Archivio per Polizia

Sotto il vestito niente

Posted in A volte ritornano, Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , on 20 gennaio 2019 by Sendivogius

E finalmente da buon ultimo arrivò anche Alfonso Bonafede, il ghignante guardasigilli a cinque patacche, che ora può sfoggiare il suo sgargiante costumino di carnevale ed entrare a pieno titolo nel club feticista dei travestiti al governo, tra i quali ovviamente a dettare la moda è sempre LVI, il questurino d’Italia, e già guardiano padano in tenuta verde pisello, che da quando è ministro della polizia ha completamento rinnovato il proprio guardaroba, attingendo agli accantonamenti di servizio.
LVI è convinto che faccia tanto “popolo” (o così devono avergli suggerito i suoi spin-doctor), così come al contempo esprima vicinanza al “corpo” che vorrebbe rappresentare e che stando alle evidenze considera cosa sua…
Sempre che il “corpo” in questione (a quanto pare ben felice di essere considerato una sorta di milizia personale di partito) si identifichi entusiasticamente con quello che, a ben vedere, assomiglia più che altro ad un imboscato in fureria, o al massimo ricorda i marmittoni alla grandi manovre…

Come quell’altro demente lì alla Difesa, mentre tenta di capire (invano) come si imbraccia un arx 160, e intanto punta la canna contro la persona a lui più vicina…
Evidentemente, se la mania per le uniformi è il tratto distintivo di ogni fascismo per rivestire il vuoto di uomini senza vergogna, ogni fascista si sceglie il duce surrogato che meglio lo rappresenta.

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Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , on 21 gennaio 2018 by Sendivogius

Come tutti ben saprete, tra le piaghe più devastanti che sconvolgono il pianeta c’è sicuramente l’annoso problema delle “Fake News” (!). Sì, insomma: le bufale, le balle, le panzane, le boiate… che a vario titolo massimamente imperversano nella ‘rete’ dei nuovi imbecilli digitali. Adesso le cazzate si chiamano “fake”, nella moda anglicizzante che tutto reinventa a fenomeno globale, ma sono sempre esistite. Esattamente come i cazzari, che vi costruiscono sopra la loro fortuna.
Ora, ci sono vari modi per contrastare le “fake news”, ovvero le balle (ed i cacciaballe)… E non è detto che funzionino, perché le menzogne per essere efficaci si nutrono di mezze verità, distorcendo la realtà con la manipolazione dei fatti. E lo fanno tramite l’immissione di una serie di dati fallati, che insistono sull’aspetto emotivo; onde suscitare una reazione immediata, che si amplifica e si alimenta per effetto di massa.
Nei casi più riusciti, diventano propaganda e sono funzionali alla preservazione o alla conquista del potere, nutrendosi di promesse impossibili o decantando successi mirabolanti di governi inconsistenti. Insomma, basta seguire una qualunque campagna elettorale, con la sovraesposizione di cialtroni alla ribalta, per capire di cosa parliamo. Nell’inflazione di balle contrapposte che si alimentano a vicenda, le “fake news” sono uno strumento promozionale di lotta politica. E la mistificazione delle informazioni diventerà allora prassi ordinaria per il controllo delle opinioni.
Tanto poi chi è che va a verificare?!?

«Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese

Bertolt Brecht
“Scritti sulla letteratura e sull’arte”
Einaudi (Torino, 1973).

Il modo peggiore di affrontare la questione, ammesso e non concesso che questa sia poi così pregnante, come vorrebbe farci credere un circo mediatico a corto di non-notizie con le quali riempire i palinsesti, è affidare la soluzione ad altri imbecilli nella prevalenza del cretino contemporaneo Perché, come diceva Ennio Flaiano, “niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo”.
Capita così che i gestori di quell’immenso stupidario condiviso ad uso collettivo, meglio conosciuto come Facebook, per smascherare le notizie false elaborino un sistema di votazione che permetterà agli utenti di decidere quali contenuti siano da considerarsi credibili e quali invece no. L’unico requisito di attribuzione (e legittimazione) è il parere della maggioranza, per vox populi e senza bisogno di altra confutazione se non il numero di ‘like’ cumulati a colpi di clic. Prodigi della “democrazia diretta” ai tempi di internet.
Che è un po’ come se uno avesse chiesto ai bigotti fanatici di Salem, durante i tempi allegri della caccia alle streghe, se nel loro villaggio fossero state presenti adoratrici del demonio che operavano sortilegi maligni contro i devoti villici timorati di dio. E su questo decidere l’esecuzione o meno delle sospettate. Perché la maggioranza ha sempre ragione. E infatti…
Sfugge ai cretini di Menlo Park (succursale demente di South Park), che se riunisci cento idioti dentro una sala questi non cesseranno di produrre e condividere le medesime idiozie. Ed anzi usciranno rafforzati e rassicurati nelle loro convinzioni dalla preponderanza del numero. A livello virtuale, se possibile, il processo è ancora più virale. Ma appunto: mai affidarsi ad un cretino; soprattutto quando questo viene illuminato da lampi di imbecillità, che ovviamente scambia per idee geniali.
Il problema diventa reale, e preoccupante, quando l’imbecille viene investito di un’autorità superiore e decide di scindere il vero dal falso per sua infallibile volontà, in virtù del proprio insindacabile mandato. È il caso del sopravvalutatissimo ministro Marco Minniti, il servizievole Lothar prestato agli Interni, al quale evidentemente sfugge che se un problema legato alle “fake news” esiste davvero, questo è innanzitutto un problema culturale. E che la veridicità di una notizia non si stabilisce certo per decreto o per volontà della polizia, giusto per non aggiungere alle distorsioni cognitive di una massa anomica di creduloni, le deviazioni inquisitorie di un ministro imprigionato nella visione sbirresca della società. Non ci sono molte altre spiegazioni valide alla promulgazione del fantomatico “Primo Protocollo Operativo” contro le fake news, affidato al controllo delle autorità di Polizia. A parte gli imbarazzanti richiami al “Primo Ordine” che comanda le truppe imperiali della serie Star Wars, è quanto meno demenziale ancorché inquietante la pretesa di istituire una sorta di Grande Fratello che vigila sul webbé, per quello che assomiglia ad una specie di Ministero della Verità, dove un ministro (ed implicitamente il Governo) decide ciò che è giusto o sbagliato, attraverso un fantomatico comitato di “esperti” che funzionerebbe più come collegio censorio che di garanzia. Qualcosa di cui proprio non se ne sentiva bisogno oltre a creare un precedente pericoloso. E che la dice lunga sulla forma mentis del glabro ministro, che si balocca compiaciuto col suo bel bottone rosso, lucidato per l’occasione e che è ben deciso a premere…
Per certi tomi al governo (fortunatamente agli ultimi sgoccioli) deve costituire il nuovo Punto G in grado di stimolare gli orgasmi da onnipotenza, per questa caricatura pelata di un Noske resuscitato al Ministero degli Interni.

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70 Anni di Desistenza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 aprile 2015 by Sendivogius

resistance

Nel 70esimo anno del suo anniversario ha ancora senso celebrare la “Liberazione”?
Ci si chiede infatti, a malincuore, che cosa sia rimasto da festeggiare; per giunta nello svuotamento delle feste laiche della Repubblica, trasformate in un giorno lavorativo come altri, secondo gli imperativi del credo mercantilista. E cosa permane ancora degli ideali e dei valori che animarono la Resistenza, sbiadita nella memoria e tradita nella sua eredità, svuotata di senso dai miserabili teatrini imbastiti nei quadrivi di una politica ubriaca dei suoi reflussi, a tal punto da essere ormai circoscritta ad una sorta di ricorrenza funebre, in attesa di tumularne anche il ricordo insieme alla scomparsa dei suoi ultimi protagonisti. Tanto è forte la sensazione (sgradevolissima) che l’intera faccenda sia ridotta al pacchettino sempre più risicato di un precotto take-away, da consumare in fretta quasi a scusarsi per il disturbo. Anche la “Festa di Liberazione” invecchia; porta male i suoi anni. E rischia di morire per trascorsi limiti di età…
Diversamente, in pieno 2015, nell’Italia liberata a misura ‘democratica’, bisognerebbe capire la relazione con Il vespasiano di Affilel’intitolazione di strade, piazze e mausolei ai gerarchi fascisti: una costante dell’amena provincia italiana e dei suoi nuovi podestà fascistissimi, a cui si accompagna la coniazione seriale di medaglie ed onorificenze per “incontestabili meriti” a criminali di guerra e nazifascisti, con tanto di celebrazioni officiate pubblicamente dalla Presidenza del Consiglio.
movimento dei porconiBisognerebbe ancor di più spiegare l’indulgente pervasività, con cui viene celebrato ed esibito un fascismo diluito, blandito, nella minimizzazione dei crimini dietro al mito assolutorio degli “italiani brava gente” e la sopravvalutazione dei ‘meriti’, attraverso la persistente apologia di reato da sempre elusa, bonariamente accolta, e mai contrastata.
La sobria curva della AS RomaAl massimo, certe esibizioni vengono liquidate come espressioni “goliardiche”, dalle curve degli stadi ai pellegrinaggi organizzati verso la betlemme nera di Predappio, passando per la memorialistica Liberopataccara dei Diari di Mussolini e le dispense agiografiche, allegate dai giornaletti a carico pubblico della destra più nostalgica dei papiminkia organici al berlusconismo.
Bisognerebbe spiegare la discrepanza tra un partito che si fece Stato ed un altro che ambisce ad essere “partito della nazione”; se non fosse che uno si chiamava ‘fascista’, mentre il nuovo si definisce “democratico” per auto-attribuzione del termine. Il tutto nel nome della “governabilità” (ieri era la “sicurezza nazionale”), con la differenza che negli Anni ‘20 vi era un solo duce, oggi invece si può scegliere tra una mezza dozzina di aspiranti tali, per altrettante organizzazioni politiche che vi si ispirano più o meno apertamente, nell’inflazione di candidati al ruolo.
Salvini ti aspettavoBisognerebbe spiegare la volontà irresistibile di concentrare tutti i poteri nelle mani di un “capo del governo”, investito di prerogative assolute, in un Parlamento esautorato di funzioni e competenze, ma chiamato unicamente a ratificare i decreti blindati su presentazione governativa.
Bisognerebbe altresì spiegare la cancellazione del Senato, trasformato in un ufficio delegato della Presidenza del Consiglio, composto da nominati rigorosamente non eletti (un requisito imprescindibile!) e deprivato di ogni funzione di controllo e indirizzo.
Matteo RenziBisognerebbe distinguere la pioggia di decreti-leggi, dei voti di fiducia, della forzatura delle procedure parlamentari, che imbavagliano le Camere e le trasformano in votifici di complemento, prostrati ai desiderata di un premier che non s’è preso nemmeno il disturbo di farsi eleggere in libere elezioni.
Bisognerebbe inoltre tracciare le differenze che intercorrono tra la Legge Acerbo e l’imposizione della nuova legge elettorale ad un parlamento refrattario ed imbavagliato, con la rimozione dei membri di commissione sgraditi al premier ed il sostanziale aggiramento delle procedure parlamentari, secondo un sistema elettivo volto a racimolare il massimo dei seggi, con il minimo dell’affluenza, nello svuotamento di ogni rappresentanza. Il tutto in un Parlamento dove non si ‘parla’ più, ma si ubbidisce a comando.
Bisognerebbe infine spiegare la persistenza della tortura, che continua ad essere praticata ma che non è reato.
diaz-locandinaSe c’è un impegno che questa Repubblica, nata per puro caso dalle ceneri del fascismo nella prosecuzione ideale del medesimo, ma revisionato in salsa democratica, ha perseguito con costanza immutata nel corso dei suoi 70 anni di desistenza, è stato quello di depotenziare il ricordo della Liberazione. E lo ha fatto attraverso la delegittimazione costante della lotta di Resistenza, che già il giorno dopo la caduta del regime lasciava il posto agli ipocriti, agli opportunisti ed ai riciclati della peggior risma, che correvano a seppellire le stragi nazifasciste dietro gli armadi della vergogna e riabilitare i colpevoli nell’estensione della più ampia impunità.
Dead-Snow zombiesDietro un antifascismo puramente di facciata, la transazione di regime è spesso avvenuta all’insegna della rimozione delle responsabilità nella negazione delle stesse, tanto radicata è stata fin da subito l’ansia di “normalizzazione” nella continuità, fino agli sdoganamenti ed alle riabilitazioni più recenti (e resistenza cancellataindecenti). Perché fin da subito è stato chiaro che nella nuova Italietta pusillanime e revisionata, la vera anomalia da rimuovere era costituita dalla Resistenza: movimento considerato di minoranza nel ventre molle di una nazione, che però aveva l’insostenibile torto di mettere in luce tutta l’accondiscenza, l’ignavia, e l’accomodante conformismo di certe maggioranze più complici che silenziose, che raggiunse il suo culmine nella persecuzione degli ebrei italiani. Una deportazione capillare, che non fu blanda né contenuta, come invece ama far credere certa vulgata minimalista…

I carnefici italiani «Gli italiani che dichiararono “stranieri” e “nemici” gli ebrei, li identificarono su base razziale come gruppo da isolare e perseguitare, li stanarono casa per casa, li arrestarono, li tennero prigionieri, ne depredarono beni e averi, li trasferirono e detennero in campi di concentramento e di transito, e infine li consegnarono ai tedeschi, furono responsabili di un genocidio. Un genocidio è il tentativo violento di cancellare un gruppo su basi etniche o razziali e non vi è dubbio che – sebbene l’atto finale dello sterminio non avvenne su suolo italiano e per mano italiana – anche gli italiani presero l’iniziativa, al centro e alla periferia del rinato Stato fascista, partecipando così al progetto e al processo di annientamento degli ebrei, con decisioni, accordi, atti che li resero attori e complici dell’Olocausto. Diversi furono evidentemente i gradi e le modalità di coinvolgimento, perché diversi furono i ruoli, i contributi pratici e le forme di partecipazione. Non si trattò solo di coloro che compirono materialmene gli arresti (polizia, carabinieri, guardia di finanza, militi e volontari fascisti), ma di coloro che compilarono le liste delle vittime: dagli impiegati comunali e statali dell’anagrafe razzista ai funzionari di polizia che trasformarono i nomi degli elenchi in altrettanti mandati di arresto; dal prefetto e dal questore che firmarono gli ordini di cattura, giù giù lungo la scala gerarchica, alle dattilografe che ne compilarono i documenti. Partecipe e complice fu anche chi sequestrò e confiscò beni ebraici, spendendo ore, talora intere giornate, a descrivere nei più minuti dettagli i beni sequestrati, mettendoli sotto chiave oppure trasportandoli e consegnandoli ad altro ufficio o autorità, o – caso non insolito – accaparrandoseli 50 kgper uso proprio, oppure per lucro attraverso la vendita. Vi furono inoltre le responsabilità dei delatori: di chi segnalò, denunciò, consegnò, tradì i propri concittadini ebrei. E così via nella catena delle persecuzioni e responsabilità, nelle loro molteplici, talora apparentemente innocue, fasi e procedure: chi guidò il camion o la corriera o il vaporetto che trasferì i prigionieri; chi sorvegliò le celle o i campi di transito; chi costruì quei campi o li rifornì di vettovaglie. Infine, coloro che stettero a guardare, rivolsero lo sguardo altrove, ignorarono volutamente quanto stava avvenendo»

Simon Levis Sullam
“I carnefici italiani”
Feltrinelli (2015)

Pertanto, il problema non era l’eredità del fascismo, ma chi a questo s’era più opposto e per giunta in tempi non sospetti, nell’indifferenza dei più, passando per la grande farsa delle “epurazioni” prima dell’amnistia generale voluta da Palmiro Togliatti, con conseguenze grottesche…

Giorgio Bocca «I fascisti che hanno militato nell’esercito di Salò passano nell’Aprile del ’45 per una prima discriminazione generale. […] Gli ufficiali ed i militi delle formazioni di partito vengono internati in una ventina di campi di prigionia, assieme ai civili più compromessi del regime mussoliniano. Il primo campo sorge presso la Certosa di Padula: i prigionieri comuni stanno in grandi stanzoni, ma ci sono ospiti di riguardo come Achille Lauro, l’armatore, il principe Vittorio Massimo, il generale Ezio Gariboldi, l’ex comandante del corpo di spedizione italiano in Russia, e il principe Francesco Ruspoli per il quale si preparano alloggi accoglienti.
[…] Il campo di Terni, affidato ad un colonnello inglese filofascista, è qualcosa che sta a metà tra il mercato nero e un bordello di lusso: la principessa Maria Pignatelli ha il permesso di organizzarvi cerimonie celebrative, le evasioni in massa sono pagate in valuta pregiata. Diciamo che qui si forma il primo nucleo di neofascismo aristocratico e alto borghese, il neofascismo dei principi romani e dei grandi costruttori edili, dell’alta burocrazia militare e ministeriale. Il campo più noto però è quello di Coltano, il più duro, dove vengono per mesi rinchiusi i fascisti meno colpevoli, quelli che hanno militato nelle formazioni regolari della Repubblica Sociale.
Il neofascismo militaristi ha i suoi capi naturali negli alti ufficiali prigionieri a Procida: Rodolfo Graziani, ministro della guerra nella repubblica di Salò, e il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, la più agguerrita delle compagnie di ventura della repubblica mussoliniana.
Graziani con le chiappe al vento[…] Occorre recuperare i capi carismatici con dei processi solenni. Quello al maresciallo Graziani inizia l’11/10/1943 a Roma. La sua autodifesa nel peggior stile fascista è tutta un elogio al suo senso dell’onore, della fedeltà, della lealtà, con cui opportunamente nasconde gli aspri conflitti avuti durante la guerra con Mussolini che è stato sul punto, dopo la catastrofe libica, di deferirlo al tribunale militare. La farsa giudiziaria continua fino al 26/02/1949 quando la Corte d’Assise si accorge, improvvisamente, di non essere competente…… Il Tribunale militare lo condanna a 19 anni, gliene condona 14, e siccome ne ha già scontati quasi quattro lo manda anticipatamente libero. Per finire, gli si riconosce di “aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale”.
Junio Valerio Borghese Il processo di Junio Valerio Borghese è una burletta: presiede la Corte d’Assise il dottor Caccavale, amico della famiglia Borghese e vecchio gerarca, mentre nel collegio giudicante ci sono ex fascisti notori. La sentenza del 17/02/1947 supera ogni livello di impudenza: vengono concesse a Borghese le attenuanti al valor militare, per il salvataggio delle industrie del nord, perché si è battuto per salvare la Venezia Giulia, per l’assistenza ai deportati dai tedeschi. Insomma, sarebbe meritevole di aver assistito i partigiani e gli antifascisti che ha catturato e mandato nei lager nazisti. Con tutte le attenuanti e gli indulti, a Borghese restano ancora nove anni. Su suggerimento dei difensori si studiano ancora altri indulti, finché al principe resta un solo anno. E su questa condanna ad un anno di reclusione il processo farsa sta per concludersi, quando un avvocato difensore ricorda al presidente che per la legge del 1946 il condono deve essere superiore ad un anno e allora il dottor Caccavale torna in fretta in camera di consiglio, toglie l’ultimo anno come dal conto del salumaio, e Borghese esce libero, portato in trionfo.
OVRA[…] Si aggiunga che l’organico di polizia resta in mano a funzionari di formazione fascista: due soli prefetti non sono stati funzionari del ministero degli interni fascista. I viceprefetti, 241, tutti, senza neppure un’eccezione, hanno fatto parte della burocrazia fascista. […] Dei 135 questori, 120 provengono dalla polizia fascista: se si contano i commissari, i commissari capi aggiunti si arriva a 1642 dirigenti, solo 34 dei quali hanno partecipato in qualche modo alla guerra di liberazione

Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982

Anarchici contro il fascismoIn compenso nelle prigioni rimangono gli antifascisti, e massimamente gli anarchici che, subito dopo le caduta di Mussolini da capo del governo, vengono rinchiusi nel Campo di Renicci ad Anghiari (campo di internamento badogliano n.97), nella provincia aretina, prima del tana libera tutti in seguito all’armistizio dell’8 Settembre 1943.
La StampaMa il vero paradosso viene raggiunto dopo la formazione della Repubblica italiana, quando i fascisti vengono liberati in massa e riammessi in senso all’amministrazione del nuovo Stato, che si vuole democratico e antifascista, mentre partigiani ed ex resistenti vengono perseguitati un po’ ovunque; arrestati e rinchiusi in prigione o, peggio ancora, nei manicomi criminali col beneplacito dei governi democristiani che si susseguiranno al potere. La Resistenza come malattia dello spirito.

“Se qualcuno quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto esser chiamati davanti ai tribunali, per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso francamente in faccia”

Dante Livio Bianco
(11/12/1947)

Perché nell’immediato dopoguerra, l’offensiva giudiziaria con la promulgazione di ‘sentenze esemplari’ sembra interamente indirizzata in funzione anti-partigiana, mentre i vecchi fascisti opportunamente amnistiati e riabilitati possono riallacciare il imagesfilo delle loro carriere provvisoriamente interrotte. Le epurazioni semmai funzionano al contrario e vengono portate avanti con estrema solerzia. In parallelo, per l’opera di repressione ci si affida a funzionari di comprovata fede mussoliniana: i personaggi che offrono maggior affidabilità e garanzie alla giovane ‘democrazia’ italiana ed ai nuovi padroni del Paese da ‘stabilizzare’.

Milizia fascista«Il tracollo della democratizzazione della polizia è personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, Il fantasma dell'OVRAdestituito e riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso a direttore tecnico della scuola di polizia. In compenso, i partigiani immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine pubblico.
Nel 1946 ad essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane.
files06gws3[…] La discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena con la sconfitta fascista.
Nella transizione dal regime mussoliniano a quello democratico – osserva Vladimiro Zagrebelsky – l’ordinamento giudiziario e l’orientamento culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio della Corte suprema di Cassazione, decisiva anche per la selezione dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e potere.
Il Palazzaccio[…] Il sistema giudiziario rimane quello forgiato nel ventennio; le carriere dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della magistratura.
Vincenzo Eula, il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927 ha fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati, scansata l’epurazione (invocata dal ministro della giustizia Togliatti, negata dal presidente del consiglio De Gasperi) diviene procuratore generale della Cassazione.
Alcide De GasperiLuigi Oggione, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana (RSI), nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi giudice della Corte costituzionale.
L’artefice della legislazione antiebraica della RSI, Carlo Alliney, capogabinetto all’Ispettorato della Razza, è promosso consigliere della Corte d’Appello a Milano, procuratore della repubblica a Palermo, e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura alla presidenza della Corte costituzionale.
Negozio giudeoIl fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia del Novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo – osserva il giurista Achille Battaglia – furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate col massimo dell’indulgenza man mano quella andò declinando”. Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla RSI, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Il 22/06/1946 le esigenze di pacificazione nazionale si concretizzano nell’amnistia Togliatti. La sua applicazione estensiva e selettiva da parte di molti giudici (sensibili alle direttive della Cassazione) giova anzitutto ai fascisti, che ne beneficiano generosamente. Le “sevizie particolarmente efferate”, previste quale circostanza ostativa, sono aggirate con interpretazioni pirotecniche e sottili disquisizioni dottrinarie sull’essenza della tortura. Nemmeno l’omicidio e la strage rappresentano una barriera invalicabile…. La spietata giustizia sommaria dei giorni della Liberazione è rimpiazzata dal perdono sommario, metodico e generalizzato.
In riferimento all’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 Marzo del 1944, nel giro di un biennio vengono amnistiati sia il commissario di PS Raffaele Aniello, che ha fornito ai tedeschi la lista dei cinquanta detenuti politici da fucilare, sia i delatori di decine di antifascisti venduti ai tedeschi e trucidati nelle cave della periferia di Roma.
I funerali del boia[…] Liberazioni scandalose si coniugano con il mancato accertamento giudiziario di reati gravi, determinando oltre alla denegazione della giustizia enormi vuoti conoscitivi, che deformeranno la percezione per i lutti del 1943-45. Vuoti che la storiografia non ha colmato e sui quali si è costruita la vulgata del “sangue dei vinti”.
pansa vauroIl 30/06/1946, a otto giorni dall’emanazione, l’amnistia Togliatti è stata applicata a 7106 fascisti e 153 partigiani. La giustizia della neonata Repubblica italiana con una mano rialza i collaborazionisti, con l’altra percuote i partigiani

Un'odissea partigianaMimmo Franzinelli
Nicola Graziano

“Un’odissea partigiana.
Dalla Resistenza al manicomio”

Feltrinelli, 2015

In pochi anni la Corte di Cassazione così costituita annulla il 90% delle condanne contro collaborazionisti e criminali di guerra. Vengono mandati assolti pure i comandanti della XXXVI Brigata nera “Mussolini”, in precedenza condannati all’ergastolo per le stragi della Garfagnana.
XXXVI Brigata nera “Mussolini”Per i fatti di sangue ed i reati troppo gravi da poter beneficiare dell’amnistia che riguardano ufficiali dell’esercito, nei tribunali militari vengono predisposte “archiviazioni provvisorie”, ancorché illegali vista l’obbligatorietà dell’azione penale, finché i fascicoli non vengono ‘dimenticati’ o fatti sparire.
archiviazione_provvisoriaNella provincia di Modena, a venire processati (e condannati) sono i partigiani: 3.500 su 18.411.
Antonio Pallante Il 14 Luglio del 1958 è il giorno dell’attentato a Togliatti, segretario del PCI, l’attentatore è un fascista siciliano con simpatie neo-naziste, Antonio Pallante, che nel 1949 viene condannato a tredici anni e otto mesi, poi ridotti a dieci anni e otto mesi nel 1953, e infine portati a cinque per essere subito dopo assunto nel Corpo forestale dello Stato. I militanti comunisti che protestano contro l’attentato (e le coperture politiche che vi furono) vengono invece puniti con estrema severità: dalle lunghe carcerazioni preventive prima del prosciogliemento, o condanne fino a dieci anni di reclusione.
Nella primavera del 1955, decennale della vittoria sul fascismo, gli ex partigiani posti in stato di fermo di polizia sono 2474, dei quali 2189 vengono processati e 1007 condannati.
Arresti effettuati da CCPer l’erogazione delle pene e dei provvedimenti ci si basa sul Codice penale del 1930, emanato da Alfredo Rocco, il ministro fascista della giustizia sotto il governo Mussolini, e rimasto in vigore fino al 1988.
Vengono imbastiti veri e propri teoremi accusatori, con montature grossolane, mentre atti di guerra e azioni militari vengono rubricati a delitti comuni e quindi sottoposti a procedimento penale con processi ad hoc, appositamente strombazzati sulla stampa reazionaria. Delle indagini e della produzione delle ‘prove’ d’accusa si occupano con particolare zelo i Carabinieri. Gli accusati vengono indotti ad una “piena confessione” con minacce, pestaggi a sangue, ed il il marescialloricorso alla tortura. Nel modenese è particolarmente attivo il maresciallo Silvestro Cau che comanda la stazione di Castelfranco Emilia. Il sottufficiale è solito calcare sulla faccia degli arrestati delle maschere antigas, col filtro imbevuto di acqua salata che provoca il soffocamento. Il tenente Nilo Rizzo che denuncia gli abusi del suo subordinato, descrivendolo come un sadico criminale, viene sottoposto a provvedimento disciplinare da parte dei comandi dell’Arma e trasferito a scopo punitivo.
1949 Celere di RomaSeguendo un strategia difensiva demenziale, su consiglio degli avvocati messi a disposizione dal PCI e dal PSI, molti degli inquisiti si fanno dichiarare parzialmente infermi di mente, per poter beneficiare delle attenuanti di pena. La pratica si rivelerà un espediente suicida, perché ciò comporta l’internamento nei manicomi criminali con trattamento sanitario obbligatorio che all’epoca, oltre a prevedere l’eventuale interdizione delle visite esterne, consisteva in camicie di forza, letti con cinghie di contenimento, bagni ghiacciati e sedute di elettrochoc, mentre i tempi di pena sono indefiniti e prolungabili dal personale medico delle strutture fino ad avvenuta ‘guarigione’.
Manicomio di AversaTra i fondamentali motivi del mancato rilascio rientra anche “l’avversità alla religione”. Insomma, anche l’ateismo è una malattia. Da punire prima ancora che ‘curare’.
Ne consegue che molti dei reclusi ne escono devastati, dopo lunghi anni di internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Si consideri che nel 1953 a vagliare le richieste di dismissione Antonio Azaradalla detenzione manicomiale, con l’accettazione di eventuali misure di “clemenza”, vi è Antonio Azara, guardasigilli della Repubblica nel Governo Pella (un monocolore democristiano che può vantare l’appoggio di fascisti e monarchici), già presidente di Cassazione e membro eminente sotto il regime fascista (di cui è un estimatore convinto) del “comitato scientifico” per prestigiose riviste come “La nobiltà della stirpe” ed il “Diritto razzista”.
Difesa della razzaMa in fondo parliamo di eventi e situazioni oramai superate dalla storia e dai fatti: tortura, razzismo, autoritarismo, fascismo, abuso detentivo, repressione poliziesca, trattamento psichiatrico della malattia mentale e riforma degli OPG… tutte cose assolutamente sconosciute nell’Italia del 2015.

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De Aequitate Tormentorum

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 aprile 2015 by Sendivogius

redskull

A.D. 2015. Discutere del “reato di tortura” nel Paese di Cesare Beccaria e Pietro Verri è un po’ come parlare del “fascismo”… Superati da tempo nel resto del mondo propriamente democratico, come scorie residuali di uno scomodo passato relegato ad infamia perenne, e per questo emarginati in ogni consesso civile degno di tal nome, al contrario in Italia restano sempre attualissimi ed apprezzati. Vivono di motu proprio, alimentati da un revisionismo nostalgico ampiamente diffuso, nell’indulgenza dell’apologia di reato elevata a pratica politica ordinaria, per sommuovere i reflussi di un corpo elettorale da convogliare in pugni di voti. Perché, per certi cultori della materia, la ‘politica’ è più merda che sangue.
Fatto QuotidianoTutt’al più, nel pudore ipocrita di un’Italietta furbastra e della sua pubblicistica a contratto, i due termini (tortura e fascismo) vivono di perifrasi, nascosti nei paludamenti formali di vesti semantiche, che in fondo costituiscono una forma di camouflage agli orrori di una classe con presunzioni dirigenziali, massimamente degna dei propri rappresentati. Per questo si parla con leggerezza e ammiccante compiacimento di “partito della nazione”, più volte evocato sulla falsariga della cinquantennale egemonia democristiana, nella rievocazione latente del suo modello originale: il fascismo, che dell’identità tra partito-stato e nazione fece l’elemento fondante del proprio potere.
Razzismo-fascistaNe consegue che, in pieno 2015, non è la reiterazione della tortura come strumento di coercizione, di punizione e umiliazione, a costituire l’essenza vergognosa del problema, bensì il riconoscimento della stessa come reato. E dunque la sua sanzione.
SANTANCHE' DOLLY  L’ipotesi di disciplinare la materia attraverso una legge organica suscita le ondate di sdegno delle nutrite fascisterie, defecate in parlamento dalla disciolta costipazione del corpo elettorale che saliva ansimante ad ogni agitar di forca…
L’idea stessa di istituire il reato fa arricciare il naso ai replicanti di padron Grullo, che reputano la normativa attualmente in discussione insufficiente. E dunque meglio niente.
meravigliosi pupazziInfatti è molto più efficace gingillarsi con una nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul G-8 di Genova 2001, insieme ai protettori politici ed ai mandanti morali dei pestaggi e delle sevizie di allora. “Commissione” che ovviamente, per la natura stessa della sua composizione, non perverrà a nulla, ma offrirà l’ennesima occasione di cazzeggio a vuoto, nella massima visibilità mediatica, per i giochini elastici dell’opposizione dei bimbi spastici.
SognamiSalviniLe orde fascio-leghiste, capitanate dall’Uomo con la felpa, imbarazzante figuro di parassitismo sociale a mantenimento politico, introdurrebbero il linciaggio su processo sommario, di cui la tortura costituisce un diversivo imprescindibile prima dell’intrattenimento principale…
LegaliLe “forze dell’ordine” vivono l’istituzione di una simile La nuova uniforme della polizia di Taiwanfattispecie di reato, come un’onta ed una intollerabile minaccia alle proprie prerogative. Evidentemente, considerano l’abuso sistematico ed il pestaggio dei fermati, come un loro precipuo dovere ed un diritto inalienabile, nella pretesa di impunità intesa come parte integrante dei privilegi connessi al distintivo…
Il vecchio porcoI papiminkia alla destra di Barabba pensano che sia un valido strumento di controllo ed intimidazione sociale. Dunque perché privarsene?
Matteo Orfini by Edo Baraldi Tra i “riformisti” del partito bestemmia, scandalo enorme ha suscitato la richiesta farlocca, in ritardo e fuori tempo massimo, di dimissioni del prefetto De Gennaro, Gianni per gli ‘amici’ e dunque per noi Giovanni, già capo della polizia ai tempi del famigerato G-8 genovese, planato con tonfa e bagagli ad integrare la ricca pensione, in virtù di non meglio specificate competenze, alla presidenza di Finmeccanica: il buen ritiro preferito da ogni superburocrate con le stellette.
jobs-act-tuteleMatteo Renzi si è subito preoccupato di tutelare gli azionisti della società, che con ogni evidenza vengono prima dei diritti della cittadinanza e del rispetto delle norme fondamentali della Costituzione.
Massimo Mucchetti Massimo Mucchetti, senatore, economista e giornalista (secondo la concentrazioni classiche di ruoli che inficiano autonomia e giudizio), in un arzigogolato editoriale ci fa sapere che una eventuale “responsabilità oggettiva” del prefetto Giovanni De Gennaro nella carneficina della Scuola Diaz, e delle torture nella caserma di Bolzaneto, esclude un suo coinvolgimento soggettivo e dunque non implica alcuna condanna morale. Perciò, “benissimo” ha fatto il premier a riconfermare tutta la sua fiducia al nostro eroe gallonato, per il rispetto dovuto agli azionisti di una società quotata (sic!) giacché certe inchieste minano la stabilità e la concentrazione sul business. E non sia mai!
Raffaele CantoneNello stesso ambito, ma sul fronte giudiziario, Raffaele Cantone, la foglia di fico buona per tutti gli appalti, si è premurato di informarci come De Gennaro sia stato assolto in Cassazione. E peccato soltanto il reato è stato in realtà prescritto e che i collaboratori del prefetto siano stati condannati per falsa testimonianza a favore del prefetto De Gennaro, naturalmente a sua insaputa.
Giovanni De GennaroSfugge al super-magistrato diventato ormai organico alla politica (o meglio dire al “renzismo”), quali siano le responsabilità che la direzione generale del Dipartimento di PS implica, in virtù del ruolo. “Responsabilità” che, oltre a non essere ottemperate, sono state sistematicamente eluse in fase di L.A. Confidantialistruttoria processuale, con una serie di reticenze, coperture e manipolazioni, degne più di una cosca mafiosa che di una istituzione preposta all’applicazione delle legge, con funzionari di polizia che agiscono come gli sbirri incanagliti di un romanzo di Ellroy, sotto una cupola di omertà.
Abu GhraibIn proposito, solo gli Stati Uniti sono riusciti a far di meglio, istituzionalizzando la tortura a pratica scientifica (la chiamano scienza della carcerazione), magari codificata in appositi manuali d’uso (Human Resource Exploitation), e convogliando le pulsioni fasciste in un substrato ideologico dominante, che raggiunge vette inarrivabili in quello che è lo sport più praticato a livello nazionale, specialmente se si indossa una divisa: “kill the nigga!” (ammazza il negraccio).
Kill the niggerDavvero l’elezione di un presidente ‘negro’ deve aver sconvolto Solo un negrol’America bianca e bigotta, tanto lo spauracchio nero ha agitato i fantasmi oscuri della più profonda provincia americana, persa nelle sue mistiche ossessioni a mano armata.
Sniper-Jesus-50-Caliber-Barrett-RifleLa tortura funziona esattamente come il fascismo e ne ripercorre le stesse modalità d’uso: esiste, è diffusa e praticata con costanza più o meno intensa, ma non si dice e soprattutto non viene mai chiamata col suo nome.
Abu Ghraib (1)La tortura è sempre stata ampiamente tollerata e gode di estimatori (in)sospettabili ad ogni livello ‘istituzionale’, soprattutto tra i servi dello stato, che sul ricorso alla modalità de tormentis hanno costruito intere carriere poliziesche.
La differenzaAl massimo la si può biasimare blandamente a posteriori, nelle ricorrenze ufficiali, per mero conformismo che poi gli altri convitati internazionali ci guardano storto, ma senza mai troppa convinzione. A molti italiani, la tortura come idea oblivionastratta, come fantasia malata da condividere nei crocicchi da bar, in fondo piace. Perché stimola le perversioni sadiche dai richiami erotici di ogni citrullo di provincia, che sogna punizioni esemplari e vendette epiche nel fondo malato della sua anima nerissima. Perché ogni imbecille con un fucile si sente un giustiziere. E basta accarezzare una pistola, per fare di uno psicopatico fallito il vendicatore solitario di cause perse in tribunale.

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(68) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , , , , , , , on 1 novembre 2014 by Sendivogius

Classifica OTTOBRE 2014”

A.C.A.B  Esiste un Paese, bello e terribile, dove i capi di governo sono sempre troppo impegnati a fotografare le loro porcine facce di tolla, serializzate in autoscatti compulsivi, per occuparsi di altro che non sia la propria immagine riflessa. I ministri compongono pensierini elementari a caratteri limitati, per poter condensare le amenità di menti vuote nel trillo di un cinguettio.
Gangsters, padrini e papi, vengono candidati in parlamento e, all’occorrenza, sono eletti senatori. Se decadono per indegnità morale, al limite si fa loro riscrivere la Costituzione della Repubblica per interposta persona, mentre detenuti comuni vengono suicidati nelle loro celle in attesa di giudizio ed uno Stefano Cucchi muore di freddo, accudito al caldo di una confortevole infermeria. Lo stabilisce un tribunale, ma il problema su come il ‘detenuto’ Cucchi sia morto rimane: chi è Stato? Un Paese dove “se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze” (!). È la promessa, e la minaccia, del Sindacato Autonomo di Polizia che con la Sturm-Abteilung Polizei di Hitler non condivide solo le iniziali della sigla.
C’è un Paese, schifoso ed infame, dove troppi si nascondono dietro ad un distintivo, scambiando autorità per impunità, al servizio di uno Stato servile coi potenti e spietato coi deboli. Un Paese fascista e miserabile, dove squadristi in divisa massacrano a manganellate coloro che difendono il proprio posto di lavoro, reclamando rispetto e dignità. Ma il ministro degli Interni assicura che per questo non verranno denunciati (gli operai, mica i celerini che li bastonano a sangue).
È il Paese, demenziale e cretino, dove il principale partito di opposizione si occupa di scie chimiche e cospirazioni rettiliane.
Tutte insieme costituiscono le visioni diafane che si muovono all’ombra del mondo virtuale del Cazzaro 2.0…

“Sotto il Cazzaro niente”
di Alessandra Daniele
(19/10/2014)

Bullshit_Detector«Fango. Macerie. Gente incazzata. Genova in questi giorni non è certo il genere di scenario nel quale a Renzi piaccia essere fotografato. Perciò se n’è tenuto alla larga il più possibile.
Il neopremier ha bisogno di fondali glamour, luccicanti, patinati, da spot. Eleganti vertici internazionali fra stucchi dorati e bandiere multicolori. Bagni di folla festante in assolate piazze turistiche. Talk show USA. Varietà Mediaset.
Matteo Renzi è solo immagine, un’immagine talmente vuota da prendere il colore dello sfondo sul quale viene proiettata. Come la cravatta di Felice Caccamo. Anche tutta la sua presunta personalità è un’illusione ottica, una ribollita di caratteristiche altrui: la fuffa di Veltroni, l’arroganza di Craxi, la doppiezza di D’Alema, la megalomania truffaldina di Berlusconi.
Il presunto uomo nuovo, ultima risorsa della classe dirigente italiana, è in realtà un pupazzo fatto coi calzini vecchi dei suoi peggiori predecessori. Riverniciato da conduttore Mediaset, e caricato a slogan.
“Il lavoro non è un diritto, è un dovere” ha detto commentando il Jobs Act, come al solito in maniche di camicia da figlio di papà sempre in vacanza. Sarà la magistratura a stabilire se il padre di Renzi sia davvero colpevole di bancarotta fraudolenta, sul piano della politica invece la bancarotta fraudoferma del figlio è ormai evidente: dietro la cortina di retorica decisionista, sotto lo zang tumb tumb retrofuturista della velocità simulata, questo parlamento, questo governo sono in realtà i più inutili e improduttivi della storia della repubblica.
L’elezione dei giudici della Consulta è al ventesimo tentativo fallito. Tutti i candidati sono stati bruciati, ormai si vota per spregio, Pietro Grasso come Peppa Pig.
E il fatto che siano irrealizzate e perlopiù irrealizzabili è la cosa migliore che si possa dire delle annunciate Riforme Strutturali.
Anche il famigerato Jobs Act finora non è che una delega in bianco. Un assegno a vuoto, come la cazzata della settimana: il promesso taglio delle tasse che dovrebbe favorire le imprese a spese delle regioni, in particolare della sanità, e che finirà per produrre l’ennesima raffica di rincari, sempre che non venga bocciato dai nostri tutori europei, che hanno ancora l’ultima parola sull’argomento, esattamente come per i precedenti governi Monti e Letta.
La cazzata della settimana prossima è il reboot del berlusconiano Bonus Bebè.
Se non altro i tagli alla sanità sarebbero una risposta ottimistica all’allarme Ebola.
In effetti non è tanto dell’eventuale pandemia di Ebola che dovremmo preoccuparci, quanto dell’evidente epidemia d’encefalite spongiforme già in corso in Italia. L’unica cosa in grado di spiegare perché apparentemente così tanti italiani credano ancora alle cazzate di Renzi

  Hit Parade del mese:

01 - Coglione del mese01. RENOVATIO

[27 Ott.] «Sapete perché io non vi rispondo? Non perché non voglio rispondere alle vostre domande, si risponde a tutto. Ma perché secondo me questo non è un giornalismo di rinnovamento.»
(Marianna Madia, Nostra Madonna del Rinnovamento)

02 - Paguro ligure02. LA MAFIA BUONA (CERTIFICATA 5 STELLE)

[26 Ott.] «La mafia è stata corrotta dalla finanza, prima aveva una sua condotta morale. Non metteva bombe nei musei, non uccideva i bambini nell’acido.»
  (Beppe Grillo, il Padrino del MoVimento)

LORENZO CROCE03. LE FAVOLE DELL’AIDAA

[28 Ott.] «Chiediamo a tutti i genitori di non leggere più ai propri figli la fiaba di cappuccetto rosso, alle biblioteche di ritirarla dagli scaffali ed alle case editrici di smettere di pubblicare quell’orribile inno all’odio contro gli animali e a favore dei cacciatori assassini di animali.»
  (Lorenzo Croce, l’Animalaro)

Presidente operaio04. CAPOLINEA ALLA LEOPOLDA (I)

[25 Ott.] «Dalla Leopolda l’Italia che lavora»
  (Matteo Renzi, il Premier operaio)

renzi04.bis CAPOLINEA ALLA LEOPOLDA (II): Libertà a posti prenotati

[25 Ott.] «Questo è uno spazio di libertà non un partito»
  (Matteo Renzi, Segretario di partito)

ADESSO04.ter CAPOLINEA ALLA LEOPOLDA (III): Padroni per caso

[25 Ott.] «Se siamo al governo non è per occupare una sedia o scaldare il posto e consolidare noi stessi»
  (Matteo Renzi, il Disinteressato)

matteo-renzi04.quater CAPOLINEA ALLA LEOPOLDA (IV): grandi battaglie

[25 Ott.] «Siamo ai primi posti di Trending Topics con l’hashtag #Leopolda5, dobbiamo battere Matteo Salvini. Chiedo a tutti uno sforzo: diamoci sotto con gli hashtag!»
  (Matteo Renzi, Twittatore professionista)

nicodemo04.quinter CAPOLINEA ALLA LEOPOLDA (V): Giochi spastici per bambini…

[27 Ott.] «Una delle cose più divertenti della Leopolda è incontrare delle persone e salutarle così: ‘Oh, sei tu la fotina su Twitter!»
  (Francesco Nicodemo, più cresce e più diventa scemo)

faccia da cazzo05. I CAIMANI DELLE CAYMAN

[26 Ott.] «Chi per qualsiasi motivo non riesce a pagare il mutuo, perché gli è andata male… gli italiani son furbi, in tre anni ti organizzi… alla peggio vai da un amico… cioè, no? La famiglia»
  (Davide Serra, il Compagno)

angelino06. IL LICENZIAMENTO VI RENDERÀ LIBERI

[25 Ott.] «La CGIL difende il passato, mentre noi vogliamo costruire il futuro per i nostri ragazzi e tutti quei giovani che non ne hanno uno»
  (Angelino Alfano, il Kazako)

Bepp-Hur detto Er Biga07. GEOMETRIE VARIABILI

[11 Ott.] « Oltre 100 mila persone si sono raccolte nell’area davanti al palco centrale ma, calcolando il flusso nell’intera giornata possiamo dire che si sono registrate in totale 500 mila presenze»
  (Beppe Grillo, la Star)

KKK wants you08. NAZISTI DELLA PADANIA

[21 Ott.] «Chi è bianco deve stare coi bianchi, chi è nero con i neri. Mi sembra doveroso. Le razze sono state fatte dal buon Dio. Il meticciato è una puttanata. Non bisogna infrangere quello che ha fatto il Padreterno. La razza umana serve per distinguerla dalle bestie»
  (Mario Borghezio, la Bestia)

images09. POMODORI FRITTI ALLA FERMATA DEL TRENO

[23 Ott.] «Lager in Corea del Nord? Tutte cazzate. Si sono sbagliati, ci sono un sacco di terre di pomodori e frutta tutti coperti. Si sono confusi con le serre, e dall’alto hanno pensato fossero lager. Io in Corea ci sono stato sette volte, l’ho girata da Nord a sud e non ho mai visto un lager. I campi di rieducazione? Questo può essere, mi sembra anche giusto. Se uno fa qualcosa ha la possibilità di lavorare e produrre per il paese. Ci vorrebbero anche in Italia»
  (Antonio Razzi, il Coreano)

Mila10. MITI FORMATIVI

[08 Ott.] «Dal Mila e Shiro in giù, la nostra generazione è cresciuta con i sogni della pallavolo»
  (Matteo Renzi, l’Otaku)

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Nipoti d’Egitto

Posted in Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , , on 19 luglio 2014 by Sendivogius

Walk like an egyptian

Felicitazioni vivissime per l’Utilizzatore finale, che è stato assolto dall’accusa di “concussione” e favoreggiamento della prostituzione minorile, perché il fatto non costituisce reato.
Dopo tanto patire, finalmente le ‘Laide Intese’ portano i primi risultati concreti, coi loro frutti maturati tra le fronde del ‘Partito Unico’ all’ombra del Colle…
Con lungimirante sensibilità, la Corte di Appello milanese coglie il senso del delicato momento ‘storico’ e implicitamente fa propria l’opportunità di non disturbare la “pacificazione” in corso (sia mai!). Adesso, la grande stagione riformista può continuare col contributo fondamentale del vecchio sporcaccione, nuovamente eretto nel suo turgore di ‘statista’.
Tutto è bene quel che finisce bene.
Che la sentenza di condanna fosse tutt’altro che ineccepibile e presentasse non poche crepe, dove far leva per smontare l’impianto accusatorio, era cosa abbastanza intuibile per chiunque mastichi qualche nozione elementare di giurisprudenza…
The MummyE se ci siamo arrivati noi a capirlo, è ovvio che un qualunque avvocato degno di questo nome (Franco Coppi) ci avrebbe costruito sopra l’intera strategia difensiva, tutelando il proprio assistito nel processo e non dal processo, al contrario dei due strafottenti e strapagati azzeccagarbugli (Ghedini-Longo), che il don Rodrigo di Arcore ha scagliato come kamikaze nelle procure, durante la sua personale jihad contro la magistratura, ricavandone più danni che vantaggi.
girlLa sentenza di condanna era già viziata all’origine, con una serie di errori che ne indebolivano l’impianto strutturale, a partire dallo stralcio della posizione giudiziaria, circa il comportamento addotto dai funzionari della Questura e l’anomalia nelle procedure di rilascio di Ruby Rubacuori.
Tutte le chiacchiere sulle modifiche apportate dalla c.d. Legge Severino al reato di “concussione” sono invece fuorvianti ed enfatizzano un problema che in realtà non sussiste. La normativa riformata incide infatti sulla determinazione delle pene e non sulla fattispecie di reato, che nella sostanza resta invariato o quasi. Basta leggersi il vecchio articolo del codice penale sul reato di “concussione”, prima dello spacchettamento:

Art.318 c.p.

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.”

Poi certo lo zelo dimostrato dalla Corte d’Appello nello smontare la sentenza di condanna ha qualcosa di provvidenziale…
Di fatto, il tribunale del riesame ‘cassa’ la condanna emessa in primo grado; la demolisce punto per punto e costruisce un proscioglimento inappuntabile per il giudizio definitivo della Cassazione, agendo come se fosse una sua copia.
Non ravvisa alcuna correlazione con altre fattispecie di reato, né mai ne cerca.
Nell’ambito della presunta “concussione” dei questurini, non intravede la costrizione, ma in assenza di riscontri probatori che attestino un qualche tipo di “utilità”, si affretta a scartare anche l’induzione escludendo a prescindere ogni sudditanza gerarchica o condizionamento psicologico. Sorvoliamo come per l’occasione i funzionari della questura milanese si siano comportati alla stregua un Bargello medioevale e la sua sbirraglia al cospetto del signorotto di turno, compiacendo le pretese del potente con servile accondiscendenza. E del resto la Procura non ha trovato nulla di penalmente rilevante in simili comportamenti, degni più di un’autocrazia sudamericana che di un paese democratico. D’altronde, ci sentiamo di escludere noi stessi qualunque forma di ‘induzione’: quella che qualcuno ha definito “polizia cilena”, la sua utilità l’ha già ottenuta con largo anticipo, ai tempi dell’orgia di sangue durante il mattatoio genovese, condividendo con il Pornocrate la medesima presunzione di impunità per sua stessa e ‘graziosa’ concessione. Certe complicità, gli riescono al naturale per corresponsione di amorosi sensi.

Pula in Italia

Ma la Corte d’Appello non coglie neppure l’incongruenza di un presidente del consiglio che telefona in Questura, millantando le improbabili parentele di una ragazzina di strada (peraltro già segnalata ai servizi sociali e debitamente inserita nei database della polizia). Non gli sovviene minimamente che possano ravvisarsi gli estremi del “falso ideologico”. Meno che mai sorge nei magistrati giudicanti il dubbio, e dunque la confutazione, che l’iper-attivismo dell’accoppiata Longo-Ghedini nel produrre certificati, e imboccare testimonianze che attestino la maggior età della nipote d’Egitto, presuppongano la consapevolezza da parte del papi, ovvero “l’utilizzatore finale”, di essersi comprato le attenzioni (sessuali) di una minorenne.
pinterest In quanto ai rapporti mercenari intrattenuti con una prostituta non ancora maggiorenne, entrambe le parti coinvolte hanno sempre negato, e dunque perché mai mettere in dubbio la parola dell’imputato adducendo un eventuale supplemento di prova, visto che in caso di ammissione si rischierebbe l’arresto per il reato di “prostituzione minorile”? Per il tribunale del riesame la cosa costituisce una questione assolutamente privata. Dunque perché occuparsene?!? Sia mai che ci scappi la conferma del reato, ‘consumato’ (nel senso stretto del termine) più che presunto.
In effetti, sette anni di reclusione per una scopata a pagamento erano decisamente troppi anche per “papi Silvio Berluscone”: così era registrato in rubrica dalle sue voraci ospiti alle “cene eleganti”. Semmai la Corte d’Appello avrebbe dovuto ravvisare gli estremi di un’estorsione ai danni del ritrovato Uomo della Provvidenza, tanto amato dalla Curia vaticana e dalle prostitute di mezzo mondo… Pagare 5.000 euro per una marchetta è un furto! Con molto meno, e ancor minori complicazioni, il Pompetta Pazza poteva infatti cavarsi lo sfizio, percorrendo i marciapiedi di un qualsiasi vialone di periferia, invece di farsi spedire a domicilio, per esempio, mandrie di troioni da asporto reclutati negli angiporti di Bari.
Implicitamente, per un processo che verrà ricordato soprattutto per i neo-logismi coniati dall’inventivo avvocato-deputato Ghedini, i togati della Corte d’Appello di Milano attestano che Ruby è la nipote marocchina dell’ex dittatore dell’Egitto (evidentemente a sua insaputa); che è ordinaria pratica diplomatica per un premier ospitare in casa propria e trombarsi le nipoti dei presidenti stranieri, promettendo come regalo l’acquisto di un depilatore laser “affinché non si prostituiscano più” (con altri):

«Ho pagato Ruby perché non si prostituisse. L’ho aiutata e le ho dato perfino la chance di entrare con una sua amica in un centro estetico. Doveva fornire un laser antidepilatorio. Costava, se ricordo bene, 45 mila euro anche se Ruby dice che gli euro erano 60 mila. Così ho dato l’incarico di darle questi soldi per sottrarla a qualunque necessità, per non costringerla alla prostituzione, ma per portarla nelle direzione contraria»

S.Berlusconi
(11/05/2011)

Indubbiamente, è un modo molto originale di rivoluzionare i rapporti di politica internazionale, gestiti più che mai col ‘cazzo’, nel senso più prosaico e coi risultati che si possono ben vedere circa il proverbiale prestigio dell’Italia all’estero.
Asian girlProvate voi a telefonare in Questura per informare i poliziotti che hanno appena arrestato la vostra “massaggiatrice” thailandese preferita, che in realtà si tratta della figlia dell’imperatore della Cina e che per evitare un incidente diplomatico avete inviato la vostra igienista dentale, ancorché fatta eleggere consigliere regionale (e che grazie alla “riforma” Renzi potrà presto essere nominata ‘senatore della Repubblica’), a ritirare l’illustre principessa in incognito per poi scaricarla subito a casa di un’altra prostituta brasiliana che voi non conoscete assolutamente ma che, chissà perché, ha il vostro numero riservato di cellulare.
LA SALMAPapponi di tutto il mondo unitevi! Il papi è vivo e lotta insieme a voi!

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L’ORA FATALE

Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 dicembre 2013 by Sendivogius

Nel villaggio di Borgocitrullo, quando le cose vanno male, uno dei modi più sicuri per tirar su quattrini è travestirsi da santone o da tribuno (meglio se tutti e due insieme!) e proclamare il carnevale permanente per poter giocare al piccolo rivoluzionario, abbuffandosi della parola “popolo” con cui ci si riempie la bocca sputazzandone in giro gli avanzi.
La farsa di solito continua finché, a forza di evocarle le rivoluzioni, va a finire che qualcuno ci crede davvero e pensa di inscenare la propria fracassona sceneggiata, nel grande pascolo delle intelligenze bovine dove gli imbecilli abbondano, copiosi come la vacca perennemente gravida che li genera.
Capita così che in un eccesso di riflussi per sovraccarico fecale, saltino via tutti i tombini che comprimevano la glassa marronata di un paese allo sbando, che proprio non riesce ad elevarsi oltre il livello della propria cintola. Da sempre, nei momenti di crisi, l’Italia dà scioltamente corpo alla sua parte peggiore, in tutte le sfumature possibili del marrone…
Evidentemente, nel paese più destrorso d’Europa, che vanta il più alto numero di formazioni istituzionalizzate e partitini, con richiami più o meno espliciti all’eredità mussoliniana, e che occupano la quasi totalità dell’arco parlamentare, non bastava la destra “nazional-popolare” dei nostalgici Tilgher e Storace, del fascismo vasciaiolo delle pasionarie nere; la destra manesca ma tanto ‘virile’ dei Fratelli d’Italia; la destra etnica e razzista della Lega; la destra plebiscitaria e peronista dei papiminkia, insieme a quella post-berlusconiana e governativa di Alfano coi suoi cacicchi in disgrazia; la destra dorotea su innesto moroteo di Enrico Letta e della vecchia nomenklatura DS-DL, confluita nel PD; la destra furbastra e vetero-democristiana di Casini; la destra tecnocratica e padronale di Monti; la destra messianica e fanatizzata di Grillo…
Evidentemente, quello che offriva l’attuale panorama politico per alcuni non era ancora abbastanza populista, anti-europeista, “identitario”, reazionario, squadrista e soprattutto fascista, in una grande maratona del neo-nazismo di ritorno. È il Nazithon tutto italiano!
NazithonCi mancavano davvero gli eredi dei “guerrieri senza sonno”, i nipoti dei “Figli del Sole”: i catto-integralisti del misticismo evoliano, scampoli di “Terza Posizione” confluiti tra i raminghi di “Casa Pound” e “Forza Nuova”. Ma ancora più a destra abbiamo pure i neo-nazisti dell’Unione per il socialismo nazionale, le larve ordinoviste del Circolo Clemente Graziani, e perfino i redivivi rexisti del “Cristo Re”. A questi vanno aggiunti il movimentismo neo-völkisch della “Lega della Terra” (in pratica, la rinascita della Lega degli Artamani ad opera di Forza Nuova) ed i Comitati Agricoli Riuniti (con la sua costola “Dignità sociale”) degli agricoltori dell’Agro Pontino sotto il comando di Danilo Calvani, che pone tra le sue rivendicazioni l’instaurazione di una giunta ken-le-survivantmilitare, previo scioglimento del Parlamento e rimozione del Presidente della Repubblica, ovviamente sostituito da un generale con poteri assoluti. Non per niente, per l’inizio della protesta è stato scelto l’8 Dicembre in ricordo del Golpe dell’Immacolata, ad opera di Junio Valerio Borghese, il principe nero, nel 1970.
Ci mancava soprattutto l’ennesimo rigurgito del ribellismo siciliano e secessionismo isolano del sedicente Movimento dei Forconi: appendice neo-fascista del sottopotere mafioso e protestarismo qualunquista. Ma ci sono anche i neo-borbonici nostalgici dell’illuminato e sviluppato Regno delle Due Sicilie, ispirati dalla mitologia e dal meridionalismo Medioevopiagnone di Pino Aprile e dei suoi “Terroni”. Né manca la santa alleanza col clericalismo sanfedista dei vari gruppuscoli dell’integralismo cattolico, oltre ai vari comitati no-euro, i complottisti ed i mattoidi fissati col signoraggio bancario. Insomma, tutta la fauna che solitamente affolla le stalle dei vari Formigli-Santoro-Paragone.
Ci mancavano come non mai gli spurghi poujadisti dei truffatori del fisco: i padroncini del triveneto ed i furbetti delle quote latte. In una scarica diarroica che pare inarrestabile, ritornano a galla vecchi coproliti come Lucio Chiavegato della LIFE veneta (Liberi imprenditori federalisti europei), il fozanovista ex craxiano Martino Morsello ed il suo camerata Mariano Ferro (Forconi Siciliani), tutti uniti in nome del secessionismo e dell’evasione fiscale.

They're coming soon

Ed è con questi bei tomi che le sedicenti “Forze dell’Ordine” si sono sentite in dovere di solidarizzare.
IRON SKY (Locandina)Dopo aver a lungo evocato l’insurrezione, usando il giocattolo ‘movimentista’, per non essere scavalcato nonostante la sua deriva a destra, Beppe Grillo (ormai in ottima compagnia col suo nuovo amico di Arcore) si è messo ad inseguire la protesta di forconi & affini, cercando di apporre il suo logo su una simile schiuma montante. E nel farlo non trova niente di meglio che lanciare pubblici appelli ai comandanti delle forze armate:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate!
Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili…. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue stati.
[…] L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.”

MussoliniAh no! Scusate. Abbiamo confuso i discorsi. Questa era la dichiarazione di guerra del duce, il 10/06/1940.

Lettera aperta a Leonardo Gallitelli, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato e Claudio Graziano, Capo di stato maggiore dell’Esercito italiano.

“Mi rivolgo a voi che avete la responsabilità della sicurezza del Paese. Questo è un appello per l’Italia. Il momento storico che stiamo vivendo è molto pericoloso. Le istituzioni sono delegittimate. La legge elettorale è stata considerata incostituzionale. Parlamento, Governo e Presidente della Repubblica stanno svolgendo arbitrariamente le loro funzioni. E’ indifferente che qualche costituzionalista, qualche giornalista, qualche politico affermi il contrario, questi sono i fatti, questo è il comune sentire della nazione.”

Beppe Grillo saluta le sue camicie nere - La solita vecchia merdaE siccome questo sarebbe il “comune sentire della nazione”, tutto il resto (Costituzione, Diritto, Leggi) non conta.
Anatole France, in circostanze del genere, anche se in questo caso gli idioti difficilmente superano i centomila, ebbe a dire…
Anatole FranceI proclami del Grullo a cinque stelle non sono nuovi agli appelli eversivi. Certo, invocare il Colpo di Stato supera di gran lunga la cialtronaggine già fuori competizione di questo avanzo acido di cabaret. Stupisce il continuo richiamarsi ai militari ed alle “forze di polizia”, che fanno molto atmosfera da caudillo sudamericano, che ricordano di molto i pronuciamientos delle giunte militari argentine…
Argentina - Junta militar de VidelaO meglio ancora l’appello alle “forze sane della nazione”, con la richiesta rivolta ai generali cileni di prendere il potere. Golpe de Estato peraltro propiziato dalle caceroladas, dallo sciopero degli autotrasportatori, ed il blocco delle derrate. Si sa poi come è andata a finire…

Il Cile di Pinochet

Qui abbiamo solo un lestofante dimissionato che insegue l’impunità e soprattutto un pericoloso ciarlatano che gioca al massimo sfascio e si diverte ad appiccare o alimentare incendi un po’ dovunque, tanto per vedere l’effetto che fa, senza curarsi troppo delle conseguenze, e godersi lo spettacolo dal balcone delle sue ville sulla riviera ligure.

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Colpirne 1.000 per educarne uno

Posted in Ossessioni Securitarie, Roma mon amour with tags , , , , , , , , , , , on 17 novembre 2012 by Sendivogius

 Roma, 14/11/2012. Finalmente, il nuovo questore di Roma, il dott. Fulvio Della Rocca, subentrato al ben più mite e fin troppo pragmatico prefetto Francesco Tagliente, ci ha dato un mirabile saggio su come vadano rieducati i ‘sovversivi’ alla disciplina del bastone, in nome dell’eterna Legge del Padrone, col plauso unanime degli organi istituzionali.
In merito alla tonnara organizzata per il manganellamento collettivo tra il Lungotevere dei Vallati e Ponte Sisto, dinanzi a qualche rimostranza isolata, Anna Maria Cancellieri, la ministra tecnica di polizia, ha tenuto a precisare che “le foto vanno viste tutte”…

«Una foto è spesso l´effetto finale di qualcosa che magari si è svolto prima»

Salvo poi rettificare che alcuni “eccessi” vanno comunque sanzionati. Evidentemente, col senno di poi, deve aver notato che la correlazione di certi ‘effetti’ non è sempre proporzionata alle ‘cause’…
Quantomeno, lo sfoglio delle sequenze deve aver sollevato qualche dubbio nell’imperturbabile ministro, sull’irreprensibilità di certi comportamenti non esattamente professionali. 
Per qualcuno, “gestione dell’ordine pubblico” infatti vuol dire: immobilizzare dei ragazzini, menare manganellate ad libitum in pieno viso, tenendo ferme le braccia per meglio lasciare il ‘segno’ ed essere così sicuri che il malcapitato di turno non possa proteggersi la faccia; utilizzare le finestre del Ministero della Giustizia come una postazione di tiro contro la folla in fuga; cogliere l’occasione per bastonare perfino gli innocui ambulanti cingalesi sul Lungotevere, tanto non gli pareva vero di poter menare i “negri”. Soprattutto, fendere colpi alle spalle, mirando sistematicamente alla nuca ed al collo….
Naturalmente, la quasi totalità delle responsabilità è dei manifestanti e dei soliti gruppi di ‘facinorosi’, ovviamente ‘infiltrati’, che destabilizzerebbero la pacifica transumanza autorizzata, tra i cordoni blindati di contenimento di una protesta addomesticata, e opportunamente sterilizzata nei recinti di una democrazia sempre più formale, a vantaggio di una finzione condivisa. E chissà perché in un paese avvitato in una spirale recessiva senza precedenti, dove la disoccupazione giovanile è endemica, il malessere sociale non ha più alcun diritto di cittadinanza né di rappresentanza, in cui un direttorio tecnocratico di non-eletti governa unicamente per decreto-legge, con un parlamento di nominati plurinquisiti nel quale non esiste alcuna forma di opposizione, dove ogni provvedimento è rimesso alle regole ferree del fiscal compact e l’agenda di governo si detta a Berlino, le proteste (in assenza di qualsivoglia interlocutore) assumano forme sempre più ‘violente’ in reazione all’unica risposta certa che “Istituzioni” e “Governo” sanno dare: più botte per tutti.
 Immaginando che non tutti abbiano metabolizzato il massacro genovese del 2011, la ministra ha anche invitato a storicizzare le repressioni selvagge di 11 anni fa.
Premesso che la rabbia costante che sta sfilacciando il tessuto sociale e infiammando le “giovani generazioni”, che si vorrebbero lobotomizzate nella docile attesa della crescita che verrà (Aspettando Godot), ha origini molto più recenti, in massima parte riconducibili alle attuali politiche monetariste del Governo Monti ed agli scempi di una politica sempre più sclerotizzata nell’auto-conservazione, nei cui confronti il sentimento prevalente è lo SCHIFO, ci sarebbe da dire che la percezione dei tutori del (dis)ordine sarebbe diversa se qualcosa nell’ultimo decennio fosse davvero cambiata…
Rispetto al G-8 del 2011, in sintesi, dopo la grande macelleria messicana, si può notare che gli abusi e le violenze poliziesche sono aumentate, nella reiterata impunità e nella sostanziale indifferenza degli organi di vigilanza democratica, quasi per assuefazione al peggio. O per mero opportunismo elettorale (bisogna conquistare il voto ‘moderato’).
Nonostante le condanne, nessuno dei funzionari coinvolti (e condannati) per le violenze genovesi è stato rimosso.
E peccato che tra i celerini degli interventi odierni, ci siano tutt’ora in servizio gli stessi responsabili degli ‘abusi’ di 11 anni fa. Non per niente tra le unità più zelanti nel massacro alla scuola Diaz c’era il reparto mobile della Questura romana, che infatti non ha perso occasione per smentirsi un paio di giorni fa, contro gli studenti romani.
 Si aspettano con pazienza i famosi chiarimenti del Capo della Polizia, Antonio Manganelli (nomen omen), nonostante la sua promessa solenne [QUI]. Noi abbiamo buona memoria.
Rispetto al 2011, comunque qualche cambiamento indubbiamente c’è stato…
Sono spariti dalla circolazione i famigerati “tonfa”, branditi come martelli.
Gli operatori di PS nei loro forum di discussione pubblica si sono fatti più prudenti, evitando di rivendicare dinanzi a lettori indiscreti l’appartenenza a fratellanze in armi, lezioni ai rossi, ed il solito campionario di amenità machiste da guerriero metropolitano, come avveniva sino a qualche tempo fa.
La qualità della ‘moderazione’ è notevolmente migliorata, così come quella degli interventi. Forse è persino aumentata la “sensibilità democratica” degli operanti. Ad ogni modo, sembrerebbe che la pressione degli ultimi mesi abbia ingenerato una tensione psicologica altrettanto forte.
Come avviene in tutte le istituzioni totali, c’è uno scollamento persistente tra la realtà percepita e quella effettiva, nell’ingigantimento costante delle minacce vere o presunte, con una certa tendenza a drammatizzare gli eventi dei quali ci si reputa vittima ed a minimizzare tutto il resto, in una logica di appartenenza sostanzialmente autoassolutoria, ma funzionale al rafforzamento della coesione interna del gruppo ed allo spirito di corpo.
Negli interventi leggibili on line, prevale la diffidenza endemica, ma completamente de-ideologizzata, nei confronti del ‘manifestante’, che il “celerino” fatica a capire e le cui ragioni gli restano in massima parte oscure, nella reciproca incomprensione. Manifestare è un diritto (lo recitano come una poesia imparata a forza), ma chi protesta lo fa a suo rischio e pericolo. Se si rimanesse a casa, sarebbe molto meglio. E comunque non ci si presenta alle manifestazioni con il casco ed il volto protetto, confidando nell’anonimato durante gli scontri. Proprio come fanno questi signori in tenuta blu, che ci tengono molto alla loro irriconoscibilità…

Molti si credono non tutori, ma incarnazione stessa della “Legge”.
L’uso proporzionato della forza è praticamente sconosciuto: chiunque mi si pari contro è un nemico da neutralizzare, il placcaggio diventa pestaggio, la durezza degli interventi è giustificata dalla concitazione degli scontri e dall’impossibilità di poter prevedere l’entità della minaccia. Non manca un certo spirito di rivalsa: se mi sfidi io ti distruggo. E ci si chiede chissà perché mai molti ragazzi alle manifestazioni indossino ormai il casco del motorino…
Ogni operazione di OP (ordine pubblico) viene concepita come una battaglia campale, come una sfida per la sopravvivenza. E pone seri interrogativi sulla formazione professionale, la capacità di controllo e la disciplina di interi reparti che evidentemente sono convinti di essere in guerra.
La terribile testuggine di gomma (foto Sole24h)La distorsione della minaccia presunta è tale ed esasperata a tal punto, che un gruppo di sedicenni viene percepito come un’orda di guerrieri barbarici assetati di sangue, pronti a sterminare gli eroici legionari a difesa del vallo. Lo scoppio di un petardo viene descritto come la salva di un mortaio da 88 mm. Una barriera improvvisata di scudi di polistirolo e cartone pressato diventa una intollerabile provocazione, una testuggine da guerra contro la quale ordinare l’assalto, onde sventare la terribile minaccia.
Nugoli di ragazzini, con l’imponenza fisica e la massa muscolare che può avere un 15enne, diventano nemici da braccare e abbattere in gruppo, ovviamente per preservare la propria incolumità personale. Le ragazze non fanno eccezione; in quanto partecipanti sono “colpevoli” o, nella migliore delle ipotesi, costituiscono incidenti di percorso:

Diluita l’adrenalina, nella maggior parte delle dichiarazioni prevale “la Sindrome di Calimero”: ce l’hanno tutti con noi, nessuno ci capisce, siamo sottorappresentati…
E se qualche errore di valutazione c’è stato, be’… a forzare la metafora, è un po’ come la vecchia storiella di quella che lo stupro se l’è cercato perché girava si sera con la minigonna… 

“Nessuno di voi ha mai preso uno schiaffo dai propri genitori senza averne colpa? Sono probabilità: se vai a 200 forse intruppi, perdi il controllo della vettura. Se vai a manifestare forse ti prendi una manganellata”

“Se uno non vuole trovarsi in situazioni del genere fa in modo di evitarlo”

..Sono le sofisticate valutazioni tecniche, che alcuni operanti di PS si sono sentiti in dovere di esternare sui forum dedicati, quando a volte basterebbe sussurrare semplicemente la parola proibita: “SCUSA”.

In fondo, a ben vedere, è tutta una questione di Rispetto.
E il rispetto non è un atto dovuto verso la ‘divisa’ o il ‘grado’. Il rispetto è qualcosa che si deve alla persona, per quello che fa e per ciò che è. E come tale va conquistato.
È sempre più difficile averne per chi bastona studenti e ragazzi, che rivendicano il loro diritto ad avere un futuro, ed ai quali viene finanche negata la speranza. E lo fa indiscriminatamente, senza troppe eccezioni, perché quando non si ha nulla anche l’indignazione è un lusso. Ed ha bisogno di un permesso di polizia, giacché la rassegnazione si insegna attraverso la sottomissione; in questo, il manganello è un ottimo maestro. 
È difficile portare rispetto per chi carica i disoccupati che protestano contro chi li ha licenziati, fuggendo via con la cassa dell’azienda messa in liquidazione.
È difficile rispettare chi manganella i minatori del Sulcis, senza più lavoro né reddito… i cassintegrati dell’Alcoai facchini dell’Ikea a Piacenza, che scioperano contro salari da 300 euro al mese!
Oggi, soprattutto oggi, agenti di polizia e carabinieri dovrebbero chiedersi chi, e soprattutto cosa, stanno difendendo e contro chi. Accettare di fare il cane da guardia dei padroni della finanza, del rating organizzato, del Fondo Monetario, dei tecnocrati europei e (fino a ieri) di un Nano puttaniere… per poco più di mille euro al mese, non è un’attenuante ma un’aggravante. Ciò detto, se dopo 10 anni dall’entrata in Polizia si fa ancora “OP”, vuol dire che a qualcuno “menare la gente” piace.. ci prova gusto… E questo preoccupa.

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ATTENTI AL CENSORE!

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 agosto 2012 by Sendivogius

Con raro tempismo, in merito all’articolo ONORE AL MERITO, siamo stati contatti dall’ufficio legale del Gruppo Sipro, cha ha voluto omaggiarci con una letterina dal sapore vagamente intimidatorio, minacciando rappresaglie legali, in mancanza di una meglio circostanziata esposizione delle proprie obiezioni. Non dubitiamo che presto riceveremo altra copiosa corrispondenza da parte di ulteriori ‘soggetti’…
Per la gioia dei lettori, riportiamo il testo integrale della diffida, che ad ogni modo potete leggere nella copia dell’originale QUI:

Raccomandata A/R a mezzo pec a fortezza_bastiani@hotmail.com
Oggetto: articolo “ONORE AL MERITO”

Seguitando l’articolo di cronaca in oggetto emarginato, si rende utile quanto giuridicamente fondato rappresentare alcune oggettive considerazioni.:

• che è comparso sul Vs. sito un articolo nel quale la scrivente società è stata inserita in varie inchieste giudiziarie che si sarebbero svolte in un non meglio precisato passato e che tali affermazioni sono infondate e pertanto non corrispondenti al vero;

• che a margine dell’articolo è presente il logo della nostra azienda, per il quale non ci è stato richiesto nessun permesso a norma di legge.

Invero nel contestare il contenuto delle vostre affermazioni, peraltro in sfregio ai più elementari principi di diritto, poiché né la SIPRO, né la governance o altri soggetti coinvolti nella gestione dell’azienda sono stati oggetto di inchieste giudiziarie, si invita e diffida a rettificare quanto pretestuosamente affermato. Per mero tuziorismo si precisa, laddove ce ne fosse per l’ennesima volta bisogno, che la famiglia Di Gangi non può essere affiancata a fatti di cronaca giudiziaria come da voi piuttosto superficialmente e senza alcun elemento di prova oggettivo affermato. In difetto saremo costretti senza alcun indugio ad informare la Procura della Repubblica competente a tutela degli interessi dei singoli nonché della stessa società richiamata.
Nel segnalare i gravi danni che una tale pubblicità negativa può arrecare alla ns. immagine, al nostro lavoro e ai nostri dipendenti, siamo, pertanto, con la presente a richiedere IMMEDIATA rimozione del logo appartenente alla nostra azienda e dell’articolo in oggetto.
Ogni ritardo nell’esecuzione di quanto richiesto, sarà da noi considerato di rilevanza legale ai fini del risarcimento del danno subito.

Con perfetta osservanza.

SIPRO Sicurezza Professionale s.r.l.
Ufficio Affari Legali e Rapporti Istituzionali

Sarà bene precisare, che nessuno impedisce ai diretti interessati di esercitare il loro legittimo “diritto di replica” ed esplicitare tutte le “oggettive considerazioni” che riterranno opportune.
Sarà altrettanto opportuno ribadire che “rettifica” non è un termine equipollente a “censura”. Le minacce (di natura ‘legale’) non rendono più convincente, né più credibile, un’obiezione; in compenso, chiariscono meglio di qualsiasi altra parola la reale natura di chi se ne fa promotore…

Abbiamo rimosso il logo aziendale (bastava anche la parolina magica: ‘per favore’), che “in sfregio ai più elementari principi di diritto” circola ovunque e sui siti più disparati.
Invece, sarà il caso di sollevare qualche obiezione sulla immediata rimozione dell’articolo in oggetto (la risposta è NO!)

Per mero tuziorismo, onde cautelarsi da pretestuose richieste di risarcimento per danni presunti e tutti da dimostrare, nella pubblicazione incriminata ci si è limitati a citare testualmente, con tanto di virgolettato, una serie di inchieste giornalistiche pubblicate sui maggiori quotidiani nazionali. Si tratta di articoli a mezzo stampa, di pubblico dominio e reperibili da chiunque.
Se l’ufficio legale della Vs azienda fosse stato altrettanto attento nella lettura, così come si è dimostrato solerte nelle minacce, avrebbe notato che ad ogni citazione viene scrupolosamente riportata la fonte: Autore, Titolo, Data di pubblicazione e link (collegamento ipertestuale) del testo originario a tutt’oggi consultabile da chiunque.

Per praticità di consultazione, riportiamo gli articoli citati (se cliccate sulla scritta in rosso, vi si apre la paginetta web in questione), dai quali le informazioni non sono desunte bensì riportate alla lettera:

“Segreti e appalti milionari; gli affari del re dei vigilantes”
di Luca Fazzo
La Repubblica – (13 Marzo 2006)

“I boss della vigilanza”
a cura di Paolo Forcellini
L’Espresso – (09 Ottobre 2006)

Non si capisce dunque perché gli uffici della Sipro non si siano sentiti “costretti senza alcun indugio ad informare la Procura della Repubblica competente a tutela degli interessi dei singoli nonché della stessa società richiamata” nei confronti, per esempio, del Gruppo editoriale L’Espresso, “per quanto pretestuosamente affermato”. Forse perché la pretesa è completamente destituita di fondamento?
Magari le Lor Signorie sono convinte (sbagliando) che, in questo caso, sia molto più facile intimorirci, prendendosi una soddisfazione postuma e ignorando che, alla peggio, chiuso un sito se ne riapre subito un altro.
Ma passiamo alle doverose rettifiche:

né la governance o altri soggetti coinvolti nella gestione dell’azienda sono stati oggetto di inchieste giudiziarie, si invita e diffida a rettificare quanto pretestuosamente affermato.

Invero, nell’articolo in oggetto non si è mai parlato della governance aziendale e tanto meno si è messa in discussione la serietà e la professionalità dei dipendenti Sipro, che in alcun modo sono stati fatto oggetto della benché minima allusione.
Negli estratti giornalistici, che ci siamo limitati a riportare, si parlava solo ed unicamente dei Fratelli Di Gangi, sui quali peraltro ci siamo risparmiati ogni personale considerazione. Ovviamente, per mero tuziorismo.

la famiglia Di Gangi non può essere affiancata a fatti di cronaca giudiziaria come da voi piuttosto superficialmente e senza alcun elemento di prova oggettivo affermato.”

Visto che le Lor Signorie insistono tanto, sarà meglio andare per ordine…
In riferimento a quanto affermato nell’articolo di Luca Fazzo (La Repubblica del 13/03/06), a meno che non si tratti di una vistosa omonimia (basta confermarlo), il nome di Vittorio Di Gangi compare nell’Ordinanza di Rinvio a giudizio (N.1164/87A G.I.) del giudice istruttore Otello Lupacchini, contro membri e fiancheggiatori della c.d. “Banda della Magliana”.
Nella fattispecie concreta, Vittorio Di Gangi viene esplicitamente menzionato da Fabiola Moretti, legata sentimentalmente a Danilo Abbruciati (trait d’union della Banda, tra criminalità organizzata e mafia, eversione neofascista e Loggia P2).
Riportiamo testuale dall’interrogatorio reso il 08/06/1994 da Fabiola Moretti e contenuto nell’Ordinanza del giudice Lupacchini:

«Ricordo anche, a tal proposito, che prima della carcerazione di Danilo ABBRUCIATI per i sequestri di persona, con lui frequentavamo anche delle case nelle quali si giocava a “chemin”, frequentate anch’esse da Franco GIUSEPPUCCI: Danilo non giocava, ma presenziava al gioco. Altro frequentatore delle bische in questione, dislocate tra l’altro, al Tuscolano ed all’Alberone, era il “Nasca”, del quale non ricordo le generalità, ma di nome Vittorio, un individuo “ciccione”, il quale oggi è ricco sfondato e che, attualmente, dovrebbe essere detenuto per una storia di cocaina [l’imputata si riferisce a Vittorio DI GANGI, soprannominato, appunto, il “Nasca”. Nel Rapporto n. 3489/2-175 “P” redatto dai Carabinieri del Nucleo investigativo in data 14.01.79 si riferiva, a proposito del sequestro del duca Massimiliano GRAZIOLI LANTE della ROVERE: <<Nel febbraio 1978, fonte confidenziale ha indicato in GIUSEPPUCCI Franco (detto “Franco er Negro”) uno degli autori del sequestro di GRAZIOLI Massimiliano.
Da accertamenti condotti e dall’evolversi degli avvenimenti si è appreso che esistono collegamenti fra… Giulio GRAZIOLI, Luciano LENZI ed Enrico MARIOTTI.
Tali collegamenti si concretizzano come segue:
1^)-Il GIUSEPPUCCI e’ stato assiduo frequentatore della sala corse di proprietà del MARIOTTI, sita in Ostia. La circostanza e’ stata confermata dal MARIOTTI medesimo (pg. 43 R.G. nr. 3489/2-153 del 14.04.78) in sede di s.i.t.. Tra i frequentatori delle sue sale corse, il MARIOTTI ha altresì indicato DI GANGI Vittorio, detto “Er Nasca”, (già segnalato nel R.G. 26.02.78), identificato alle ore 03,15 del 10.01.77 – ovvero 3 gg. dopo il sequestro GRAZIOLI – mentre, in compagnia di STRIPPOLI Vincenzo, si aggirava nei pressi di questa caserma.
Il GIUSEPPUCCI ed il DI GANGI si conoscono molto bene e sono entrambi abituali frequentatori, oltre che di sale corse, anche di bische clandestine…-].»

Le Signorie Vostre vorranno di certo precisare, a scanso di fastidiosi equivoci, trattasi di un sicuro caso di omonimia, che tanti danni ha arrecato all’immagine pubblica della Famiglia Di Gangi.
Sicuramente, è l’ennesima omonimia anche l’arresto per usura di tal Vittorio Di Gangi, avvenuto il 09/05/2012 a Roma, ad opera della Direzione investigativa antimafia, e della cui notizia è possibile leggere QUI, ma anche QUI dove si può tra l’altro vedere il filmino del blitz.
Lo spiacevole equivoco, generatosi in seguito all’arresto, deve essere stato davvero notevole, visto che è stata sollevata persino un’interpellanza parlamentare al Ministro dell’Interno (23/05/2012; seduta n.637):

Interrogazione a risposta scritta 4-16233 presentata da JEAN LEONARD TOUADI
Mercoledì 23 Maggio 2012, seduta n.637
TOUADI e VELTRONI. – Al Ministro dell’interno. – Per sapere – premesso che:
nell’ambito delle indagini coordinate dalla DDA di Roma, il 9 maggio 2012, su un vasto giro di usura, è stato arrestato Vittorio Di Gangi; secondo quanto riportato dalla stampa al Di Gangi sarebbe riferibile la società di vigilanza SIPRO;

la SIPRO risulta sia stata oggetto di parere negativo, da parte del prefetto di Roma pro tempore, in ordine al rilascio della certificazione antimafia ex articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998, come risulta dal decreto della prefettura di Roma n. 8634 area I-bis o.s.p. del 6 febbraio 2007 e dal verbale n. 4 del 2007 della prefettura di Roma relativo alla riunione di coordinamento delle Forze di polizia tenutasi in data 2 febbraio 2007;

la società di vigilanza sopra citata faceva ricorso al giudice amministrativo;

dopo un primo giudizio del Tar, che accoglieva le doglianze della SIPRO, il Consiglio di Stato sospendeva la sentenza del tribunale amministrativo di prima istanza riconoscendo valide le ragioni della prefettura con l’ordinanza 2365 del 13 maggio del 2009;

allo stato pertanto risulterebbe ancora in vigore l’interdittiva antimafia atipica nei confronti della società di vigilanza sopra indicata;

secondo quanto pubblicato sul sito web della società la suddetta svolge i suoi servizi per il Ministro della Difesa, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero per i Beni e le Attività culturali, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Rai, il Comune di Roma, Equitalia, INAIL, l’Agenzia del territorio, ANAS, INPS, la regione Lazio ed altri enti -:
se il Ministro interrogato sia al corrente di tali fatti, se tali fatti corrispondano al vero e quali iniziative intenda intraprendere e se sia noto al Ministro se altri ministeri ed enti pubblici intendano rescindere i contratti con la società in questione. (4-16233)

Onde evitare “affermazioni superficiali”, il testo originale dell’Atto è reperibile QUI e anche QUI.

L’Ufficio Affari Legali e Rapporti Istituzionali della SIPRO ha intenzione di querelare anche gli on. Vetroni e Touadi, nonché il ministro Anna Maria Cancellieri, il Parlamento che ha reso pubblico il documento, più i 4/5 dei media nazionali, per la “pubblicità negativa” ed “ai fini del risarcimento del danno subito”?!?

Tra l’altro, nella pubblica interpellanza, sepolta dalle formule ermetiche del linguaggio burocratico, sembrerebbe desumibile che la SIPRO sia sprovvista del certificato antimafia, nonostante molte delle sue commesse siano pubbliche…
Ne parla il Corriere della Sera: Il caso dei vigilantes senza certificato antimafia” [QUI].
In passato, ne aveva parlato anche Il Tempo [QUI], dove viene fatto riferimento all’Ordinanza del Consiglio di Stato del 12/05/09.
In ambito squisitamente professionale, se ne parlava invece QUI.
Nel dubbio, perché la questione è tutt’altro che chiara, siamo assolutamente certi che le Vs Signorie sapranno fare la massima chiarezza sullo scandaloso proliferare di “tali affermazioni infondate e non corrispondenti al vero”, smascherando una volta per tutte l’odioso complotto. Fino a prova contraria, è legittimo parlarne. E noi saremo felicissimi di dare la giusta risonanza al lieto evento, dimostrandoci i più leali difensori delle società ingiustamente coinvolta in questa cacofonia di rumores
Nel frattempo però, il vostro Ufficio legale avrà molto da fare pure con i forum della Polizia di Stato, che dubbi invece sembra non averne… In proposito, consigliamo una illuminante lettura QUI. Che fate? Avete intenzione di ‘diffidare’ l’universo mondo?!?

Perciò, cari signori dell’Ufficio Affari Legali e Rapporti Istituzionali, consentiteci un piccolo consiglio: il miglior modo per tutelare gli interessi della Sipro, forse consisterebbe nel cominciare a fare un po’ di chiarezza. E se equivoci ci sono stati, sarà bene dimostrarlo. La censura e le diffide solitamente non danno risposte, ma aumentano le domande, alimentando dubbi e sospetti.
Non ci piace chi cerca di metterci il bavaglio… Ci avete provato; è andata male.
Sarà meglio per tutti chiuderla qui la querelle; a noi rovistare negli archivi pubblici non costa nulla; e saremo lieti di rendere partecipi i nostri lettori di ogni nuovo documento ritrovato…

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Sorvegliare e Punire

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 ottobre 2011 by Sendivogius

In questa propaggine reazionaria del post-fascismo di ritorno chiamata Italia, dove tutti si considerano “ceto medio”, in cui la forma è sostanza nel terrore di sembrare poveri, e il ‘centro’ è la stella polare di un timone politico sempre più spostato a destra, c’è una sola cosa che spaventa più del conflitto sociale… è l’ammissione stessa che questo possa esistere.
Pertanto, l’imperativo d’ordine è la sua negazione, nell’obnubilamento del medesimo in nome della perpetuazione dello statu quo, perché nulla deve turbare i rituali del familismo allargato nello stagno consociativista. Il dissenso dunque va sempre rimosso in ogni sua forma e ricondotto nell’alveo rassicurante di un conformismo omologante, dove il numero è tirannia e la volontà delle maggioranze relative si fa dittatura.
Soprattutto, il dissenso va ostracizzato, negandogli rappresentanza politica (grazie ad una legge elettorale infame) e riconoscimento sociale nella cancellazione di spazi e legittimazione. Va azzittito, attraverso la stesura di ‘leggi-bavaglio’, che oscurano i canali della comunicazione informale, dopo aver normalizzato i media ufficiali.
In Italia, il dissenso di fatto non ha una vera cittadinanza: viene tollerato fintanto che è impotente e resta muto; diventa un problema quando non è controllabile, né gestibile per conto terzi a fini elettorali.
Ma se il dissenso assume l’aspetto e le frustrazioni di un’intera generazione, relegata ai margini estremi di una società gerontocratica e immobile, allora viene inteso unicamente come un problema di ordine pubblico, da demonizzare preventivamente e da punire a posteriori.
Con simili presupposti, fondati su una esclusione ad oltranza, la “violenza” lungi dall’essere una opzione nefasta, rischia di diventare una scelta ed una pratica diffusa, quasi fosse l’unica alternativa possibile… E un comodo alibi a disposizione di un potere consolidato, che può così esercitare meccanismi collaudati, a protezione di un sistema che si reputa perfetto e si vuole sostanzialmente immutabile. Scolpito nella legge. Meglio se per decreto, o con voto di fiducia, tra gli orpelli di un formalismo democratico sempre più svuotato di sostanza e fondato sull’abuso legalizzato delle nuove aristocrazie timocratiche.
Si parva licet componere magnis, parliamo di una società che, nel suo piccolo (piccolissimo), è arrivata a negare la concessione di licenze commerciali ai locali etnici per motivi di ‘pubblica sicurezza’ e bolla gli avventori come ‘elementi di degrado’ (accade in quel laboratorio neo-nazista chiamato padania), per comune accordo di entrambe gli schieramenti politici ufficializzati.
Se questo è lo zeitgeist dominante, è ovvio che l’esistenza stessa di realtà complesse e non conformi, strutturate in dissenso organizzato (e soprattutto pubblico) siano intollerabili.
 A tal proposito, è emblematica la caccia all’untore che si è scatenata dopo i moti di Roma. La sommossa che ha sconquassato parte del centro della Capitale, è stata relegata per comune accordo a mero problema di ordine pubblico, priva di qualsivoglia dimensione sociale. Non ci sono cause pregresse, la sua natura è circoscritta ad una esclusiva questione di ‘sicurezza’ e priva di qualsivoglia ragione. Per l’occasione, analisti e commentatori dei media nazionali, hanno messo da parte le divergenze ed ogni distinguo politico, rinunciando ad ogni analisi complessa del fenomeno. In compenso fioccano gli stereotipi più ritriti nella stigmatizzazione unanime che non ammette eterodossie: i “violenti”? Poche centinaia, probabilmente provenienti da Marte, sicuramente infiltrati; ultras e figli di papà annoiati, secondo la più becera e classica delle rappresentazioni, che esorcizza ogni implicazione sociale nella rimozione delle cause. E intanto sui quotidiani fioccano interviste farlocche a sedicenti black-bloc che, per antonomasia, non parlano con i giornalisti ai quali però raccontano con dovizia di particolari vita, morte, e miracoli, di un ‘movimento’, evidentemente composto da falangi di Gino Canterino in preda a confessioni compulsive.
Mancando ogni volontà di analisi e gli elementi culturali per farlo, in assenza di qualsivoglia mediazione, è chiaro che l’unica risposta possibile non può essere che rimessa alle soluzioni antiche di chi non conosce altra risposta: REPRESSIONE.
Sorvegliare e punire; secondo i meccanismi consolidati della sorveglianza gerarchica.
La stato confusionale di una politica professionalizzata nel suo autismo referenziale, che incentra la sua azione nel livellamento delle differenze e nella tutela del privilegio esteso alle enclave protette del clientelismo elettorale, è misurabile proporzionalmente all’isteria collettiva che pervade le aule parlamentari e di una società chiusa nell’ineluttabilità dell’immutabile.
Incapaci di affrontare il problema, perché incapaci di risposte che non siano declinate in prospettiva unicamente repressiva, fioccano le proposte demenziali per accordo trasversale con relativi distinguo, molti se e qualche ma…
 Antonio Di Pietro, in una delle sue tipiche esplosioni di demagogia tribunizia, non ha trovato niente di meglio che andare a ripescare dalla fogna dei reazionari lo Stronzo Reale e la sua omonima legge (che consente di sparare in assenza di minacce), salvo poi negare l’evidenza. Il PD in teoria è contrario, ma è aperto a qualsiasi miglioramento
Grande è stato invece il giubilo di tutta la fascisteria di contorno che fa a gara a chi la molla più grossa, tale è l’effetto dell’orgasmo repressivo nella geriatria di casta e di governo.
 Roberto Maroni, il peto del meteorismo leghista flatulato agli Interni nella grande costipazione berlusconiana, si è detto massimamente d’accordo. Già comandante della Guardia Nazionale Padana, la milizia (dis)armata della Lega di secessione e di poltrone, il solerte Maroni è stato rimandato a giudizio per “attentato alla Costituzione e integrità agli organi dello Stato”. Evidentemente, la cosa non gli ha impedito di diventare Ministro degli Interni (italiano mica  padano). Roberto Maroni è lo stesso che all’indomani degli scontri ha parlato di “terrorismo urbano”, promettendo sanzioni eccezionali ed un pacchetto di leggi speciali per punire i ventenni che hanno osato opporre resistenza alle manganellate dei poliziotti ed ai caroselli di cellulari e veicoli, impegnati a fendere la folla dei manifestanti con gimcane potenzialmente omicide.
Considerati dunque alla stregua di “terroristi”, i sospettati potranno essere sottoposti a fermo preventivo di 96 ore. In pratica, senza alcuna fattispecie di reato, in concomitanza di qualsiasi manifestazione, l’interessato viene messo sotto custodia, per la bellezza di quattro giorni, a discrezione delle autorità di polizia. Ma si parla anche dell’introduzione del processo per direttissima con aggravio di pena. Paradossalmente, in termini di condanna, sarà più conveniente rapinarla una banca piuttosto che romperne le vetrate: la pena è di gran lunga più mite. L’estensione della flagranza di reato (che prevede l’arresto in carcere) a 48h; cosa che peraltro è già prevista dal Codice Penale (art.336) in caso di resistenza o minaccia a pubblico ufficiale. Interessante sapere che la medesima disposizione si applica anche per la “corruzione di minorenni” (art.530), anche se nipoti di Mubarak, ma su questo si può transigere…
Il provvedimento sicuramente più gustoso è pero l’ipotesi di introdurre una tassa sui cortei, con la stipula di una fideiussione bancaria a carico degli organizzatori per la copertura di eventuali danni. Non sappiamo bene come funzionino le cose nelle fumerie d’oppio in padania; tuttavia bisognerebbe ricordare all’allucinato Maroni che la responsabilità è sempre individuale e non si può configurare come attribuzione collettiva delle azioni dei singoli. Notevole poi la concezione democratica del ministro, convinto si debba pagare per poter manifestare: interessante esempio di democrazia censitaria su base timocratica.
Immaginiamo che la tassa sarà applicata anche per i raduni secessionisti di Pontida e Venezia, annualmente organizzati dai gauleiter leghisti.
Tra gli altri provvedimenti in esame, c’è l’uso di pallottole di gomma che se esplose a distanza ravvicinata uccidono come quelle ordinarie. E l’utilizzo di idranti con sostanze coloranti per
identificare i manifestani (che verrano arrestati in virtù della flagranza di reato e sottoposti a fermo preventivo). Da notare che i “cannoni ad acqua” sono stati abbondantemente usati a Piazza San Giovanni a Roma. E, così come le manganellate, i getti d’acqua venivano dispensati un po’ dove capitava. Inutile dire che tra i bersagli prediletti c’erano i manifestanti pacifici, assiepati contro le mura del palazzo del Vicariato, che ne sono usciti fradici come pulcini. In virtù della disposizione maroniana, avrebbero dunque dovuto essere arrestati in massa e puniti con “pene esemplari”.

Ordunque, se la resistenza alla forza pubblica si configura per l’ineffabile ministro come un “atto di terrorismo”, ci sarebbe da aggiungere che il terrorista Maroni nel 1998 è stato condannato a 8 mesi “per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale”, prima che la Cassazione gli commutasse la pena in sanzione pecuniaria nel 2004. Non risulta che il pregiudicato Maroni abbia mai fatto un solo giorno di galera, ma si premura che altri scontino la pena al posto suo, opportunamente quadruplicata.
In fin dei conti sono quisquiglie rispetto al ministro Umberto Bossi che predica la secessione armata da almeno 20 anni, minacciando insurrezioni armate, promettendo pallottole, e informandosi su come reperire mitragliatori in Sardegna… Sarebbe “apologia di reato” e presuppone la “costituzione di banda armata per atti eversivi”, ma se lo dice il cerebroleso di Pontida diventa boutade goliardica. E merita un seggio da senatore con una poltrona nel Governo italiano, contro il quale minaccia la guerra civile.
Come si vede, la condanna della “violenza” è variabile e diventa lecita a seconda di chi la compie o la minaccia.
E del resto è assolutamente coerente con lo spirito di governo, dove un premier puttaniere si intrattiene amabilmente con spacciatori, papponi e pluripregiudicati, invocando sommosse di piazza, assalti ai tribunali ed alle sedi del maggior quotidiano nazionale.
Si tratta della cosa più naturale del mondo. Infatti non ha meritato troppi clamori, né ci risultano editoriali in merito dei pur zelanti Augusto Minzolini e Giuliano Ferrara: fulgidi esempi di meritocrazia applicata e di imparzialità giornalistica.
Un’altro grande sostenitore della tolleranza zero e delle pene draconiane è poi l’imbarazzante Ignazio Benito La Russa: l’ennesima deiezione fascista al governo nell’incredibile ruolo di Ministro della Difesa. La Russa, quello che esprime solidarietà incondizionata alle Forze dell’Ordine, è infatti deciso a stroncare i violenti, denunciando le “contiguità ideologiche” con chi osa “criticare il governo”. Il sulfureo La Russa con la violenza più che contiguo è stato organico. Infatti, nel 1973 è oggetto di una ordinanza di arresto per “adunata sediziosa e resistenza alla forza pubblica”: in pratica Benito La Russa ha organizzato una manifestazione non autorizzata di fascisti, che si sono messi a tirare bombe a mano (non sassi) contro i cordoni di Polizia. L’agente Antonio Marino, di 22 anni, muore dilaniato dall’esplosione con il petto squarciato. La Russa, diventato nel frattempo uomo d’ordine e gran difensore di poliziotti, venne indicato tra i “responsabili morali” dell’omicidio Marino. Ma la sua è una violenza (assassina) che paga e che premia. Infatti oggi è Ministro della Difesa.

 P.S. A proposito di dittature e fascismi, il caro amico Gheddafi è stato drammaticamente trascinato via dalle miserie del mondo, rovesciato da una violentissima rivolta popolare e dopo mesi di conflitti sanguinosi. Ma in questo caso la “violenza” è stata considerata più che legittima e massimamente sostenuta con massicci bombardamenti. In fondo, Muhammar Gheddafi era un feroce dittatore. Per questo, un anno fa veniva accolto a Roma con tutti i riguardi, con tanto di baciamano e genuflessioni da parte del nostro Pornocrate. Quegli stessi Carabinieri che rincorrevano e venivano rincorsi dai manifestanti intorno al Laterano, all’epoca presentavano le armi col picchetto d’onore al dittatore libico. Se indossassimo una divisa dell’Arma, non si potrebbe immaginare umiliazione più grande. Questa sì che è violenza. 

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