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LA TELA DEL RAGNO

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 8 marzo 2010 by Sendivogius

Ci sono autori che, confinati tra i polverosi scaffali delle biblioteche accademiche, andrebbero invece riscoperti e divulgati con pubbliche letture. Profetici quanto e più di Nostradamus, senza doversi inventare astruse quartine, sono sicuramente meno ermetici nelle loro previsioni e, soprattutto, ci azzeccano!
 È il caso di
Charles Wright Mills, un prof. texano (1916-1962) che indirizzò i suoi studi sui meccanismi che determinano la stratificazione sociale, soffermandosi in particolare sulle trasformazioni della struttura di classe, a superamento della vecchia concezione marxista.
L’opera di Mills è interessante per diversi motivi…
In primo luogo perché focalizza l’attenzione sull’emergente classe media di lavoratori dipendenti dei quali studia la psicologia sociale ed i valori di riferimento, sottolineandone l’individualismo conformista e l’intrinseca incapacità di porre azioni politiche organizzate.
In secondo luogo perché analizza la concentrazione elitaria del potere su base gerarchica, in riferimento agli intrecci economici e politici delle società capitalistiche. E facendo il verso ai teorici dell’oligarchia (Michels, con gli italiani Mosca e Pareto) arriva alla conclusione che “l’appartenenza al vertice del potere deriva da posizioni istituzionali che vengono occupate, con una continua osmosi fra gerarchie, da un gruppo ristretto per il quale esse diventano una sorta di bene ereditario”.

I gruppi di potere così strutturati si suddividono per sfere di interessi il controllo dell’apparato statale; di quello militare, che si regge sulle commesse pubbliche; e delle società da capitale, sempre più avviate a ritagliarsi un ruolo autonomo e correlato come potere a sé stante.
Requisiti fondamentali per la tenuta del gruppo (o delle ‘cricche’) sono una forte coesione interna, meglio se spalmata su base familiare, dettata dalla comune estrazione sociale e da un sistema di idee condivise.
Le elite, per loro stessa natura, tendono a riprodursi, attraverso una rete di relazioni personali, volte alla conservazione del potere acquisito, sulle basi privilegiate proprie del sistema oligarchico. Godono delle rendite di posizione, ma di proprio rischiano pochissimo. Inutile dire che l’oligarchia sta alla democrazia, come la merda sta alla cioccolata.

L’Italia è tutta un club. Un immenso Rotary. Il vero potere è nella corporazione. Nella rete. Per avere successo, o semplicemente garantirti un futuro certo, devi iscriverti.
(…) L’immobilismo è la chiave che permette alle lobby di beneficiare in eterno delle loro prerogative indiscusse. Così l’imperativo diventa: non cambiare, ancorarsi al passato e trasmetterlo alle nuove generazioni di eletti.
(…) La mediocrità si organizza in reti per due ragioni essenziali. In primo luogo da solo nessuno è mediocre: la mediocrità emerge se è possibile un confronto e se c’è competizione. Almeno in potenza. In secondo luogo le reti rafforzano e si nutrono della mediocrità rendendola ‘absoluta’, sciolta da tutto quello che non rientra nel suo mondo di riferimento, avulsa da chi non ne condivide le regole.
(…) Quando le reti lavorano per modificare la società, lo fanno soprattutto per adattarla alle proprie esigenze.

 Antonello Caporale
Mediocri
BCD – Milano 2008

In un paese curtense come l’Italia, consacrato all’immobilismo sociale ed al perseguimento del proprio particulare, l’origine primigenia del “potere” risiede in un semplice, ma fondamentale, principio di casualità: nascere nella famiglia ‘giusta’. Ogni sforzo futuro sarà la preservazione parassitaria di quanto ereditato per diritto di casta e la sua trasmissione ereditaria. A ciò si aggiunge un’oculata politica di alleanze, e la creazione di una rete interattiva di protezioni, coltivando le amicizie utili nel gruppo dei pari. Per questo esistono i Circoli privati e Club esclusivi (la massoneria è solo una loro proiezione esotica), i Cenacoli editoriali, e soprattutto la Curia pontificia. La captatio benevolentiae di qualche monsignore, ben inserito all’interno delle gerarchie vaticane, è fondamentale in una società clientelare che, dietro i paraventi della devozione religiosa, ammassa i denari sottratti a Cesare. Con i crediti giusti, pochi uomini di talento che rispondano ai requisiti della “Triple C” e che sappiano muovere con perizia i singoli pezzi possono gestire a piacimento il gioco.

IL CARDINAL VICARIO
 Colui che ha fatto della compenetrazione oligarchica un’arte, curando l’interazione armonica dei singoli segmenti, è sicuramente Gianni Letta: il raffinato maestro del cerimoniale di corte, il gran ciambellano degli occulti concistori tra politica e affari, il furbo cultore delle relazioni informali.
Perfetto erede del potere democristiano di fede dorotea, Letta è il Magister Officiorum dell’imperium berlusconiano. All’ombra dell’Imperatore, ha saputo costruirsi la sua personale rete di potere parallelo, che gestisce tramite i canali vischiosi della diplomazia sotterranea. In questo, Gianni Letta assomiglia molto a quegli spregiudicati cardinali dall’intelligenza sulfurea, che gestivano il regno per conto del Re Sole nella Francia dell’ancien regime. Del periodo l’affettato sottosegretario abruzzese (è nato ad Avezzano nel 1935) sembra conservare il gusto per le ciprie e le acconciature scolpite, che conferiscono al personaggio quell’aspetto plastificato da museo delle cere. Dunque falso.
Ma l’intrigante Visir del Sultano è anche l’architetto dell’eccezione permanente, strutturata nel ricorso esasperato alle “ordinanze” immediatamente esecutive e sottratte ad ogni vaglio preventivo di costituzionalità. Prodotto naturale di questi moderni decretalia regi  sono  i commissari straordinari: i nuovi Federali nel regime delle emergenze che, con un accorpamento di poteri senza eguali, esautorano gli equilibri del controllo democratico, in nome dell’urgenza per decreto. Fedele sacerdote della teologia del ‘fare’, Letta ha consolidato la sua influenza tramite un sistema capillare di proconsolati: collettori di affari e centraline di collegamento che trasformano le istituzioni in protettorati personali.

IL PRANZO È SERVITO
 Anfitrione d’eccezione, Gianni Letta ha reso la buona tavola molto più di un momento conviviale… Il luogo ideale dove il ragno tesse i fili impercettibili della sua tela… Come negli antichi banchetti, l’aristocratico sottosegretario ha trasformato la mensa domestica in naturale prosecuzione della politica e occasione per accordi trasversali. Famose sono le cene romane di casa Letta. Famosissima la cena del giugno 1997 che imbrigliò nel cosiddetto “patto della crostataMassimo D’Alema: lo stratega fallito delle guerre perdute.
Ma il culto per i piaceri della cucina è anche, e soprattutto, una lucrosa tradizione di famiglia…
Condurre un’impresa commerciale non è mai cosa facile. Certo, se puoi contare su appalti blindati e canali privilegiati, il lavoro sarà molto più semplice… Di sicuro, ne sanno qualcosa alla Relais le Jardin: il giardino nel cuore del ragno, per vecchie abitudini che non cambiano.
Relais le Jardin, azienda specializzata nel catering di lusso, è la fortunata creatura della famiglia Ottaviani. Esponenti del generone romano, già proprietari dell’hotel Byron al quartiere Parioli, gli Ottaviani hanno consolidato parte delle loro fortune nel mercato della ristorazione. A dirigere l’attività della Relais sono i rampolli del casato, Stefano e Roberto, ma ai fondamentali rapporti istituzionali provvede la consorte di Stefano Ottaviani, ovverosia Marina Letta e quindi, per interposta persona, l’onnipotente papà Gianni. Non è un caso che il catering di famiglia si sia aggiudicato le più ricche commesse pubbliche degli ultimi 10 anni, dai vertici internazionali ai ‘Grandi Eventi’ confezionati su misura per le necessità della ditta.
Alla Relais è stata affidata la cura delle mense, per rifocillare gli augusti convenuti agli inconcludenti (ma costosissimi) summit diplomatici, che riempiono l’album fotografico del Sultano.
Nell’ordine:
Il sanguinoso G-8 di Genova  (2001).
Il pacchianissimo vertice NATO a Pratica di Mare (2002), dove Re Silvio illustrava agli ospiti le gesta di Romolo e Remolo. Per l’occasione, la Relais incassò 414.000 euro.
La Conferenza intergovernativa di Roma (2003), per la firma dei Trattati europei.
I vari congressi tenuti durante il semestre di presidenza italiana della UE.
Il G-8 2009 nella caserma di Coppito (AQ), il più costoso ed inutile della storia, per il quale la Relais le jardin ha intascato dalla Protezione Civile di Bertolaso, la modica cifra di un milione e 65 mila euro.
Ad ogni buon conto, gli affari sono strettamente legati alle entrature del premuroso papà Gianni, tanto da poter dire che dove c’è Letta c’è Relais le jardin.
Promotore delle Olimpiadi a Roma per il 2016 (un’altra ghiotta cuccagna per speculatori e palazzinari di ogni risma), reggente per il consiglio d’amministazione dei Mondiali di nuoto di Roma 2009 durante i quali molto si è data da fare la cricca Anemone-Balducci (15 impianti privati su 17 sotto sequestro per abusi), Gianni Letta è l’uomo dei grandi Circoli sportivi della Capitale: vere confraternite per la cogestione sotterranea del potere.

GOLDEN CLUB
 Tra le sue molte iscrizioni, Letta è socio del Circolo Canottieri Aniene. Si direbbe in ottima compagnia, visto che tra gli illustri tesserati ci sono: Vittorio Silvestri, revisore alla Corte dei Conti; Gianni Petrucci, eterno presidente del CONI; i costruttori della famiglia Toti e soprattutto Francesco Gaetano Caltagirone, suocero di Casini ed editore de Il Messaggero. Caltagirone, con partecipazioni azionarie all’ACEA (sarà lui a beneficiare della privatizzazione dell’acqua a Roma), dopo aver scaricato l’accoppiata Veltroni-Bettini che pure l’avevano ingrassato fin quasi a scoppiare, è diventato il grande sponsor del sindaco Alemanno. Ma nel circolo si possono incontrare anche Giulio Andreotti; Cesare Romiti e Luca Cordero di Montezemolo; Angelo Rizzoli e Carlo Toto; Gianni Alemanno e Andrea Ronchi. E fino a poco tempo fa, pure Marrazzo.
Presidente del Circolo Aniene è Giovanni Malagò, altro grande esponente del potere trasversale, al quale il buon Gianni è legato da antica amicizia.
Ebbene, per conto del CONI, la Relais gestisce il Bar del Tennis al Foro Italico.
Per conto della FNI (Federazione Italiana Nuoto) si è aggiudicata l’appalto per le forniture ai Mondiali di nuoto (Giugno 2009).
Per il Comune di Roma sotto la podestà di Alemanno, la Relais provvede ai pasti in Campidoglio e organizza i servizi del cerimoniale del Comune. Fornisce i servizi di catering e caffetteria ai Musei Capitolini (canone annuo: 80.000 euro). Rifornisce la Fiera di Roma, le Scuderie del Quirinale. È presente nei servizi all’Ippodromo delle Capannelle, e non manca nella ristorazione della tribuna d’onore dello stadio Olimpico. Ma provvede a gestire anche i 6 bar dell’Auditorium di Roma nel cui CdA, guarda caso, siede Gianni Letta.

I ricavi della società gestita dal genero di Letta in pochi anni hanno superato i 20 milioni di euro l’anno. Tutti sanno che i proprietari sono gli Ottaviani, ma le quote societarie oggi sono in mano alla Immobiliare Villa Miani 90, dal nome del palazzo di via Trionfale che ospita congressi dei politici di ogni schieramento. Impossibile sapere di chi è la società: si finisce in un dedalo di sigle anonime del Lussemburgo e di altri paradisi fiscali come Tortola e le Bahamas.”

 ‘No Letta No Party’
di Emiliano Fittipaldo
 L’Espresso – 26 febbraio 2010

Ispiratore e promotore delle ordinanze che trasformano la Protezione civile in un network di commissari proconsolari alle sue dirette dipendenze, Gianni Letta ha costruito attraverso la formula dei “Grandi Eventi” una ragnatela dalle mille opportunità. Testa di cuoio di questo progressivo scardinamento democratico, è il suo plenipotenziario alla Protezione Civile: Guido Bertolaso, “il Batman arrogante e litigioso dei cataclismi” (Massimo Falcioni), avviato verso l’empireo degli onnipotenti.

CHERCEZ LA FEMME
 La pioggia di miliardi che si è riversata nelle casse della nuova Protezione civile, sciolta da ogni controllo preventivo e con totale libertà di spesa, è una greppia troppo ghiotta, per starci lontano. Tuttavia, ci sono persone con le quali il felpato Letta evita accuratamente ogni contrasto, perseguendo le rodate vie della cooptazione condivisa, in vista dei comuni interessi. È il caso di Umberto Vattani, l’inamovibile presidente dell’ICE.
[Di Vattani & Family abbiamo già parlato QUI.]
Le fortune della Relais le jardin sono infatti strettamente correlate con la Triumph di Maria Criscuolo, general contractor negli eventi organizzati dalla Protezione civile. Insieme, le due aziende hanno creato il consorzio NEXXI e monopolizzano la quasi totalità dei servizi catering, legati ai meeting di Stato.
La Criscuolo, 48 anni, ex interprete dell’ambasciatore USA in Vaticano, insieme a Vattani ha gestito l’accoglienza al G-8 di Genova. Un’esperienza imprenditoriale che per l’intraprendente ambasciatore col pallino per gli affari si risolse in un crack colossale. Sulle gesta di Vattani potete leggere QUI e anche se purtroppo l’articolo originale non è più disponibile, qualcosa si può comunque recuperare…

«Le toghe rosse sono sempre in agguato. E, visto che Silvio Berlusconi è un osso duro, se la prendono con un pover’uomo come l’Ambasciatore Umberto Vattani che, dopo una carriera brillante e prestigiosa all’ombra di consolati e ambasciate, è ora alla guida dell’ICE, l’ente che sviluppa e promuove i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero e l’Italia nel mondo. Vattani è un italiano vero: generoso, elegante, simpatico. Un infaticabile servitore dello Stato. Ai tempi del governo di centrosinistra, contribuì con grande fatica ad evitare che l’Italia avesse la grave seccatura di divenire membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E durante il governo Berlusconi si prodigò in ogni modo per non informare l’allora ministro Frattini dell’uccisione di Quattrocchi in Iraq, mandandolo in diretta allo sbaraglio a “Porta a Porta” a negare il fatto mentre le agenzie di stampa avevano già battuta la notizia. Insomma, un uomo senza pari, anche se con molti dispari. Forse è per l’invidia degli uomini cattivi di cui è pieno il mondo che su quest’uomo tutto di un pezzo ogni tanto sono piovute accuse tanto ingiuste quanto infamanti. Una volta un tale insinuò in Parlamento che all’epoca del G8 di Genova, Vattani, gestore dell’evento, affidò ad un semisconosciuto armatore greco-genovese, Georges Poulides, l’appalto per le navi che ospitarono 7 degli 8 grandi della terra, per un costo per lo stato di 6 miliardi e mezzo di vecchie lire, e casualmente subito dopo fondò assieme a lui una Fondazione (la “Fondazione festival”) per l’organizzazione di eventi mondani e di crociere di lusso. Purtroppo l’iniziativa naufragò miseramente con un crack da 800 milioni di euro, 300 lavoratori licenziati, 260 imprese non pagate per le forniture, una ventina di banche con crediti non saldati, migliaia di turisti che ancora chiedono (sfrontati!) il rimborso degli anticipi versati. Tutte calunnie, naturalmente. Ma le calunnie sono come le ciliegie: una tira l’altra. E così, ecco il nostro povero ambasciatore coinvolto in un’inchiesta della procura di Potenza su una cordata di imprenditori associati nell’iniziativa E-noi, con la quale si voleva commercializzare il gas tunisino in Italia. Nel corso delle indagini, violando la sacrosanta privacy di tanti onesti cittadini, furono disposte numerose intercettazioni che nominavano Umberto Vattani, allora segretario generale della Farnesina, riguardo presunti favori e relativi compensi. Umberto Vattani naturalmente non conosceva nessuno di questi signori, anche se li incontrò – ovviamente per puro caso – il 20 febbraio 2003 all’Harry’s Bar di Via Veneto. Dando credito a queste calunnie infamanti quel pazzo comunista del Pm Woodcock aveva chiesto addirittura l’arresto del povero ambasciatore-martire. Per fortuna, il giudice per le indagini preliminari respinse la richiesta di arresto e passò tutto l’incartamento nelle nebbie della procura di Roma. Fu proprio durante l’indagine sul gas tunisino che i finanzieri del Gico ebbero l’autorizzazione di intercettare le conversazioni telefoniche del nostro povero ambasciatore. Una indegna intrusione nella privacy di quest’uomo retto e tutto di un pezzo. Questi ficcanaso registrarono qualche piccola, breve e insignificante telefonatina. Precisamente 264 telefonate per una durata complessiva di 52 ore e 26 minuti, con un costo di circa 25 mila euro, fatte da Umberto Vattani, sempre come Segretario generale del Ministero degli Esteri verso gli uffici di Bruxelles. Il nostro ambasciatore aveva lavorato in quegli uffici, e ne serbava un ricordo meraviglioso. Per questo telefonava “a spese dello Stato più volte e a qualunque ora, anche di sera tardi e nei giorni festivi” ad una gentile signora che lavorava in quell’ufficio: per ricordare con lei i bei tempi andati. Purtroppo le donne italiane sono belle, ben odoranti e benvestite, ma non sempre gradiscono le offerte dei cavalieri. La signora non cedeva, e Vattani continuava a telefonare. E quegli insensibili dei sostituti procuratori Angelo Antonio Racanelli e Giuseppe De Falco ne chiesero il rinvio a giudizio: perché “l’alto funzionario della Farnesina avrebbe abusato della relazione d’ufficio per compiere le telefonate per motivi libidinosi e quindi biasimevoli“. La signora, sentita dai magistrati in istruttoria, si rivelò effettivamente un po’ infastidita dalla continue chiamate dell’ambasciatore. Ma si sa come siamo noi italiani: l’uomo è cacciatore e ha il diritto di chiedere. Quindi, il GUP decise di archiviare l’accusa per molestie. Che per discolparsi disse “da una semplice lettura delle conversazioni risulta la mancanza di qualsiasi costrizione e il tono assolutamente scherzoso delle telefonate stesse”. Le telefonate c’erano, ma erano un innocente scherzetto. E poi, come dice un vecchio detto, Ambasciator non porta pene! Il GUP però non archiviò le accuse per peculato e rinviò a giudizio il povero Vattani: perché le sue telefonatine l’Ambasciatore avrebbe almeno dovuto farle a sue spese. La storia non finì qui. Gianfranco Fini, allora ministro degli esteri, saputo del coinvolgimento dell’alto funzionario in questa vicenda, e anche se era sicuro della buona fede di Vattani, decise a malincuore di prendere i “provvedimenti del caso“. Impietosito dal fatto che si trattava pur sempre di un bravo ed onesto padre di famiglia (i bravi italiani tengono sempre famiglia), e soprattutto pensando che dalle escort all’export la differenza non è poi molta, il “provvedimento del caso” fu la decisione di nominare l’ambasciatore rinviato a giudizio per peculato alla presidenza dell’Istituto per il Commercio Estero. Il nostro povero ambasciatore come tutti gli innocenti, in questi anni ha cercato di difendersi dalle false accuse costruite ad arte contro di lui dalle toghe rosse. Ha dimostrato, ad esempio, che è normale che i diplomatici all’estero facciano un po’ di confusione con l’imputazione delle spese, e che comunque lui, con grande rettitudine, le aveva rimborsate. Solo che – forse per la troppa ansia di dimostrare la sua innocenza – portò in procura la documentazione dell’avvenuto pagamento di 11.650 euro per telefonate che nulla centravano con il caso in questione. Mettendo nei guai anche un altro povero innocente, il capo contabile della sede diplomatica di Bruxelles, Bernardo Salaparuta, incriminato a sua volta per falso e favoreggiamento nei confronti di Vattani perché secondo la procura “i tempi dei pagamenti non corrispondevano, erano stati fatti quando già le indagini erano partite”. Una coincidenza, naturalmente, ma i magistrati comunisti non ci hanno voluto credere. Vattani comunque, incurante del processo e con la coscienza limpida di chi nulla deve temere, ha continuato a portare l’immagine dell’Italia nel mondo: un plurindagato, in attesa di giudizio, guascone e cacciatore di belle donne. Insomma, un perfetto italiano degli anni 2000. Nel frattempo ha lavorato alacremente sulla vicenda dell’Expo 2015 e, da bravo italiano che si rispetti, ha avuto l’immensa soddisfazione dell’importante incarico assegnato ad un ragazzo di nome Mario Andrea Vattani, uno che chiama l’ambasciatore Umberto Papy, e che Gianni Alemanno ha nominato, per la modica cifra di 488 mila euro annui, Consigliere Diplomatico per le relazioni internazionali del Sindaco di Roma


La TRIUMPH è una srl che organizza eventi a livello internazionale ed è attiva sul mercato dal 1986, quando la società si occupava della ristorazione nei convegni di medicina per poi specializzarsi in comunicazione promozionale e grandi eventi. Ciò vuol dire che la Criscuolo, che si definisce “imprenditore di prima generazione”, ha avviato la sua attività poco più che ventenne. Lei stessa la racconta così:

Ho iniziato 21 anni fa nel mondo dell’organizzazione degli eventi e della comunicazione, oggi presiedo un gruppo che è presente in Italia, in Belgio e in Cina, che si occupa di comunicazione intesa come comunicazione integrata, nel senso che all’interno del gruppo ci sono una serie di realtà aziendali che vanno dal mondo dell’organizzazione congressuale, al mondo della comunicazione intesa come comunicazione di prodotto, a tutta quanta l’organizzazione di eventi istituzionali, quelli che magari si vedono in televisione, quali il G8, il vertice della NATO, il semestre di presidenza. Fino ad una compagnia di viaggi che fa prevalentemente incentivazione, dunque nella realtà è una incentive house per aziende e a un quarto settore, assolutamente importante, che oggi è anche molto di moda, che è quello della promozione integrata tra la promozione di prodotto e la produzione territoriale, quello che noi diciamo oggi ‘promuovere il made in Italy’, che sarebbero più realtà insieme.”

  (23 agosto 2007)

E che è prerogativa di Umberto Vattani (aggiungiamo noi). Con un centinaio di dipendenti la società fattura circa 28 milioni di euro all’anno. Una parte davvero cospicua dei guadagni arriva però con le commesse della Protezione civile, tant’è che al famoso vertice a Pratica di Mare (27/05/2002), la Triumph si porta a casa la bellezza di 7 milioni 45 mila euro soltanto per le attività connesse all’organizzazione, gli allestimenti, la ristorazione, le fotocopiatrici, gli interpreti. E ne rigira 414.000 alla RLJ degli Ottaviani. Nel recente G-8 de L’Aquila, pare che le due società si siano ritagliate un milione a testa. Naturalmente, tutti gli appalti avvengono per assegnazione diretta e senza gara.
Soprattutto, il Gruppo Triumph naviga nell’orbita della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione. E proprio i favori a CL sono costati a Letta, nel novembre 2008, una denuncia per turbativa d’asta e truffa aggravata, in merito alla fornitura di pasti ai centri di prima accoglienza per gli immigrati richiedenti asilo.

Il Caso FIORI
 Tra i protege di Letta e Bertolaso c’è sicuramente Marcello Fiori, 50 anni, attualmente dirigente presso la Presidenza del Consiglio. Le fortune di Fiori conoscono una svolta per grazia ricevuta, in concomitanza col Giubileo del 2000. Successivamente, approda nei munifici uffici della Protezione a guida Bertolaso, fino a diventare responsabile dell’Ufficio Emergenze.
Nel febbraio 2009 (ordinanza n. 3742) Bertolaso lo fa nominare “Commissario delegato per la realizzazione di interventi urgenti e necessari per il superamento di grave pericolo in atto nell’area archeologica di Pompei”. La carica prevede deroghe amplissime al codice degli appalti e dei regolamenti urbanistici, con un portafoglio già stanziato di 40 milioni di euro. Sono tutti soldi sottratti al ministero dei Beni Culturali ed alle Sovrintendenze archeologiche. Ma gli obiettivi sono fumosi e privi di indirizzo, a parte caldeggiare l’ingresso dei privati nella gestione del patrimonio culturale nazionale. E in tale prospettiva, l’iniziativa può essere riconducibile ad un più ampio programma di privatizzazione, che non riconosce ai beni artistici nessun valore se non quello d’uso.
Il 30/07/09 i poteri del Proconsole vengono ulteriormente ampliati con l’ordinanza 3795 che esautora di ogni funzione le Sovrintendenze di Pompei e di Napoli, “per il superamento della situazione di emergenza” che (opportunamente) continua a restare indefinita. Per questo, dopo più di un anno e svariati milioni già spesi, viene istituita una ‘Commissione d’indirizzo’ dalla quale vengono escluse le sovrintendenze!
È una sorta di esperimento in progressione, che continua tutt’ora: militarizzazione del territorio, discontinuità democratica, prosciugamento delle prerogative degli enti territoriali, eccezione normativa.
Marcello Fiori è il tipico esponente di quella rete trasversale, che troppo spesso incrocia il cammino del Cicoria e degli ex Margheriti

Fiori ha una laurea in lettere e nessuna esperienza con alluvioni e terremoti. Un passato di portavoce dell’Acea, l’Azienda elettrica di Roma, nel 2007 è segretario generale del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni.
Il suo nome appare il 22 marzo 1999 in una lettera di raccomandazione firmata da Francesco Rutelli, di cui allora è vice capo di gabinetto. Il sindaco-commissario per il Giubileo chiede al segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo De Ioanna, di affidare a Fiori l’incarico «di coordinare le attività nell’azione di lotta al degrado ambientale, ai fini della salvaguardia del decoro nella città di Roma». Sospinto da Rutelli e Bertolaso, farà strada. Fino ai rifiuti di Napoli. Prima però Fiori diventa responsabile dell’ufficio emergenze della Protezione civile. La notte del 26 dicembre 2004 la sala operativa di via Vitorchiano lo sveglia per avvertirlo del fortissimo terremoto registrato dai sismografi di tutto il mondo e del successivo maremoto. Dove? In Indonesia, rispondono dalla sala operativa. Va bene, buona notte.
Qualche ora dopo Gianni Letta, chiamato dal ministero degli Esteri, butta giù dal letto Bertolaso che ancora non sa nulla. La regola prevede che sia il capodipartimento ad informare il governo. Questa volta succede il contrario. Ci sono migliaia di turisti italiani ed europei di cui non si hanno più notizie. Bertolaso vuole fare tutto da solo. Gestisce i soccorsi e i 16 milioni e 156 mila euro raccolti dagli italiani con l’idea degli sms. Snobba perfino il ministro degli Esteri. Il capo della Protezione civile fa decollare due Canadair del servizio antincendio, Can 23 e Can 24. Sono aerei inadatti alle operazioni di lungo raggio. Non superano i 365 chilometri orari di velocità e le 6 ore di autonomia. Quanto tempo impiegano per arrivare in Sri Lanka lo racconta una scheda sul sito della presidenza del Consiglio: «Partiti dall’Italia il 31 dicembre e arrivati a destinazione dopo quattro giorni di volo». L’aereo è progettato per scaricare acqua. Non ha spazio per trasportare materiali. Così a ogni missione vengono recapitate soltanto 6 tende. Alla fine i piloti accumulano 452 ore di volo di cui 59 ore per distribuire soltanto 250 tende. Al costo di esercizio di un Canadair: 14 mila euro l’ora. Guido Bertolaso non parla mai più del dovuto. Quando davanti al consiglio comunale della Maddalena un rappresentante del Pdl critica i metodi di affidamento degli appalti, lui lo interrompe: «Lei è pregato di misurare le parole… Io posso anche fare direttamente degli esposti alle autorità competenti, per le affermazioni ingiuriose nei confronti di un rappresentante del governo. Sia ben chiaro»

 Protezione Civile Super S.p.A.
 Fabrizio Gatti
 L’Espresso, n. 52 del 29 dicembre 2009

Il demenziale utilizzo dei Canadair in trasvolata continentale, non è una boutade legata alla tragicità comica del caso, perché l’impiego dei CL-145 costituisce un aspetto importante nel business dei protetti di Letta e un capitolo di spesa fondamentale nei bilanci della Protezione Civile, ridotta a braccio armato di questo  nuovo potere oligarchico.
È un argomento del quale torneremo ad  occuparci  quanto prima…

 Continua.

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