E se la follia fosse il tratto prevalente di un mondo impazzito, dominato da una leadership di potenziali psicopatici?
L’interrogativo, tutt’altro che peregrino, costituisce in ambito accademico un’ipotesi di studio sulla quale, da oltre mezzo secolo, si concentrano le ricerche di un nutrito pugno di studiosi, intenzionati a stabilire una relazione con il fenomeno e le sue conseguenze su scala sociale.
Forse per abbondanza di materiale umano a disposizione, il tema è uno di quelli che affascina da sempre i ricercatori d’Oltreoceano, nell’individuazione di comportamenti psicotici opportunamente celati dietro quella che lo psichiatra Hervey Milton Cleckley (un pioniere della materia) chiamava “The Mask of Sanity” (1941).
Basandosi sugli studi di H.M.Cleckley sulla psicopatia, il canadese Robert D. Hare, professore emerito alla University of British Columbia, elabora il PCL-R (Psychopathy Check List Revised): manuale psico-diagnostico, particolarmente utilizzato nell’ambito forense canadese, per valutazioni cliniche di soggetti psicopatici coinvolti in crimini violenti. Il manuale riporta una ventina di aspetti riscontrabili nell’identificazione della persona psicotica e li ripartisce in due modelli di riferimento prevalenti: nel primo “fattore” sono riconducibili gli elementi tipici del disturbo istrionico e narcisistico della personalità; nel secondo “fattore” vengono ricompresi invece gli aspetti più propriamente collegabili ad un anti-sociale dai comportamenti esplicitamente devianti.
Tuttavia, la notorietà di Hare presso il grande pubblico è legata soprattutto alla pubblicazione di “Snakes in Suits: When Psychopaths Go to Work” (2006), in collaborazione con lo psicologo newyorkese Paul Babiak. Prendendo in analisi i comportamenti individuali di dirigenti aziendali e broker di borsa, Hare e Babiak arrivano alla conclusione che la maggior parte dei manager e dei team-leader sono a tutti gli effetti degli psicopatici travestiti. Secondo le parole di R.D.Hare, sono degli esperti manipolatori “completamente privi di scrupolo e di empatia, egoisticamente prendono ciò che vogliono e fanno come vogliono, violando le norme sociali e le speranze, senza il benché minimo senso di colpa o pentimento“, arrivando a stimare in due milioni il loro numero negli USA e che solo un’infanzia appagante e sostanzialmente felice non avrebbe trasformato in serial killers.
Perfettamente mimetizzati negli ambienti di riferimento, sono degli psicopatici di successo. Per Paul Babiak: «Più acuta è la psicopatia, più ragionevoli e carismatici possono risultare i discorsi e i comportamenti. E quanto più lo psicopatico è in grado di immedesimarsi con te, intellettualmente, captando i tuoi pensieri, capendo il linguaggio del tuo corpo, tanto più è in grado di manipolarti a parole. E con successo. Senza minimamente considerare i tuoi sentimenti, poiché privo di coscienza».
Se si prendono in considerazione i comportamenti delle locuste di Wall Street e degli speculatori finanziari, le pratiche predatorie messe in atto dalle multinazionali nei Paesi emergenti, la follia rigorista dei tecnoburocrati che sta mettendo in ginocchio l’Europa, ed il trattamento ben oltre i limiti del sadismo riservato al popolo greco, c’è da chiedersi se le valutazioni di Hare e Babiak siano non solo esatte ma persino ottimistiche.
E questo ci introduce alla figura del cosiddetto “leader psicopatico”, le cui capacità seduttive hanno una valenza superiore alle normali interazioni personali, esplicandosi in tutta la loro pervasività anche nella sfera politica e nelle relazioni sociali di più ampia portata, tramite i meccanismi della fascinazione collettiva e della mistificazione manipolatoria.
Alla base dello psicopatico di successo, e in carriera, c’è dunque il “carisma”, funzionale all’onnipotenza seduttiva del proprio ego, elevato a termine di riferimento supremo, nella propria presunzione di onnipotenza. Lo psicopatico non interpreta la realtà; la controlla e la plasma in funzione del microcosmo auto-referenziale, creato su misura delle proprie aspettative e delle proprie pulsioni. La sua azione solitamente si esplica nel controllo constante della propria realtà autoprodotta, attraverso una narrazione metastorica, e nella sua capacità di intercettare, sedurre, e manipolare, i bisogni altrui a proprio vantaggio, seducendo le personalità più deboli e stabilendo un rapporto di dipendenza.
Il Capo psicopatico.
Che si tratti di una setta religiosa o di un movimento politico, il leader psicopatico tende ad esercitare la sua personale dittatura, secondo un copione comportamentale collaudato. La coesione interna del gruppo, monopolizzato dalla figura carismatica del capo, si misura in termini di appartenenza esclusiva, di contaminazione e repulsione, che spesso si esplica in tre momenti cogenti e strettamente correlati, secondo una matrice pseudo-religiosa:
Peccato; ovvero una violazione, o presunta tale, ai dettami ed alle regole imposte unilateralmente dal Capo ai suoi “adepti-militanti”.
Confessione; che spesso precede un atto di pubblica umiliazione.
Espiazione; accettazione della punizione, con relativo atto di fede (e sottomissione).
È sconcertante notare come tali rituali di controllo, maggiormente ravvisabili su piccola scala, nella loro evidenza, abbiano raggiunto livelli parossistici (e preoccupanti) in un noto MoVimento politico strutturato su base settaria…
In proposito, Janja Lalich, sociologa specializzata nello studio della “autorità carismatica” e del controllo sociale, indica una serie di aspetti caratteristici del leader psicopatico. Aspetti che la professoressa elenca con dovizia di particolari in una delle sue opere più recenti: “Captive Hearts, Captive Minds: Freedom and Recovery from Cults and Other Abusive Relationships”; libro pubblicato nel 1994, in collaborazione con Madeleine Landau Tobias e Michael Langone. Un estratto significativo dell’opera (in italiano) lo si può leggere QUI. Preso atto che molti leader di sette o gruppi politici presentino disfunzioni psicologiche o comportamenti associabili alla psicopatia, Lalich-Tobias-Langone tracciano un profilo del Capo psicopatico…
a) Ovvero, una personalità istrionica, dotata di notevole carisma ed una grande capacità comunicativa, che specialmente nei contesti a valenza pubblica usa il linguaggio per “distruggere con le parole i propri critici o disarmarli emotivamente”, senza mai entrare nel novero delle questioni sollevate.
b) Nella costruzione della sua realtà ideale, il mondo del Capo psicopatico è un contesto manicheo, fatto di cesure e distinzioni nette. “Lo psicopatico divide il mondo tra stupidi, peccatori e lui stesso. Si libera dei forti sentimenti di paura e rabbia dominando e umiliando le sue vittime”.
c) Tutto il sistema è imperniato sulla figura suprema ed immanente del Capo (politico), termine estremo di riferimento e di misura ideale, in quanto unico referente e sommo ‘garante’.
«Pensa che tutto gli sia dovuto. Assorbito dalle sue fantasie, deve essere sempre al centro dell’attenzione. Si presenta come l’illuminato estremo, uno strumento di Dio, un genio, il leader dell’umanità, e qualche volta anche il più umile tra gli umili. Ha un’insaziabile necessità di essere adulato e di avere sèguito. La sua megalomania può anche essere una difesa contro il vuoto interiore, la depressione, e un senso di scarsa importanza. La paranoia spesso si accompagna alla megalomania, rinforzando l’isolamento del gruppo e la necessità di difendersi da un ambiente percepito come ostile. In questo modo, si crea una mentalità del “noi contro loro”.»