Archivio per Pubblica Istruzione
Giovani di talento
Posted in Kulturkampf, Muro del Pianto with tags Funzione Pubblica, Governo, Italia, Liberthalia, Mariastella Gelmini, Massimo Zennaro, Meritocrazia, Milano, MIUR, Portaborse, Portavoce, Pubblica Amministrazione, Pubblica Istruzione, Talento, Università Cattolica del Sacro Cuore on 6 ottobre 2011 by SendivogiusL’Autore del noto comunicato, non contento dell’eccezionale ritorno d’immagine, lascia e raddoppia!
È nato a Padova il 25 Aprile del 1973 (ironia delle date!), ma presto arriva a Milano dove si laurea in Scienze Politiche, nell’Università privata della famiglia imperiale, la Cattolica del Sacro Cuore, nel cui consiglio d’amministrazione attualmente siede come rappresentante del governo.
Se questo è un ministro…
Posted in Muro del Pianto with tags Dialetto, Gazzettino, Liberthalia, Maria Stella Gelmini, PdL, Pubblica Istruzione, Scuola, Tagli on 11 agosto 2010 by Sendivogius Che la “cultura” non fosse il piatto forte nel Direttorio delle Libertà, lo si era capito già da un pezzo.
Sicuramente, per i pasdaran del Sultanato di Berlusconistan, tutto ciò che è riconducibile al libero pensiero, alla speculazione intellettuale, e che alla formazione di queste contribuisce (una buona formazione scolastica) costituisce un problema. Notoriamente, un popolo di potenziali deficienti semianalfabeti risponde meglio agli stimoli della propaganda; non si pone domande, e rinuncia volentieri ai propri diritti (che non conosce), risultando molto più sensibile al carisma del Capo al quale delega la propria Libertà originale, in cambio di un surrogato elettorale.
D’altra parte, se nessuno legge libri, anche perché non è più in grado di comprenderne i contenuti, non sono necessari né roghi né censure. A questo punto, è facile re-inventare la Cultura e riscrivere la Storia, sostituendo entrambi con qualcosa di più semplice, adatto ai Prolet del nuovo millennio.
Del resto, ogni regime che si rispetti ha le sue aberrazioni culturali, i nazisti avevano creato l’Ahnenerbe. Da noi, disperse le tre “i” (Internet-Impresa-Inglese) lungo il percorso, dopo i “preside-manager” e “sussidiarietà scolastica”, si conciona allegramente di Padania, di dialetti, eredità celtiche, classi razziali separate, in attesa di qualche altra demenziale stronzata che siamo certi non tarderà ad arrivare…
Per questo, l’Istruzione e, di conseguenza, la Scuola pubblica vanno smantellate o, quantomeno, messe in condizioni di non nuocere. E sotto la scure dei tagli di governo, fortissimamente voluti da Tremonti, ricadono tutte quelle spese considerate inutili, tramite la cancellazione di strutture delle quali si ignora completamente la funzione (per esempio gli Istituti di ricerca). Tra i costi più inutili di tutti, ci sono sicuramente quelli inerenti il sistema scolastico. E vista la levatura degli esponenti di governo (QUI), è difficile dare loro torto né ci si potrebbe aspettare altro. La punta di lancia della devastazione in atto è naturalmente l’avv. Maria Stella Gelmini: l’Attila catapultato contro l’Istruzione.
Capita dunque, con un certo, ritardo di imbattersi in una delle tante letterine polemiche che i servi si scambiano all’ombra di Cesare nella rissosa Family delle Libertà. Il reperto in esame risale al 20/05/2009, pubblicato su “Il Gazzettino”.
Tema della discussione è l’insegnamento del dialetto nelle scuole, in quanto strumento linguistico di identità etnica. Sorvolando sui contenuti surreali, si tratta di un condensato di poche righe, tempestato di incredibili strafalcioni di sintassi, a firma del ministro Gelmini:
Gentile Direttore,
ho letto attentamente quanto affermato dal Ministro Zaia. Tengo a ribadire che i dialetti sono le base della nostra cultura e che il mio pensiero è stato volutamente travisato. Pensare che il Ministro dell’Istruzione non sia sensibile ad una parte così rilevante della nostra tradizione è un’accusa che respingo e che non si comprende se non ritenendola dettata da motivi di visibilità elettorale. Da subito ho attuato provvedimenti per legare la scuola al proprio territorio. I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna. Le classi inoltre non possono essere composte da più del 30% di stranieri per favorire una migliore integrazione. Ogni regione devo poter strutturare un sistema educativa in linea con le richieste del mondo del lavoro della zona. Allo stesso modo la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura ivi compresa la lingua e il dialetto. Per questo la polemica è distituita di qualsiasi fondamento soprattutto per chi è rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l’eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano.
Gentile Direttore,
ho letto attentamente quanto affermato dal Ministro Zaia. Tengo a ribadire che i dialetti sono le base della nostra cultura e che il mio pensiero è stato volutamente travisato. Pensare che il Ministro dell’Istruzione non sia sensibile ad una parte così rilevante della nostra tradizione è un’accusa che respingo e che non si comprende se non ritenendola dettata da motivi di visibilità elettorale. Da subito ho attuato provvedimenti per legare la scuola al proprio territorio. I professori ad esempio devono sempre di più provenire dalla stessa regione nella quale insegna. Le classi inoltre non possono essere composte da più del 30% di stranieri per favorire una migliore integrazione. Ogni regione devo poter strutturare un sistema educativa in linea con le richieste del mondo del lavoro della zona. Allo stesso modo la spinta verso il futuro e la modernizzazione non può non essere accompagnato dalla valorizzazione della cultura ivi compresa la lingua e il dialetto. Per questo la polemica è distituita di qualsiasi fondamento soprattutto per chi è rivolta ad una persona che abita al confine con il Veneto e che conosce bene l’eccellenza, il valore e la cultura delle persone che lo popolano.
Alla povera Maria Stella in fondo non si richiedono doti particolari. È lo strumento usato da Tremonti per distruggere la scuola italiana: il suo compito è firmare ed eseguire; è una mera esecutrice, il missile teleguidato per operazioni seek and destroy.
Il compagno Ilič Ul’janov (conosciuto come Lenin) sprezzante parlava di “utili idioti”. La Gelmini, lungi dall’essere utile, è devastante. C’è da chiedersi se non sia più conveniente sostituirla con Teddy Ruxpin, l’orsetto parlante.
O forse sarebbe più indicata una Cabbage Patch, la “bambola del cavolo”. Sicuramente farebbe di meglio e costerebbe meno.
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La Difesa della Razza
Posted in A volte ritornano with tags Classi Ponte, Comunità Ebraica, Decreto Gelmini, Eric Priebke, Fascismo, Governo, Herbert Kappler, Italia, Lega Nord, Nazismo, Parlamento, Pubblica Istruzione, Razzismo, Roberto Cota, Scuola, SS on 17 ottobre 2008 by Sendivogius
“La via dolce verso l’APARTHEID”
16 Ottobre 1943. La Deportazione degli Ebrei romani.
La comunità ebraica romana ha radici antichissime: con una presenza ininterrotta che risale ai tempi dell’imperatore Tiberio, gli ebrei sono i veri cittadini storici dell’Urbe.
All’alba di 65 anni fa, le SS di Herbert Kappler ed Eric Priebke scatenarono la caccia all’ebreo per i quartieri di Roma. Il blitz è doppiamente infame: per la sua intrinseca barbarie che non risparmia nemmeno i neonati o donne in stato di gravidanza, e per le menzogne spregevoli di Kappler. Il 26 Settembre, il Ten. Col. delle SS impone un riscatto con la consegna di 50 Kg di oro, a carico della comunità ebraica della città, in cambio della mancata deportazione. Per questo il successivo rastrellamento del 16 Ottobre coglie la comunità nello sgomento e completamente impreparata.
Fondamentale il contributo delle autorità fasciste, che hanno prontamente fornito gli elenchi aggiornati con i nominativi e gli indirizzi dei “residenti di razza ebraica”, a scrupolosa cura dell’Ufficio Demografia e Razza del Ministero dell’Interno. È il naturale epilogo delle Leggi Razziali di Mussolini e Bottai, promulgate in sintonia con l’alleato nazista.
Dei 1024 ebrei catturati, soltanto 16 hanno fatto ritorno dai campi di sterminio. Unica donna sopravvissuta è stata Settimia Spizzichino. Nessuno dei 207 bambini è sopravvissuto.
A proposito di discriminazione, sembra aver recepito bene la lezione il leghista Roberto Cota, promotore di un emendamento al contestatissimo Decreto Gelmini col quale (ne siamo certi) contribuirà ad aumentare l’efficienza della scuola italiana.
Purtroppo una faziosa minoranza di disfattisti ancora si ostina a denigrare l’intrinseca grandezza di certe proposte. Molti nemici molto onore. Così, il molto onorevole deputato Cota, preoccupato degli indici di apprendimento dei giovani studenti, ha presentato una mozione per l’istituzione di classi differenziate tra bambini italiani e stranieri. I figli di genitori immigrati saranno “temporaneamente” distribuiti in classi separate dagli altri alunni, dove un’apposita commissione valuterà la conoscenza della lingua italiana ed il grado di integrazione, previa somministrazione di test, “autorizzando l’inserimento scolastico” del piccolo straniero solo ad esito positivo.
È nota infatti l’attenzione che la Lega riserva da sempre ai problemi del mondo scolastico. Sarà perciò opportuno indicare alcune di queste iniziative di grande spessore e rigore didattico:
– La progressiva rimozione degli insegnanti meridionali dalle scuole del Nord, tramite l’introduzione di una sorta di quota d’ingresso (presupponiamo per requisiti “etnici”).
– L’insegnamento dei dialetti oltre all’Italiano (magari da inserire tra le lingue straniere insieme all’Inglese).
– Lo studio della storia dei popoli padani (Bossi ha leggicchiato Polibio e ne ha ricavato un polpettone mitologico-padano a consumo politico).
– Obbligatorietà per tutti dell’ora di Religione cattolica (intesa come catechesi ecumenica), in quanto momento condiviso di formazione identitaria.
– La ripetizione dell’esame di maturità per il ciuchino di papà: il pluri-ripetente Renzo Bossi (con simili requisiti lo avremo presto in Parlamento con un ruolo di prestigio).
La proposta di Cota si inserisce pertanto nel solco di una gloriosa tradizione. Si potrebbe obiettare che la scuola pubblica italiana, nasce come scuola post-unitaria per unire in un solo popolo una penisola frammentata in micro-entità separate da secolari barriere culturali e linguistiche, strutturate negli infiniti dialetti regionali. Si potrebbe sottolineare che i primi due anni dell’insegnamento elementare sono dedicati quasi esclusivamente allo studio della grammatica italiana dalla morfologia alla sintassi. È infatti opportuno ribadire che in prima elementare i bambini sono analfabeti integrali e si parte da zero (alfabeto, vocali, preposizioni, coniugazioni dei verbi, sostantivi e aggettivi, genere e numero), o si crede che un bimbo di 6 anni abbia le proprietà lessicali di un accademico della Crusca?!? Ma queste inezie non sfiorano quei Figli di Po, degni del loro dio leghista ristretto in un’ampolla come l’immaginifico dei suoi inventori. Loro sono spiriti pratici!
Bene, da che cosa scaturisce l’urgenza di un simile provvedimento?
Esiste un rapporto approfondito e rigoroso a cura del Ministero della Pubblica Istruzione?
Sono state effettuate indagini conoscitive con valore statistico, da parte degli ex-Provveditorati agli Studi (o distretti scolastici che dir si voglia)?
Ci sono segnalazioni dettagliate e numerose da parte di insegnanti ed educatori didattici?
O si tratta piuttosto di un’iniziativa autonoma nel folclore della Lega? E come pensa l’onorevole Cota di strutturare le selezioni per i degni di inserimento? Non con quiz scritti a risposta multipla o patenti a punti, si spera! Ma non dovrebbe spettare ai singoli istituti, in nome dell’autonomia scolastica, scegliere (a seconda dei casi e delle singole realtà) le soluzioni ed i provvedimenti che riterranno più opportuni?
Ad essere sinceri, qualche perplessità l’ultima iniziativa dei Và Pensiero l’ha sollevata anche tra gli alleati di schieramento. Persino la ducia Alessandra Mussolini si è risentita. Comunque niente di grave, l’emendamento è passato con una solida maggioranza alla Camera. Ad afflosciare il turgore celodurista dei leghisti ha provveduto un Italo Bocchino che, ingoiato il rospo, ha cercato di indorare la pillola ai suoi riluttanti colleghi del PdL: è bastato scambiare il verbo “autorizzare” col più pragmatico “favorire” e le resistenze sono subito cadute. Sottigliezze semantiche. È sufficiente indicare le degenerazioni razziste di stampo nazistoide della Lega come forme di sensibilità partecipata alle peculiarità pedemontane, per dare ai suoi ostensori la rilevanza politica e lo spazio pubblico che nemmeno una cloaca sarebbe disposta a concedere. E non ci si allontana troppo dalla verità se si pensa all’emendamento leghista, come all’ennesima trovata per compiacere gli istinti beceri di un elettorato semplicemente osceno nella sua miseria umana e culturale.
In Italia, dove la frequenza scolastica è un obbligo, si ostacola l’ottemperamento della legge restringendo i requisiti d’accesso alla scuola pubblica. Si istituiscono ghetti scolastici dove parcheggiare gli alunni stranieri, affinché sia chiaro fin da subito che la loro diversità è reale, insanabile, e non integrabile. Probabilmente disturba questa discromia nel tessuto urbano, vissuta come contaminante e pericolosa. Era necessario un provvedimento urgente per ristabilire le giuste differenze. Era indispensabile istituzionalizzare per legge a livello nazionale le “classi ponte”. Simili classi sono un ponte verso il nulla. Perché mancano i fondi per gli insegnanti di sostegno e di recupero, per i corsi e le infrastrutture didattiche… Si è eliminata l’I.C.I per motivi elettorali e ora per recuperare il gettito fiscale si distrugge l’insegnamento pubblico. In una scuola massacrata dall’avvocato Gelmini per esigenze di cassa, quale spazio può esserci per italiani di vecchia e nuova generazione? Soprattutto quale scuola e quali prospettive di apprendimento, se gli edifici scolastici vengono chiusi (e probabilmente cartolarizzati per la vendita immobiliare), se gli organici vengono drasticamente ridotti e le ore di lezione tagliate, le classi accorpate in stanze fatiscenti? Ah già! Ci pensano i privati… le fondazioni… certo come no?!?
P.S. Hanno detto:
“La principale impresa dei protofascisti e dei radicali di destra in Sudafrica non fu quella di creare un proprio movimento di successo, ma si spostare il Partito Nazionale, dopo il 1945, ancor più verso destra e il razzismo radicale e verso quella dottrina e quel sistema che, dopo il 1948, si trasformarono in apartheid, con la conseguenza di una riduzione del potere del Parlamento e dei diritti civili anche per i bianchi” (…) Nonostante una parziale revisione del sistema politico, il Sudafrica rimase una “democrazia razziale”, non un sistema autoritario”.
Stanley G. Payne – A History of Fascism, 1914-1945;
Newton Compton Editori, Roma 1999.