Tra i giochini meno appassionanti possibili, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica solitamente tutto attiene, tranne che alla sfera dei requisiti fondamentali che una simile figura istituzionale dovrebbe possedere, in riferimento alle responsabilità che la carica (almeno in teoria) impone… In qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dovrebbe essere un giurisperito di solida formazione, comprovata esperienza, e assoluta conoscenza dei gangli nevralgici del sistema giudiziario italiano. In virtù della sua somma funzione legislativa, dovrebbe vigilare attentamente sul corretto rispetto dei regolamenti parlamentari, tutelare le prerogative delle Camere e l’esercizio delle medesime riguardo alla normale attività legislativa; porre un limite agli eccessi legati al ricorso della decretazione d’urgenza ed al voto di fiducia, verificare sempre la costituzionalità dei provvedimenti normativi con attenta valutazione prima di controfirmare gli stessi. E nel caso porre un argine alle pretese del potere esecutivo, avanzate a scapito di quello legislativo. Dovrebbe avere altresì una perfetta conoscenza della Costituzione italiana (tanto da essere in grado di recitarla a memoria come una poesia), onde vigilare contro ogni forzatura o aggiramento delle norme previste nella Carta fondamentale. Dovrebbe nominare il Presidente del Consiglio (meglio se eletto in democratiche elezioni), su indicazione delle Camere e dei singoli gruppi parlamentari. Dunque, in virtù del medesimo principio di rappresentatività, valutare lo scioglimento della Camere che non avviene mai a discrezione del premier uscente o in risposta a pretese con ritorno elettorale. Dovrebbe nominare i senatori a vita, tenendo conto dei meriti straordinari e delle doti di eccellenza dei medesimi, a lustro della Repubblica. In quanto “capo supremo” delle Forze Armate, dovrebbe avere un minimo di conoscenza delle dinamiche inerenti la Difesa nazionale e soprattutto della geopolitica internazionale… Cosa che contribuirebbe ad accrescere anche le sue competenze nell’ambito della sfera diplomatica e della politica internazionale, non foss’altro perché è chiamato a ratificare i trattati internazionali e (nei casi più estremi) a dichiarare lo stato di guerra. Soprattutto, dovrebbe rappresentare il meglio che il Paese è in grado di offrire, all’insegna della massima competenza, serietà, e rispettabilità… Coerentemente, tra i principali papabili all’incarico circolano ‘statisti’ di primo piano:
Pier Carlo Padoan: economista, “oltre Keynes“, banchiere ed una carriera al FMI come impone il credo liberista, già vice-segretario dell’OCSE per la cura greca, è la migliore rassicurazione possibile per l’Europa del rigore e la prosecuzione dell’Austherity con altre forme. Una candidatura di garanzia, affinché tutto cambi perché tutto rimanga com’è.
Riccardo Muti: direttore d’orchestra di fama internazionale e tra i massimi esperti di musica sinfonica. Senatore a vita per indiscutibili meriti artistici, ma nessuna vera esperienza parlamentare e competenza giuridica. Insomma, perfettamente idoneo alle cariche ed i requisiti fondamentali che si richiedono ad un Presidente della Repubblica.
Paolo Gentiloni: vecchio cacicco democristiano, esperto in ogni compresso possibile ed (in-)immaginabile, rigorosamente al ribasso. È un figlio d’arte: tra i suoi antenati vanta quell’Ottorino Gentiloni che col suo omonimo “patto” spalancò le porte del potere allo squadrismo fascista. Negli ambienti di partito, tra chi meglio lo conosce, è soprannominato “Sacro GRA”, per le sue radici tutte romane consacrate all’inamovibilità e l’indefessa avversione a spostarsi oltre l’anello del Grande Raccordo Anulare della Capitale. Sarà per questo che è stato promosso ministro degli esteri.
Francesco Rutelli: ex radicale anti-clericale e poi cattolico devoto. Candidato di bandiera del centrosinistra con vocazione alla disfatta, è stato l’uomo buono per tutte le elezioni e sempre votato a sconfitta sicura. È un perdente di successo ed uno straordinario scopritore di talenti: Matteo Renzi è stata la straordinaria promessa, coltivata nel suo vivaio post-democristiano. A magnificenza del personaggio, Francesco Rutelli, altro personaggio in voga nel generone romano, è meglio conosciuto dai figli di Quirino come Er Piacione e soprattutto Er Cicoria: soprannomi che meglio di ogni altro segnano la caratura dello statista. È uscito dal PD perché, a suo infallibile giudizio, è un partito troppo spostato su posizioni di sinistra ‘radicale’ (!).
Sergio Mattarella: altro democristiano di vecchio conio, per tradizione di famiglia è in politica da tre generazioni. Ha attraversato tutte le correnti possibili, in groppa alla vecchia Balena Bianca, rimanendo immune a tutte le tempeste e passando per tutti i governi: Andreotti, De Mita, Goria… eppoi Amato, fino all’indimenticabile esecutivo D’Alema. Attualmente riposa in stand-by alla Corte Costituzionale.
Giuliano Amato: con la freschezza dei suoi 77 anni vissuti pericolosamente a cavallo tra prima e seconda repubblica, tra i politici di lungo corso più amati dagli italiani, è il re delle presidenze e delle cariche onorarie che colleziona a ritmo vertiginoso come altri raccolgono francobolli. Per elencarle tutte ci vorrebbe uno speciale albo araldico con menzione speciale. Soprannominato il Dottor Sottile della politica italiana, è l’Alchimista rotto a tutte le formule possibili di governo e sperimentato nell’esercizio del potere in formule sempre nuove. Come il suo omologo scozzese, è orgoglioso ed ha un incommensurabile senso del sé. Attualmente, siede anche lui tra i giudici della Corte costituzionale.
Pier Ferdinando Casini: protesi governativa per eccellenza, è il Mister Poltronissimo buono per tutti gli esecutivi ed intercambiabile per qualsiasi maggioranza. Vive in simbiosi col Potere, in ogni sua forma, ordine e grado, ed è da esso inseparabile, fuso com’è con la poltrona. A tutt’oggi, costituisce la quintessenza della DC dorotea, immune a qualunque mutamento, nel solco della conservazione più reazionaria. Dovunque si trovi un cardinale, un banchiere, un industriale, un palazzinaro… Casini c’è! Più falso di una moneta da tre euro, con Lui una poltrona è per sempre.
Gianni Letta: gran cerimoniere di corte e cardinale Richelieu del berlusconismo, è praticamente eterno, onnipresente, quanto trasversale agli schieramenti. Ultimamente le sue quotazioni sono in ribasso, ma mai sottovalutare le capacità rigeneratrici del principe-vescovo. Come Talleyrand, è inaffondabile.
Graziano Del Rio: ogni palazzo ha il suo maggiordomo di fiducia; quello che accudisce il Bambino Matteo e sovrintende alla cameretta dei giochi si chiama “Graziano”. E ovviamente è un altro ex democristiano. Servizievole, accomodante, sempre disponibile… è l’uomo a cui si può chiedere tutto in pronta consegna.
Walter Veltroni: nel mare magnum del gran revival democristiano nella notte dei morti viventi, è l’unico esponente di area, proveniente in qualche modo dalla ‘sinistra’ che ha schiantata come un virus interno. A tutt’oggi costituisce la più letale arma di distruzione di massa, che mai si sia abbattuta sulla Sinistra italiana. Non per niente, è l’inventore e fondatore del PD. Imbarazzante come un peto ad una veglia funebre, è il becchino che ha contribuito a tumulare ogni alternativa e ideale anche lontanamente socialista o vagamente progressista. E per questo andrebbe premiato con la massima carica della Repubblica, in virtù dell’ottimo lavoro svolto.
Anna Finocchiaro: Considerata fino a qualche mese fa inesorabilmente avviata alla “rottamazione” dal principino fiorentino, perché non abbastanza gggiovane per il nuovo corso futurista, è stata ripescata prontamente in zona demolizione in virtù delle sue competenze legali, promossa a ghost-writer degli emendamenti governativi. Folgorata sulla via del Nazareno, è diventata la donna che suggeriva alla Boschi. Rientra nelle quote di genere e costituisce dunque un candidato più di bandiera che di sostanza. Ma non si può mai dire…
Tuttavia, funzionale alla logica dell’utile idiota, il candidato ideale non dovrebbe brillare troppo per capacità di giudizio, autonomia decisionale, competenza costituzionale e personalità indipendente, nella convinzione totalmente erronea che un cretino ubbidiente, ancorché in posti di potere, sia facilmente malleabile e non faccia ombra al “capo del governo”.
«Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo. Debbo precisare che la stupidità ha un suo fascino, si suol dire persino che è riposante. Difatti succede che le persone e i libri più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci tolgono ogni difesa. L’esperienza quotidiana ci porta anzi a credere che la stupidità sia lo stato perfetto, originario, dell’uomo, il quale trova buono ogni pretesto per riaccostarsi a quello stato felice. L’intelligenza è una sovrapposizione, un deposito successivo, e soltanto verso quel primo stato dello spirito noi tendiamo per gravità o per convenienza. […] Conclusione, la stupidità ha un limite. Oltre certi confini la mente umana si rifiuta di procedere. Ad un certo punto la Stupidità (forza attiva) diventa Idiozia (forza negativa) e non si vende più. Ho un solo motivo di consolazione. Si crede comunemente che gli stupidi sodalizzino. Non è vero. Nessuno odia e disprezza tanto uno stupido quanto un altro stupido. Se così non fosse… ma il guaio è che siamo in tanti.»
Ennio Flaiano “Diario notturno” Adelphi, 1994.
Sarà per questo che tutti gli sforzi del cenacolo fiorentino attualmente in auge, e della nutrita guardia pretoriana schierata a quadrato intorno al reuccio di turno, è interamente concentrata nella ricerca di un Re Sciaboletta che svolga le funzioni di facciata ed esegua senza porsi troppo domande le indicazioni che arrivano da Palazzo Chigi.
Mi candido. Non mi candido. Mi candido. C’entro o non C’entro. This is the question! Mi si nota di più se faccio una lista unica o una coalizione di sigle? Attiro di più l’attenzione se faccio un’intesa programmatica o un patto elettorale?
Con le ricadute benefiche di un fallout nucleare, non si vorrà mica disperdere la straordinaria esperienza del Governo Monti?!? Lungi dall’essere ‘tecnico’, il direttorio tecnocratico si dimostra per quello che è sempre stato: un governo politico, sfuggito al controllo del suo improvvido creatore dal laboratorio del Colle. A tal proposito, è curioso notare come i tagli della cosiddetta spending review e del fiscal compact (il libretto di guida del biodroide eterodiretto prevede solo istruzioni in tedesco e inglese) si siano concentrati quasi esclusivamente sullo smantellamento dell’Istruzione e della Sanità pubblica, con una precisa scelta di indirizzo ‘ideologico’ da parte di un esecutivo che ha fatto della propedeutica della punizione tramite il dolore una prassi di governo. La cura va infatti proseguita, anche dopo la morte del paziente, fino al completo espianto degli organi ancora funzionanti (dunque vendibili) e la totale dissezione dei tessuti non ancora necrotizzati, per un saggio avanzato di chirurgia monetarista, previo accanimento terapeutico. Lo vogliono i mercati finanziari, ovvero la banda di speculatori criminali che per un anno ha scommesso sul default continentale, dopo aver provocato la più grave recessione economica degli ultimi 80 anni. Lo vogliono le vecchie cariatidi reazionarie del PPE (partito popolare europeo), che annovera tra le sue fila neo-nazisti come l’ungherese Viktor Orban (è vicepresidente!), tanto non gli par vero di aver trovato la matrice ‘sobria’ di Berlusconi, opportunamente depurata da bugs in P2-mode e dai virus Troia. Lo vogliono gli “americani”; premesso che la maggioranza dei cittadini statunitensi non sappia nemmeno chi sia Monti, gli “americani” votano in USA e non in Italia! Lo vuole ovviamente il Vaticano: uno stato estero organizzato come teocrazia assoluta dove non esistono elezioni, ma non si perde occasione per metter bocca sulle tornate elettorali altrui. Mario Monti, per il quale la democrazia deve essere qualcosa di totalmente estraneo, tanto gli risulta incomprensibile, ha tralasciato l’aspetto più importante di una sua eventuale nomina come prossimo Presidente del Consiglio: deve essere eletto ed i voti li deve ottenere dagli italiani. Attualmente le opzioni sono due. Mario Monti, il Mosè del risanamento italiano, in concomitanza con il Natale ha annunciato urbi et orbe la sua fatidica ‘Agenda’ (25 paginette scopiazzate con la complicità del prof. Ichino), manco fossero le Tavole della Legge!
Il prof. Monti è un altro che sembra sbarcato da Marte: ci presenta il suo programmino elettorale alla vigilia di Natale, con la lista delle buone intenzioni, dimenticandosi di essere stato il premier fino a nemmeno 24h prima! Evidentemente, si crede indispensabile. Tutti lo vogliono e nessuno ce lo manda…
1) Lui non si candida direttamente, ma lascia i compitini da fare a casa per i partiti che volessero dimostrare la loro devozione al maestro e vincere il riconoscimento di bravi scolaretti, degni di far parte della sua monarchia personale al governo dell’Italia. Ovviamente, il professore pretende di stilare in anticipo le liste elettorali e scegliere le candidature blindate per i suoi fedelissimi, decidendo alleanze e riscrivendo i programmi. Guarda con preferenza ai dumbies neo-democristiani del PD, non foss’altro perché vengono dati vincenti dai sondaggi, riservandosi il ruolo decisionale e delegando alla base del partito-bestemmia l’onere di votarlo. Si era già visto qualcosa del genere, durante le offensive del generale Cadorna sul fronte dell’Isonzo.
2) In alternativa, il Professorino mette insieme una sua federazione di liste collegate e unite sotto il proprio nome e la sua agenda, pescando a man bassa in quella che Mario Monti evidentemente scambia per “società civile”: banchieri, banchieri, e ancora banchieri, finanzieri e gestori di fondi speculativi, i soliti imprenditori coi capelli tinti, i nipotini nostrani dei Chicago Boys, gli alfieri dell’ultraliberismo monetarista e qualche “austriaco”, mezza Università Bocconi e la Curia pontificia al gran completo, con la partecipazione straordinaria di Comunione e Lottizzazione. A questi va aggiunto un nutrito pattuglione di papiminkia in fuga dai bordelli del Pornonano, insieme ai transughi democristiani delle più diverse parrocchie. Mai s’era visto un simile crogiolo di lobby finanziarie e gruppi di pressione, elite timocratiche e poteri oligarchici, confluire in un unico contenitore: il Partito dei Padroni. Questa è gente che non si candida per ‘governare’ ma per ‘comandare’: si reputano modernizzatori venuti a rieducare la nazione, con la benedizione della Croce (da caricare sulle spalle altrui). Il tutto dovrà avvenire, sotto la supervisione dell’immarcescibile Pierferdinando Casini: tenero virgulto in parlamento dal 1983, venuto a moralizzare la politica con la sua carica riformatrice di moderato serio e responsabile, per un progetto dalla dirompente attualità: la ricostituzione della Democrazia Cristiana. Parliamo dello stesso Casini: difensore del Papa-Re e buono per tutte le stagioni; lindo come un rotolo di carta igienica usata, è fondamentale come un due di coppe con briscola a bastoni e utile quanto una bustina di sale nel deserto del Nevada. E tutti insieme sembrano usciti da una satira di Giuseppe Giusti:
«I nostri Padroni hanno per uso Di sceglier sempre tra i servi umilissimi Quanto di porco, d’infimo e d’ottuso Pullula negli Stati felicissimi: E poi tremano in corpo e fanno muso Quando, giunti alle strette, i Serenissimi Sentono al brontolar della bufera Che la ciurma è d’impaccio alla galera. Ciurma sdrajata in vil prosopopea, Che il suo beato non far nulla ostenta Gabba il salario e vanta la livrea, Sempre sfamata e sempre malcontenta. Dicasterica peste arciplebea, Che ci rode, ci guasta, ci tormenta E ci dà della polvere negli occhi, Grazie a’ governi degli scarabocchi. […] Un gran proverbio, Caro al Potere, Dice che l’essere Sta nell’avere. Credi l’oracolo Non mai smentito; Se pur desideri Morir vestito. Vent’anni dopo, un Frate Professore, Gran Sciupateste d’Università, Da vero Cicerone Inquisitore, Encomiava la docilità E la prudenza di un certo dottore Fatto di pianta in quel vivajo là, Dottore in legge, ma di baldacchino, Che si chiamava appunto Gingillino. In gravità dell’aurea concione Messer Fabbricalasino si roga Capo Arruffacervelli; e un zibaldone Di Cancellieri e di Bidelli in toga Gli fa ghirlanda intorno al seggiolone, E di quell’Ateneo la sinagoga, Che in lucco nero, a rigor di vocabolo, Parea di piattoloni un conciliabolo. […] Gingillino andato in gloria Se n’uscìa gonfio di boria Dal chiarissimo concilio Colla zucca in visibilio. Sulla porta un capannello D’onestissimi svagati, Un po’ lesti di cervello E perciò scomunicati, Con un piglio scolaresco Salutandolo in bernesco, Gli si mosser dietro dietro Canticchiando in questo metro: Tibi quoque, tibi quoque È concessa facoltà Di potere in jure utroque Gingillar l’umanità. […] Nel mare magno della Capitale, Ove si cala e s’agita e ribolle Ogni fiumana e del bene e del male; Ove flaccidi vizî e virtù frolle Perdono il colpo nel cor semivivo Di gente doppia come le cipolle; Ove in pochi magnanimi sta vivo, A vitupero d’una razza sfatta, Il buon volere e il genio primitivo; E dietro a questi l’infinita tratta Del bastardume, che di sé fa conio, E sempre più si mescola e s’imbratta; […] Vivo sepolcro a un popolo di morti, Invano, invano dalle sante mura Spiri virtù negli animi scontorti. Quando per dubbio d’un’infreddatura L’etica folla a notte si rintana, Le vie nettando della sua lordura; Quando il patrizio, a stimolar la vana Cascaggine dell’ozio e della noja, Si tuffa nella schiuma oltramontana; E ne’ teatri gioventù squarquoja E vecchiume rifritto, ostenta a prova False carni, oro falso e falsa gioja […] Io credo nella Zecca onnipotente E nel figliuolo suo detto Zecchino, Nella Cambiale, nel Conto corrente, Credo nel Motuproprio e nel Rescritto, E nella Dinastia che mi tien ritto. Credo nel Dazio e nell’Imposizione, Credo nella Gabella e nel Catasto; Nella docilità del mio groppone, Nella greppia e nel basto: E con tanto di core attacco il voto Sempre al santo del giorno che riscuoto. Spero così d’andarmene là là, O su su fino all’ultimo scalino, Di strappare un cencin di nobiltà, Di ficcarmi al Casino, E di morire in Depositeria Colla croce all’occhiello, e così sia.»
Giuseppe Giusti “Gingillino”(1845)
Speriamo che il nuovo Gingillino non superi il tagliando della revisione e venga rottamato quanto prima, coi suoi degni compari e pupazzi.
Profumo di incenso e odor di sacrestia, direttamente dai salotti vellutati di Casa Caltagirone, comincia la belle epoque del ‘bel Pier’, entreneuse politica d’alto bordo e dalla verginità ricostruita, in cerca di un buon marito di governo. Il Casini pontifex appartiene a quella divertente schiera di alieni che, appena sbarcata dal pianeta Marte, declina ogni complicità passata per riciclarsi come il nuovo pacchetto costituente: ago perfetto di una bilancia truccata che, dal Centro di galleggiamento permanente, pende sempre nelle direzioni contingenti, là dove il piatto è più ricco, gli interessi sono sempre “nazionali” e mai personali. Il potere logora chi non ce l’ha. Per consolarsi dalla momentanea astinenza governativa, nel frattempo, il ‘responsabile’ Pierferdy ha compensato l’assenza occupando ovunque fosse possibile poltrone e incarichi nelle amministrazioni locali, dovunque fosse certo della vittoria, con accordi trasversali senza badare troppo al colore dell’alleato di turno. Per spirito di sacrificio, s’intende! Giammai per convenienza! Emblema di perfezione, il cinguettante canarino da compagnia non lesina lezioni di democrazia e buon governo applicato alla convenienza del momento. Lui coglie l’attimo e di null’altro si duole. Da bravo democristiano, nato per ‘governare’, fotte a man bassa. I risultati elettorali sono ininfluenti e le maggioranze variabili, in sintonia col suo umore mutabile come le opportunità. Indipendentemente dalla sua rappresentanza politica, Lui decide il nome del premier, la composizione della maggioranza di governo, il tipo di coalizione, i programmi, quali partiti possono partecipare e chi vada invece escluso. A prescindere dai numeri elettorali e dall’esito delle votazioni. Magnanimo, si preoccupa anche dell’opposizione parlamentare; ne stabilisce i programmi, le politiche di indirizzo, le future alleanze e persino la scelta dei candidati altrui. È la Democrazia secondo Casini: il voto è una iattura; vinco o perdo decido comunque io; con Spagna o Francia basta che se magna… È l’estensione della formula sulla sostanza: “governo di armistizio”… “di solidarietà nazionale” “collaborazione dinamica nella distinzione”… così come vuole la tradizione; perché i tempi cambiano ma certi vizi restano:
“Siamo collaborazionisti rispetto al governo di Mussolini affinché esso arrivi a spostare il pendolo verso il centro equilibratore temperando e regolando il moto iniziale. In verità osservatori lontani, stupiti da certe esercitazioni verbali di tono dittatoriale e da certe pose gladiatorie, che i minori proconsoli imitano in ogni villaggio riuscendo ad apparire buffi, ma non sempre innocui, possono trovare ragione per dubitare che tale veramente sia il proposito e la meta del fascismo. Ma osservatori più vicini e attenti credono di sapere che Mussolini, pur facendo al periodo rivoluzionario delle concessioni, non dimentica né può trascurare il monito di Giuseppe Mazzini, il quale scriveva che «prima legge di ogni rivoluzione è quella di non creare la necessità di una seconda rivoluzione». Si proclama anzi di voler dare una disciplina alla nazione. E noi non dovremmo approvare e incoraggiare tale sforzo? (…) O possiamo noi come cattolici e come italiani, augurare e favorire il ritorno delle forze negative che il fascismo ha contribuito a bandire, cioè lo spirito di scetticismo e di disgregazione, il senso di sfiducia nelle proprie fortune e lo svalutamento di ogni forza morale? Ecco quindi, o amici, perché non ha fondamento l’accusa che il nostro collaborazionismo sia inquinato da una riserva mentale che si riferisca ad uno stato d’animo incerto ed equivoco, il quale attenda per rivelarsi un momento favorevole. No, nessun equivoco nello stato d’animo, nessuna riserva nel nostro pensiero che possa trovare domani un’espressione contraddittoria alle affermazioni di oggi. Il nostro collaborazionismo non ha riserve equivoche, ma incontra dei limiti chiari e precisi e nelle nostre dottrine e nelle condizioni di fatto in cui la collaborazione si svolge. (…) Il problema della collaborazione non è quindi un problema della statica, ma è un problema della dinamica; un problema del divenire politico i cui termini si spostano non solo secondo la maggiore o minore convergenza di volontà nei collaboratori, ma anche per modificazioni che subiscono le condizioni di fatto, nelle quali la collaborazione è tentata o attuata. Ora su quale terreno, in quale misura, entro quali limiti si compie la collaborazione fra popolari e fascisti? Nell’attività amministrativa e legislativa essa è data dalla partecipazione dei nostri amici al governo. (…) Dare un giudizio complessivo e definitivo sull’opera legislativa e parlamentare del consiglio dei ministri e giudicare quindi dei risultati della nostra collaborazione per mezzo della partecipazione al governo sarebbe oggi intempestivo. Vi sono dei provvedimenti buoni come quelli scolastici e la riforma giudiziaria, abolizione degli enti autonomi e parassitari alcune sagge economie di bilancio, alcuni provvedimenti tributari; vi sono delle misure discutibili e dei provvedimenti errati (…) ma non si può ignorare che le riforme principali entro cui si inquadrano tutte le altre, dalle quali anzi dipende la relativa bontà e tollerabilità di provvedimenti già presi, sono quella amministrativa e quella tributaria. Ora la riforma dell’amministrazione e la sistemazione del bilancio sono in studio o in corso, il che vuol dire che l’esperimento di governo per quanto riguarda la fase ricostruttiva è in atto. Ci pare quindi giusto che il governo possa ottenere un giudizio sospensivo per quei provvedimenti che, non accettabili in sé, non rappresentano però per un governo il definitivo e l’inesorabile.”
Alcide De Gasperi IV Congresso Nazionale del P.P.I. (Partito Popolare italiano) Torino; 12-14 Aprile 1923
È la saggia lungimiranza democristiana nell’eternoritorno al sempre uguale: se proprio devo scegliere, meglio optare per il peggio purché ci sia in cambio almeno un posto nella greppia.
«Ho sempre saputo che in questo paese è pericoloso avere delle opinioni. Un pericolo sottile ma controllabile... Almeno fin quando non ci inciampi»
(Alack Sinner)
LIBERTHALIA – Libera Commedia nella colonia corsara
Schegge impazzite, Idee, Cultura, Frammenti resistenti e Opinioni controccorrente con un pizzico di ironia e una goccia di vetriolo.
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«…conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno, non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti li considererei detestabili…»
I commenti sono liberi, ma voi non ve ne approfittate o verrete trattati di conseguenza. E senza troppi complimenti.
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«Essere vivo, interessato, vedere le cose, vedere l’uomo, ascoltare l’uomo, immedesimarsi nel prossimo, sentire sé stessi, rendere la vita interessante, fare della vita qualcosa di bello e non di noioso.»
– Erich Fromm –
“Il coraggio di essere”
«Il bene di un libro sta nell’essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto»
(U.Eco – “Il Nome della Rosa”)
«I libri non sono fatti per crederci, ma per essere sottoposti a indagine. Di fronte ad un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire»
(U.Eco – “Il Nome della Rosa”)
«Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza»
(R.Bradbury – “Fahrenheit 451”)
«Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare»
(D.Buzzati – “Il Deserto dei Tartari”)
«Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni…»
(U.Eco – “Il Nome della Rosa”)
«…Scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio»
(J.L.Borges)
“Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.”
(A.Gramsci - 'Lettere dal carcere')
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza, se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero degno di ogni più scandalosa ricerca”
(P.P.Pasolini)
“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. MADISON - 4 Agosto 1822. Lettera a W.T. Barry)
“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”
(Joseph Pulitzer)
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