Archivio per ROS
La Congiura delle Salme
Posted in Masters of Universe with tags Capo dello Stato, Cassazione, Conflitto di attribuzioni, Eugenio Scalfari, Giorgio Napolitano, giudici, Governo, Istituzioni, Liberthalia, Loris D'ambrosio, Mafia, Magistratura, Mario Monti, Nicola Mancino, Parlamento, Piero Grasso, Politica, Presidenza della Repubblica, Quirinale, ROS, Stato, Vitaliano Esposito on 17 luglio 2012 by SendivogiusHai problemi di natura legale? Ti hanno convocato per un confronto in tribunale e proprio non vuoi saperne di presentarti? Hai pasticciato con le deposizioni, raccontando cazzate al magistrato di turno, e adesso hai paura di inguagliarti? Non hai nemmeno (più) l’immunità parlamentare?!?
Naturalmente, il problema non è il fatto che un privato cittadino telefoni a Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente della Repubblica, per chiedere l’intervento presidenziale sugli uffici giudiziari che indagano su di lui. E non è un problema che il dott. D’Ambrosio (invece di scaricarlo subito) si prodighi in consigli, garantendo il proprio interessamento.
Che Giorgio Napolitano stia travalicando il suo ruolo istituzionale, sulla scia di un’emergenza oggettiva, con un’intraprendenza politica e decisionale quantomeno anomala, attraverso l’esercizio costante di un potere di condizionamento ai limiti delle proprie funzioni, è un sospetto che comincia a prendere sempre più sostanza nella sua evidenza.
Tuttavia, in questa sagra tutta gerontocratica di livorosi nonnetti, ancora più anomalo è l’iper-attivismo di Eugenio Scalfari, proprio in merito allo strano caso di Nicola Mancino. L’anziano fondatore de La Repubblica, con un’iniziativa pressoché isolata, in queste ultime settimane si è dato molto da fare e non ha mancato di comunicarci i suoi incontri riservati con Giorgio Napolitano, attivando una difesa per procura del Presidente e polemizzando ripetutamente con i magistrati di Palermo, coi quali ha intavolato un estenuante botta e risposta. Con una serie di repliche ad oltranza, da parte di chi è abituato ad avere l’ultima parola, la vittoria dialettica gli ha arriso per sfinimento della controparte. E naturalmente il buon Scalfari non ci ha risparmiato le solite lezioncine sulla democrazia liberale, secondo l’unica prospettiva possibile (la sua). Né poteva mancare la rievocazione dei miti scalfariani, pescati direttamente dal suo personale album delle figurine antiche e moderne (si fa per dire!). È curioso che l’intera azione avviata dal Quirinale sia stata anticipata proprio dall’intraprendente Scalfari e ne ricalchi fedelmente i suggerimenti, quasi fosse stata concordata in comune…
A parità di fattori, ci si chiede quale mai sarebbe stata la reazione del battagliero Eugenio Scalfari, e di un’opposizione ormai annichilita oltre che inesistente, qualora una simile vicenda (con le sue pressioni e le sue ingerenze indebite) avesse visto come protagonista il Pornocrate di Arcore invece dell’innocuo Nicola Mancino, oppure (iddio ce ne scampi!) al posto di Giorgio Napolitano…
L’Eterno Ritorno
Posted in A volte ritornano with tags Abatec, Affarismo, Alberico Giostra, Aldo Patriciello, Alfonso Martucci, Andrea Silvestri, Antonio Melfi, Briganti, Bruno Napoli, Calogero Sodano, Carabinieri, CCD, Concussione, Corruzione, DC, DIA, Diario, Enimont, Enrico Santoro, Finmeccanica, Giampiero Catone, Giovanni Prandini, Italia, Ladri, Lorenzo Cesa, Mafia, Marco Follini, Michele Carbonara, ROS, Salvatore Cuffaro, Salvatore Meleleo, Sannicandro Garganico, Saverio Romano, Sicilia, Sud, UDC, Vincenzo Lo Giudice on 24 novembre 2011 by SendivogiusSe è vero che la Storia si ripete sempre due volte, non è detto che rispetti necessariamente le modalità dell’alternanza tra la “tragedia” e la “farsa”…
L’indicibile bubbone purulento in cui sembra precipitata Finmeccanica, da modello di eccellenza a collettore politico del parassitismo clientelare, ricorda per dinamiche e somiglianze l’immane scandalo che coinvolse l’Enimont al principio degli anni ’90 e che segnò il passaggio tra la “prima” e “seconda” Repubblica, all’apice di Tangentopoli in concomitanza dei primi “governi tecnici” (Ciampi-Amato). Ma al contempo l’affaire Finmeccanica surclassa lo scandalo originario (Enimont), trasformando la pietra nel macigno che potrebbe innescare la frana pronta a travolgere questa immonda ‘Seconda Repubblica’ dell’intrallazzo generalizzato e dell’affarismo estremo.
Al confronto con lo scempio tuttora in atto a FINMECCANICA, senza peraltro che il neo-superministro Monti se ne stia dando troppa pena, la maxitangente ENIMONT sembra quasi una bagattella insignificante, all’insegna della sobrietà. Il contrasto è stridente, specialmente se si paragonano i Gardini o i Cusani ai personaggi d’operetta di questa ennesima ed indecentissima tornata sul palco osceno di una delle principali holding del pianeta (ancora ma per quanto?) all’avanguardia in alta tecnologia aero-spaziale…
Voraci falangi di maneggioni quarantenni, cortigiane raccomandate dal papi, neo-nazisti con la passione per i rally ed ex arnesi dell’eversione nera, cowboy cogli stivali perennemente ai piedi, pedofili e miracolati della “prima repubblica”, che si muovono insaziabili sullo sfondo di Enav-Finmeccanica, trasformate in un mandamento privato della ferale coppia Guarguaglini-Grossi: l’Olindo e Rosa della meccanica italiana.
Un giro vorticoso di mazzette, appalti truccati, commesse gonfiate, creste milionarie giocate su consulenze farlocche, affari opachi e fondi nere, poltrone vendute all’asta della corruzione politica… che hanno fatto precipitare i rendimenti delle azioni di Finmeccanica ai minimi storici, con perdite per milioni di euro, e i bilanci devastati di una holding infeudata dai partiti. In particolar modo, la società sembra essere diventata il personale giocattolo dei vari ras fascisti, transumati da AN al PdL, e soprattutto sembrerebbe assurta a banca di finanziamenti illeciti per l’UDC, che parrebbe gestirne le nomine (previa supervisione dell’intramontabile Gianni Letta) ed i flussi di denaro verso le casse del partito.
Tuttavia, alla greppia di Finmeccanica pare abbiano mangiato davvero tutti, a seconda delle possibilità e dell’influenza politica. Naturalmente, senza la piena conferma dei riscontri oggettivi, il condizionale è d’obbligo.
Dinanzi al particolare attivismo del partito centrista (che dalla fetida carcassa della vecchia balena bianca porta in dote vizi e appetiti smisurati) attorno ai vertici di Finmeccanica, come non credere alle reiterate smentite dei suoi vertici e le recise prese di distanza?!? Collusioni e fenomeni di concussione sono infatti quanto di più estraneo possibile alla collaudata tradizione democristiana dell’UDC, formazione politica che tra le sue fila vanta il record assoluto di pregiudicati per reati di natura patrimoniale…
A tal proposito, vale la pena di riportare per intero un lungo reportage realizzato nel Luglio 2004 dal giornalista Alberico Giostra per conto del settimanale “Diario”. Si noterà come tutto torna in una girandola perversa di nomi e di abitudini, che magari si riciclano sotto diversa casacca, si reinventano “responsabili”, ma non mutano mai… Quasi non si possa fare a meno del loro nefasto ‘contributo’.
Nonostante siano trascorsi ormai 7 anni, la lettura dell’articolo resta illuminante nella sua inalterata attualità. Ve lo riproponiamo per intero nella versione integrale. Ab uno disce omnis:
IO DENTRO: Il libro nero dell’Udc
“Mafia, corruzione, usura, estorsione, abusi edilizi e persino sessuali. Dall’Abruzzo alla Sicilia, la nuova Dc conta decine di indagati e condannati. Il partito di Follini e Casini li protegge e li promuove, perché i suoi voti stanno tutti lì.”
di Alberico Giostra (da “Diario” del 9 luglio 2004)
Nel corso della trasmissione Porta a porta dell’8 giugno (2004), affrontando il tema del voto europeo nel Sud, Achille Occhetto identificava la questione meridionale con la questione morale. Contro Occhetto si scagliava subito il ministro Rocco Buttiglione, dell’Udc, rimproverandogli di aver diffamato il capo della sua segreteria Giampiero Catone che Occhetto aveva appena definito «pluricondannato».
L’ultimo segretario del Pci in quell’occasione commetteva due errori. Il primo: Giampiero Catone non è mai stato condannato in via definitiva, è stato solo rinviato a giudizio. Il secondo: Occhetto ha sbagliato a identificare la questione meridionale con la questione morale. In verità è l’Udc la questione morale del Mezzogiorno. Per dimostrarlo, vi proponiamo un breve viaggio nelle viscere sudiste di quel partito.
Abruzzo. Iniziamo proprio da Catone, che alle elezioni europee del 13 giugno ha ottenuto 44.213 voti, 2.868 voti in più del capolista Buttiglione, ma non è stato eletto. Il politico abruzzese, che è anche direttore del quotidiano La Discussione, fu arrestato il 9 maggio del 2001 insieme a suo fratello Massimo, allora candidato del Ccd, per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa aggravata, falso, false comunicazioni sociali e bancarotta fraudolenta pluriaggravata. L’inchiesta del pm romano Salvatore Vitello riguardava 12 miliardi di finanziamenti a fondo perduto del ministero dell’Industria ottenuti tra il 1995 e il 1999 dalle società di Catone. Secondo la Procura di Roma, il denaro pubblico fu ottenuto attraverso atti e perizie falsi che consentirono all’organizzazione di cui Catone faceva parte di ricevere più volte lo stesso contributo per un’industria tessile mai esistita. A Catone i giudici contestarono anche due bancarotte fraudolente per 25 miliardi di lire. I magistrati romani ritenevano che le circa 50 società italiane ed estere che facevano capo a Catone fossero solo delle scatole cinesi all’interno delle quali si verificarono movimenti finanziari economicamente irragionevoli, che avevano il solo fine di mettere in atto delle truffe. Catone, inoltre, il 13 dicembre 2003 è stato rinviato a giudizio dal gip del Tribunale di Chieti per bancarotta fraudolenta per il fallimento della Abatec, un’azienda di Chieti Scalo che produceva macchinari per fabbricare pannolini e di cui Catone era stato amministratore. I fatti risalgono al periodo compreso tra il 1988 e il 1996. Tra le accuse contestate figuravano l’aumento del capitale sociale dell’Abatec, da 96 a 450 milioni di lire, deliberato con l’attribuzione di nuove quote societarie prima ancora che fossero sottoscritte le prime. Inoltre, tramite altre società e operazioni finanziarie all’estero, sarebbero state emesse fatture per operazioni parzialmente inesistenti.
Molise. Dall’Abruzzo spostiamoci in Molise, a Termoli. Il 12 maggio scorso il capogruppo Udc alla Camera Luca Volontè e il deputato Udc Remo Di Giandomenico, sindaco di Termoli, in una conferenza stampa, anticipando il contenuto di una interrogazione parlamentare, attaccavano i carabinieri della cittadina adriatica accusandoli di fare tutto tranne il proprio mestiere, cioè reprimere la criminalità. E il giorno dopo il sindaco Di Giandomenico annunciava addirittura lo sfratto per morosità dei carabinieri dalla loro caserma di proprietà del Comune. Una strana vicenda, se solo si considera che il 4 dicembre 2003 il sindaco aveva consegnato ai militari un attestato di benemerenza. La sparata del sindaco arrivava cinque giorni dopo un’operazione condotta dagli stessi Carabinieri che aveva portato al sequestro, in un ambulatorio privato della moglie del sindaco, Patrizia De Palma, di un ecografo del valore di 100 mila euro risultato rubato dal reparto di Ostetricia dell’Ospedale San Timoteo di Termoli, reparto di cui è primario proprio la moglie del sindaco. «Anche a me capita di portare delle carte dall’ufficio a casa», ha minimizzato il deputato dell’Udc a La Repubblica. Ma non è la prima volta che la De Palma, che per questa vicenda ha ricevuto un avviso di garanzia, ha problemi con la giustizia: risulta infatti condannata in via definitiva per alterazione di stato civile, avendo falsamente attribuito la paternità di una bambina nata nel suo reparto a un suo amico. Poi Di Giandomenico ci ha ripensato, ha rinunciato a sfrattare i Carabinieri e dell’interrogazione si sono perse le tracce.
Di un altro rappresentante della classe dirigente dell’Udc, ovvero Aldo Patriciello, vicepresidente della Regione Molise con due condanne passate in giudicato, i lettori di Diario sanno già molto (vedi il numero 46/47 del 2003). Basti aggiungere che il suo nome è stato citato nell’ordinanza di arresto dell’editore casertano Maurizio Clemente emessa l’11 dicembre scorso. Secondo i giudici della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Clemente è un estorsore che ricattava politici e imprenditori con i suoi giornali e che avrebbe diffamato il proprietario di una clinica di Caserta per costringerlo, in cambio della cessazione degli attacchi giornalistici, a vendere la sua clinica ad Aldo Patriciello. Un acquisto poi non andato in porto. Mentre il 4 aprile scorso i giudici di Campobasso hanno posto sotto sequestro il Centro di Riabilitazione di Salcito che la clinica Neuromed, di proprietà dei Patriciello, aveva avuto in comodato d’uso gratuito dalla Regione. Alle ultime europee Patriciello ha avuto un successo personale straordinario con 69.230 preferenze, non risultando eletto per poco e togliendosi lo sfizio di prendere, in Molise, più voti di Berlusconi. L’unico che al Sud è riuscito a battere Patriciello è stato Lorenzo Cesa, eletto a Strasburgo con 99.682 preferenze. Cesa, capo della segreteria di Follini, è stato condannato il 21 giugno del 2001 insieme all’ex ministro dei Lavori pubblici Giovanni Prandini a tre anni e tre mesi di carcere per corruzione aggravata. Cesa era stato arrestato nel 1993 dopo essere stato latitante e dopo aver ammesso di aver percepito qualche centinaio di milioni di tangenti. Il 16 giugno del 2003 la Corte d’appello di Roma ha annullato la sentenza sostenendo che il pm aveva svolto funzione di gup (giudice dell’udienza preliminare), rinviando a giudizio gli imputati: che si salveranno perciò grazie alla prescrizione.
Della Dc, Follini e Casini non buttano via niente: sempre in Molise nelle file dell’Udc milita Enrico Santoro, già presidente della Dc regionale e condannato in via definitiva nel 2002 per concussione. Santoro è membro della direzione nazionale Udc.
Puglia. Passando in Puglia, ci accorgiamo che Marco Follini, in visita a Bari il 31 ottobre scorso, dichiarò ai giornali locali che «la questione morale esiste». Evidentemente era al corrente che il consigliere comunale dell’Udc Michele Carbonara era stato arrestato nel maggio del 2003 con l’accusa di concorso in concussione continuata in compagnia di altri quattro esponenti del Polo: secondo quanto accertato dagli investigatori, per convincere un imprenditore a pagare, i consiglieri di centrodestra minacciavano di insabbiare la sua pratica o di bloccare la lottizzazione dell’area che lo interessava. E a Follini non sarà sfuggito il caso di Andrea Silvestri, assessore regionale pugliese alla Formazione dell’Udc, arrestato nell’aprile del 2004 e già condannato a un anno di reclusione per abusi sessuali su una ragazza di 14 anni a cui avrebbe toccato i seni e le parti intime dopo averla baciata sul collo. L’uomo politico cattolico, secondo il gip barese, si sarebbe distinto per un «pantagruelico approfittamento del denaro pubblico» e «disprezzo verso il contribuente» ed è stato rinviato a giudizio con 65 capi d’imputazione. Sessantadue fanno riferimento alle accuse di falso, truffa e peculato per viaggi e soggiorni in diverse località d’Italia che l’assessore avrebbe addebitato alla Regione Puglia, ma compiuto per interessi personali (anche di natura erotica). Silvestri ha deciso di riparare versando 9 mila euro. Tre sono poi i reati di concussione e tentata concussione per aver preteso da tre società denaro, assunzioni e imposto acquisti di materiale vario, oltre al pagamento di consulenze fantasma. Silvestri, dimessosi da assessore, ha ricevuto la solidarietà del partito e in un’occasione il suo ingresso in un’assemblea dell’Udc è stato accolto con applausi.
Ancora in Puglia, ricordiamo l’arresto del sindaco Udc di Sannicandro Garganico, Nicandro Marinacci, avvenuto l’8 gennaio scorso per abuso e falso materiale in atto pubblico. Mentre nel Salento il senatore Udc Salvatore Meleleo nel novembre del 2003 è stato indicato dall’ex boss pentito della Sacra Corona Unita Filippo Cerfeda come destinatario di voti mafiosi insieme all’altro eletto del Polo. Meleleo ha smentito di aver cercato appoggi nella Sacra Corona Unita. Non può smentire di essere anche un produttore di acqua minerale: nel giugno del 2001 un lotto della sua acqua Eureka è stato posto sotto sequestro e Meleleo è stato indagato per commercio di sostanze nocive.
Basilicata. Arrivando in Basilicata, ci si imbatte nell’arresto di Antonio Melfi, capogruppo dell’Udc in Consiglio regionale, finito dietro le sbarre il 30 ottobre del 2000 con l’accusa di concussione, abuso d’ufficio e turbativa d’asta, per una vicenda che risale a quando era sindaco di Tricarico. Secondo l’accusa, Melfi avrebbe pilotato alcune gare d’appalto in cambio di voti.
Campania. In aprile, un big della politica campana degli anni Novanta, Alfonso Martucci, ha aderito all’Udc. Già deputato del Partito liberale italiano e vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, Martucci è un noto penalista difensore di numerosi camorristi tra i quali il boss Lorenzo Nuvoletta. Nel 1997 Martucci ha patteggiato una condanna a dieci mesi di carcere per associazione camorristica ottenendo la derubricazione dell’accusa di corruzione elettorale. Secondo i giudici, l’ex parlamentare si «sarebbe avvalso della forza di intimidazione del clan dei Casalesi» per ottenere voti alle politiche del 1992, quando le preferenze per Martucci nel comune di Casal di Principe portarono il partito oltre il 30 per cento. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, durante la campagna elettorale del 1992, diversi esponenti del clan Schiavone avrebbero accompagnato Martucci agli incontri con gli elettori e avrebbero svolto propaganda presentandosi, anche armati, nelle abitazioni di Casal di Principe e altri comuni del Casertano, impedendo agli altri candidati di affiggere i propri manifesti.
Calabria. In Calabria la memoria va subito a un caso rivelato il 26 giugno 1998 dal giudice Nicola Gratteri: il boss della Locride Antonio Romeo, accusato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di droga, aveva svolto attività legale nello studio dell’allora senatore del Ccd Bruno Napoli (ora Udc), che si difese ammettendo la circostanza, ma sottolineando che il rapporto di lavoro era durato un solo anno e risaliva al 1987. Romeo, detto «l’avvocato», latitante per quattro anni, nel luglio del 1998 è stato condannato a 24 anni di carcere e nel 2002 ad altri sei. Calabrese è anche il sottosegretario udiccino alle attività produttive Giuseppe Galati, coinvolto ma non indagato nello scandalo della cocaina scoppiato nella Roma bene nel novembre del 2003. Nell’ordinanza del Gip si legge che Galati «soprannominato “Pino il Politico”, si rifornisce stabilmente di cocaina dal pusher Martello. Gli acquisti hanno cadenza almeno settimanale e sono effettuati direttamente, o tramite Armando De Bonis, suo uomo di fiducia che ha libero accesso presso il ministero delle Attività produttive».
Pino Galati, avvocato, classe 1961, è il leader incontrastato dell’Udc nel catanzarese e soprattutto nella sua Lamezia Terme, cittadina il cui Consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2002. Tra gli eletti nel Consiglio sciolto c’era Giorgio Barresi del Ccd, messo in lista per volere di Galati. Barresi è stato arrestato per usura il 30 settembre 2002, mentre nel luglio del 2001 era rimasto ferito in un conflitto a fuoco a Sambiase mentre si trovava in compagnia di due presunti affiliati alla ’Ndrangheta, Vincenzo Iannazzo e Bruno Gagliardi. Secondo l’accusa, Barresi avrebbe fatto parte di un’organizzazione che gestiva un giro di prestiti a tassi di usura collegata ad ambienti della criminalità organizzata lametina. A Barresi i giudici hanno sequestrato il patrimonio giudicato sproporzionato rispetto al suo reddito. Tornato in libertà il 18 febbraio 2003, il giorno dopo è stato di nuovo arrestato: il gip di Lamezia ha sottolineato nell’ordinanza «i gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati contestati» e la «non comune professionalità di Barresi nell’attività di prestare denaro a tassi d’interesse usurari». E infine Barresi è stato ancora una volta tratto in arresto il 16 giugno scorso con l’accusa di associazione mafiosa, estorsione e usura. Tra i motivi dello scioglimento del consiglio, la presenza di consiglieri imparentati con esponenti di cosche locali e tra questi Peppino Ruberto dell’Udc. Il sindaco di Forza Italia lo ha difeso: «Parentele del quinto o sesto grado», ha detto. Sarà sicuramente una coincidenza, ma il 26 novembre 2003 un nutrito gruppo di deputati dell’Udc ha presentato la proposta di legge n. 4254 volta a rendere più difficile lo scioglimento per infiltrazioni mafiose delle assemblee elettive degli enti locali.
Sicilia 1. Dulcis in fundo la Sicilia. Secondo il pentito Nino Giuffré, il boss dei boss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano avrebbe dato indicazioni di voto a favore di Antonino Cosimo D’Amico, già consigliere provinciale dell’Udc, risultato non eletto per pochi voti in Consiglio regionale nel 2001 e poi arrestato nel dicembre del 2002 per aver favorito un’impresa edile legata a Provenzano, in compagnia di un altro consigliere provinciale dell’Udc, Gigi Tomasino. Mentre, nel 1999, il pentito Francesco Marino Mannoia aveva dichiarato che Pippo Gianni, attuale deputato dell’Udc, era uno dei medici amici di Cosa nostra e aiutava i picciotti in carcere a simulare false malattie. Gianni, che ha querelato Mannoia, è stato arrestato per droga all’inizio degli anni Ottanta insieme a uomini della cosca di Raffadali e poi prosciolto. Dopo una condanna a tre anni per concussione è stato assolto dalla Cassazione.
Curiosa è la storia del senatore catanese Domenico Sudano, ex Dc e ora Udc, che il 23 novembre 1995 è stato condannato con rito abbreviato a un anno e quattro mesi per abuso d’ufficio, dopo aver concesso illegalmente un ricongiungimento di carriera e un cambio di funzioni a un dipendente dell’Unità sanitaria di Catania di cui era dirigente. Curiosa perché Sudano ora si ritrova in maggioranza insieme a tre suoi implacabili censori: Gianfranco Fini, Altero Matteoli ed Enzo Trantino, che nel 1993 lo indicarono pubblicamente come sospetto di voto di scambio con la mafia.
Tra i parlamentari dell’Udc che hanno riportato una condanna di primo grado c’è anche il messinese Giuseppe Naro, ex presidente democristiano della Provincia, cui il Tribunale della sua città ha inflitto il 6 aprile del 2002 una condanna a un anno e sei mesi per associazione a delinquere, corruzione e turbativa d’asta. Naro, secondo i giudici, ha fatto parte, al tempo della tanto rimpianta Dc, di una cupola affaristica che controllava i più importanti appalti pubblici cittadini, per circa 4 mila miliardi di lire. Naro, che era già stato arrestato nel 1993 e poi assolto per l’acquisto di un palazzo che valeva 24 miliardi e che fu pagato 30, nel 1994 è stato condannato in primo grado a tre anni di reclusione per aver fatto acquistare dalla Provincia fotografie di Messina a un prezzo sproporzionato. Anche la Corte dei Conti gli chiese un risarcimento.
A spadroneggiare in Sicilia sono alcuni big del partito, come Totò Cuffaro, presidente della Regione, o Calogero Sodano, il mitico ex sindaco di Agrigento. Quest’ultimo, eletto al Senato con oltre 50 mila voti, il 28 gennaio scorso è stato condannato dalla sesta sezione penale della Corte di Cassazione a un anno e sei mesi di reclusione per omissione di atti d’ufficio, non avendo ostacolato il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Prosciolto da un’accusa di favoreggiamento personale nel dicembre del 2003, il 24 luglio dello stesso anno Sodano è stato rinviato a giudizio per abusivismo edilizio, alterazione di bellezze naturali di luoghi sottoposti a vincolo paesaggistico, falso ideologico e abuso d’ufficio. Quando era sindaco avrebbe abusivamente trasformato in villa un ovile intestato prima alla suocera e poi a sua moglie e situato nella zona A del Parco della Valle dei Templi.
Sodano, che dovrà pagare 80 mila euro per aver diffamato Legambiente, il 17 maggio e il 20 dicembre 2003 è stato condannato in primo grado rispettivamente a due anni e quattro mesi di reclusione per truffa, abuso d’ufficio e falso nell’ambito dell’urbanizzazione del quartiere Favara Ovest e a dieci mesi per abuso d’ufficio nell’attribuzione di un appalto per un depuratore. Sodano aveva anche cercato di utilizzare la Legge Cirami per trasferire i suoi processi dal Tribunale di Agrigento, inquinato secondo lui da un libro dell’ambientalista Giuseppe Arnone, ma il 27 marzo del 2003 la Cassazione gli ha detto di no. Nell’agrigentino si trova Palma di Montechiaro, dove nello scorso aprile 16 persone sono state arrestate con l’accusa di avere costituito un’associazione dedita alle estorsioni. Tra loro Totuccio Pace (fratello di uno dei killer del giudice Rosario Livatino), condannato per mafia, e Rosario Incardona, consigliere comunale dell’Udc, già arrestato nel dicembre 2003 per tentata estorsione. Secondo gli inquirenti taglieggiavano anche i pensionati.
SICILIA 2/CUFFARO E I SUOI AMICI. Magna pars dell’Udc siciliano è Salvatore Cuffaro detto Totò, presidente della Regione, medico e allievo di Calogero Mannino, l’ex ministro dc e ora Udc appena condannato in appello per associazione mafiosa. L’ex «ministro dei lavori pubblici» di Cosa nostra Angelo Siino ha dichiarato di aver appoggiato la campagna elettorale di Cuffaro quando militava nella Dc: «Calogero Mannino, tramite l’imprenditore Antonino Vita, mi aveva raccomandato Salvatore Cuffaro, che si presentò a casa mia accompagnato da tale Saverio Romano» [“responsabile” ex ministro delle Politiche Agricole nell’ultimo Governo Berlusconi]. Cuffaro che in passato è stato condannato in appello e poi assolto per voto di scambio, appena eletto presidente ha nominato capo del suo staff Fabrizio Bignardelli. Bignardelli, ex assessore provinciale di Forza Italia, è stato arrestato il 23 novembre del 2000 con l’accusa di corruzione. Avrebbe incassato somme di denaro per oltre mezzo miliardo, per favorire le cooperative sociali «la Provvidenza» e «Madre Teresa di Calcutta» nell’aggiudicazione di appalti assegnati dalla Provincia. «Fabrizio Bignardelli mi disse chiaramente che gli avrei dovuto dare 50 milioni di lire, altrimenti non avrei più lavorato per la Provincia», ha dichiarato un impreditore. Bignardelli è sotto processo anche per simulazione di reato. Denunciò di aver subito intimidazioni, ma in realtà avrebbe chiesto a un imprenditore di recapitargli anonimamente una corona di fiori viola, di quelle che si depongono sulle tombe, cercando di far cadere i sospetti sui bidelli che gestivano una palestra e affidarne poi la gestione all’imprenditore che lo pagava.
Tornando a Cuffaro, attualmente il governatore ha due indagini a carico per concorso esterno in associazione mafiosa, rivelazione di notizie coperte dal segreto istruttorio e contributo illecito per un finanziamento elettorale di 20 milioni di vecchie lire, che sarebbe stato versato da un’imprenditrice milanese. La prima inchiesta coinvolge anche il deputato dell’Udc Saverio Romano, anch’egli rinviato a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione, il medico Salvatore Aragona, che ha chiesto di patteggiare la pena, e l’ex assessore del Comune di Palermo Mimmo Miceli, anch’egli Udc. Cuffaro è sospettato dagli inquirenti di avere rivelato agli indagati che i loro telefoni erano sottoposti a intercettazioni.
Questa prima inchiesta è collegata all’altra indagine sulle «talpe in Procura», che il 5 novembre scorso ha portato all’arresto dell’imprenditore Michele Aiello, titolare di un importante centro oncologico palermitano, e dei marescialli della DIA e del ROS Giuseppe Ciuro e Giorgio Riolo. E per questa vicenda a Cuffaro, è stato notificato un secondo avviso di garanzia. Nell’indagine, denominata «Ghiaccio», tra i protagonisti figura anche il deputato regionale dell’Udc ed ex maresciallo dei Carabinieri Antonio Borzacchelli, arrestato a febbraio per concussione. Secondo i magistrati, Borzacchelli avrebbe incassato elevate somme di denaro da Michele Aiello in cambio di informazioni riservate su indagini a suo carico. Borzacchelli avrebbe minacciato l’imprenditore di fargli revocare le autorizzazioni sanitarie ottenute per l’apertura della clinica e di fare avviare indagini su di lui se non avesse «pagato». Richieste, arrivate fino a 5-6 miliardi di lire, a cui Aiello avrebbe in parte aderito. Le somme di denaro sarebbero servite anche all’acquisto di una villa che Borzacchelli avrebbe formalmente comprato dal cognato di Aiello, ma che in realtà sarebbe stata «regalata» al politico attraverso il pagamento delle rate di mutuo. Le indagini hanno inoltre accertato numerose operazioni sui conti correnti del deputato, con «rimesse in denaro contante», materialmente versate da Antonino D’Amico, ragioniere delle imprese di Michele Aiello. Il gip Montalbano ha scritto: «Quelle prevaricazioni e vessazioni, quel disonore e slealtà, quella scorrettezza e biasimo che invece trasudano dalle esaminate condotte, grondando copiose, marchiano indelebilmente chi in esse si è avvoltolato come nel fango di una immonda pozza». Per un erede di Don Sturzo e De Gasperi non c’è male.
Tornando ancora a Cuffaro, l’ accusa di concorso esterno si basa sulle intercettazioni registrate nel salotto del boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro. Durante le conversazioni tra il padrone di casa, Miceli e Aragona, è emerso che Guttadauro avrebbe ottenuto che l’Udc candidasse Miceli, divenuto il politico di riferimento della cosca, alle regionali di tre anni fa. Secondo gli investigatori, il medico sarebbe divenuto il tramite con Cuffaro, allora candidato presidente della Regione. E proprio l’ex assessore comunale palermitano Domenico Miceli, dopo l’arresto del giugno 2003, il 14 maggio scorso è stato rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa e finanziamento illecito dei partiti. Inoltre, secondo il Corriere della sera e i Ds siciliani, Cuffaro sarebbe gravato da una serie di conflitti di interesse avendo partecipazioni in società alberghiere e di trasporti insieme ai suoi fratelli. Una di queste, la Raphael SpA, è partecipata da Sviluppo Italia, la società del Ministero del Tesoro.
SICILIA 3/LO GIUDICE E I SUOI GIUDICI. Il 29 marzo scorso ad andare in carcere è stato un altro deputato regionale dell’Udc, Vincenzo Lo Giudice, presidente della commissione regionale Sanità. Con lui sono stati arrestati Salvo Iacono, consigliere provinciale dell’Udc, e l’ex consigliere provinciale dello stesso partito Gaetano Scifo. I magistrati accusano Lo Giudice di associazione mafiosa sulla base di intercettazioni telefoniche dalle quali si ricava che l’esponente Udc è stato appoggiato dai clan mafiosi della zona nelle elezioni nazionali e regionali del 2001. Il parlamentare regionale, che nel 2002 il pentito Giovanni Calafato ha indicato come colluso con la mafia, è pure accusato di avere pilotato nel febbraio 2002 una gara d’appalto di oltre cinque miliardi di lire, nel Comune di Comitini. E poi, nella sua qualità di ex assessore regionale ai Lavori pubblici, appalti in numerosi centri. Secondo gli inquirenti, per questi suoi «interventi», avrebbe incassato tangenti che il politico, per paura di essere arrestato, aveva nascosto «sotto il mattone». Da un’intercettazione emerge, infatti, che Lo Giudice si rivolge a un imprenditore per convertire in euro 500 milioni di vecchie lire che aveva occultato per paura di «eventuali sequestri di beni». Nell’operazione si sarebbe fatto aiutare anche da suo figlio Rino, presidente Udc del Consiglio provinciale di Agrigento. Di Vincenzo Lo Giudice gli elettori ricordano la colonna sonora dei suoi spot elettorali tratta dal film Il Padrino. Lui almeno non citava Don Sturzo.
Per i politici che hanno avuto problemi con la giustizia l’Udc è vissuto come un rassicurante scudo, al punto che anche esponenti della sinistra ne abbracciano la causa. Come Leonardo D’Arrigo, già consigliere comunale palermitano eletto in una lista composta da Pds, socialisti e verdi, che nel 1993 è stato condannato in primo grado per abuso d’ufficio e che, dopo essere passato nelle file dell’Udc di cui è autorevole consigliere comunale, dall’aprile scorso è indagato per rivelazione di segreto d’ufficio e abuso d’ufficio, aggravato dal fatto che avrebbe avvantaggiato un’organizzazione mafiosa. Mentre restando nel gruppo consiliare palermitano dell’Udc, il capogruppo Felice Bruscia è indagato dallo scorso maggio per corruzione, perché secondo i giudici avrebbe esercitato pressioni su alcuni funzionari comunali in cambio di denaro affinché accelerassero l’iter per il rilascio delle concessioni di alcune pompe di benzina.
Dallo scorso aprile è indagato a Palermo anche Davide Costa, assessore regionale alla Presidenza, per concorso in associazione mafiosa: i giudici gli contestano di avere cercato appoggi elettorali dalla famiglia mafiosa di Marsala per le elezioni regionali del 2001, offrendo anche 100 milioni di vecchie lire. A scendere direttamente in campo per Costa, allora candidato Ccd e ora Udc, sarebbe stato l’allora latitante Natale Bonafede, per il tramite di Davide Mannirà, finito agli arresti. Contro l’assessore regionale ci sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Mariano Concetto, ex vigile urbano di Marsala e affiliato alla cosca mafiosa della cittadina, e numerose intercettazioni. Durante le perquisizioni nell’ufficio dell’assessore Costa, gli inquirenti hanno sequestrato decine di lettere di segnalazione per concorsi pubblici.
Spostandoci a Trapani ci imbattiamo in una vicenda che ha decapitato la locale Casa delle libertà. Il Tribunale ha condannato l’ex sindaco Nino Laudicina, ex Dc, a 21 mesi di reclusione per concussione e falso in atto pubblico. La vicenda giudiziaria si riferisce all’affidamento a una cooperativa della gestione degli asili nido comunali. Per la stessa vicenda, nel gennaio 2003, l’ex consigliere comunale dell’Udc Mario Toscano aveva patteggiato un anno di reclusione. Secondo i giudici, il sindaco e gli altri amministratori hanno falsificato una delibera che concedeva a una cooperativa 600 milioni per la gestione dei servizi di quattro asili nido. La cooperativa era un contenitore per racimolare voti e soldi e negli asili avrebbero dovuto lavorare anche familiari e amici degli amministratori e di alcuni consiglieri comunali. Nella ricostruzione del Tribunale, Toscano era in realtà la vera mente della coop ed era stato lui a gestire le promesse di assunzione a decine di giovani che hanno confermato le promesse ricevute. Nella stessa inchiesta è indagato anche l’ex deputato regionale del Ccd Francesco Canino, già arrestato nel luglio 1998 e indagato per concorso in associazione mafiosa. Secondo la Procura, Canino sarebbe la mente di molte decisioni politico-amministrative a Trapani.
Tra i candidati-indagati alle europee c’è anche il deputato regionale siciliano Carmelo Lo Monte, ex di Sergio D’Antoni e sotto inchiesta a Messina per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e truffa in relazione alla costruzione di un parco nel comune di Graniti, di cui Lo Monte è stato sindaco. E nel messinese, a Santa Teresa di Riva, sono indagati per associazione a delinquere, abuso d’ufficio e interruzione di pubblico servizio nove membri della maggioranza: sette sono dell’Udc.
La musica non cambia se ci trasferiamo ad Acireale. Il 3 febbraio scorso l’ex sindaco Udc Nino Nicotra è stato arrestato per associazione mafiosa ed estorsione. È accusato di essersi servito di alcuni affiliati del clan Santapaola per risolvere una controversia finanziaria. Le indagini erano state avviate dalle Fiamme gialle dopo una denuncia dello stesso ex sindaco di Acireale, che sosteneva di essere vittima di un’estorsione. L’inchiesta avrebbe accertato che Nicotra non era la vittima, ma l’autore del reato. Alla cosca sarebbe stata offerta la «possibilità di assunzioni in sue aziende per ex detenuti, ottenendo in cambio ausilio da parte dell’organizzazione criminale nell’attività di recupero crediti e sostegno in campagna elettorale». Nicotra, che era già stato arrestato il 21 settembre del 2002 per associazione mafiosa e voto di scambio nell’inchiesta Euroracket, è stato rinviato a giudizio il 25 giugno scorso insieme a Vittorio Cecchi Gori. (at)trazione siciliana. È evidente dalla congerie degli esempi riportati che nell’Udc nessuno si è mai posto il problema di un’attenta selezione della propria classe dirigente nel Mezzogiorno. Ma questa omessa selettività è soltanto un incidente di percorso o si tratta di una consapevole strategia? Sorge il dubbio, infatti, che si voglia offrire l’immagine di un partito indulgente e accogliente, sempre pronto a perdonare certi atavici «difetti» delle classi dirigenti meridionali, un partito che intende riprodurre fedelmente la rovinosa indistinzione tutta democristiana tra pubblico e privato con gli annessi pendant del familismo, del parassitismo e della indifferenza verso la legalità.
È per tutto questo che l’Udc piace tanto al Sud? Perché dopo i risultati del 13 giugno è chiaro che l’Udc è un partito a trazione meridionale: alle europee ha ottenuto il 5,9 per cento nazionale attraverso il 4 per cento del Nordovest, il 3,9 del Nordest, il 5,4 del Centro, il 7,9 del Sud e addirittura l’11,8 delle Isole. Su un totale di 1.917.775 voti, 948.129 vengono dal Sud e dalle Isole (il 49,4 per cento) e 361.638 dal Centro: totale 1.309.767, il 68,2 per cento del totale. Dei 442.550 voti in più ottenuti rispetto alle europee del 1999 (Cdu+Ccd), 381.922 provengono dal Centrosud, cioè l’86 per cento. Tant’è che nell’area più dinamica del Paese, il Nordest, l’Udc ha perso 4.942 voti: pochi, ma li ha persi. Dei 381.922 voti in più ottenuti nel Centrosud, ben 166.666 (pari al 43,6 per cento), provengono dalle isole e di questi 138.904 (l’83,3 per cento) dalla Sicilia, dove l’Udc ha il 14 per cento dei suffragi con 315.818 voti.
Vuol dire che il 37,6 per cento dei voti in più che l’Udc ha preso in queste europee proviene dalla Sicilia. Ecco perché se l’Udc è un partito a trazione meridionale, è a maggior ragione un partito a trazione siciliana. Al punto che il segretario dell’Udc siciliano Raffaele Lombardo (quello che chiese di estendere a Totò Cuffaro l’immunità del lodo Schifani) pretende per l’Udc un ministero del Mezzogiorno. Che sarebbe come affidare l’Avis a Dracula. In conclusione: una parte dei ceti medi meridionali ha lasciato la sirena berlusconiana per approdare all’Udc riproducendo quell’alleanza tutta andreottiana tra una borghesia amorale e in cerca di protezioni e la distratta e disfatta borghesia romana. Follini, Buttiglione e Cuffaro se ne gioveranno senz’altro, il Paese molto meno.
BELLA GENTE
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(W.Shakespeare – Amleto: atto I, scena IV)
In termini inversi, c’è da chiedersi se in Italia esista ancora qualcosa di sano…
Se la corruzione è una sciagura antica, senza bandiere di appartenenza, nel cosiddetto Belpaese ha assunto dimensioni tali da diventare strutturale, quale elemento endogeno nel carattere identitario di un’intera nazione, che ha fatto del malcostume diffuso il proprio tratto distintivo. E, come il vaso di Pandora, non smette di riversare i suoi mali nella sfacciata presunzione di impunità.
È un circolo vizioso, innestato su di un sistema economico già amorale per sua intrinseca natura e per questo più propenso a delinquere. Ciò che stupisce è la ribalta degli stessi personaggi, la riproposizione delle solite facce di sempre, legate con doppio filo ad un passato che non vuole passare, secondo un copione fin troppo noto.
LA ‘FRODE CAROSELLO’
L’ultima (ma non definitiva) della serie, è l’ennesima truffa finanziaria che ha tra i principali protagonisti due delle principali compagnie di telefonia italiane: FASTWEB e TELECOM Italia tramite la propria controllata SPARKLE.
Sembra che i due colossi delle tlc si fossero specializzati nella compravendita fittizia di servizi telefonici, tramite un’intricata serie di triangolazioni societarie e finte fatturazioni, finalizzata alla creazione di falsi crediti IVA.
Il giochino contabile, conosciuto nell’ambiente come “Frode Carosello”, andava avanti almeno dal 2002 ed ha comportato un danno di 365 milioni di euro, per mancati introiti, alle esangui casse di uno Stato, particolarmente prodigo quando c’è però da favorire i ladroni amici…
Nella sua estensione, la natura della frode è molto più complicata. Tuttavia, una delle varianti più semplici consiste nella vendita di traffico telefonico ad aziende estere in ambito europeo, esenti dal pagamento dell’IVA secondo la normativa comunitaria. Per la transazione internazionale, ci si avvale di intermediari commerciali: sono società di comodo per il transito di capitali, con sede nazionale ed estera (Panama; USA; Svezia).
Le Limited straniere (chiamiamole Beta) acquistano i pacchetti telematici dalle grandi compagnie italiane (Alfa). Questo tipo di transazioni, in quanto esportazioni estere, non sono soggette al pagamento dell’IVA, per mancanza del presupposto territoriale.
A loro volta, le stesse aziende estere rivendono il pacchetto appena acquisito ad una o più società terze (denominate ‘cartiere’), con sede in Italia, che rigirano nuovamente il prodotto alle compagnie originarie (sempre Alfa). Queste ultime versano in anticipo il pagamento dell’IVA sul prodotto riacquistato, direttamente nelle casse della società cartiera. In questo modo, Telecom Sparkle (o chi per lei) vanta un credito d’imposta nei confronti del Fisco italiano; si tratta di un rimborso che può scorporare in fase di bilancio dal resto delle somme da versare all’erario.
La ‘cartiera’ (Gamma) non solo si guarda bene dal versare l’IVA dovuta, ma viene altresì posta in liquidazione (o fallimento) a transazione avvenuta, per rinascere sotto altro nome e pronta a ricominciare il giro, con i suoi flussi di cassa virtuali.
Il cosiddetto mobile phone supply (traffico di schede prepagate; accesso a servizi internet…) è totalmente inesistente, così come è fittizia la compravendita di servizi in realtà mai forniti, tramite le ‘cartiere’ che erogano false fatture, incrementando i rimborsi e creando fondi neri.
È più o meno, quanto avveniva in SPARKLE, sotto la famigerata amministrazione TELECOM di Marco Tronchetti Provera. Grossomodo, sembra sia il caso della FASTWEB guidata da Silvio Scaccia.
Operazione PHUNCARD-BROKER
Nel 2004, su segnalazione dell’Agenzia delle Entrate di Roma, il Nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza avvia una serie di indagini tributarie sui bilanci di TELECOM per sospetta elusione fiscale. I finanzieri scoprono una serie di ingenti movimenti contabili poco chiari, tra intermediari italiani ed esteri, con società finlandesi che fatturano miliardi per gestire traffici telefonici da Parigi a Roma. L’interesse delle Fiamme Gialle si concentra sulla concessione dei ‘servizi’ dial-up (la truffa dei numeri dialer) e, seguendo il groviglio delle società coinvolte, vira rapidamente verso FASTWEB in merito alla commercializzazione delle Phuncards: carte prepagate per l’accesso, tramite un sito internet, a contenuti tutelati dal diritto d’autore (royalties). Salvo scoprire che non esiste alcun sito né diritto tutelato, ma solo una massiccia produzione di fatture false per operazioni mai effettuate.
Al contempo, sempre a Roma, i Carabinieri del ROS indagano su un giro di usura ai danni di un imprenditore locale, taglieggiato da… un ufficiale della Guardia di Finanza del nucleo anti-estorsioni!
“L’11 febbraio 2004 la Procura di Roma chiede ai carabinieri dei Ros di riscontrare le dichiarazioni della denuncia presentata da Vito Tommasino, che accusava il maggiore Luca Berriola di averlo ricattato e di avergli prestato soldi a tassi d’usura incredibili.”
Berriola utilizza l’imprenditore Tommasino, per far rientrare dall’estero 1,5 milioni di euro su un suo conto corrente cifrato panamense e riconducibile alla Broker Management SA, i cui flussi finanziari sono risultati ricollegabili al traffico di carte telefoniche sulle quali stanno già indagando i militari del Nucleo valutario della GdF.
Agli inquirenti non serve molto per capire che le indagini sono strettamente collegate: tanto i militari della Finanza tanto quelli dell’Arma, stanno investigando sulla medesima banda criminale coinvolta in due diverse operazioni di riciclaggio.
Le due indagini vengono quindi riunite e poste sotto il coordinamento della Procura Distrettuale Antimafia di Roma, fino ai 56 arresti degli ultimi giorni per associazione a delinquere transnazionale pluriaggravata.
I BRICCONCELLI
A gestire l’immenso giro di denaro sporco è un’agguerrita cricca di riciclatori professionisti, che opera su dozzine di conti correnti. L’intraprendente gruppo traffica in diamanti e beni di lusso; non disdegna di investire i suoi proventi nel mercato delle armi e in forniture militari nel sud-est asiatico. In eccesso di liquidità, effettua compravendite immobiliari e cerca persino una partecipazione in FINMECCANICA. Inoltre, attraverso una galassia di piccole società, offre i propri servizi di intermediazione finanziaria ai manager di Fastweb e Telecom Sparkle.
Nell’organizzazione confluiscono neo-fascisti militanti, vecchi esponenti della Banda della Magliana e capibastone delle ‘ndrine crotonesi.
Ma nel mazzo ci sono pure consulenti finanziari e liberi professionisti, manager in carriera e specialisti in intermediazioni d’affari sui mercati esteri. Ognuno col suo soprannome, come si conviene nel bestiario della mala romana. È divertente notare come uno dei principali broker implicati nel riciclaggio internazionale, Marco Toseroni (detto er Pinocchio), presenti l’attività nel proprio curriculum vitae:
“In 21 investimenti, ho assunto il ruolo di consulente e successivamente di dirigente essendo coinvolto nel processo di selezione delle opportunità di investimento e negoziazione dei deal (operazioni commerciali n.d.r). Ho inoltre svolto attività di consulenza finanziaria e di pianificazione strategica rivolte ad imprese a conduzione familiare in ordine al perfezionamento di acquisizioni, allo sviluppo di canali commerciali all’estero, alla ristrutturazione del business”
Più che un clan mafioso, è un piccolo partito del malaffare organizzato che vanta persino un proprio rappresentante in Senato: Nicola Paolo Di Girolamo. Ma andiamo per ordine…
Gennaro MOKBEL. È il Mister X di questa sorta di Spectre capitolina. Mokbel, madre napoletana e padre egiziano, 50 anni ben portati, è una vecchia conoscenza della DIGOS romana…
Vecchio fascistone dalle simpatie neo-naziste, in gioventù bazzica gli ambienti eversivi di Terza Posizione, entrando presto nella rete di fiancheggiatori dei NAR. Infatti, nel maggio 1992, viene arrestato durante un blitz dell’UCIGOS insieme ad Antonio D’Inzillo, un latitante che Mokbel nasconde in casa sua, e si becca tre mesi di reclusione. Con gli anni, si dedica al più lucroso traffico di stupefacenti, guadagnandosi a contorno una serie di condanne per ricettazione, detenzione di armi da fuoco, lesioni aggravate, e “usurpazione di titoli”, prima di riciclarsi come imprenditore criminale. Tuttavia, non dimentica i vecchi camerati (Mambro, Fioravanti, Pedretti) ai quali si vanta di pagare le spese legali. Ne parla al telefono con Carmine Fasciani, esponente della criminalità romana, legato ai resti della Banda della Magliana:
“Valerio e Francesca… Dario Pedretti…te li ricordi tutti?… Li ho tirati fuori tutti io …tutti con i soldi mia, lo sai quanto mi so costati Ca’?… un milione e due…un milione e due!”
Un discorso a parte merita Antonio D’Inzillo, giovanissimo killer dei NAR passato alla Banda della Magliana. Per chi ha letto ‘Romanzo Criminale’ di Giancarlo De Cataldo, D’Inzillo è Il Pischello.
A.D’Inzillo, classe 1963, figlio di un noto ginecologo della Capitale, comincia la sua militanza politica nei CLA (Costruiamo l’Azione) d’ispirazione ordinovista.
Il 17/12/1979 a Roma un commando dei NAR uccide il 24enne Antonio Leandri [maggiori dettagli li trovate QUI]. I killer materiali sono Bruno Mariani e Giusva Fioravanti; l’autista alla guida di una Fiat 131 rubata è il 16enne D’Inzillo. Il gruppo di fuoco viene arrestato quasi subito, tranne Fioravanti che riesce a scappare.
Bruno Mariani ha 19 anni, una militanza studentesca in Avangurdia Nazionale ed amicizie con l’ala militare dei CLA, dove conosce D’Inzillo che si unisce alle sue scorribande squadriste. Dopo l’arresto per l’omicidio Leandri, il minorenne D’Inzillo viene condannato in primo grado a 15 anni di reclusione, ma nel marzo 1985 viene scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare.
Il 02/03/1989 viene nuovamente arrestato, insieme a due camerati di TP, presso il deposito bagagli della stazione Tiburtina di Roma, mentre ritira un borsone con le armi dei NAR. Nel gruppetto c’è anche Giorgio De Angelis, attualmente consigliere del sindaco Alemanno.
In carcere D’Inzillo rimane poco anche stavolta, sempre per decorrenza dei termini di custodia, tuttavia fa in tempo a conoscere Marcello (Marcellone) Colafigli, uno dei boss della Magliana, ed a prendere contatti con l’omonima banda.
Cocainomane abituale, D’Inzillo viene successivamente accusato di aver provocato la morte, durante una lite, di Patrizia Spallone con la quale ha una relazione sentimentale. La ragazza è la nipote del chirurgo di Togliatti.
D’Inzillo fugge in Belgio, ma nel 1991 viene estradato in Italia per traffico di stupefacenti.
Nel 1993, nell’ambito della faida che vede coinvolti vari esponenti della Banda della Magliana, viene incriminato per l’assassinio di Enrico De Pedis, detto Renatino (è il Dandy di ‘Romanzo Criminale’), boss del gruppo dei ‘Testaccini’, ammazzato il 02/02/1990.
A questo punto, D’Inzillo si dà alla latitanza e di lui si perdono (apparentemente) le tracce.
Ufficiosamente, D’Inzillo si trasferisce in Africa dove fa il mercenario per gruppi paramilitari, che gestisce in proprio ed affitta per servizi particolari in Kenya, Congo, Uganda… in quanto
lavora “al servizio di apparati governativi come coordinatore militare di attività segrete, assolutamente illecite, quali la raccolta e il trasporto di legname rubato in territorio sudanese oltre al traffico di particolari risorse minerarie, come l’oro del Congo”. In Uganda si mette sotto la protezione del presidente Museveni, organizza squadre di autodifesa contro i macellai dell’LRA, e si dedica al lucroso traffico internazionale di diamanti, che (guarda caso) costituiscono una voce importante negli investimenti di Gennaro Mokbel, che sembra procurarsi la materia prima con estrema facilità tramite dei canali privilegiati…
Rintracciato dalla magistratura italiana, nel 2008 D’Inzillo muore. Una scomparsa provvidenziale che però non produce cadaveri, visto che il corpo è stato cremato e, al di fuori del certificato, nulla attesta il decesso. Incredibilmente, la notizia la trovate QUI.
Fabrizio RUBINI. Già rinviato a giudizio per omicidio aggravato (QUI), è un nome noto alla Polizia: “nel 2005 è finito in carcere a Regina Coeli, accusato di aver ucciso il rivale in amore, un geometra di Ostia. Nonostante l’accusa grave e le intercettazioni che inchiodavano lui e l’amante, Rubini è stato scarcerato nel 2006. Sembra si sia rimesso subito in affari. Rubini, commercialista noto della Capitale, è stato socio con Di Girolamo in varie società (Wbc srl; Emmemarine srl; Progetto Ristorazione), ma secondo gli inquirenti ora mira in alto: sarebbe lui l’intestatario di un conto a San Marino dove vengono accreditati milioni di euro, soldi che la banda mandava dalle società di vari paradisi fiscali” (fonte La Repubblica).
Paolo COLOSIMO. Avvocato vicino agli ambienti neo-fascisti della Capitale, è il difensore di Niccolò Accame, ex portavoce di Francesco Storace, nel processo Lazio-gate. È anche l’ex legale dell’immobiliarista Danilo Coppola: uno dei Furbetti del Quartierino. Coppola è indagato
dalla Procura di Roma per sospette operazioni di reciclaggio per conto di Enrico Nicoletti, il cassiere della ‘Banda della Magliana’, Aldo De Benedittis ed i fratelli Ascenzi, a loro volta legati ad Enrico Terribile e tutti cresciuti sotto l’ombra protettiva della Bandaccia.
Nel maggio 2007, l’avv. Colosimo viene arrestato per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta ed intestazione fittizia di beni, in seguito al crack del gruppo Coppola, quindi posto agli arresti domiciliari. Tra l’altro, l’avvocato aveva già all’attivo una condanna per porto abusivo di armi da sparo.
Ma Paolo Colosimo è anche il difensore di fiducia di Giuseppe Arena, affiliato all’omonima cosca calabrese, operante nella provincia di Crotone…
Franco PUGLIESE. 53 anni, è stato condannato in via definitiva per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, violazione di sigilli, abusivismo edilizio, ricettazione, estorsione ed usura.
Nel maggio del 1997 il Tribunale di Crotone confisca a Pugliese beni per un valore di 12 miliardi di lire. Al presunto boss, in quell’occasione, fu applicata la sorveglianza speciale per tre anni.
Inoltre, Franco Pugliese è strettamente legato alla famiglia mafiosa degli Arena, “in considerazione del fatto che la figlia Mery è la compagna del latitante Fabrizio Arena (il cui padre, Carmine, uno degli esponenti storici dell’omonima cosca di Isola Capo Rizzuto risulta ucciso in un eclatante agguato mafioso nel 2004, mediante l’esplosione di un colpo di bazooka) e la sorella PUGLIESE Vittoria risulta sposata con Nicoscia Pasquale, già inserito nell’omonima cosca e assassinato in data 11/12/04.” (Tribunale di Roma, 23/02/2010)
Roberto MACORI. Già condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta ed evasione fiscale, è l’inviato speciale di Mokbel nei rapporti di collaborazione con i calabresi.
Nicola DI GIROLAMO È il pezzo pregiato della collezione Mokbel: l’utile idiota posto a rappresentare gli interessi della banda in Parlamento, con la gentile collaborazione della ‘Ndrangheta calabrese.
Romano, avvocato, imprenditore, il 50enne Di Girolamo cura il giro di intermediazioni societarie per conto di Mokbel, si preoccupa di reinvestire i capitali illeciti e dell’esportazione di valuta all’estero (Panama e Hong Kong). Soprattutto, è coinvolto nelle intestazioni fittizie di beni e nel riciclaggio internazionale, “con l’aggravante di rivestire il ruolo di promotore ed organizzazione dell’associazione a delinquere”, secondo quanto riportato dai magistrati.
Vuoi perché Di Girolamo abbia ambizioni politiche… Vuoi perché Mokbel ritenga la rappresentanza parlamentare utile alla causa… Com’è, come non è, ad un certo punto la banda decide di candidare Di Girolamo alle elezioni.
BIRBANTELLI IN PARLAMENTO
Nel 2007 anche Gennaro Mokbel aveva tentato la via politica aderendo ad “Alleanza Federalista”, un movimento nato nell’ottobre 2003 come costola romana della LEGA NORD. Dopo aver assunto la carica di ‘segretario regionale’, Mokbel distribuisce le cariche tra moglie e parentado associato.
“Nell’ottobre 2007, a seguito dei contrasti con i vertici di Alleanza Federalista accusati di immobilismo ma soprattutto di non coinvolgere MOKBEL Gennaro nella condivisione/scelta delle strategie politiche, maturerà la decisione di costituire un autonomo gruppo politico a cui veniva dato il nome di Partito Federalista Italiano. Partito attraverso cui venivano avviati una serie di contatti con esponenti politici di primo piano, che culmineranno nella candidatura alle elezioni politiche del 13 e 14 Aprile 2008 di DI GIROLAMO Nicola, quale candidato al Senato.”
(Atti dell’inchiesta)
È Mokbel che pensa a tutto: soldi, finanziamenti, appoggi politici, alleanze, strategie… Tanto che l’avv. Di Girolamo sembra quasi disinteressarsi alla sua campagna elettorale. E mal gliene incolse!
Le intercettazione telefoniche la dicono lunga su quale fosse la reale stima del suo capo e la considerazione di cui gode Di Girolamo nel resto del gruppo:
“Hai sbagliato però… a Nicò… ma tu ma dove cazzo… che me stai a pija per culo?!? A Nicò guarda che io… ti do una capocciata eh… Nicò?!? (…) Io me altero che tu me prendi per il culo… Io te indico come segretario politico… che so due giorni che me dice c’abbiamo una serie di incontri… col sindaco de Marino, con tutta gente… e tu non m’hai… non mi hai mai fatto una telefonata! Nicola io non so se tu sei capace a comportarte o sei non sei capace a fare delle cose. Tutti gli altri esistono per darte ‘na mano a farle ‘ste cose, non per essere trattati con sufficienza, con menefreghismo, con superficialità… Nicò, non stai facendo un cazzo, perdendoti nelle tue elucubrazioni, ti ho avvisato la prima, ti ho avvisato la seconda, e ti ho avvisato la terza volta… qui si tratta che tu stai sulla luna (…) e rimani ne a luna… perché io appresso a un coglione come te nun me ce ammazzo… Nicò… hai capito?!? Non ce perdo tempo, non ce perdo più soldi! Ti ho continuato a dire: tocca fare questo, tocca fare quello, tocca fare quest’altro… tu fai solo una confusione inutile, giri su te stesso, fai rodere il culo a tutti quanti… poi siccome non te dicono un cazzo a te, vengono da me… oh che dovemo fa?!? L’incontro tocca farlo, st’altra cosa tocca farla… e a un certo punto me so rotto i coglioni, capito caro Nicola? Vai a fare il senatore, prendi i tuoi sette mila euro al mese, vattene affanculo a me non me rompe li coglioni sennò te metto le mani addosso!”
Vista la caratura del candidato, per la bisogna, Gennaro Mokbel si appoggia alla comprovata esperienza delle cosche calabre nel reperimento voti. E qui entra in gioco Franco Pugliese, che si accolla il disturbo in cambio del pagamento delle spese e di un prestanome a cui intestare uno yacht appena acquistato. Roberto Macori (l’uomo di Mokbel) e Giovanni GABRIELE (il referente della cosca) volano subito in Germania, nella zona di Stoccarda, dove iniziano a rastrellare voti tra gli immigrati calabresi, procacciandosi schede elettorali in bianco da falsificare.
Di Girolamo viene eletto nelle liste PDL per la circoscrizione estera – collegio Europa e diventa senatore della Repubblica con 22.875 voti validi.
Il 29/12/08 il sen. Sergio De Gregorio (Pdl) annuncia la nomina di Nicola Di Girolamo a vicepresidente della sedicente fondazione “Italiani nel mondo”. Diventa membro della III° Commissione Affari Esteri del Senato ed entra a far parte anche del Comitato per le questioni degli Italiani all’estero.
Tuttavia, a scanso di equivoci, subito dopo l’elezione Mokbel ricorda al neo-eletto senatore chi è che comanda davvero:
“Da ‘sto momento la vita tua è questa: senato, viale Parioli, viale Parioli, senato e a casa. Poi da viale Parioli si decide co’ chi devi sta a pranzo, con chi devi sta a cena, che devi incontra… chi dobbiamo vede’, i viaggi che se demo fa… Se lo capisci, bene! Sennò vattene per i cazzi tua, prendi un milione e cento e va a… Mettemo un altro… non c’ho tempo da perde”
E non perde occasione per ribadire il concetto al povero senatore pezza da piedi che, tra minacce e umiliazioni, fa quasi pena:
“Mò ricordati che devi paga’ tutte le cambiali che so state aperte e in più devi paga’ lo scotto sulla tua vita, Nicò perché tu una vita non ce l’avrai più.. ricordati che dovrai fare tutte le tue segreterie, tutta la gente sul territorio, chi te segue le Commissioni, il porta borse, l’addetto stampa, il cazzo che se ne frega… ma come ti funziona ‘sto cervello Nicò?”
Pare infatti che Di Girolamo non sia stato poi un grande investimento politico… Preoccupato di cancellare le tracce che possano collegarlo alla sua passata attività di riciclatore, fa casino sui vecchi c/c e sull’allineamento dei ‘poteri di firma’. Soprattutto, prende iniziative autonome dal resto della banda e pasticcia con gli svizzeri della Egobank di Lugano. Il senatore infatti è preoccupato di “finire come Coppola e Fiorani”.
Di errore in errore, Di Girolamo continua a suscitare le ire del ras della Camilluccia, che non lesina complimenti alla sua creatura malriuscita:
MOKBEL: «Se t’è venuta la “candidite”, se t’è venuta la “senatorite” è un problema tuo, però stai attento che ultimamente te ne sei uscito 3-4 volte che io sò stato zitto, ma oggi mi hai riempito proprio le palle Nicò, capito?!? Se poi dopo te e metto tutte in fila e cose… abbozzo du volte… tre volte…»
DI GIROLAMO: «Comunque, guarda, mi dispiace…»
MOKBEL: «Devo aprì bocca Nicò? devo aprì a bocca mia? Io quando apro a bocca faccio male, a secondo del male che si fa, Nicò, hai capito? Vuoi che parlo io?
(…) Non me ne frega un cazzo, a me di quello che dici tu, per me Nicò puoi diventà pure presidente della Repubblica, per me sei sempre il portiere mio, cioè nel mio cranio sei sempre il portiere, non nel senso che tu sei uno schiavo mio, per me conti come il portiere, capito Nicò? Ricordati che io per le sfumature mi faccio ammazzà e faccio del male!»
In un’ampia scelta di casistiche, il senatore Di Girolamo può scegliere se essere lo schiavo, il portiere, o il pupazzo di Mokbel:
“lui è legato a me non da filo doppio, ma da cento fili… senza de me è finito, non può far nient’altro”
Tuttavia, non tutte le ciambelle riescono col buco…
Già alla vigilia della sua elezione a senatore, Di Girolamo viene sospettato di aver falsificato la sua residenza all’estero. Il Tribunale di Roma ne chiede l’arresto per attentato ai diritti politici, falso ideologico, false dichiarazioni, e falsificazione di atti pubblici.
Settembre 2008; il Senato non concede l’autorizzazione a procedere l’arresto contro Di Girolamo e rinvia l’ipotesi di decadenza dal seggio senatorio alla Giunta delle Elezioni per il Senato.
20 ottobre 2008; la Giunta delle Elezioni ordina l’annullamento della nomina, ma la decisione viene sospesa per l’intervento dal senatore Andrea Augello (Pdl), ventriloquo di Alemanno a Roma.
29 Gennaio 2009; il Senato rimette la decadenza Di Girolamo come senatore, alla futura sentenza penale.
Febbraio 2009. Si sveglia il ferale presidente del Senato, Renato Schifani, che promette tempi certi per la rimozione dell’imbarazzante senatore, avvertendo fortemente l’esigenza di eiattare il degno prodotto del ‘popolo delle libertà’…
“Sei una grandissima testa di cazzo… Nicò sei proprio sballato. Sei una grande delusione, lo sai Nicò?”
(Gennaro Mokbel)
CAMERATA ANDRINI, PRESENTE!!
Stando alle amabili definizioni del gran capo, se Di Girolamo è un “coglione” è pur vero che questi vanno sempre abbinati in coppia…
Che cosa è successo? Per essere candidati nella Circoscrizione Europa, bisogna innanzitutto risiedere all’estero. E non è il caso dello strapazzato Di Girolamo.
A falsificare i certificati di residenza, ci pensa un altro fenomeno da baraccone pescato tra i protetti di Gianni Alemanno. Si tratta dell’ormai famoso Stefano Andrini: un personaggio dagli interessanti contatti…
Andrini infatti conosce bene l’ambasciatore italiano in Belgio, Sandro Maria Siggia. Inoltre, entra in contatto con Aldo Mattiussi, un funzionario del Consolato italiano a Bruxelles, che provvede a certificare la falsa residenza dell’avv. Di Girolamo nella capitale belga.
Stefano Andrini si preoccupa pure di scegliere l’alloggio per l’aspirante senatore e non ha niente di meglio che indicare, nell’attestazione di residenza, un trilocale in uso a studenti fuori sede…
Andrini ha un amico suo pugliese che è “borsista” (mò si chiamano così) presso il Parlamento Europeo. Il borsista ha un appartamento in locazione, che sub-affitta ad altri ragazzi per pagarsi le spese. E si offre di ospitare pure Di Girolamo.
Persino gli inquirenti non resistono dall’ironizzare sulla brillante sistemazione offerta da Andrini:
«Ed è questa sistemazione che viene scelta a Bruxelles come “residenza” del futuro senatore della Repubblica. Si tratta di un appartamento evidentemente inidoneo, costituito da un salone, due stanze e servizi, in cui il professionista romano, avv. Di Girolamo Nicola Paolo, avrebbe dovuto risiedere dormendo sul divano-letto della sala, poiché le due camere erano già occupate da altri ragazzi»
Poi, come al solito, Di Girolamo ci mette del suo e sbaglia a trascrivere l’indirizzo, fino all’epilogo di questi giorni.
Alla luce dei fatti, visto l’enorme potere che la categoria ingiustamente sottovalutata può acquisire ed esercitare, la domanda nasce spontanea: quanto può essere pericoloso un coglione?
COMPAGNI DI MERENDE
Posted in Business is Business, Kulturkampf, Masters of Universe with tags ANEMONE, Angelo Balducci, Antonio Di Nardo, Baldassini Tognozzi Pontello, BTP, Camorra, Consorzio FEDERICO II, Consorzio Stabile Novus, Corte dei Conti, Cricca della Ferratella, Denis Verdini, DIA, Diego Anemone, Direzione Investigativa Antimafia, ELETTRICA LEOPIZZI, Enrico Bentivoglio, Enrico Intini, Evaldo Biasini, Fabio De Santis, Francesco Bidognetti, Francesco De Vito Piscicelli, Giampaolo Tarantini, Gian Luca Calvi, Gianni Letta, Giuseppe D'Avanzo, Giuseppe Riina, Giuseppe Tesauro, Guido Bertolaso, IMPREGICA Costruzioni, L'Aquila, LARA Costruzioni, Leonardo Benvenuti, Liberthalia, Mafia, Mario Fecarotta, Mario Fecarottta, Mario Sancetta, MYRMEX, Opere pubbliche e Ambiente SpA, PdL, Pierfrancesco Gagliardi, Pietro Di Miceli, Procura di Firenze, Protezione Civile, Riccardo Fusi, Rocco Girlanda, Rocco Lamino, ROS on 21 febbraio 2010 by Sendivogius
«Si è in presenza di un sistema che definire “gelatinoso” dà solo in parte l’idea della sua insidiosità e pericolosità corrodendo in modo profondo rapporti economici, istituzionali, e anche sociali; l’insidiosità si ricava anche dal coinvolgimento a vario titolo di personaggi di grossa levatura istituzionale.
Già si è detto di BERTOLASO, ma dalle indagini emergono anche rapporti poco chiari con consiglieri della Corte dei Conti, quali Mario SANCETTA e Antonello COLOSIMO.
E ancora ANEMONE risulta avere rapporti poco chiari con un prelato, don Evaldo BIASINI (economo provinciale della Congregazione dei Missionari del Santissimo Sangue di Roma) al quale chiede e dal quale ottiene denaro»
Procura di Firenze
Ordinanza di Custodia cautelare
Proc. 1460 R. Gip – 08/02/2010
In questa sorta di banchetto luculliano, pochi ma voracissimi commensali si contendono i posti migliori di una tavolata dove le portate sembrano non finire mai.
E se il gruppo ANEMONE la fa da padrone, le altre imprese in gioco si spartiscono il resto del piatto secondo la legge di compensazione, per evitare eventuali denunce da parte degli imprenditori scontentati: ognuno con il suo referente politico e relative coperture istituzionali, le proprie clientele, e famigli associati. È una ragnatela ibrida dove pubblico e privato si intrecciano in un groviglio di interessi particolarissimi, regalie e favori personali, anche se l’egemonia incontrastata degli Anemone (sponsorizzati da Angelo Balducci) dispiace a molti degli altri convitati, che se ne lamentano con i loro protettori nella ricerca di una sponda politica…
LA CRICCA DELLA FERRATELLA
Sistematicamente tagliati fuori dagli appalti più ricchi, che sembrano essere appannaggio esclusivo del gruppo ANEMONE (favorito dal tandem Bertolaso-Balducci), gli imprenditori esclusi attivano i loro canali istituzionali.
Tra i più attivi c’è il conte Francesco Maria De Vito Piscicelli, quello che la notte del terremoto a L’Aquila se la rideva dentro il letto. Nelle intenzioni del conte c’è forse l’idea di costituire un cartello imprenditoriale per la lottizzazione degli appalti, tramite un gioco di lobbies contro lo strapotere degli Anemone.
Piscicelli, per conto della Opere pubbliche e Ambiente SpA, si rivolge a Fabio DE SANTIS: una vecchia conoscenza, per una storia di abusi edilizi all’Argentario che li coinvolge entrambi. Ma Fabio De Santis è soprattutto un alto funzionario della Protezione civile, che segue la gestione dei ‘Grandi Eventi’:
Mondiali di Nuoto, Roma 2009;
G-8 La Maddalena 2009;
Celebrazioni 150 anni Unità d’Italia
L’ing. De Santis ha evidentemente due pregi…
Innanzitutto, non apprezza l’intraprendenza affaristica (ai limiti dell’impudenza) del suo collega Balducci i cui appetiti sembrano insaziabili. Infatti, il più discreto De Santis se ne lamenta con Enrico Bentivoglio, un altro funzionario della Ferratella:
DE SANTIS: Comunque bisogna dirglielo [a Balducci n.d.r]… “Tu c’hai 60 anni! Ma è possibile che non capisci un cazzo?!? (…) O tu ci fai deficienti, e questo mi fa incazzare, e ti do una capocciata sul naso e ti taglio il pisello!”
BENTIVOGLIO: È questo il problema… è che ti fa incazzare… che ti prende per il culo! (…) Guarda la madonna!
DE SANTIS: Gli dico… senti… “Oh! Hai rotto proprio il cazzo! Guarda squalo dacci i soldi che ci devi dare e vaffanculo!”
BENTIVOGLIO: Te e quell’altro ladro di… [Anemone n.d.r]
In secondo luogo, Fabio De Santis è incazzato nero pure con Diego Anemone, per ‘motivi di famiglia’… Marco De Santis, fratello di Fabio, è imprenditore della Elettrica Leopizzi, una società che in passato ha lavorato più volte con le imprese di Anemone.
Nel luglio del 2008, Fabio De Santis si accorda con Diego Anemone per riservare al fratello una fetta degli appalti per il G-8 sardo, ma i patti non vengono rispettati. E il funzionario è furioso:
“Bella figura del cazzo ci avete fatto! (…) Il rispetto va sempre tenuto per tutti, capito? E al di là del momento perché poi tornano utili tutti, capito? (…) Uno non può fare tutte le cose per convenienza, no?”
Anemone promette che compenserà l’impresa di De Santis con una commissione nei lavori a L’Aquila. Evidentemente considera la ricostruzione abruzzese una questione di sua proprietà. Visti i precedenti, Fabio De Santis però non si fida troppo e si muove per favorire l’impresa rivale del conte De Vito Piscicelli, il quale nel frattempo non resta con le mani in mano…
Piscicelli infatti è in affari col CONSORZIO STABILE NOVUS di Napoli, dove lavora il cognato Pierfrancesco Gagliardi. L’ingresso nel consorzio è finalizzato alla partecipazione nelle gare d’appalto, gestite dai funzionari della Protezione civile presso il dipartimento ministeriale della Ferratella.
L’OMBRA DELLA CAMORRA
A controllare il consorzio, come socio occulto di maggioranza, è Antonio DI NARDO, funzionario ministeriale alle Infrastrutture ma anche personaggio dalle frequentazioni pericolose… Secondo un rapporto dal titolo inequivocabile (“Di Nardo Antonio – Clan dei Casalesi”), sarebbe «in contatto con soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose e camorristiche» in riferimento ad alcune note informative della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) di Napoli: 14 marzo 2003 e 8 luglio 2003. La DIA napoletana si sofferma poi sui legami imprenditoriali che intercorrono tra Di Nardo e Carmine Diana, titolare della “Impregica Costruzioni srl” e ritenuto vicino al boss casalese Francesco Bidognetti, meglio conosciuto come “Cicciotto di Mezzanotte”.
Tra i principali soci in affari del funzionario-imprenditore ci sono:
Pietro Di Miceli, commercialista palermitano con referenze importanti. Di Miceli viene sospettato di frequentazioni mafiose a partire dal 1992, in seguito ad una serie di segnalazioni anonime e di pentiti che lo indicano come referente dei Corleonesi. Nel settembre del 2000, il professionista siciliano viene indagato dalla Procura di Caltanissetta per “concorso esterno in associazione mafiosa”, come «curatore degli interessi della mafia e vicino ai servizi segreti». In particolare, la Procura lo sospetta di avere «un rapporto di stabile collaborazione» con Cosa Nostra e di approfittare del suo «incarico di consulente tecnico presso il tribunale, incidendo sulla trattazione e sull’esito di procedimenti penali e di misure patrimoniali, in particolare di quello relativo ai beni sequestrati al costruttore Giovanni Pilo», ma (dopo anni di inchieste) non può fare a meno di proscioglierlo dalle accuse per l’assenza di riscontri probatori (il 9 Febbraio 2006).
Mario Fecarotta, imprenditore siciliano specializzato in lavori pubblici.
Le grane giudiziarie per Fecarotta cominciano l’11 giugno del 2001. Giuseppe Riina, figliuolo di Totò u Curtu (al secolo Salvatore Riina), è ormai adulto e vuole reinvestire il patrimonio di famiglia in attività pulita. Tuttavia, il ragazzone ha difficoltà a trovare una banca che sia disponibile ad aprirgli un conto corrente. Per la bisogna, Riina si rivolge proprio a Fecarotta, che a sua volta chiede l’intercessione dell’allora viceministro dell’economia Gianfranco Micciché (attuale coordinatore PDL in Sicilia). Inoltre, nel 2002 Fecarotta venne arrestato per estorsione aggravata (una mazzetta da 500 milioni). Condannato in prima istanza per “concorso esterno in associazione mafiosa”, è stato assolto nel 2008 dalla Corte d’Appello di Palermo.
Rocco Lamino, titolare della LARA Costruzioni Srl.
Sembra che il conte Piscicelli, in carenza di liquidità per soddisfare le richieste della banda Balducci, abbia contratto con l’imprenditore un prestito da 100.000 euro con l’intermediazione di Antonio Di Nardo, finendo per restituirne 140.000.
“Il tenore dei dialoghi intercettati induceva a ritenere che si trattasse di un prestito usuraio, elargito da soggetti che lo stesso De Vito Piscicelli indicava al cognato come pericolosi (son quella gente che è meglio che ci stai lontano… se si sgarra è la fine!)”
Intercettazione del 22/03/08
L’ALLEGRO CONSORZIO
Oltre alla ‘Opere Pubbliche e Ambiente’ di Piscicelli ed alla ‘LARA Costruzioni’ di Lamino, al Consorzio si affiancano, su proposta dello stesso Piscicelli, anche le toscane GIAFI Costruzioni di Valerio Carducci e ‘Baldassini Tognozzi Pontello S.p.A’ (BTP) di Riccardo Fusi.
L’alleanza prevede “la spartizione dell’enorme torta costituita dai 465 milioni di euro stanziati per la realizzazione di 17 opere (Febbraio 2008) nell’ambito del programma di interventi relativo alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia”. Vanno aggiunti alla torta i lavori del mancato G-8 sardo e del dopo-terremoto abruzzese.
La BTP, decima azienda di costruzioni in Italia, attraversa un periodo di grandi difficoltà economiche. Il suo presidente, Riccardo Fusi (attualmente dimissionario) in cerca di aiuto si rivolge ad un suo vecchio amico d’infanzia… Lo sponsor politico della BTP è dunque Denis VERDINI, coordinatore nazionale del PdL e Presidente della Banca di Credito Cooperativo (BCC) per la Toscana. L’onorevole Verdini si preoccupa di fornire a Riccardo Fusi (ed al Consorzio Stabile Novus) i contatti giusti e di limitare, con la sua intercessione, l’avidità di Balducci.
♣ Sono Denis e risolvo problemi…
Roma, 30 luglio 2008. Riccardo Fusi e Denis Verdini si incontrano per un pranzo di lavoro a “Il Circolo della caccia”. Al tavolo siedono anche Francesco Piscicelli (l’anfitrione che ha prenotato il ristorante), l’immancabile Antonio Di Nardo, e Leonardo Benvenuti. Quest’ultimo è un siciliano 38enne, originario di Gela, che lavora come portaborse di Rocco Girlanda (PdL).
I ROS dei Carabinieri osservano e fotografano.
Affabile, bonario, disponibile, Verdini contatta Angelo Balducci e, a quanto pare, trovano subito l’accordo. È lo stesso Balducci a parlarne con De Santis:
«Una bella figura. Un toscanaccio di questi. Ma terribile. È andata al di là di ogni aspettativa, perché lui sapeva già tutto… programma… eccetera (…) Gli ho detto dei problemi di… insomma… un po’ tutto. Lui mi ha detto: “Io sono qua per risolvere insieme a lei… insieme a chi dice lei questi problemi… sul piano, chiamiamoli così, del territorio. Per il resto andiamo avanti come dei treni”. È anche uno godereccio. Nel senso, simpatico. Sai, no? Il toscano.»
A partire da questo momento, in seguito ad una serie di fortunate (e complicate) circostanze, tutto sembra volgere al meglio per la BTP di Fusi ed al ‘Consorzio Stabile Novus’.
Improvvisamente rilanciata verso la conquista del mercato e degli appalti aquilani, la BTP fa di più e si associa pure al “Consorzio FEDERICO II” (direttore tecnico è Libero Fracassi), che raccoglie una cordata di imprenditori abruzzesi (Barattelli; Vittorini Emidio; Marinelli ed Equizi) cari al sottosegretario Gianni LETTA.
Il consorzio FEDERICO II in realtà è una creatura che gravita nell’orbita dello ‘Stabile Novus’… L’intraprendente conte De Vito Piscicelli, col cognato Pierfrancesco Gagliardi, provvedono alla quadratura del cerchio. Sono proprio quelli che, secondo Letta, non avrebbero mai avuto un centesimo dagli appalti per L’Aquila.
Gagliardi elabora la costituzione di una società specializzata in restauri di opere d’arte e ritaglia l’incarico su misura per il ‘Federico II’.
Il 14 maggio 2009, Riccardo Fusi incontra l’onnipotente sottosegretario Letta.
La BTP consorziata alla ‘Federico II’ ottiene appalti per 12 milioni di euro:
messa in sicurezza della sede della Cassa di Risparmio della Provincia de L’Aquila, con recupero e restauro delle opere d’arte presenti;
messa in sicurezza del Palazzo Branconi Farinosi;
restauro della Caserma Pasquali
realizzazione dei moduli scolastici provvisori.
A tal proposito, il 22 luglio il consorzio ottiene pure l’appalto per la realizzazione della scuola media ‘Carducci’ (altri 7,3 milioni di euro).
♥ I Servitori dello Stato…
I giudici della Corte dei Conti dovrebbero preoccuparsi della contabilità pubblica, insieme al controllo ed alla verifica delle spese. Dovrebbero…
Accade che in un Paese dove gli interessi pubblici e privati si mescolano, decisamente a favore di questi ultimi, qualcuno dei revisori possa perdere il senso dell’orientamento:
Mario Sancetta è l’ex presidente della Corte dei Conti per la Campania, ma è anche molto attivo nel procacciare appalti al Consorzio Stabile Novus, tenendosi a stretto contatto con Rocco Lamino ed Antonio Di Nardo. Il magistrato scalpita e va in giro a battere favore tra ex ministri più o meno beneficiati dalle sue revisioni contabili: Pietro Lunardi; Lucio Stanca; Altero Matteoli. Ma contatta pure l’immancabile Verdini e soprattutto Gianni Guglielmi, il provveditore per le opere pubbliche di Lazio e Abruzzo, competente per la ricostruzione. Guglielmi, che è pure ‘amico fraterno’ di Antonio Di Nardo, in cambio del disturbo chiede un aiutino per diventare presidente dell’ANAS.
Antonello Colosimo è un altro magistrato della Corte dei Conti; dal 2005 al 2008 è stato vice Alto Commissario per la lotta alla contraffazione. È anche uno dei favoriti di Gianni Letta, che ha sostenuto a lungo la sua candidatura a segretario generale del CNEL.
Anche il dott. Colosimo ha interessi nel Consorzio Stabile Novus; non foss’altro, ha prestato 200.000 euro all’accoppiata Piscicelli-Gagliardi.
E per (non) concludere, dalle indagini condotte dai Carabinieri, salta fuori pure il nome di un giudice della Corte Costituzionale… quella che secondo B. sarebbe stata infiltrata da un commando di bolscevichi.
Si tratta di Giuseppe Tesauro, nella Consulta dal 2005 e presidente dell’Antitrust fino al 2004. Il giudice Tesauro sarebbe socio (almeno dal 2007) di una delle società, ‘Paese del Sole Immobiliare’, che aderiscono al consorzio di Antonio Di Nardo.
E alla fine arriva Giampi…
Un uomo generoso Giampaolo Tarantini; uno che si preoccupa degli amici e non fa mancare loro nulla…
«Si sa chi è Gianpaolo Tarantini. E’ il ruffiano che ingaggia prostitute per addolcire le notti di Silvio Berlusconi. Si sa che Tarantini vuole lucrare da quella attività affari e ricchezza. Chiede al capo di governo di incontrare Bertolaso. Gli vuole presentare un suo socio o protetto, Enrico Intini, desideroso di entrare nella short list della Protezione civile. Berlusconi organizza il contatto. Bertolaso discute con Intini e Tarantini. Quando la storia diventa pubblica, Bertolaso dirà: “La Protezione civile non ha mai ordinato né a Intini né a Tarantini l’acquisto di una matita, di un cerotto o di un estintore“. E’ accaduto, per Intini, di meglio. Peccato che Bertolaso non abbia mai avuto l’occasione di ricordarlo. L’impresa di Intini ha vinto “la gara per il nuovo Palazzo del cinema di Venezia, messa a punto dal Dipartimento guidato da Angelo Balducci, appalto da 61,3 milioni di euro”. Scrive il Sole 24 ore: “La gara ha superato indenne i ricorsi delle imprese escluse e dell’Oice (organizzazioni di ingegneria) in virtù delle deroghe previste per la Protezione civile”. Anche per Tarantini non è andata male. Ha una società che naviga in cattive acque, la “Tecno Hospital”. La rileva “Myrmex” di Gian Luca Calvi, fratello di Gian Michele Calvi, direttore del progetto C.A.S.E., la ricostruzione all’Aquila di 183 edifici, 4.600 appartamenti per 17mila persone con appalti per 695 milioni di euro. Come si vede, forse il ruffiano di Berlusconi e il suo amico non hanno venduto alla Protezione civile una matita, ma la Protezione civile, direttamente o indirettamente, qualche beneficio a quei due glielo ha assicurato»
“I COMPARI E LA TRIARCHIA”
Giuseppe D’Avanzo
La Repubblica – 19/02/2010
Intanto L’Aquila marcisce…
Indice delle puntate precedenti:
1) GLI SCHIFOSI
2) L’UOMO CON LA TUTA
E continua…
IL GRANDE BOTTO
Posted in Muro del Pianto with tags Antonio Tamburrino, Arma dei Carabinieri, Carlo Tagliente, Debolezze, Estorsione, Fardello del sesso, Governatore del Lazio, Lazio, Liberthalia, Luciano Simeone, Moralismo, Nicola Testini, PD, Piero Marrazzo, Questione morale, Ricatto, ROS, Scandalo, Sesso, Trans, Viados on 25 ottobre 2009 by SendivogiusA quanto pare, il significato che certi spiriti laici e progressisti conferiscono alla cosiddetta ‘questione morale’ si riduce alla ristretta (ed ipocrita) ottica del moralismo sessuofobico di derivazione religiosa… Come se gli scandali si riducessero unicamente alle inclinazioni sessuali ed alle abitudini private di un pubblico amministratore.
Il famigerato fardello del sesso sembra costituire per molti l’oggetto di una tormentata convivenza, di inconfessabili ‘vizietti’, di cose che si fanno ma che non si dicono. E soprattutto non si devono sapere. Sorvoliamo sulle “debolezze private” che hanno travolto (e rovinato ad aeternum) lo sventurato Piero Marrazzo, il governatore del Lazio, vittima in primo luogo della sua incredibile leggerezza. Se al presidente piace frequentare transettoni a cottimo, questi sono ‘affari’ (e soprattutto caxxi) suoi.
Tuttavia, per tutta una serie di motivi che ben distinguono il ‘caso Marrazzo’ da certi utilizzatori finali, precisiamo a scanso di equivoci:
1) Il governatore non circuiva minorenni.
2) Il governatore non ripagava le prestazioni con candidature politiche ed incarichi pubblici, tant’è che nessuno dei trans è mai stato nominato consigliere o assessore regionale. Meno che mai ministro a pareggiare le opportunità.
3) Gli incontri avvenivano in appartamenti privati e non all’interno di sedi istituzionali, tipo Palazzo Grazioli.
4) Il governatore non si faceva portare le sue ‘amiche’ coi voli di Stato, a domicilio nel villone sardo.
5) Il governatore non ha certo potuto contare sulla compiacente discrezione dei Carabinieri, intenti a scortare le ‘signore’ nelle stanze private, riservate all’amplesso galeotto.
“Ma quel che appare grave nel suo comportamento è quel che non dice, non ha detto e sembra
di non voler dire. Il governatore del Lazio non ha detto di essere stato ricattato né tanto meno ha denunciato l’estorsione, come avrebbe dovuto fare. Non ha detto di aver firmato – ai carabinieri che lo minacciavano – degli assegni per evitare che scoppiasse uno scandalo.”
Di conseguenza, il governatore Marrazzo si è auto-sospeso in attesa delle inevitabili dimissioni. Dimissioni sollecitate con insolita determinazione da Dario Franceschini, Pierluigi Bersani, e tutto il gruppo dirigente del PD, che invece trovano assolutamente normale la permanenza del plurinquisito Antonio Bassolino alla guida della regione Campania. Evidentemente la disastrosa amministrazione del ras partenopeo, con la dilapidazione di milioni di euro e le torbide collusioni di stampo camorrista, non hanno la stessa gravità ‘morale’.
Al contrario, siamo preoccupati per il reiterato silenzio del solitamente loquace Francesco Rutelli: pare che al Cicoria si sia seccata la lingua.
Le intemerate di Maurizio Gasparri (che non si capisce a quale titolo parli) non valgono invece alcuna considerazione… dalle fogne sovralimentate possono venir fuori solamente due cose: grasse pantegane e grossi “pezzi informi di materia organica anfibia comunemente chiamata merda!”
Tutta roba dalla quale è consigliabile tenersi alla larga.
È incredibile invece come Marrazzo, pur nella sua misera sprovvedutezza, si sia rapidamente trasformato da vittima di un’estorsione a bersaglio ambulante. Illuminante è poi la discrezionalità e la sensibilità con la quale l’intera faccenda è stata trattata dal magistrato inquirente e soprattutto dall’Arma dei Carabinieri. Al benemerito servigio, del quale molti (troppi) erano a conoscenza, ha contribuito la partecipazione straordinaria dei ROS, operativi in zona Trionfale…
Quattro i carabinieri arrestati, mai abbastanza pubblicizzati:
Luciano Simeone (30 anni),
Carlo Tagliente (29 anni),
Antonio Tamburrino (28 anni),
Nicola Testini (37 anni)
Tutti beneficiati da encomi solenni, pare che i sottufficiali si fossero specializzati nel taglieggiamento dei viados, traffico di stupefacenti, estorsione e ricatti. E forse anche altro…
Quando l’esempio viene dall’alto… [qui].