Archivio per Psicologia

IL VOLO DI ICARO

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , on 19 febbraio 2017 by Sendivogius

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E se il “potere” fosse esso stesso una malattia dello spirito, che come una droga crea dipendenza per assunzione prolungata nel tempo, con un’intossicazione dagli effetti psicotropi?!?
Complementare al leader psicopatico, la Sindrome di Hybris ne misura la febbre da potere compulsivo. Definita come un disturbo delle personalità di successo nell’ambito del disagio lord-owenpsicopatologico, l’esistenza della Sindrome di Hybris viene postulata per la prima volta nel 2009 dal dottor David Owen, neurologo e medico psichiatra, nonché membro della Camera dei Lords. Dalla sua posizione privilegiata di medico ed esponente politico (Sottosegretario di Stato per la Marina Militare, Ministro della Salute Pubblica e Ministro degli Affari Esteri per conto del governo britannico), Lord Owen elabora un proprio modello interpretativo da applicare in parallelo ai tre disturbi canonici della personalità, onde poterne riadattare la struttura nella comprensione delle dinamiche tossiche del potere, che influenzerebbero l’agire dei personaggi politici (e non solo) allo zenit della loro influenza personale.
blairg-w-bushthatchertrumpberlurenziStrutturata in 14 sintomi di riconoscimento, la Sindrome può essere schematizzata in un modello comportamentale di riferimento, che contraddistingue coloro che ne sono affetti (basterebbe la positività a quattro dei punti elencati). In qualità di portatore insano del morbo, il soggetto infetto:

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1) Intende il mondo come un palcoscenico dove poter esercitare il potere, come momento di glorificazione personale.
2) È ossessionato a livello maniacale dalla propria immagine e dal proprio aspetto fisico.
3) Mostra una preoccupazione sproporzionata alla proprio apparire ed alla propria presentazione pubblica.
4) Vive in uno stato esaltatorio (con lui protagonista) che ne contraddistingue la narrazione.
5) Si identifica con la “nazione” e pensa che i suoi interessi siano sovrapponibili ad essa.
6) Parla di se stesso in terza persona, ovvero utilizza un opportunistico ed autoreferenziale “noi”.
7) Nutre una fiducia sperticata nella propria capacità di giudizio, che sconfina nel delirio di onnipotenza; rigetta i consigli ed è insofferente alle critiche, non ammettendo in alcun modo di poter sbagliare.
8) Ostenta disprezzo nei confronti di coloro che percepisce come suoi avversari (veri o presunti che siano).
9) Respinge il giudizio dell’opinione pubblica, rimettendosi al giudizio divino o della “storia”
10) Ha l’incrollabile convinzione di segnare processi epocali, mentre coltiva il suo senso di impunità
11) Si distingue per la perdita di contatto con la realtà, seguita da un progressivo isolamento.
12) È irrequieto ed impulsivo ai limiti dell’imprudenza.
13) È arrogante e incompetente, trascura i dettagli e la preparazione, confida eccessivamente in se stesso, trascurando i normali processi decisionali ed accentrando su di sé le funzioni.
14) È privo di visione programmatica, tanto da trascurare i meccanismi abituali della politica.

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Gli “infetti” portatori dell’agente psicopatogeno nutrono una sovrastima nelle proprie capacità, assolutamente non commisurata alle proprie capacità oggettive, nella bulimia narcisistica del potere inteso come momento inebriante di realizzazione personale, e consumato nell’assoluta autoreferenzialità dello stesso. Come un tossico in crisi di astinenza, l’infetto non può fare a meno della sua dose quotidiana in un crescendo esponenziale, nell’indisponibilità di narcisocondividere alcunché con altri. La sua arroganza è smisurata come la sua presunzione, mentre l’egotica contemplazione di sé coincide con un progressivo distacco dalla realtà, nel disprezzo verso gli altri e nella convinzione della propria invincibilità. Selfie_Renzi_TwitterUnico oggetto di interesse dell’Infetto è se stesso, nell’accrescimento del proprio potere personale e prosecuzione dello stesso al quale tutto è finalizzato. Quando i tratti negativi della sindrome vengono fuori nei leader politici, la capacità di prendere decisioni viene seriamente compromessa, portando a conseguenze disastrose in ambito politico e sociale. E quando ciò avviene, gli effetti sono sempre nefasti, dal momento che tutte le azioni dell’Infetto, autisticamente isolato nella sua funzione di uomo solo al comando, sono volte a rafforzare e sostenere la propria immagine pubblica, trascendendo il proprio ruolo istituzionale e perdendo di vista i veri obiettivi, fino a giungere alla perdita di ogni contatto della realtà, nell’evidenza della propria inadeguatezza ed incompetenza, che il leader è però incapace di vedere o riconoscere pure nella sua evidenza.
syndrome-of-hubrisQuesta perdita di oggettività può alterare la visione del contesto, rischiando degli affondi piuttosto pericolosi in termini di errori di valutazione nei propri confronti, nei confronti delle persone di cui è responsabile, oltre che della situazione complessiva.
Gli eventuali successi lo inducono per eccesso di presunzione ad alimentare la propria arroganza, assumendo un atteggiamento sprezzante nei confronti degli altri e di ogni possibile critica, puntellando il suo bisogno di riconoscimento e di stima con una corte di parassiti “più di corredo che di sostanza”. Il processo è irreversibile per degenerazione costante, fino all’inevitabile tracollo che in genere non investe soltanto l’infetto, ma l’intero apparato posto il suo controllo diretto per un dirompente effetto distruttivo su collasso interno.
hubrisFare nomi ed esempi è superfluo… Noterete come la sintomatologia sia diffusa insieme al morbo ed al numero degli infetti che occupano posizioni di potere, aspirano alle stesse, o più semplicemente non le vogliono mollare. A voi trarre le conseguenze…

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Regressioni trendy

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , on 28 marzo 2016 by Sendivogius

Autoflagellazione di massa in India

Ci sono diversi modi per reagire agli chock, che inevitabilmente scaturiscono dalle situazioni di fortissimo stress. Si chiamano “meccanismi di difesa” e di solito sono proporzionali all’incidenza del conflitto, nelle forme e nei modi che a suo tempo furono teorizzati con successo dalla dottoressa Ann Freud: la brillante figlia del più conosciuto Sigmund e che non per niente si occupava di psicoanalisi infantile.

«Di fronte ad una situazione che genera eccessiva angoscia, l’Io ricorre a varie strategie per fronteggiare l’estrema portata ansiosa dell’evento, con lo scopo preminente di escludere dalla coscienza ciò che è ritenuto inaccettabile e pericoloso. Raramente i meccanismi di difesa intervengono separatamente: nella maggior parte dei casi sono combinati per fronteggiare l’evento o l’effetto sotto più profili

Arte della mediazioneL’arte della mediazione
Raffaella Verga e Damiano Marinelli
Edizioni Franco Angeli (2013)

Quando il fenomeno ha valenza collettiva, come nel caso della recrudescenza terroristica di matrice salafita, le dinamiche di contenimento dell’esperienza traumatica non sembrano poi essere troppo diverse, rispetto a quelle messe in atto a livello individuale.
Se poi dovessimo giudicare in base alle immagini preconfezionate che la vulgata mainstream ama trasmettere in onda sui circuiti mediatici, con copertura alla cannella su conformismo diffuso, ci sarebbe quasi da credere di essere dinanzi ad una regressione infantile di massa, coi suoi pennarelli… i gessetti… le candeline… i fiorellini di carta… i cuoricini… i messaggini strappalacrime e gli orsetti di peluche… che adornano gli altarini colorati di certe piazze europee, sprofondate nel torpore di una melassa indistinta per bimbiminkia troppo cresciuti, che non riescono a distinguere l’elaborazione del lutto dal bricolage dell’asilo.
I Gessetti della generazione CretinettiArnold J. Toynbee, nella sua monumentale ricerca sulla genesi, sviluppo e dissoluzione delle civiltà, sosteneva che queste si strutturano in reazione ad una serie di stimoli ambientali, attraverso l’adozione di soluzioni originali che ne determinano l’identità e la sopravvivenza.

“In caso contrario, la civiltà si arresta; la società si chiude nella ripetitività delle risposte istituzionalizzate e alla fine si verifica un crollo per l’incapacità suicida di rinnovarsi.”

Solitamente, le trasformazioni avvengono sotto la spinta propulsiva del ceto dirigente; o per meglio dire, ad opera di “minoranze creative” in grado di orientare le società dal loro interno. Nel suo ideale di autodeterminazione assoluta, Toynbee esprimeva la preoccupazione che queste elite potessero trasformarsi in oligarchie oppressive, a seguito della loro incapacità di fornire risposte sociali adeguate.
nazismoSe ci dovessimo rimettere ad un’osservazione assolutamente superficiale, si direbbe che nel corso dei secoli, siamo passati dalla barbarie delle crociate al rincoglionimento delle frociate..!
petalosoDinanzi alle minacce terroristiche che le aberrazioni del fanatismo religioso hanno importato nelle placide comunità europee, la sostanziale acquiescenza nell’assenza di risposte concrete sembrerebbe pertanto essere compensata dai classici schemi comportamentali, alla base di quei meccanismi di difesa assurti a dimensione di massa.
Tra le reazioni più ricorrenti c’è la Rimozione

«La Rimozione è forse il meccanismo di difesa più conosciuto, consiste nell’allontanamento degli effetti pulsionali dell’esperienza traumatica (o più generalmente inaccettabile) dalla sfera di coscienza. La rimozione sembra uno dei meccanismi di difesa più arcaici ed universali. Consente nell’inconsapevole cancellazione di un ricordo, di una esperienza che il soggetto ha vissuto come angosciante o traumatica. Un esperienza si dice traumatica quando presenta le seguenti caratteristiche:

• Accade improvvisamente
• Produce uno spavento acutissimo
• Il soggetto diventa impotente ed incapace di controllare situazioni.
• Il soggetto sente si subire qualcosa di così tremendo da produrre un danno anche fisico irreparabile.

[…] Si ha nell’inconscio ed è un meccanismo efficace nelle situazioni angosciose ed eventi traumatici

(Raffaella Verga e Damiano Marinelli)

In ambito collettivo, come non pensare alla facilità con cui attentati, stragi, massacri indiscriminati, vengono velocemente rimossi, ed altrettanto facilmente dimenticati, non appena il cordoglio di circostanza si estingue per consumazione naturale puttanateed il circo mediatico torna ad interessarsi d’altro, imponendo nuovi trend ‘virali’? Ad ogni nuova mattanza, i rituali coreografici vengono riproposti intatti, nell’inutilità intrinseca di un copione eterodiretto e volto a metabolizzare in fretta le circostanze traumatiche. E se iniziano a capirlo anche i principali anchorman della narrazione nazional-popolare…

Enrico Mentana e Bruxelles

Contrastanti ma a loro modo complementari, ci sono poi i meccanismi di “proiezione” ed “identificazione”. Sono comportamenti particolarmente cari alla psicopatologia forense: il prof. Vincenzo Mastronardi (quello che aveva invitato Schettino in una conferenza universitaria) ne parla diffusamente nel suo manuale. A livello clinico, rientrano invece nell’ambito delle nevrosi.
Voices - Art of TechnochristCon qualche forzatura, concedeteci una variante sul tema, senza alcuna presunzione scientifica.

«L’Identificazione proiettiva: è il meccanismo di difesa che consiste nel porre nell’altro delle parti di sé “buone” (per evitare la separazione dall’oggetto quando si teme di perderlo o per tenere le stesse parti buone dell’oggetto d’amore al sicuro dalle cose cattive che sono dentro il soggetto come per esempio nel caso della necessità di “umanizzare il proprio aggressore” per ragioni di abnorme paura di vendetta che si teme lo stesso aggressore possa mettere in atto verso la sua persona nel caso il soggetto lo odiasse = Sindrome di Stoccolma) o “cattive” in modo da controllare l’oggetto per liberarsene e distruggerlo

Brutalmente parlando, nella categoria si può inserire l’oramai abnorme pippone buonista col quale ipercomprensivi commentatori, davanti ai corpi dilaniati di cadaveri ancora fumanti, sentiranno l’impellente bisogno di investigare le ragioni recondite all’origine di tanto furore omicida, esprimendo una qualche ‘comprensione’ per i carnefici, in virtù di fatti remoti o lontani che vengono consumati in tutt’altro contesto e circostanze.

ALERT

15 Aprile 2013 – Attentato alla maratona di Boston.

L’esempio più calzante in materia resta sempre il Dibba-Pensiero (16/08/14):

05 - DIBBA er Minchia“Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche non violente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto ne giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un’azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore.”

ISIS e Puericoltura..L’interlocutore da elevare..

Nell’ambito di tale processo può rientrare altresì la Razionalizzazione intesa come:

«..tentativo di “giustificare” attraverso comportamenti, ragionamenti, ed argomenti un fatto o un processo relazionale che il soggetto ha trovato angoscioso. In altre parole, la razionalizzazione consiste nel costruire attribuzioni, ipotesi o ragioni esplicative di comodo, per poter contenere e gestire l’angoscia

Trattasi di una dinamica prediletta dagli esegeti del pensiero cosiddetto “antagonista” (nel pessimo uso che i diretti interessati fanno del termine), spesso innestata sulle distorsioni del processo introiettivo.
La
 “Razionalizzazione” è parallela, quando non direttamente connessa, al meccanismo della Intellettualizzazione che si può definire come:

«un controllo razionale delle pulsioni…. che si verifica ogni volta che il soggetto durante il colloquio, non appena viene sfiorato un argomento per lui fonte di disemotività, filosofeggia, interpreta o giustifica intellettualmente ogni cosa trasformando in intellettualizzazioni le sue ansietà più profonde per la assoluta necessità di controllare ogni cosa, pena la conseguente estrema insicurezza e lo scompenso.
[…] Si tratta di un tipo particolare di razionalizzazione, in cui non solo si producono “spiegazioni apparentemente logiche”, ma tali spiegazioni vengono direttamente fondate o riferite a dati teorici, scientifici, culturali, di una certa astrazione

CERNL’Intellettualizazzione costituisce la modalità preferita dagli intellettuali tascabili che solitamente imperversano nei solottini buoni dell’intrattenimento progressista, dove vi stordiranno di dati, informazioni e sofisticate riflessioni culturali. Non che siano sbagliate di per sé, o contengano inesattezze (anzi!). Peccato solo che se messi dialetticamente alle strette, ovvero richiesti di una qualche soluzione a sintesi di tante pensose elucubrazioni, nella migliore delle ipotesi non vi risponderanno, defilandosi nella cortina fumogena di nuove ed interessantissime divagazioni. Oppure ricorreranno ad una serie di stereotipi, attinti direttamente dal più conformista dei pensierini politicamente corretti. Della categoria in oggetto avevamo già accennato QUI.
politically-correct-monstersSe posti di fronte a realtà sconvenienti in riferimento alle architetture del loro impianto teorico, faranno proprio il processo di “rimozione” per diniego, eludendo il problema in ogni sua forma semplicemente non parlandone. Capita così che un notissimo portale di “controinformazione”, in concomitanza con la strage di Bruxelles, dedichi il suo miglior editoriale agli spoiler sulle serie televisive della RAI (!). Così come combattivissime attiviste dei diritti di genere, pronte a spendere fiumi di inchiostro sulla preistoria dell’emancipazione femminile nelle caverne del paleolitico, sembrano non trovare il tempo di sprecare una sola riga sulla condizione delle donne nelle società islamiche o sulla reintroduzione della schiavitù sessuale (con tanto di tariffario e modalità di ‘consumazione’) nelle terre del Califfo.

Isis-sex-slaves

Alla loro ‘destra’ (più o meno estrema), fanno il verso altri meccanismi di reazione, nell’accezione estensiva del termine, tra i quali si può riscontrare:

«La Scissione o dissociazione primitiva: estrinseca l’assoluta necessità di effettuare una netta divisione degli oggetti esterni in “tutti buoni” o “tutti cattivi”: la fisiologica coesistenza di una parte buona e di una cattiva in ciascun essere umano è inaccettabile in quanto il riconoscere una parte cattiva all’interno di un’altra persona abitualmente considerata buona è insopportabile per il soggetto che quindi vive tale possibile coesistenza come francamente minacciosa

Vincenzo Mastronardi
“Manuale per operatori criminologici
e psicopatologi forensi”
Giuffrè Editore (2001)

E’ il must imprescindibile di islamofobi, paranoici ossessivi in camicia verde, e razzisti confluiti nelle fascisterie della destra sedicente “identitaria” e “nazionalista” (la new entry del momento). La tendenza è in crescita e molti dei diretti interessati, se in grado di articolare grugniti di senso compiuto, amano definirsi social-nazionali, che fa il paio con “nazista” nell’incapacità di comprendere la sottile differenza.
nazionalistiDa qui lo spostamento proiettivo, ossia la Proiezione dei propri sentimenti inaccettati all’esterno, su un altro soggetto o sull’intero ambiente. La Proiezione è un meccanismo alla base della paranoia ed opera di frequente assieme alla scissione delle proprie qualità ritenute “buone” e “cattive”, con queste ultime che vengono proiettate all’esterno.
Ad essa si accompagna lo “Spostamento”, ovvero:

«..investimento di sentimenti inaccettabili su un oggetto sostitutivo…. Interviene spesso nella genesi delle fobie, per cui si ‘sposta’ il sentimento inaccettabile sull’oggetto detto “fobigeno”

I meccanismi di difesa, nonostante le apparenti differenze, sono strettamente collegati tra di loro e presentano dinamiche comuni su atteggiamenti regressivi.
instantcheckmategirllookingsurprisedIn quanto al diffuso infantilismo di ritorno… sarebbe ora di crescere!

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Il Gruppo del Non-Pensiero

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 gennaio 2014 by Sendivogius

Beppe Grillo

A.GramsciTutti i più ridicoli fantasticatori che nei loro nascondigli di geni incompresi fanno scoperte strabilianti e definitive, si precipitano su ogni movimento nuovo persuasi di poter spacciare le loro fanfaluche. D’altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” 
Antonio Gramsci
  (Q28, III)

Ogni mattina un cretino si sveglia e sa che dovrà far correre la lingua più veloce del cervello, se vuole sperare di raggiungere le turbominchiate del Grullo ed entrare nell’Oltreverso degli iper-dementi.
Ogni giorno, l’idiota d’ordinanza sa che dovrà sparare qualche baggianata ancor più grossa dei rutti del Grullo, in un crescendo di provocazioni continue, se non vuole che la gggente si accorga che il moVimento è politicamente morto nella totale irrilevanza delle sue non-proposte.
bimbiminkiaStavolta è il turno di Giorgio Sorial, ma poteva benissimo essere un Fraccaro, un Di Maio, un Di Battista… Il nome è irrilevante: i bimbiminkia dell’asilo autogestito a 5 stelle sono intercambiabili come i pannoloni impregnati di stronzate, che si divertono a lanciare a rotazione nelle aule di Camera e Senato, ansiosi come sono di lasciare un segno del loro inutile passaggio e ricordare al mondo di quali infantili minchioni si componga il M5S. Uno vale l’altro: l’importante è muovere la giostra del bersaglio preventivamente certificato dal Grullo, seguendo la rotazione dei preferiti: Giornalisti-Napolitano-Boldrini-PD, e ovviamente la “Ka$ta” (ovvero tutti coloro che non si abbeverano alla fogna del Grullo). Il catramoso Silvione invece no: agli ensiferi va benissimo, tant’è che condividono le stesse iniziative. Con la Lega poi l’intesa è totale.
Ed il bello è che per questo li pagano pure, tanto ancora non riescono a capacitarsi del miracolo che li ha catapultati dagli onanismi informatici della loro cameretta agli scranni parlamentari.
BalillaIn un ventennio, siamo così passati dagli azzimati bambocci clonati in serie dagli studi di Publitalia, agli spocchiosi balilla della Grillo-Jugend usciti dai casting della Casaleggio Associati. È il trionfo del replicante digitale; il registratore di cassa del Capo-Grullo, con ripetitore vocale incorporato.
So proprio nu bello cazzone!In tale prospettiva, se si ha una pelliccia di muflone sullo stomaco per resistere all’infausta visione, le performances del Dibba in collegamento virtuale al (dis)Servizio Pubblico della premiata ditta Santoro-Travaglio, esperta in indignazione telecomandata a portata di zapping, è uno di quegli spettacoli che segnano lo squallore di un’epoca, coi due “giornalisti dalla schiena dritta” azzerbinati al cospetto dell’inviato dall’oracolo del webbé. Trattasi del tipico esempio di giornalismo d’inchiesta, con tanto di domande concordate e alcun contraddittorio, al cui confronto un Augusto Minzolini primeggia come un eroe della libera informazione. Tra le olas plaudenti della claque in delirio, Alessandro Di Battista recita con zelo la lezioncina digerita faticosamente a memoria; si sforza di mantenere il tono di voce impostato, mentre sbircia gli appunti come uno scolaretto alla prova d’esame, mantenendo il contatto telepatico coi personal-trainers della Casaleggio Associati, e gli auricolari che gli pendono vistosamente dai lobi. Venti minuti di eccezionale esercizio retorico, dove il Nostro riesce a parlare senza dire assolutamente NULLA, in una raffica ipercontrollata di non-sense in perenne contraddizione tra loro.
ZerbinoLa strategia è certificata: si discute di qualcosa di rilevante?!? Che sia la riforma elettorale o la legge di stabilità, il noto movimento non ha quasi mai nulla da dire. O più semplicemente non ha la più pallida idea e la minima competenza su cosa si vada discutendo.
Qual’è la soluzione migliore per farsi comunque notare in qualche modo?
Buttarla in caciara, come un petulante gruppo di bambini viziati in cerca di attenzioni. ‘Loro’ non partecipano ai giochi perché (sia mai!) rischiano di “contaminarsi”. In compenso, fanno di tutto per boicottare il normale svolgimento di qualsiasi partita in sede istituzionale.
Se provi a coinvolgerli in qualche modo, ti rispondono che hanno il loro “programma”: le quattro paginette, frettolosamente stilate dal capo politico sotto ispirazione etilica e scolpite nelle tavole della legge sul sacro blog. Che non è negoziabile e che va preso con tutto il pacchetto a scatola chiusa. E per essere più convincenti e diplomatici nella trattativa, prima ti insultano e poi ti ci mandano pure.
Se malauguratamente recepisci parte delle loro querimonie, ti rispondono che gli hai copiato il “programma”; che è come dire che Einstein ha copiato la teoria della relatività dagli appunti di fisica di un babbuino in calore. E comunque, in ogni caso, loro non partecipano ad alcuna iniziativa altrui, riservandosi di applicare alla lettera gli hadith del Grullo profeta quando avranno il 100% dei voti. Cioé MAI.
Se non te li fili di pezzo, dicono che li boicotti e giocano il ruolo che riesce loro peggio: il vittimismo; tanto più insopportabile, quanto più stucchevole è la pantomima inscenata da questa sguaiata scolaresca di narcisi frustrati in piena sindrome di Peter Pan.
tettoAl massimo, quando non sono impegnati a miagolare sui tetti, a intralciare l’attività di pronto soccorso negli ospedali con le loro telecamerine, a discettare di scie chimiche e complotti massonici volti a nascondere l’esistenza delle sirene (che manco ‘na puntata di Kazzinger arriva a tanto!), devono pur dimostrare di fare qualcosa, per giustificare i loro 8.000 e rotti euro scroccati in qualità di citrullo cittadino nominato “onorevole”. Altrimenti il Capo politico non li ricandiderà.
Non sapendo nemmeno da dove cominciare, ci sono per fortuna i mini sondaggi confezionati in casa dal webmaster di “Beppe” e a discrezione degli Associati, dove 30.000 utenti “certificati” (a tanto ammonta il sacro popolo del Profeta) può decidere o meno di sottoscrivere qualcosa già deciso altrove, da uno che è più uguale degli altri e decide per tutti.
grillofascistaChe ha ben vedere, sembra una versione aggiornata ai tempi dei social-network della retorica mussoliniana:

Duce: “Questa è la vostra giornata, la vostra grande giornata, e col vostro coraggio, col vostro sacrificio, con la vostra fede, avete dato un impulso potente alla ruota della Storia. Ora io vi domando: desiderate degli onori?
Poppppolo: Noooooooooooooo!
Duce: “Delle ricompense?”
Poppppolo: Noooooooooooooo!
Duce: “La vita comoda?”
Poppppolo: Noooooooooooooo!
Duce: “Esiste per voi l’impossibile?”
Poppppolo: Noooooooooooooo!
Duce: “Quali sono le tre parole che formano il nostro dogma?”
Poppppolo: Credere! Obbedire! Combattere!
Duce: “Ebbene Camerati, in queste tre parole fu, è, e sarà il segreto di ogni vittoria.”

  (26/03/1939)

Grillo il fascista

E c’è da chiedersi che fine abbiano fatto i tanto strombazzati Meet-up e la “piattaforma web” tanto strombazzata e sempre rinviata (proprio come l’impicciamento di Napolitano).
In questo strambo miscuglio di messianesimo transumanista, cialtronismo organizzato e incompetenze assolute, entusiasmo puerile e furore sanculotto dalla provincia con squallore, le autarchiche fanfaronate della setta pentastellata degli ensiferi ricordano curiosamente un sottospecie di parodia demenziale dei Borg, già visti nella serie di Star Trek.
W3 AR3 T3H BORG. W3 PWNZ J00.Nell’ambito della sociologia dei gruppi e della psicologia sociale, prevale invece l’associazione delle dinamiche interne al moVimento con quelle del “pensiero di gruppo” (Groupthink). E ancora una volta siamo nell’ambito delle psico-patologie più o meno aggravate, come fenomeno dai risvolti politici [QUI e anche QUI].
Elaborato dal sociologo e urbanista William H. Whyte negli anni’50 e successivamente elaborato dallo psicologo Irving Janis, il concetto di “Groupthink” viene solitamente utilizzato per misurare il livello di conformismo all’interno dei gruppi, onde misurarne il deterioramento analitico delle capacità di analisi e decisionali, in termini di efficienza e percezione della realtà circostante.
Il Gruppo-Pensiero si caratterizza per la presenza ed il condizionamento, intimidatorio o comunque psicologicamente vincolante, di una figura carismatica di riferimento, di un leader dominante che Janis definisce senza mezzi termini “boss”, ovvero capo (politico o meno che sia).
borgNel Groupthink, la pressione a conformarsi agli standard richiesti dall’adesione al gruppo, onde rafforzarne la coesione interna, finisce col condizionarne inevitabilmente ed in peggio l’analisi dei problemi e cortocircuita il processo decisionale. L’ossessione per la coesione del gruppo prevale sulla creatività individuale e sul pensiero indipendente dei singoli a favore dell’uniformità dell’insieme. Il gruppo di pensiero così strutturato tende a sovrastimare il proprio potere e la sua effettiva capacità di influenza; si connota per una spiccata chiusura mentale, nella presunzione di essere apportatore di una moralità superiore. Per salvaguardare e garantire l’unità interna, il Groupthink tende ad operare una selezione preventiva delle informazioni, arrivando non di rado a manipolare o mistificare dati oggettivi, o non prendendo in considerazione alcuna notizia che possa essere in contrasto con le decisioni operative e le opinioni del gruppo, secondo una proiezione idealizzata che prescinde dalla realtà dei fatti. Sono i cosiddetti “paraocchi etici”, nella convinzione che ogni azione del gruppo (anche se riprovevole) è legittima perché “morale”. Tali paraocchi trovano il loro fondamento nel costante ricorso a “stereotipi”; ovvero ad uno schema che non si adegua agli eventi, ma resta sostanzialmente impermeabile ai fatti nuovi.
Spesso, attraverso un processo di “razionalizzazione” interna, si procede a minimizzare i riscontri negativi, onde poter giustificare gli esiti deludenti di una determinata linea di condotto, senza rimettere in discussione i propri comportamenti o la propria strategia.

imagesIn tal mondo, ogni appartenente al gruppo si sente vincolato dall’obbligo di evitare obiezioni o critiche che possano essere percepita come causa di conflitto interno o pregiudicare l’unità.
La lealtà al gruppo richiede che i suoi membri non sollevino domande imbarazzanti, non attacchino argomentazioni deboli, non contrappongano la realtà dei fatti a sciocche opinioni.”
Pertanto, tra i requisiti fondamentali del Pensiero di Gruppo, si possono distinguere una serie di aspetti ricorrenti:

1) Una forte coesione di gruppo, vale a dire una interdipendenza tra i membri centrata su norme e valori, ma anche su un sentimento di appartenenza molto accentuato: ingroup vs outgroup.

2) Scarsa attenzione a opzioni alternative, con una indiscussa credenza nella “moralità” e sulla “veridicità” delle opinioni di gruppo, per cui non ci si interroga in alcun modo sulle conseguenze delle decisioni adottate.

3) Conseguente emarginazione, quando non autocensura del o dei membri devianti e non allineati, che subiscono pressioni perché desistano dalle loro posizioni dissidenti e si integrino nel punto di vista dominante.

4) Supervalutazione della unanimità e paura della diversità e del conflitto.

5) Un leader generalmente molto direttivo, che domina la scena e orienta la discussione, favorendo o inibendo la partecipazione, a seconda se in linea o dissidente.

“Psicologia dei gruppi. Teoria, contesti e metodologie d’intervento”
A cura di Barbara Bertani e Maria Manetti
(Edizioni Franco Angeli 2007)

In un simile ambito, esistono una serie di precedure standard che il “gruppo di pensiero” tende a mettere in pratica:

a) Con ogni probabilità un gruppo molto coeso esercita pressioni sui dissidenti, pressioni sia implicite ma più spesso veicolate dal leader o da altri membri: chi non si sottomette rischia l’emarginazione.
b) conformismo significa sovente ritenere che il giudizio dei più, della maggioranza, coincidano con la “verità”. Il fatto che tutti concordino rischia di far credere che il proprio punto di vista sia l’unico, senza alternative.
c) conseguenza del punto precedente, per cui non esistono altre opinioni oltre le proprie, è la costruzione di stereotipi negativi sugli outgroup.

L’immagine che emerge è quella di un gruppo monolitico, tetragono al confronto con l’esterno, convinto della propria correttezza e dell’inferiorità di altri punti di vista.

Watchers Per la bisogna, il Leader può avvalersi ai fini del controllo di uno speciale “staff”: una sorta di corpo pretoriano di “guardiani” e “controllori”, che Janis chiama mindguards ed ai quali è demandato il compito di controllare e vigilare sul rispetto dell’ortodossia del gruppo, affinché non venga messa in dubbio da critiche o informazioni contrastanti col verbo ufficiale.

«La prima vittima del gruppo-pensiero è il pensiero critico. Sia in un gruppo terapeutico sia in un meeting dei consiglieri del Presidente, le dinamiche del gruppo-pensiero sono le stesse. In genere il discorso è limitato ad alcuni modi di agire, mentre viene ignorata un’intera gamma di possibili alternative.
[…] Nessuno consulta informazioni qualificate che potrebbero offrire una valida stima delle perdite dei guadagni: i fatti che contraddicono la scelta iniziale vengono ignorati. Il gruppo si aspetta di aver successo, e non prepara piani contingenti per affrontare un errore.
[…] La lealtà al gruppo richiede che i suoi membri non sollevino domande imbarazzanti, non attacchino deboli argomentazioni, non contrappongano la realtà dei fatti a sciocche opinioni.
Soltanto agli schemi comodamente condivisi viene lasciata piena libertà di espressione

 Daniel Goleman
“Menzogna, autoinganno, illusione”
 Rizzoli (Milano, 1998)

Secondo Goleman, un’organizzazione di gruppo così strutturata tende a coltivare una sorta di “illusione di invulnerabilità”; è convinta di essere predestinataria di una “missione” speciale destinata a sicuro successo; si connota per le forme euforiche di auto-esaltazione, tanto che ogni membro del nuovo gruppo farebbe qualsiasi cosa pur di non rompere l’euforia del gruppo e si autocensura imponendosi di non vedere le falle perchè anche una critica oggettiva verrebbe vista dagli altri come un attacco al collettivo.
Di conseguenza, ciò comporta l’illusione dell’unanimità e la soppressione dei dubbi personali, come forma di autocensura:

«La fede o le decisioni adottate dal gruppo vengono ritenute da tutti come valide a prescindere. I membri stessi prevengono le divergenze e insieme al loro leader focalizzano la loro attenzione e il loro impegno solo dove c’è convergenza sacrificando l’esplorazione di tutte le possibili decisioni o la ricerca di dati che potrebbero rovinare l’unanimità. in pratica se nessuno esprime una critica allora viene da sè ritenere che si sia tutti assolutamente d’accordo ma ciò non è necessariamente vero, magari qualcuno avrebbe delle critiche che non esprime

Pensa positivo! Pensa in gruppo.
Perché arrovellarsi la mente in faticose valutazioni analitiche, quando le nubi che si addensano tra le incertezze del dubbio possono essere dissolte nel rassicurante empireo delle idee assolute?

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Il seme della follia

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 giugno 2013 by Sendivogius

Grosso guaio a Chinatown

E se la follia fosse il tratto prevalente di un mondo impazzito, dominato da una leadership di potenziali psicopatici?
L’interrogativo, tutt’altro che peregrino, costituisce in ambito accademico un’ipotesi di studio sulla quale, da oltre mezzo secolo, si concentrano le ricerche di un nutrito pugno di studiosi, intenzionati a stabilire una relazione con il fenomeno e le sue conseguenze su scala sociale.
American PsychoForse per abbondanza di materiale umano a disposizione, il tema è uno di quelli che affascina da sempre i ricercatori d’Oltreoceano, nell’individuazione di comportamenti psicotici opportunamente celati dietro quella che lo psichiatra Hervey Milton Cleckley (un pioniere della materia) chiamava The Mask of Sanity (1941).
Basandosi sugli studi di H.M.Cleckley sulla psicopatia, il canadese Robert D. Hare, professore emerito alla University of British Columbia, elabora il PCL-R (Psychopathy Check List Revised): manuale psico-diagnostico, particolarmente utilizzato nell’ambito forense canadese, per valutazioni cliniche di soggetti psicopatici coinvolti in crimini violenti. Il manuale riporta una ventina di aspetti riscontrabili nell’identificazione della persona psicotica e li ripartisce in due modelli di riferimento prevalenti: nel primo “fattore” sono riconducibili gli elementi tipici del disturbo istrionico e narcisistico della personalità; nel secondo “fattore” vengono ricompresi invece gli aspetti più propriamente collegabili ad un anti-sociale dai comportamenti esplicitamente devianti.
Tuttavia, la notorietà di Hare presso il grande pubblico è legata soprattutto alla pubblicazione di Snakes in Suits: When Psychopaths Go to Work (2006), in collaborazione con lo psicologo newyorkese Paul Babiak. Prendendo in analisi i comportamenti individuali di dirigenti aziendali e broker di borsa, Hare e Babiak arrivano alla conclusione che la maggior parte dei manager e dei team-leader sono a tutti gli effetti degli psicopatici travestiti. Secondo le parole di R.D.Hare, sono degli esperti manipolatori “completamente privi di scrupolo e di empatia, egoisticamente prendono ciò che vogliono e fanno come vogliono, violando le norme sociali e le speranze, senza il benché minimo senso di colpa o pentimento“, arrivando a stimare in due milioni il loro numero negli USA e che solo un’infanzia appagante e sostanzialmente felice non avrebbe trasformato in serial killers.
DexterPerfettamente mimetizzati negli ambienti di riferimento, sono degli psicopatici di successo. Per Paul Babiak: «Più acuta è la psicopatia, più ragionevoli e carismatici possono risultare i discorsi e i comportamenti. E quanto più lo psicopatico è in grado di immedesimarsi con te, intellettualmente, captando i tuoi pensieri, capendo il linguaggio del tuo corpo, tanto più è in grado di manipolarti a parole. E con successo. Senza minimamente considerare i tuoi sentimenti, poiché privo di coscienza».
Se si prendono in considerazione i comportamenti delle locuste di Wall Street e degli speculatori finanziari, le pratiche predatorie messe in atto dalle multinazionali nei Paesi emergenti, la follia rigorista dei tecnoburocrati che sta mettendo in ginocchio l’Europa, ed il trattamento ben oltre i limiti del sadismo riservato al popolo greco, c’è da chiedersi se le valutazioni di Hare e Babiak siano non solo esatte ma persino ottimistiche.
E questo ci introduce alla figura del cosiddetto “leader psicopatico”, le cui capacità seduttive hanno una valenza superiore alle normali interazioni personali, esplicandosi in tutta la loro pervasività anche nella sfera politica e nelle relazioni sociali di più ampia portata, tramite i meccanismi della fascinazione collettiva e della mistificazione manipolatoria.
In the mouth of madnessAlla base dello psicopatico di successo, e in carriera, c’è dunque il “carisma”, funzionale all’onnipotenza seduttiva del proprio ego, elevato a termine di riferimento supremo, nella propria presunzione di onnipotenza. Lo psicopatico non interpreta la realtà; la controlla e la plasma in funzione del microcosmo auto-referenziale, creato su misura delle proprie aspettative e delle proprie pulsioni. La sua azione solitamente si esplica nel controllo constante della propria realtà autoprodotta, attraverso una narrazione metastorica, e nella sua capacità di intercettare, sedurre, e manipolare, i bisogni altrui a proprio vantaggio, seducendo le personalità più deboli e stabilendo un rapporto di dipendenza.

Wall StreetIl Capo psicopatico.
Apocalypse NowChe si tratti di una setta religiosa o di un movimento politico, il leader psicopatico tende ad esercitare la sua personale dittatura, secondo un copione comportamentale collaudato. La coesione interna del gruppo, monopolizzato dalla figura carismatica del capo, si misura in termini di appartenenza esclusiva, di contaminazione e repulsione, che spesso si esplica in tre momenti cogenti e strettamente correlati, secondo una matrice pseudo-religiosa:
Peccato; ovvero una violazione, o presunta tale, ai dettami ed alle regole imposte unilateralmente dal Capo ai suoi “adepti-militanti”.
Confessione; che spesso precede un atto di pubblica umiliazione.
Espiazione; accettazione della punizione, con relativo atto di fede (e sottomissione).
È sconcertante notare come tali rituali di controllo, maggiormente ravvisabili su piccola scala, nella loro evidenza, abbiano raggiunto livelli parossistici (e preoccupanti) in un noto MoVimento politico strutturato su base settaria…
In proposito, Janja Lalich, sociologa specializzata nello studio della “autorità carismatica” e del controllo sociale, indica una serie di aspetti caratteristici del leader psicopatico. Aspetti che la professoressa elenca con dovizia di particolari in una delle sue opere più recenti: Captive Hearts, Captive Minds: Freedom and Recovery from Cults and Other Abusive Relationships; libro pubblicato nel 1994, in collaborazione con Madeleine Landau Tobias e Michael Langone. Un estratto significativo dell’opera (in italiano) lo si può leggere QUI. Preso atto che molti leader di sette o gruppi politici presentino disfunzioni psicologiche o comportamenti associabili alla psicopatia, Lalich-Tobias-Langone tracciano un profilo del Capo psicopatico…

a) Ovvero, una personalità istrionica, dotata di notevole carisma ed una grande capacità comunicativa, che specialmente nei contesti a valenza pubblica usa il linguaggio per distruggere con le parole i propri critici o disarmarli emotivamente, senza mai entrare nel novero delle questioni sollevate.

b) Nella costruzione della sua realtà ideale, il mondo del Capo psicopatico è un contesto manicheo, fatto di cesure e distinzioni nette. Lo psicopatico divide il mondo tra stupidi, peccatori e lui stesso. Si libera dei forti sentimenti di paura e rabbia dominando e umiliando le sue vittime.

c) Tutto il sistema è imperniato sulla figura suprema ed immanente del Capo (politico), termine estremo di riferimento e di misura ideale, in quanto unico referente e sommo ‘garante’.

«Pensa che tutto gli sia dovuto. Assorbito dalle sue fantasie, deve essere sempre al centro dell’attenzione. Si presenta come l’illuminato estremo, uno strumento di Dio, un genio, il leader dell’umanità, e qualche volta anche il più umile tra gli umili. Ha un’insaziabile necessità di essere adulato e di avere sèguito. La sua megalomania può anche essere una difesa contro il vuoto interiore, la depressione, e un senso di scarsa importanza. La paranoia spesso si accompagna alla megalomania, rinforzando l’isolamento del gruppo e la necessità di difendersi da un ambiente percepito come ostile. In questo modo, si crea una mentalità del “noi contro loro”.»

Le epurazioni, i controlli asfissianti, il clima conflittuale permanente… tutto è funzionale a rassicurare le paranoie del Capo.

d) Gli psicopatici mentono con freddezza e facilità, anche quando è evidente che non stiano dicendo il vero….. I leader tendono a creare un complesso sistema di credenze, spesso relativo ai loro poteri e alle loro capacità, in cui essi stessi qualche volta restano intrappolati.”
Nei casi più estremi, per esempio, si può elaborare una specie di cosmogonia fantasmagorica, incentrata sulla nascita di un nuovo mondo chiamato Gaia. E magari sostenere con sfacciata sicumera che ci scrive il papa e che i premi Nobel ci copiano il programma economico; che il cancro si cura con l’aspririna e l’Aids non esiste; i vaccini fanno diventare gay; gli alieni ci controllano; l’olio di colza sostituirà gli idrocarburi ed il bucato si fa con le palline.

e) Non c’è bisogno di una forte coerenza logica né di rettifiche. Tanto meno sono necessari organismi terzi di garanzia, poiché i leader si sentono giustificati in tutte le loro azioni, dal momento che si considerano i supremi giudici morali.”

f) Tutti i risultati ed i successi ipotetici sono rimessi ad una prospettiva futura e spesso irrealizzabile (quando avremo il 100%). Il Capo psicopatico, ovviamente al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati, si cala in un ruolo di controllo totale, che egli recita fino in fondo. Ciò che più viene promesso nei gruppi settari (la pace, la gioia, l’illuminazione, l’amore e la sicurezza) sono obiettivi che sono per sempre fuori dalla portata del leader, e così anche dei seguaci. Dal momento che il leader non è sincero, non lo sono neanche le sue promesse.”

g) Messi dinanzi all’evidenza delle loro sconfitte ed all’incoerenza delle loro azioni,
Gli psicopatici raramente ammettono la colpa dei loro fallimenti o dei loro errori. La ricerca di un capro espiatorio è comune, come anche l’incolpare i seguaci, o gli esterni al gruppo, la famiglia dell’adepto, lo Stato, un qualche Satana: in ogni caso, tutti tranne il leader. L’attribuzione della colpa può seguire una procedura ritualizzata, come un processo, un atto di ‘denuncia’ da una poltrona scomoda, o una confessione pubblica (a quattr’occhi o davanti al gruppo). L’attribuzione di responsabilità rafforza potentemente la passività e l’obbedienza, producendo nei seguaci senso di colpa, vergogna, terrore e conformismo.”

h) Il leader psicopatico è una personalità poliforme, capace di reinventarsi in ruoli sempre nuovi per mantenere la propria ribalta sociale…
Un giorno può apparire come musicista rock, il giorno dopo come un Messia; un giorno come venditore d’auto usate, un altro come fondatore di un programma di autotrasformazione di massa; un giorno come professore universitario, il giorno dopo come il nuovo Lenin che porta la rivoluzione in America.
L’altra faccia della medaglia di questo progetto di vita fluttuante è l’onnicomprensiva promessa futura che il leader fa ai suoi seguaci. Molti gruppi rivendicano come loro obiettivo il dominio del mondo o la salvezza dall’Apocalisse. Il leader è il primo a proclamare la natura utopistica del gruppo, il che di solito è semplicemente un’ulteriore giustificazione dei comportamenti irrazionali e dei controlli stringenti.”

Il Caro Leader

L’Identità Protea
L'Uomo Mascherato Naturalmente, nella propria dittatura assoluta, il leader psicopatico ha bisogno di un palcoscenico sul quale esibirsi, con una platea osannante da controllare e indirizzare al soddisfacimento delle sue pulsioni narcisistiche.
All’inizio degli anni ’60, Robert Jay Lifton, nel tentativo di strutturare un suo modello investigativo sul “controllo del pensiero”, elabora la teoria del Totalismo e dell’identità protea (Self Protean), attraverso la “riforma del pensiero”, e totalmente incentrata sull’utilità sociale del “capro espiatorio”, ai fini di coesione e sopravvivenza del gruppo in funzione ideologica.
Lifton struttura la riforma del pensiero in otto fasi, volte a manipolare gli atteggiamenti mentali e condizionare i processi analitici dei soggetti che si intende usare, tramite il ricorso a forme di “persuasione coercitiva”:

1) Controllo della comunicazione.
Tutte le notizie devono essere preventivamente filtrate e controllate, attraverso un controllo preventivo delle forme di informazione. I rapporti e le comunicazioni del gruppo con l’esterno devono essere costantemente monitorate, “autorizzate”, e controllate attraverso una serie di condizionamenti ambientali.

2) Manipolazione mistica.
Le esperienze del gruppo devono essere eterodirette dal leader carismatico e dalla sua struttura di controllo.

3) Richiesta di purezza.
I manipolatori forniscono una visione manichea della realtà, un’opposizione tra bianco e nero senza messe misure. L’ideologia, la fede o le credenze del gruppo, sono rappresentate come l’unica fonte di purezza. I membri sono costantemente esortati a conformarvisi, e combattere per il raggiungimento della perfezione. L’ambiente esterno è considerato come impuro.”
Ogni forma di condivisione verso l’esterno è una forma di contaminazione nella perdita della purezza primigenea (mescolarsi vuol dire sporcarsi di merda) e come tale va denunciata e punita.

4) Confessione.
Ogni mancanza nei confronti del gruppo, ogni atto consumato per decisione autonoma (e che quindi presuppone una individualità propria e indipendente) va immediatamente sanzionata. E quindi purificata attraverso un atto di contrizione e di pubblica umiliazione, dinanzi agli aderenti ortodossi del gruppo.

5) Scienza sacra.
Le credenze e l’impianto ideologico del gruppo non possono e non devono essere mai messi in discussione. Ogni dubbio, ogni critica, si configura come una mancanza di fiducia ed una forma di tradimento.

6) Linguaggio caricato (loading language).
Una nuova codificazione del linguaggio, con messaggi veicolati, codici interpretativi, e messaggi sopra le righe.

7) Il primato della dottrina sull’individuo.
Ogni esperienza, ogni comportamento, è funzionale agli interessi ed alla missione del gruppo. E a questo si deve conformare. Non sono consentite “eresie”.

8) Dispensazione dell’esistenza (Dispensing of existence).
È il gruppo (veicolato dalla volontà del leader carismatico) a decidere e determinare le scelte dei singoli al suo interno. Ogni autonomia decisionale è bandita o fortemente limitata. L’attività dei membri è strutturata secondo un rapporto di dipendenza, atto a condizionarne le scelte e la libertà decisionale. Fondamentale è il controllo della loro indipendenza finanziaria (la diaria, gli stipendi..) ed il loro accesso ai mass media.

>>>ANSA/COREA NORD: NULLO ARMISTIZIO CON SUD; USA, BASTA INTIMIDAZIONI

Tutto è rimesso all’identità primaria e onnipotente del Capo, che diventa oggetto di venerazione, dall’autorità indiscutibile.
Vi ricorda qualcosa o qualcuno in particolare?!?

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BATTLE ROYALE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 ottobre 2012 by Sendivogius

“Sono pazzi questi giaps”

Avete odiato ferocemente i vostri compagni di scuola? Possedete i modi gentili di un Ted Bundy, ma siete convinti di essere la reincarnazione di Onoprijenko? Vi piacciono le cacce all’uomo/donna, con combattimenti all’ultimo sangue?!? Allora “Battle Royale” è la storia che fa per voi. Dal Sol Levante con dolore.
Pubblicato per la prima volta nell’Aprile del 1999, è il romanzo d’esordio dello scrittore Koushun Takami, il quale con uno stile freddo e asettico delinea i contorni di una feroce ecatombe all’ombra di una realtà distopica, dove è forte il senso d’oppressione di un’autorità terribile e immanente.
 Immaginate che l’impero nipponico non abbia mai perso la seconda guerra mondiale. Immaginate che Giappone e Cina siano unite in una spietata dittatura di stampo nazista (ma persino peggiore del modello originale), chiamata ‘Repubblica della Grande Asia’, in cui la via giapponese al fascismo (fashizumu) domina incontrastata. Come in un moderno tributo di sangue, la Repubblica della Grande Asia immola i suoi stessi figli in un sanguinario sacrificio collettivo a celebrazione dell’onnipotenza del regime. Infatti ogni anno, dal 1947, cinquanta classi di studenti liceali, equamente ripartiti tra maschi e femmine, vengono selezionate tramite sorteggio e costrette a partecipare ad un allucinante gioco al massacro, conosciuto come il “Programma”. Le classi prescelte vengono deportate singolarmente e con l’inganno in luoghi isolati, preferibilmente isole evacuate dai propri abitanti e convertite in potenziali campi di battaglia. Ogni studente viene munito di un kit minimo di sopravvivenza, una razione limitata di viveri, e un’arma distribuita secondo il caso: si va dalle forchette alle mitragliette automatiche d’assalto, passando dalle freccette alle granate a frammentazione. Vince colui (o colei) che in un tempo limitato riuscirà ad eliminare senza troppi scrupoli tutti gli altri contendenti. Non esiste alcuna regola né limite al ‘gioco’. A supervisionare l’esperimento c’è il disgustoso Kinpatsu Sakamochi: un sadico pervertito, attorniato da un manipolo di psicopatici in uniforme. Per costringere gli studenti ad ammazzarsi tra di loro, ognuno viene munito di un collare esplosivo, che segnala altresì la posizione con un sistema gps al centro di comando e registra le conversazioni. Se qualcuno cerca di fuggire, il collare esplode. In caso di ribellione, il collare esplode. Se, alla scadenza del termine ultimo, più contendenti sono ancora in vita, i collari esplodono simultaneamente uccidendo tutti i sopravvissuti. Al vincitore verrà consegnata una cartolina autografa con la firma del Grande Dittatore (che culo!).
Questa, in sommi capi, è la trama di “Battle Royale”. E, d’altro canto, chi non ha mai pensato di maciullare i propri compagni di classe?!? Inoltre, quale modo migliore potrebbe scegliere una dittatura per cementare il proprio consenso tra la popolazione, se non costringerne i figli a massacrarsi tra di loro dopo averli pescati a casaccio, e senza alcuna distinzione, persino tra i rampolli delle elite industriali e burocratiche che sostengono il regime?!?
Non sforzatevi troppo a cercare le ragioni logiche e le motivazioni ‘politiche’ che sottendono l’istituzione del perverso “Programma”, perché non le troverete o vi sembreranno difficilmente credibili. Se concentrate la vostra attenzione ed interesse unicamente sugli interminabili scontri e sui vari ammazzamenti ai quali i giovani protagonisti si dedicano con zelo disperato, entusiasmandovi all’insana carneficina (uccidere o essere ucciso), allora “Battle Royale” sarà il vostro ‘romanzo di morte’ per la vita. E con ogni probabilità avreste bisogno di un bravo strizzacervelli.
Ma, se agli ‘effetti’ pratici prediligete l’identificazione delle ‘cause’ all’origine della battle royale, resterete fortemente delusi giacché il messaggio del romanzo diluisce nell’assenza di senso.
Che cos’è in realtà il Programma? A cosa è davvero funzionale la famigerata “battaglia”?
È uno strumento di controllo sociale, della serie: terrorizzali indiscriminatamente e loro ubbidiranno a ogni tuo ordine. Dunque, il Programma avrebbe lo scopo di ingenerare terrore tra la popolazione, creando diffidenza collettiva e paranoie diffuse. In tal modo, terrebbe la cittadinanza (i sudditi) divisa, in uno stato di perenne soggezione e scoramento, tanto da prevenire e dissuadere eventuali moti di rivolta (su che presupposti logici è difficile dire), cancellando ogni speranza di cambiamento.
È un esperimento di sopravvivenza, per testare le capacità di reazione e adattamento in situazioni estreme, sotto una forte pressione emotiva.
È una forma sperimentale di darwinismo sociale, nell’ambito di ricerche militari volte alla creazione del guerriero perfetto…

Non è che l’Autore si sforzi troppo per spiegarlo. E quindi ogni interpretazione è valida.
Con simili presupposti, l’opera di Koushun Takami ha rapidamente scalato le vette delle classifiche di vendita, imponendosi come un fenomeno di costume: interrogazioni parlamentari, orde di fan entusiasti, papà che leggiucchiano di nascosto il libro nella cameretta dei pargoli… La sua trama ha in parte ispirato, e comunque condizionato, la produzione di piccoli capolavori come Basilisk, oppure one-shot qualiDuds Hunt
Insomma, c’erano tutti i presupposti per abbandonare orrori ben più devastanti come “Twilight” e correre subito a leggere il romanzo di Takami.
Naturalmente, anche se con debito ritardo, neanche noi abbiamo resistito al richiamo delle frattaglie. Perciò abbiamo recuperato una copia on line del libro (perché pagare ciò che puoi avere a gratis?) e tastato di persona l’arte. Nella fattispecie, si tratta della prima versione in lingua inglese (2003) a cura di Yuji Oniki su traduzione dall’originale. Come le 332 pagine del romanzo originario possano essere lievitate a tal punto da raddoppiare, è un mistero noto solamente agli editors dell’edizione italiana.
Siamo sinceri, ci aspettavamo di (molto) meglio…
Riguardo ai contenuti, l’opera è quanto di meno originale si possa immaginare e costituisce più che altro una forma di rassemblement letterario, il quale riutilizza e riadatta tematiche con figure stra-abusate, e quindi dal successo garantito, dove tutto è déjà vu
C’è il sacrificio di sangue, in ossequio agli imperativi dispotici di una autorità crudele e sfumata; basti per tutti ricordare i 14 giovinetti, in egual numero tra maschi e femmine, offerti ogni anno alla furia del Minotauro… Da allora, l’antichissimo tema mitologico ha conosciuto infinite variazioni, senza mai perdere il suo fascino perverso.
C’è la tendenza tutta nipponica a realizzare storie a ripetizione, con innocui liceali trasformati in letali macchine da combattimento vestite alla marinaretta… Eh ma “Battle Royale” è una specie di survival horror, dove alla fine sopravvive uno solo. E sai che novità!?
Specialmente in Giappone, niente che non si sia mai visto; soprattutto se si pensa all’infinita produzione di manga ed alle pellicole estreme del cosiddetto Eastern exploitation
In merito ai riferimenti cinematografici, il collare metallico pronto ad esplodere in caso di fuga si era già visto nel lontano 1991 costituendo il piatto forte di Sotto massima sorveglianza: filmetto d’azione della (all’epoca) gettonata coppia Rutger Hauer e Joan Chen, già visti in “Giochi di morte” dove squadre di disperati si fronteggiano in tornei sanguinari (vi ricorda niente?).
Da questo punto di vista, “Battle Royale” rende omaggio e rinverdisce una serie di idee ad effetto, che hanno fatto la fortuna di un intero filone di action-movies anni ’80, non di rado ai confini del trash… In tale ambito, la preda umana costretta a combattere per la sua sopravvivenza costituisce una tematica ricorrente. Qualche titolo? Da Avenging Force, conosciuto in Italia come “I cacciatori della notte” (1986), fino al ben più notevole Senza Tregua (Hard Target del 1993) di John Woo (quasi un remake), a chiusura di un ciclo inaugurato con I Guerrieri della palude silenziosa (1981): film culto di Walter Hill. Curiosamente, sono tutti ambientati nelle paludi della Louisiana.
A livello letterario, non mancano invece le analogie con La settima vittima (1953), un racconto del geniale Robert Sheckley.
Ad essere ingenerosi, “Battle Royale” è il tipico prodotto da fast food letterario confezionato per i palati primitivi di lettori deboli. Il tutto è raccontato con una narrazione piatta, a tratti monotona, che non cambia quasi mai di registro. La sintassi è elementare. I periodi sono brevissimi. Le tipologie caratteriali dei personaggi rispecchiano tutti gli stereotipi di genere e, scusate il gioco di parole, sembrano a volte tagliate con l’accetta.
Può anche capitare, quando si costruisce un romanzo con una cinquantina e passa di personaggi diversi.
L’intreccio (raffazzonato), le motivazioni ‘sociologiche’ (piuttosto vaghe per non dire assurde) ed i profili psicologici (assai approssimativi) dei personaggi, costituiscono più che altro il contorno ideale di una storia violentissima, crudele, di un’efferatezza morbosa, la quale non poteva che essere un successo editoriale destinato a diventare un caso internazionale. Questa almeno è l’impressione che se ne ricava dalla lettura in inglese, probabilmente condizionata da una nostra cattiva conoscenza della lingua.
In compenso, la lettura scorre come un coltello affondato nel burro caldo.
Gli esteti hanno parlato di “sofisticata critica sociale”… “denuncia anti-totalitaria”… “capolavoro” (!!).
Suvvia, non diciamo cazzate!
D’altronde, questi “coraggiosi atti d’accusa contro l’alienazione della società nipponica” non sempre sono pienamente comprensibili alla nostra logica ‘eurocentrica’, dal momento che negli atti in questione dovrebbero rientrare anche opere come l’inquietante Suicide Club di Sion Sono.
Piuttosto, se “Battle Royale” ha un pregio, questo consiste nella totale destrutturazione dei contesti abituali di riferimento, con la rivisitazione dei cliché di genere, tramite la riproposizione (estremizzata) del bella contra omnes dove tutti gli uomini (e le donne non fanno eccezione) sono homini lupus. Il fascino (perverso) del libro consiste nella capacità indiscussa dell’Autore nel creare un’atmosfera opprimente ed insana, nella quale sembrano venir meno tutti i corollari dell’agire sociale, con lo stravolgimento di ogni forma di fiducia verso il prossimo, della distinzione tra bene e male, dove il tradimento è la norma ed ogni sentimento può rivelarsi una debolezza mortale, esplorando gli abissi più oscuri dell’indole umana. E ciò è forse il principale punto di forza nell’opera dello scrittore giapponese.
La capacità di tendere al massimo la corda dell’esasperazione paranoica, tramite lo stravolgimento emotivo, scardinato dall’implosione dei sospetti, raggiunge uno dei suoi massimi effetti nella strage delle ragazze del faro, che è probabilmente l’invenzione più drammatica e riuscita di Takami, nella sua personale discesa agli inferi.
In considerazione dell’enorme entusiasmo del pubblico, dal romanzo di Koushun Takami è stata tratta una versione cinematografica (2000), per la regia di Kinji Fukasaku e con Takeshi Kitano nei panni del sovrintendente Sakamochi/Kamon/Kitano. Ovviamente, il film è diventato in breve un cult-movie. Non ci esprimiamo in proposito, perché non abbiamo (ancora) visto il film. Dopo la lettura di romanzo e fumetto, per il momento poteva bastare così.
Infatti, nel 2002 è stata realizzata una pubblicazione illustrata (manga) di “Battle Royale”, su sceneggiatura dello stesso Takami e disegni di Masayuki Taguchi. Con l’eccezione di poche differenze (di cui una considerevole), la versione a fumetti è sostanzialmente identica al romanzo. È superfluo dire che, tra romanzo e fumetto, il manga è nettamente superiore per spessore psicologico dei personaggi, complessità stilistica, e persino nella costruzione dei dialoghi. Pensato per un pubblico adulto, il seinen del duo Takami-Takuchi non lascia assolutamente nulla alla fantasia del lettore ed anzi esaspera le esecuzioni, con una violenza estetica a forte impatto visivo dai contenuti più che espliciti. Era dalla lettura dell’allucinante “Ichi the killer” (Koroshiya Ichi) del mangaka Hideo Yamamoto, che non ci capitava tra le mani qualcosa di così controverso ed eccessivo. Epperò il manga di Taguchi non sfiora mai i livelli di morbosità compiaciuta, presenti invece nell’opera di Yamamoto: un condensato di perversioni sessuali, torture e atrocità estreme, che alla lunga risultano talmente disturbanti da rendere difficile la prosecuzione della lettura. La peculiarità del racconto è che nelle circa 2.000 pagine che costituiscono il seinen non si incontra un solo personaggio, in grado di esprimere un qualche valore positivo. Nel 2001, “Ichi the killer” viene trasposto in versione cinematografica dal prolifico (e geniale) Takashi Miike, che non è regista da affrontare alla leggera. Chiunque abbia avuto lo stomaco per sopportare la visione di Visitor Q” o di Imprint sa di cosa parliamo… Basti dire che si tratta di un film all’acqua di rose e persino comico, rispetto all’originale di Yamamoto.
Al contrario, “Battle Royale”, nonostante l’iper-violenza, è pervaso da un’umanità pressoché sconosciuta allo splatterosissimo “Ichi”.
Naturalmente, la versione a fumetti di “Battle Royale” (che in parte sembra imitare il tratto stilistico del coreano Super Shen) ha i suoi limiti intrinseci: sedicenni con muscolatura da pugile professionista, che dimostrano una trentina d’anni.. lolite poppute ed iper-maggiorate.. tenere fanciulle in età puberale che brandiscono con un braccio solo enormi 44 magnum… mosse speciali da supereroi… personaggi troppo lacrimosi… dialoghi raffinati con notevoli riflessioni di carattere psicologico… competenze altamente tecniche che spaziano dalla medicina alla chimica… Insomma un po’ troppo per semplici adolescenti.
In compenso, il manga integra il romanzo e lo supera nella disamina delle dinamiche comportamentali, approfondendo i profili psicologici con una serie di dettagli interessanti per la migliore strutturazione dell’insieme. Inoltre regala cammei ben costruiti, su misura di ciascuno dei 42 ragazzi coinvolti loro malgrado nel “Programma”, e che sono complementari alla definizione complessiva dei protagonisti principali…
 Kazuo Kiriyama: sociopatico, glaciale, totalmente amorale, vive in uno stato di dissociazione permanente, che gli impedisce di instaurare una qualsiasi forma di legame empatico con chiunque. È completamente privo di emozioni, dunque non prova esitazione, né rimorsi, né dubbi. Ciò sembrerebbe dovuto ad una disfunzione cerebrale, dovuta al trauma riportato in un incidente stradale: fin dalla nascita nel romanzo; da bambino nel fumetto.
Si muove per istinto. Apparentemente geniale, ogni sua azione risponde unicamente a logiche di tipo meccanico: funzionamento e scopo, senza alcuna implicazione di tipo emotivo. Ogni sua attività (suonare il violino o uccidere) è volta unicamente all’ottimizzazione formale, salvo perdere ogni interesse una volta raggiunto il risultato.
Ai fini del ‘gioco’, questa sua assenza assoluta di sentimenti lo rende apparentemente invulnerabile e quindi una perfetta macchina omicida, perché senza alcuna coscienza.
Nel manga sembra indistruttibile, praticamente un incrocio tra Terminator (versione avanzata) e l’uomo ragno tanto sguizza via. Se ne va in giro con un arsenale da guerra, ma la sua arma preferita è una mitraglietta Ingram che sembra godere di una scorta inesauribile di caricatori. Manco fosse Max Payne!
 Hiroki Sugimura: al contrario di Kiriyama, pensa troppo, ponendosi continui interrogativi sul significato delle sue azioni e le possibili implicazioni. Introverso, timido, insicuro, ha bisogno di legare il suo agire ad uno scopo preciso. Vive in funzione del suo prossimo, vincolato alla protezione delle persone a lui più care. La sua stessa applicazione nelle arti marziali non è che un modo per esorcizzare il proprio senso di inadeguatezza, insieme alla paura che segretamente l’attanaglia. Ciò lo rende in fondo vulnerabile. Ed è per questo che Sugimura, nonostante un generoso altruismo, mancherà a tutti i suoi migliori propositi, assistendo al proprio stesso fallimento.
La dipartita di Sugimura costituisce la differenza più vistosa che separa il romanzo dal manga, e che non sveleremo per non rovinare la sorpresa a chi non abbia ancora letto la storia (le storie)… In entrambi i casi, le due versioni sono di una crudezza estrema.
 Shinji Mimura: brillante, analitico, sportivo, apparentemente estroverso, è in realtà un battitore libero abituato a giocare in proprio, accentrando su di sé l’azione. E’ anche l’elemento in apparenza più ‘politicizzato’, per una naturale insofferenza alle regole. Sembra che abbia una predisposizione ad attrarre i più sfigati della classe, che si aggrappano a lui come le mosche sul miele. Con un simile team, non può che perdere la partita nonostante la propria determinazione ed una indubbia genialità.
 Mitsuko Souma: probabilmente è uno dei personaggi più riusciti e complessi sotto il profilo psicologico. Sostanzialmente, è una psicopatica con gravi disturbi della personalità, tendente alla schizofrenia. Bellissima, sessualmente promiscua, è un’anima persa divorata dai suoi demoni personali (incesto, stupro, pedofilia, prostituzione minorile, sevizie)… Naturalmente, né il romanzo né il manga ci risparmiano nulla, dilungandosi con dovizia sulle violenze.
La migliore metafora usata per rappresentare la devastazione interiore di Mitsuko consiste nel ritrarla come una bambola rotta.
 Shogo Kawada: se dovessimo esprimere una qualche preferenza, è indubbiamente il nostro personaggio preferito, per affinità caratteriale e per tutta una serie di ragioni che chi dovesse leggere (o abbia già letto) la storia capirà…
 Shuya Nanahara: è il protagonista principale ed è pure (forse) il personaggio più stereotipato e prevedibile… una sintesi perfetta di buoni sentimenti e valori positivi, al quale l’Autore ha attribuito ogni qualità possibile. Troppo perfetto e troppo buono per essere davvero reale.
Ad ogni modo, una volta letto, “Battle Royale” non si dimentica tanto facilmente…

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