nipoti, impantanati nella palude di stage non retribuiti e di tirocini infiniti, retrocessi nelle pieghe più infime di una precarietà esistenziale e lavorativa senza sbocchi… E che ora s’indignano. Con 30 anni di ritardo!
(4) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Affermazioni politiche, Avv. Ghedini, Chiacchiere, Classifica di Giugno, Crisi, cucù, Dichiarazioni del premier, Emma Marcegaglia, Facce da culo, farfallina, Gaffe, GIUGNO 2009, Giuseppe Fioroni, Imprenditori, Liberthalia, Onorevoli, PD, Roberto Calderoli, Sergio Marchionne, Silvio Berlusconi, tappare la bocca, Walter Veltroni on 28 giugno 2009 by Sendivogius
Si conclude il mese di Giugno. La crescita economica è ferma. La produzione ristagna. I fatturati crollano. Gli occupati diminuiscono. In compenso, crescono le chiacchiere (e con esse le castronerie) degli ineffabili inquilini di ‘Casa Montecitorio’. E se la realtà non piace, molto meglio crearne una virtuale a proprio consumo e piacimento, ad impatto soft… Volere e fortissimamente credere in una second life, funzionale alle pretese del sultano, in onda tutte le sere sui TG(Luce) degli imbonitori di regime, per il pubblico intrattenimento e per il nostro perverso divertimento di sudditi. La Crisi è un’invenzione dei komunisti e della stampa che li fiancheggia! Al massimo, si tratta di un raffreddore passeggero e, come già annunciato dalla capa confindustriale Emma Marcegaglia, a Luglio tutti potrete vedere (e godere) dei benefici dell’italica ripresa (stronzata di Aprile). Presupponiamo che ciò avverrà soprattutto grazie alle lungimiranti politiche di Super-Tremonti, attualmente tesoriere del Re e già commercialista di Silvio. Del resto, papi se la (s)passa alla grande: vizietti e donnine gliele paghiamo noi (le più brave possono anche aspirare ad un ministero); la consegna del mignottume a domicilio pure, con tanto di aerei di Stato e scorta dei Carabinieri.
È naturale che l’Imperatore e la sua corte stiano benissimo. Forse sono gli italiani a godersela un po’ meno…
Hit Parade del mese :
1. PACCHETTO ANTI-CRISI
[26 Giu.] «Alle parti sociali che ho incontrato questa mattina ho detto che questa crisi economica ha come primo fattore quello psicologico. Ho detto tante volte, e l’ho ribadito anche a loro, che il fattore ottimismo è fondamentale per uscire dalla crisi: la gente deve tornare agli stili di vita precedente e deve rialzare i consumi. Anche perché la gente non ha motivi per diminuire i consumi. Bisogna far sì che prima di tutto il governo, e in secondo luogo tutte le organizzazioni internazionali contribuiscano a rilanciare la fiducia.
(…) Un giorno sì e uno no escono e dicono che il deficit è al 5%, meno consumi del 5%, crisi di qui, crisi di là, la crisi ci sarà per fino al 2010, la crisi si chiuderà nel 2011… Un disastro: dovremmo veramente chiudere la bocca a tutti questi signori che parlano, magari perchè di cose che i loro uffici studi gli dicono possono verificarsi, ma che così facendo distruggono la fiducia dei cittadini dell’Europa e del mondo.
(…) Bisogna chiudere la bocca a quegli organismi, anche internazionali, che continuano a diffondere dati in calo (…) insieme agli organi di stampa che prendono tutte queste posizioni insieme alle opposizioni, che danno degli incentivi alla paura che sono fuori dalla realtà.
(…) Agli imprenditori ho detto: minacciate di non dare la pubblicità a quei media che sono anch’essi fattori di crisi, perché la crisi a questo punto è eminentemente psicologica»
(Silvio Berlusconi, the One Man show)
2. FARFALLINA NON VOLARE VIA
[03 Giu.] «Quando vado in Sardegna, porto io i cuochi da Roma (…) C’è poi uno spettacolo per cui ci vogliono gli artisti che non vengono gratis.
(…) Ci sono i regali che si danno e non può un leader che è anche di suo un tycoon regalare un foulard – e quindi regala – cose che girano intorno ai 10.000 euro»
(Silvio Berlusconi, Autarchico di goveno)
3. FACCE COME IL CULO
[12 Giu.] «Non è casuale che l’avvocato che difende Zappadu sia un europarlamentare dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. C’è una doppia veste, avvocato e parlamentare, che non si dovrebbe confondere»
(Niccolò Ghedini, Avvocato e Parlamentare)
4. Elezioni (I): RISVEGLI
[04 Giu.] «Votiamo PD, la principale speranza del nostro Paese (…) Non so quanto tempo ci vorrà, ogni giorno che passa così è un giorno perduto, ma il paese girerà pagina. E quando lo farà dovrà trovare il riformismo. Per questo il voto al Partito Democratico è essenziale. Nessuna demagogia porterà il paese fuori da questo tunnel. Solo il riformismo lo salverà»
(Walter Veltroni, l’Uomo Invisibile )
5. Elezioni (II): BELLI FRESCHI!
[12 Giu.] «Se la bravura dipendesse dalla freschezza sceglieremmo candidati surgelati»
(Giuseppe Fioroni, prodotto scaduto)
6. Elezioni (III): LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
[05 Giu.] «Dalle urne usciranno risultati strabilianti: il PDL andrà oltre il 40%»
(Silvio Berlusconi, il solito cazzaro)
7. POTERE OPERAIO
[26 Giu.] «Non mi parli di politica. Io faccio il metalmeccanico»
(Sergio Marchionne, il Cipputi col pullover)
8. IL BELLO DELLA POLITICA
[04 Giu.] «Noemi? Ha due difetti: è bruttina e napoletana. Silvio basta con Napoli, torna ad Arcore»
(Roberto Calderoli, bellezza padana)
9. COPYRIGHT
[04 Giu.] «Il cucù non è un’invenzione mia: me l’ha fatto una volta Putin a S.Pietroburgo e io l’ho rifatto alla Merkel»
(Silvio Berlusconi, No Comment)
10. IMPECCABILE
[05 Giu.] «Nessuno può insegnare a me come mi devo comportare. Non ho mai fatto gaffes!»
(Silvio Berlusconi, lo spergiuro recidivo)