Se c’è una cosa che col tempo abbiamo imparato ad apprezzare in Antonio Di Pietro, è lo straordinario intuito col quale seleziona i suoi candidati e lo conduce inesorabilmente a scegliere le persone sbagliate. In questo, pare che disponga di un talento tutto particolare, raffinato negli anni attraverso la pratica reiterata.
Non sappiamo come andrà a finire (né ce ne potrebbe fregar di meno) la deprimente vicenda di Vincenzo Maruccio: l’enfant prodige alla Regione Lazio, lanciato in una carriera fulminante che sembrava aver bruciato tutte le tappe e conclusa nel peggiore dei modi.
Sarebbe piuttosto curioso conoscere i requisiti di valutazione, con i quali vengono scremati certi curricula. Sembra trattarsi di un problema comune a tutti i partiti (e ora ‘movimenti’) di natura proprietaria, dove il giudizio del ‘Capo’, prima ancora di essere insindacabile, è soprattutto insondabile.
Personaggi come Maruccio non vengono su dal nulla. Meno che mai in un paese immobile e gerontocratico come l’Italia, dove si diventa maggiorenni a cinquant’anni e si vive una seconda giovinezza a settanta. Un Paese dove dietro al rampantismo di ogni ‘giovane di successo’ c’è sempre un vecchio mentore, con le opportune entrature nei salotti giusti ed i fili del burattino in mano…
A 23 anni, fresco di laurea in giurisprudenza, conseguita presso la cattolicissima università LUMSA, il misconosciuto Vincenzino è già “dirigente” nazionale dell’Italia dei Valori.
Non ancora trentunenne, viene nominato “Assessore alla Regione Lazio con delega alla Tutela dei Consumatori ed alla Semplificazione Amministrativa” (13/02/09) nella giunta regionale di Piero Marrazzo, su indicazione diretta del partito per volontà di Antonio Di Pietro. Superfluo dire che il giovane avvocato calabrese non solo non è stato eletto, ma nemmeno si è presentato alle elezioni regionali (del Lazio). Tempo pochi mesi, viene promosso “Assessore ai Lavori Pubblici ed alle Infrastrutture”. Si tratta di un incarico delicatissimo, che richiederebbe un minimo di esperienza, in considerazione del mare di squali in cui si deve nuotare. Tanto per dire, è il periodo
in cui Angelo Balducci, ricopre il ruolo di Presidente generale del Consiglio Superiore per i Lavori Pubblici, dopo essere stato Direttore Generale del Servizio Integrato Infrastrutture del Lazio, e dal 2006 Commissario Straordinario per i mondiali di nuoto “Roma 2009”.
Nel 2010, cambio di giunta regionale. Vincenzo Maruccio, coi suoi 8.000 voti, è il primo degli eletti in quota IdV. Diventa capogruppo dell’Italia dei Valori nel Consiglio Regionale del Lazio, tesoriere unico del partito e membro della Commissione Bilancio alla regione, quindi segretario generale dell’IdV per il Lazio, prima del catastrofico epilogo: indagato per peculato, sospettato di riciclaggio, costretto alle immediate dimissioni dal partito.
Dimmi con chi vai e ti dirò che sei…
Negli anni gloriosi della sua attività politica, l’on. Maruccio si distingue per una indefessa attività contro i furbetti di tutte le cricche. In concreto, di fatti se ne vedono assai pochini; in compenso, le parole e le promesse abbondano, con un premio alle buone intenzioni. Poi certo c’è l’immancabile discrepanza tra ciò che si predica e quello che si pratica, nell’incolmabile separazione tra pensiero e azione…
In merito alla scandalosa gestione dei fondi regionali per le spese di partito [QUI], alla fine di settembre ’12, quando finalmente si decide di correre ai ripari e chiudere le porte a stalle ormai vuote, il solerte Vincenzino rilascia insieme al suo collega Claudio Bucci una dichiarazione congiunta:
“Accogliamo con grande piacere la proposta del presidente Abbruzzese, in merito ai tagli da operare sulle spese del consiglio regionale del Lazio. Si tratta di un atto di responsabilità nei confronti dei cittadini della regioni su cui, inevitabilmente, grava la spesa regionale.”
Mario Abbruzzese (PdL) è il presidente dell’assemblea regionale, che ha moltiplicato i pani ed i pesci elevando a dismisura i rimborsi spese ed i finanziamenti pubblici ai partiti (da 500.000 a 15 milioni di euro), tramite un contestatissimo emendamento, introdotto in fretta e furia nelle legge di bilancio regionale del 2010.
Peccato che l’accoppiata moralizzatrice dei (porta)valori abbia ritenuto superfluo ricordare come l’aumento dei fondi sia passato anche grazie al voto favorevole di Vincenzo Maruccio (membro della Commissione Bilancio) ed il consigliere Claudio Bucci (membro dell’Ufficio di Presidenza), nonostante la direttiva ufficiale dell’IdV fosse quella di votare NO.
Claudio Bucci è un ex Forza Italia, transitato per le imperscrutabili vie della politica all’Italia dei Valori. Per rendere l’idea del personaggio, è uno che da almeno cinque anni riutilizza sempre la stessa foto, evidentemente buona per tutte le occasioni… Questioni di coerenza!
Vincenzo Maruccio sembra invece più fedele al primo amore. In concomitanza con la ascesa politica, entra nello studio dell’avv. Sergio Scicchitano, esperto in diritto societario e in particolare nel ramo fallimentare.
Calabrese pure lui (è nato a Isca sullo Ionio il 17/09/1955), Scicchitano è stato avvocato personale di Antonio Di Pietro e costituisce un pezzo pregiato dell’Italia dei Valori. Dopo aver tentato invano la carriera politica, senza riuscire mai ad essere eletto, si consola occupando ininterrottamente tutta una serie di incarichi amministrativi, preferibilmente in aziende a controllo pubblico, sotto i buoni auspici del partito.
Soprattutto, l’avv. Scicchitano è una presenza fissa nei collegi arbitrali, incaricati delle liquidazioni fallimentari per conto del Tribunale di Roma. Si tratta di incarichi eccezionalmente retribuiti e di solito appannaggio di una ‘casta’ di burocrati, ben inserita nei gangli della pubblica amministrazione. Una fonte di spesa che incide notevolmente sulle finanze dello Stato e mai lontanamente presa in considerazione dalle “riforme epocali” dei tecnocrati montiani, che tutto tagliano (ai redditi minimi) ma nulla tolgono agli appannaggi esclusivi di ‘classe’ (la loro). A suo tempo, ne parlò persino un accorato articolo del Corriere della Sera: QUI.
Per conto della IdV, è Presidente nazionale di Garanzia e, in quanto preposto all’Ufficio Esecutivo regionale, è l’uomo che sceglie e predispone la lista dei candidati da presentare alle elezioni nel Lazio.
Nel 2001 l’ex sindaco di Roma, Walter Veltroni, lo nomina Presidente della Commissione anti-usura per conto della “Federazione internazionale dei diritti dell’uomo” (?).
Nel 2002 diventa Delegato per la tutela dei Diritti dei Consumatori e degli Utenti, nell’ambito della quale si occupa anche di nuove tecnologie digitali e banda larga. Interpellato sulla pessima copertura ADSL della capitale d’Italia, a fronte di tariffe troppo care, l’avv. Scicchitano concentra le sue preoccupazioni sul “rischio del tecnoautismo e la dipendenza da web”, focalizzando subito l’attenzione sui veri problemi, insiti nell’occulta minaccia di un internet veloce e accessibile a tutti.
Nel Luglio del 2006, Antonio Di Pietro, all’epoca titolare del dicastero per i Lavori Pubblici nel Governo Prodi, se lo porta con sé al ministero e lo nomina consigliere d’amministrazione dell’ANAS, dove rimane per tre anni.
Contemporaneamente (Aprile 2006) Sergio Scicchitano è anche presidente della LazioService: controllata pubblica e società tuttofare che si occupa dei servizi regionali e inserimento lavorativo (portierato e servizi ausiliari). In pratica si tratta di un carrozzone clientelare di collocamento politico, istituita dalla giunta Storace nel 2001 e mantenuta da tutte le amministrazioni successive, lievitando fino a 1.400 dipendenti con mansioni tutt’altro che definite.
Le fortune dell’avv. Scicchitano conoscono una brusca battuta d’arresto nel Giugno 2011, quando suo malgrado viene costretto alle dimissioni, in occasione dello scandalo che coinvolge alcuni dei più ‘blasonati’ nomi dell’imprenditoria capitolina e che ruota attorno alla maxi truffa dell’ex presidente della Confcommercio di Roma: il commercialista Cesare Pambianchi [QUI]…
Cesare Pambianchi, insieme al suo sodale Carlo Mazzieri, è accusato di aver messo insieme un’associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio ed all’evasione fiscale, attraverso il diffuso giochino dei falsi rimborsi sui crediti IVA e la costituzione di società cartiera alla base della collaudata “truffa carosello” (che trovate anche QUI), sottraendo al Fisco qualcosa come 600 milioni di euro.
Tra le società che sembrerebbero coinvolte nella maxi-evasione ci sono anche vari marchi storici dell’arredamento come la Emmelunga e la Emmecinque, società del gruppo Aiazzone a sua volta risucchiato in un gigantesco crack:
Il rilancio del marchio e la nuova caduta
«Nel 2008 il marchio “Aiazzone” viene totalmente rilevato dall’industriale pugliese Renato Semeraro, che, insieme a Mete SpA della famiglia Borsano (Gian Mauro Borsano), “resuscitano” il marchio aprendo dapprima alcuni punti vendita nelle province di Torino e Milano, poi convertendo a insegna Aiazzone nel corso del 2009 la rete PerSempre Arredamenti e una parte della rete Emmelunga (acquistata nel 2009), con una presenza in gran parte delle regioni italiane.
Il 2009 e il 2010 sono anche caratterizzati da grossi problemi economici, finanziari, fiscali e da insurrezioni sindacali, dovute alla nuova gestione delle due famiglie (Borsano e Semeraro riunite nella società B&S S.p.A.).
Nel luglio 2010 Emmelunga e Aiazzone, marchi detenuti da B&S, Holding dell’Arredamento, Emmedue ed Emmecinque, vengono ceduti in affitto alla società torinese Panmedia.
Nel 2011 Emmelunga ed Aiazzone attraversano una grave situazione finanziaria tanto da non riuscire a rispettare i contratti di vendita con i clienti e non riuscendo ad onorare gli emolumenti ai dipendenti.
Dal marzo del 2011 il mobilificio, le cui filiali risultano chiuse “per inventario sino a nuova comunicazione”, ha smesso di effettuare consegne e ne è stata presentata istanza di fallimento da parte di fornitori e clienti. La procura di Torino apre contestualmente un’inchiesta; viene iscritto nel registro degli indagati anche il legale della B&S (l’ipotesi di reato è truffa).
Al 21 marzo 2011 anche il sito aiazzone.it risultava non più raggiungibile.
Il 28 marzo 2011 Gian Mauro Borsano, Renato Semeraro e Giuseppe Gallo sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza su mandato del gip Giovanni De Donato, in seguito alla richiesta dei pm Francesco Ciardi e Maria Francesca Loy della Procura della Repubblica di Roma, accusati di bancarotta distruttiva, fraudolenta e documentale, riciclaggio, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, falsa presentazione di documentazione per accedere al concordato preventivo.
Borsano, Semeraro e Gallo avrebbero usato le società del Gruppo B&S (indebitate con il fisco per decine di milioni di euro) per effettuare fittizie cessioni di immobili e partecipazioni societarie, prelievi in contanti ed emissioni di fatture false a beneficio di nuove società appositamente costituite. In seguito, gli stessi indagati avrebbero ceduto in modo fraudolento la rappresentanza delle società del gruppo B&S ormai in crisi e svuotate di ogni bene, a trasferire, tramite un prestanome, la rappresentanza delle società in Bulgaria da cui sarebbe derivata la conseguente cancellazione dal registro delle imprese italiano per evitare la procedura difallimento avanzata dai creditori. Inoltre gli arrestati avrebbero presentato a tre diversi tribunali competenti per conto di alcune società del Gruppo, l’ammissione al concordato preventivo, allo scopo di evitare il fallimento, fornendo garanzie patrimoniali inesistenti e presentando carte false. Infine, per diversi anni, risulterebbero non versate imposte per alcune decine di milioni di euro, l’occultamento o la distruzione dei libri contabili delle aziende coinvolte. L’inchiesta, che conta un altro gruppo di indagati, non è ancora conclusa. Successivamente si è proceduto all’arresto dei protagonisti.
Il 2 Giugno del 2011 all’incirca duecento persone, con un centinaio di automezzi, scassinano un magazzino di mobili di Aiazzone, portandosi via tutto, smontando perfino parti dell’edificio. Si pensa che molti di coloro che l’hanno svuotato fossero clienti che avevano pagato merce che non hanno mai ricevuto oppure dipendenti che hanno mesi di stipendi arretrati. L’assalto è avvenuto nel magazzino Aiazzone di Pognano, dove già dal mese precedente si verificavano dei furti saltuari. Le duecento persone (soprattutto immigrati che vivono nei paesi intorno, ma anche qualche decina di bergamaschi) si sono date appuntamento alla stessa ora e sono arrivati sul posto con auto, furgoni, camioncini, anche qualche tir (alcuni di qualche noto corriere ma con il logo coperto da teli), hanno forzato la serratura e poi hanno cominciato a caricare tutto quello che hanno trovato.»
Curatore fallimentare della holding del Gruppo Aiazzone è (avete indovinato!) l’avv. Sergio Scicchitano il quale, minacciando querele contro tutto il mondo, improvvisamente si dimette da tutti gli incarichi, con una curiosa excusatio non petita:
«Non ho mai ricevuto alcun provvedimento di custodia cautelare. Sono stato coinvolto per una banale contestazione sulla mancata dichiarazione di un compenso relativo a una prestazione professionale, in merito alla quale ho fornito ampi chiarimenti documentali. Resto a disposizione per dare tutto il mio supporto per chiarire la mia posizione. Sono totalmente estraneo a qualunque tipo di “cricca”, non ho mai fatto l’imprenditore, essendo ciò incompatibile con la mia professione di avvocato, e non ho mai avuto rapporti professionali con Cesare Pambianchi e Carlo Mazzieri. Sono certo di dimostrare la mia estraneità.»
Nelle fattispecie, all’avv. Scicchitano viene contestata l’emissione di 6 fatture da 140.000 euro ciascuna, prodotte tra il Giugno ed il Nov. 2008 per conto della Società MINOR “al fine di evadere le imposte sul reddito e sull’IVA”. Come tengono a precisare i magistrati inquirenti.
«Non solo. Secondo gli atti depositati dalla Procura l’ex tesoriere dell’Idv, che sarà presto ascoltato dai pm dell’inchiesta su Maruccio, avrebbe versato sul conto corrente della madre di Scicchitano assegni per un importo complessivo di 1 milione e 100mila euro. Successivamente una cifra molto vicina, 1 milione e 52 mila euro, il 12 maggio 2010 è stata versato dalla donna su un altro conto “appositamente acceso” in favore del figlio.»
Paolo Broccacci
La Repubblica
(13/10/2012)
Sulla vicenda, e senza troppi peli sulla lingua, ci vanno giù in modo particolarmente duro i cronisti di Okroma.it, quotidiano on line, estrapolando dagli atti dell’inchiesta in corso, senza alcun beneficio del dubbio.
Noi ci limitiamo unicamente a riportare testuale:
«“Al fine di evadere le imposte, avvalendosi delle fatture false per operazioni insistenti emesse dalla società Minor spa, indicava nelle prescritte dichiarazioni annuali passivi fittizi per un importo di un milione e 120mila euro oltre Iva”. Il tutto, fino a ottobre 2009. Che più o meno è il periodo in cui incassò la nomina alla presidenza di Lazio Service (fino al 2012). Scrivono i pm che Sergio Scicchitano, “avvocato di successo del foro romano” come si legge nel suo curriculum istituzionale, avrebbe favorito con un sistema di false fatturazioni un pagamento in nero, sotto forma di immobile, effettuato dalla Citiesse allo studio Mazzieri&Pambianchi.
Un’operazione complessa, con decine e decine di assegni di importo “sotto soglia”, cioè da dodicimila euro (per sfuggire al controllo antiriciclaggio), che alla fine sarebbe servita a ristrutturare la società del gruppo Di Veroli. Un’operazione talmente irregolare che per nasconderla meglio Scicchitano decise persino di far transitare i soldi sul conto personale di sua madre, anche se per pochissimo tempo. E negli ambienti si parla pure di una certa predisposizione dell’avvocato per operazioni siffatte: “Scicchitano ha già posto in essere negli anni precedenti per ulteriori 2 milioni e trecentomila euro con altre società dello studio Mazzieri&Pambianchi, denominate Delta e Libra, anch’esse trasferite in Bulgaria, su cui si sta ancora indagando”.»“Sergio Scicchitano, l’uomo delle false fatturazioni”
di Massimo Martinelli
15 giugno 2011 – OkRoma.it
Tanto per dire, nell’inchiesta è coinvolto anche Norberto Spinucci, ex tesoriere regionale (Lazio) dell’Italia dei Valori, sospettato di aver preso parte alla frode fiscale e contribuito alle operazioni di riciclaggio.
Più che altro, nel caso dell’avv. Scicchitano sono gli inconvenienti nei quali si incorre quando si gestiscono decine di fallimenti aziendali, dalla Cirio alla Federconsorzi: un incredibile bubbone di eredità fascista, che si trascina da mezzo secolo risucchiando risorse e ricchezze.
L’avv. Scicchitano è stato, naturalmente, anche liquidatore fallimentare della Federconsorzi su incarico del Ministero delle Attività Agricole. L’attività giudiziale del professionista è stata omaggiata da un rovente articolo su Panorama.it. Certamente, si tratta dei frutti perversi di malelingue invidiose e intrise di veleno.
La Profana Trinità
Dove c’è Vincenzo Maruccio, c’è Sergio Scicchitano (suo protettore e mentore). E dove c’è l’avv. Scicchitano di solito non manca Oscar Tortosa.
In circolazione da almeno trent’anni di indefessa attività, Oscar Tortosa è un antico protagonista della politica istituzionalizzata all’ombra del Campidoglio.
Classe 1942, laureato in Sociologia, un impiego come funzionario USL (il nome antico delle attuali “aziende sanitarie”), nasce socialista ma confluisce presto nei ranghi dei socialdemocratici, entrando a far parte del Comitato centrale del PSDI nel 1969. Nel 1982 diventa Assessore al Tecnologico nella giunta tutta di sinistra del sindaco comunista Ugo Vetere.
Ci dura poco, perché nell’agosto del 1985, convertito a più moderati fumi, confluisce con tutto il PSDI nella nuova giunta del democristiano Nicola Signorello, esponente di spicco della corrente andreottiana, denunciando il “fallimento dell’area laica e socialista“. Giusto il tempo per ottenere un nuovo incarico come assessore al Decentramento.
Quindi transita nella catastrofica giunta di Pietro Giubilo (1988-1989): creatura personale di Vittorio Sbardella (soprannominato Pompeo Magno, ma comunemente conosciuto come Lo Squalo). Giubilo è ricordato come uno dei peggiori sindaci che la città abbia mai avuto (dopo Alemanno), attualmente riciclato nelle fila dell’UDC che l’ha prontamente ricollocato con un incarico dirigenziale alla Regione Lazio.
Nel maggio 1988 Oscar Tortosa ritorna agli antichi amori socialisti, aderisce al “movimento di unità socialista” in seno al PSDI, confluendo con armi e bagagli nel PSI craxiano:
“Confluiamo nel PSI, convinti dalla scelta di Craxi nella strada del socialismo riformista.”