Archivio per ONU

The Peacemaker

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , on 1 marzo 2022 by Sendivogius

Colt Peacemaker

Ci si dovrebbe chiedere se uno Stato membro delle Nazioni Unite che cerca di occupare un altro Stato membro delle Nazioni Unite, commettendo orribili violazioni dei diritti umani e causando enormi sofferenze umanitarie, debba essere autorizzato a rimanere in questo consiglio.”

Antony J. Blinken
Segretario di Stato degli USA

SLUG: NA/TORTURE DATE SHOT: 1/20/1968 (Flatbed scan 10/04/2006 EEL) CREDIT: UPI CAPTION: DA NANG, S. VIETNAM--Prying replies to the questions from an uncooperative Viet Cong suspect, First Air Cavalrymen and a Vietnamese interpreter attached to the American unit lay a towel over the suspect's face and then pour water on it. The suspect was flushed from a spider hole during Operation Wheeler Wallowa 1/17, about 25 miles south of Da Nang.

Guerra del Vietnam (1964-1975); Invasione di Grenada (1983); Invasione di Panama (1989); Invasione dell’Iraq (2003) e quasi nove anni di occupazione militare; Invasione dell’Afghanistan (2001) e 20 anni di occupazione militare; Bombardamento di Belgrado per imporre la secessione del Kosovo (1999).
E si tratta solo di un infimo elenco, su approssimazione per omissione. Le “sovranità” non sono mica tutte eguali.
Visto il pulpito, ci si chiede dunque quante volte avrebbero dovuto essere espulsi gli Stati Uniti dal consesso delle Nazioni Unite…

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DURA MINGA!

Posted in Muro del Pianto, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 agosto 2014 by Sendivogius

Galline-in-fuga

Il proliferare di cinguettii virtuali via Twitter, di castronerie digitalizzate a mezzo f/b, e di tutto il variopinto campionario di corbellerie variamente assortite, che impazzano senza posa su Siria e Iraq e dintorni, ci insegna fondamentalmente tre cose:
1) che tra i rappresentanti del popolo supino la lingua corre di gran lunga più veloce del pensiero, nell’ansia da dichiarazioni in deficit di prestazioni;
2) che la competenza in materia è inversamente proporzionale alla mole di chiacchiere, con le quali si va sproloquiando in libertà;
3) che una stronzata tira l’altra e che smarrito ogni minimo senso del ridicolo (e finanche del pudore!) si persiste imperterriti nel ribadire la medesima, quasi che la ripetizione possa coprirne l’olezzo, in un mondo che con ogni evidenza ha smarrito le virtù del silenzio.
Aforisma A termini inversi, per parafrasare un celebre aforisma di Woody Allen, si può dire che un imbecille può dire di tutto, senza timore alcuno di smentita. La sua reputazione ne resterà comunque intatta.
Di conseguenza, i rancidi frullati di geopolitica domestica dispensati dal Dibba, le allucinazioni fantapolitiche di un Manlio Di Stefano, i pensierini minimali del prof. Becchi (lo specchio del degrado accademico italiano), fino all’immancabile Carlo Sibilia, che come uno scolaretto inetto sbaglia la lezioncina antropologica imparata a memoria e scambia i misteriosi Kaka’i con i fantomatici “Cagai” (forse un lapsus in riferimento alla sua inesauribile produzione scatologica), nel fondo del loro letamaio certificato a 5 stelle, non fanno altro che confermare la fondamentale distinzione insita nella categoria di riferimento, tra imbecilli profondi ed imbecilli superficiali.
Ai posteri l’ardua sentenza…
Cialtroni a 5 StelleMa la categoria in oggetto è tanto numerosa quanto trasversale. E la cacofonia scatenata attorno all’invio di “armamenti leggeri” e relativo “munizionamento” ai peshmerga curdi, sta lì a dimostrarne tutta l’insipienza.
Le armi che il governo italiano si impegna ad inviare sono scarti di produzione post-sovietica sequestrati tra il 1992 ed il 1995, durante il conflitto nella ex Jugoslavia. Si tratta di vecchi kalashnikov assemblati con pezzi scadenti (e per questo chiamati ‘kalakov’), stoccati per oltre un ventennio in bunker seminterrati in vecchie ‘polveriere’ male impermeabilizzate dell’Esercito, prevalentemente in Piemonte (dalle parti del Sestriere), e lì dimenticate. Ignorano i ministri Mogherini e Pinotti, e massimamente il ciarliero Telemaco, che dopo 20 anni il “munizionamento” si deteriora diventando inservibile. E lo stesso accade per i fucili mitragliatori che, senza un’adeguata manutenzione e oliatura, rischiano di diventare un pericoloso giocattolo nelle mani di chi li usa. Di solito, le prestazioni non sono delle migliori…

Le forniture in questione dovranno, legittimamente, passare prima per Baghdad. E possiamo dire con discreta certezza che ai combattenti curdi di Kirkuk non arriveranno mai, o comunque saranno consegnate con ampio ritardo e in numero ridotto. Cosa del resto già avvenuta, nel caso dei ben più efficienti e moderni armamenti che lo USArmy aveva lasciato in abbondanza nelle disposizioni del governo iracheno, il quale si è guardato bene dal fornire il materiale bellico all’amministrazione autonomista del Kurdistan, preferendo piuttosto ammucchiare le dotazioni militari in depositi lasciati poi incustoditi al saccheggio dell’ISIS che adesso può contare su forniture di primissima scelta. Dunque, tanto rumore per nulla. O poco più.
In alternativa, la proposta pentastellata verte sulla disponibilità a fornire equipaggiamenti non letali a protezione della vita umana… Ovvero sia giubbotti antiproiettile (tanto scomodi quanto totalmente inutili contro un calibro 7,62 mm, che poi è il munizionamento standard di un comune kalashnikov) ed elmetti (non è dato sapere se in kevlar, o vecchi caschetti in disuso risalenti al 1970), fondamentali per respingere un attacco in forze dei massacratori dell’ISIS!
img_3376_copy_small.jpgSi aggiunga l’apertura di corridoi umanitari, il ripristino delle forniture di acqua potabile che non si capisce bene come e da chi dovranno essere garantiti e soprattutto difesi (a sassate?!?); insieme ad una iniziativa internazionale per il cessate il fuoco, che di fatto coinvolgerebbe ed implicherebbe un riconoscimento internazionale ed una legittimazione legale alle bande di tagliateste e stupratori che scorrazzano indisturbate nel sedicente Califfato salafita (geniale!), perché come dice l’onorevole Manlio Di Stefano: serve rispetto per capire l’ISIS.
Collezionisti di teste (2)Diversamente, bisogna coinvolgere l’ONU e chiedere l’intervento di una forza internazionale di interposizione, vale a dire i “caschi blu” dei quali si Safe arearicorda la proverbiale determinazione e l’efficacia dimostrata a suo tempo nel grande mattatoio bosniaco. Quest’ultima trovata è scaturita dalla fantasia delle animelle belle di SEL, che per non diventare una “costola del PD” si sono ridotte ad andare a rimorchio (per giunta senza alcuna contropartita) della Setta pentastellata, subendone supinamente l’iniziativa in un Caschi blucascame di sterili distinguo. E si ignora che i famosi “caschi blu” altro non sono che soldati professionista con l’elmetto coperto da una calottina turchese ed i blindati da combattimento verniciati di bianco, imbrigliati in una inefficiente e rissosa (tante sono le nazionalità) catena di comando.

srebrenica-genocid

Ma un coinvolgimento delle Nazioni Unite, con mobilitazione del Consiglio di sicurezza e di interminabili “tavoli di discussione” dove nulla mai si decide tra i veti incrociati, avrebbe il duplice vantaggio di posticipare sine die ogni decisione rendendo inutile qualsivoglia intervento. Ad essere ottimisti, si rimanderà tutto da qui a sei mesi. A quel punto, in IRAQ e in Siria le minoranze perseguitate, non sono solo quelle cristiane ma anche quelle di yazidi, shabak, bahá’í, armeni, comunità di colore, circassi, Kaka’i, kurdi faili, palestinesi, rom, turkmeni, mandei sabei cesseranno di esistere del tutto. E quindi non si porrà più l’annoso problema della loro protezione. E potremo così continuare a baloccarci con qualche altra polemica su f/b tipo le presunte censure omofobe della Barilla o le cretinate di un Tavecchio. Sicuramente molto più rassicuranti nel nulla che nasconde l’abisso.

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IUXTA BELLA

Posted in Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 agosto 2014 by Sendivogius

Wolfenstein - The New Order

Nell’antichità, per distinguersi dall’esecrato dispotismo orientale, Greci e Latini ci tenevano moltissimo a fornire una giustificazione per le proprie campagne militari, conferendo alla guerra una sua legittimità nell’inevitabilità del conflitto armato.
Soprattutto per i Romani, la guerra doveva rappresentare la risposta ad un torto più che circostanziato (causa suscepta). L’apertura delle ostilità belliche era in genere preceduta da un complicato rituale cerimoniale, che aveva la duplice funzione di escludere ogni composizione pacifica e assicurarsi la benevolenza delle divinità, in prospettiva delle rappresaglie (clarigationes) per la ricomposizione del danno presunto (rerum repetitio), perché per sua natura la guerra doveva sempre essere un bellum iustum ac pium.
Poi va da sé che spesso e volentieri le guerre non si rivelavano giuste né sante, rimesse com’erano al capriccio di un giovane monarca assettato di gloria e desideroso di distinguersi agli occhi dei sudditi…

Alessandro Magno

Più spesso e volentieri (che i soldati della ‘gloria’ si stancano presto), scaturivano dalla fame di terre altrui, dall’avidità di bottino e dalla bramosia di saccheggio, che nelle economie di rapina del mondo antico costituivano la Giulio Cesareprincipale forma di arricchimento. Oppure, le ragioni andavano ricercate nell’iniziativa personale di un qualche generale ambizioso, o governatore di provincia, che avrebbe sfruttato le proprie fortune militari in campagna elettorale, per costruirsi una carriera politica.
A posteriori, un “casus belli” si trovava sempre. O in alternativa lo si inventava.
Per fortuna, oggi le cose funzionano in maniera totalmente diversa. E mai si potrebbe concepire una guerra per impossessarsi e sfruttare le risorse altrui; per occupare ed espropriare terre con requisizioni forzate, cacciandone via i legittimi proprietari. E magari poi candidarsi alle elezioni sventolando i propri successi di guerra, per accreditarsi come ‘uomini di polso’ contro i nemici esterni della nazione.
Tempora mutantur et nos mutamur in illis; ai tempi odierni, chi mai agirebbe più così?!?
Ariel SharonOggi è lo stesso concetto di conflitto convenzionale ad essere superato, tanto che le guerre non esistono nemmeno più. O quanto meno si nega loro la sostanza, cambiando la formula semantica per la loro definizione, nell’illusione possano essere altro da ciò che effettivamente sono. E dunque, pur di non evocare lo spettro, si preferiscono allocuzioni come: “ingerenza umanitaria”; “operazione di polizia internazionale”; “attacco chirurgico” (con tutta la precisione di un’appendicectomia affidata ad un malato di Parkinson con un trincetto in mano) e “bombe intelligenti”
Il continuo stato d’assedio a cui è sottoposta la Striscia di Gaza sta lì a dimostrare quanto grottesche e oscene siano simili definizioni di compromesso, nella distorsione della realtà della guerra.
Bombardamento chirurgico al fosforo bianco su GazaSu quanto possano essere ‘intelligenti’ centinaia di granate sparate a casaccio contro un centro densamente abitato, da un mortaio montato su un M106, sicuramente potranno fornirci lumi quei fortunati che, ricevendo il colpo sopra le loro teste, entreranno a far parte degli “incidenti collaterali”.
M106 Mortar CarrierPer non parlare poi delle scariche d’artiglieria scagliate da innocui obici semoventi, come i discreti M109…
M-109Nemmeno il Nemico, inteso come entità, organizzazione, esercito, irriducibilmente alieno nella sua alterità ostile, ma quantomeno dotato di una propria identità e riconoscimento, esiste più. Oggi ci sono solo “terroristi”, intesi come massa indistinta ed onnicomprensiva, contro i quali ovviamente si scontrano le “forze del bene”. Contro i ‘terroristi’ – è risaputo! – le convenzioni ed i codici militari, che sono stati inventati per cercare di mitigare la ferocia della guerra, ovviamente non si applicano.
E se le regole non esistono più, allora tutto diventa lecito…
Tanto che a proposito dell’ecatombe attualmente in corso nel mattatoio di Gaza, sul quotidiano conservatore Times of Israel, prima della rimozione, era possibile leggere un ispirato editoriale di tal Yochanan Gordon: rampollo di una dinastia di editori yiddish ultra-ortodossi che controllano la testata giornalistica, in cui il giovane Yochanan esercita le sue arti di “opinionista” di papà. È dalle colonne del giornalino di famiglia che il piccolo Sansone redivivo ama esibire il proprio élan guerriero. Il titolo dell’articolo è sibillino, per conclusioni ancor più ambigue:

Il genocidio giusto

QUANDO IL GENOCIDIO È CONSENTITO

«[…] Concluderò con una domanda per tutti i filantropi là fuori: il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha chiaramente affermato all’inizio di questa incursione che il suo obiettivo è ristabilire una tranquillità sostenibile per i cittadini di Israele. Abbiamo già stabilito che è responsabilità di ogni governo assicurare la salvezza e la sicurezza della sua gente. Se i capi politici e gli esperti militari determinassero che il solo modo di raggiungere il proprio obiettivo a sostegno della sicurezza è il genocidio, lo si può ritenere ammissibile per il raggiungimento di questi obiettivi prefissati?»

Yochanan Gordon
“Times of Israel”
(01/08/2014)

Sinceramente, l’interrogativo non ci aveva mai sfiorato prima..! Tu che dici, Yochanan?
Ci sono genocidi buoni e genocidi cattivi?!? E come si distingue la differenza?

israel_nazi

Da parte sua, il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è detto molto dispiaciuto per le vittime tra la popolazione civile di Gaza, alle quali finanche nega pure la ricostruzione delle case che ha loro (di certo con rammarico) raso al suolo, spesso con gli abitanti dentro. E lo fa dopo aver ordinato la sistematica distruzione di interi distretti urbani, con la Il 16enne Muhammad Abu Khdeir, rapito, bastonato a morte e bruciato vivo da coloni israelianimedesima nonchalance con cui si da fuoco ad un formicaio dopo averlo cosparso di benzina. Peraltro questo costituisce un trattamento che nei territori occupati della Cisgiordania si applica più facilmente ai ragazzini palestinesi, piuttosto che alle formiche.
Caccia grossa in Palestina - soldati israeliani in posa col loro trofeo di guerraA giudicare dalla coerenza tra pensiero e comportamento, a suo tempo, possiamo immaginare che certamente più di qualche ufficiale nazista si sarà “dispiaciuto”, quando venne conclusa l’operazione di polizia per ‘bonificare’ il ghetto ebraico di Varsavia, dopo la prima insurrezione del Gennaio 1943. Considerato un pericoloso focolaio di disgregazione e di sommossa, il ghetto di Varsavia fu preso d’assalto dai poliziotti dell’ORPO (Ordnungspolizei), dagli ausiliari ucraini, e dalle Waffen SS della Polizei-Division, impegnati a reprimere le “bande di criminali e terroristi”, che utilizzavano i tunnel sotterranei per rifornirsi di armi ed esplosivi, nascosti in case trasformate in bunker e depositi clandestini, da utilizzare contro gli invasori con la svastica.

H.Himmler«Per motivi di sicurezza ordino che il ghetto di Varsavia sia smantellato, dopo aver trasferito all’esterno il campo di concentramento e avere in precedenza utilizzato tutte le parti della case e i materiali di qualsiasi tipo che possono comunque servire. La demolizione del ghetto e lo spostamento del campo di concentramento sono necessari, perché altrimenti non porteremo mai la calma in Varsavia e, permanendo il ghetto, non si potrà estirpare la delinquenza

Heinrich Himmler
(16/02/1943)

La differenza con l’attuale Ghetto di Gaza? Probabilmente il colore delle uniformi e il fatto che al contrario dei loro omologhi nazisti, i soldati di Tsahal (l’esercito israeliano) si guardano bene dall’avventurarsi in profondità tra i centri urbani, preferendo raderli al suolo a distanza insieme ai nuovi “subumani” che vi abitano, evidentemente reputati di nessuna utilità e considerati meno di bestiame da macellare.
nazi-israelPerché come ci insegna il buon Yochanan Gordon:

Chiunque viva con installazioni di lanciarazzi o tunnel del terrore scavati attorno o nelle vicinanze della propria abitazione non può essere considerato un civile innocente.”

Jürgen Stroop La pensava così anche il generale Jürgen Stroop, che comandava le unità impegnate nel Ghetto di Versavia. Peccato che alla fine del secondo conflitto mondiale sia stato impiccato come criminale di guerra. Invece, contro gli “empi filistei” (così sono stati chiamati i palestinesi in alcuni settori della destra israeliana!) l’ipotesi di sterminio è “permissible”.
Raid su Gaza - Foto de 'IlSecoloXIX'A tal propoito, Tsahal è forse uno degli ultimi e pochissimi eserciti moderni ad applicare con disinvoltura il “diritto” di rappresaglia, che esercita senza distinzione alcuna nei confronti degli obiettivi e dei danni subiti: scuole rifugio dell’ONU, ospedali e ricoveri per profughi; parchi gioco per bambini e abitazioni civili; luoghi di culto… tutto costituisce un obiettivo legittimo in evidente sproporzione di mezzi a disposizione e risposta, nella totale indifferenza (e disprezzo) per la vita umana. Perché a Gaza non esistono zone franche, né posti sicuri, né tregue che tengano (perfino lo zoo cittadino è stato bombardato!).
Gaza - la ex moschea di Mohammed SousiE se è vero (come non è vero) che Hamas è soltanto un’organizzazione terroristica che si fa scudo della popolazione civile, è soprattutto vero che le forze armate israeliane non si fanno alcuno scrupolo a colpire entrambi. E ciò è intollerabile per qualunque compagine statale abbia la pretesa di essere una democrazia. Per essere reputato tale, uno stato democratico deve sottostare alle regole condivise del diritto internazionale. Se le viola in aperta e sistematica flagranza, si pone automaticamente fuori da tale consesso civile, qualificandosi per ciò a cui più assomiglia: uno Stato etnico basato sulla discriminazione confessionale e la segregazione razziale, scaturito da un focolaio abusivo insediatosi con la forza su territori dell’ex impero ottomano, che ha esaurito da tempo la sua missione storica, politica, e finanche ‘morale’.
Sparate sulle ambulanzeLa facilità con cui Israele marchia i suoi nemici come “terroristi” (così come bolla i suoi detrattori come “anti-semiti”), negando loro ogni dignità e dunque precludendo qualsiasi dialogo, costituisce in realtà uno strumento assai rischioso…
Troppo spesso si finge di ignorare quanto per Israele il “terrorismo di stato” sia stata una pratica consolidata fin dai primi atti della sua fondazione e molto più di un’eccezione, tanto da costituire una costante della sua storia, insieme al ricorso degli “omicidi mirati” (veri assassini di stato contro i propri nemici politici) ed i sequestri di persona.
Su cosa sia il “Terrore” d’altronde Israele ha le idee chiarissime e non ne ha mai fatto mistero, tanto è esperto nella pratica come nella teoria:

Erez Israel (Grande Israele) coi confini ideali dello stato ebraico - Manifesto dell'Irgun (1935) «Né la moralità, né la tradizione ebraica possono negare l’uso del terrore come mezzo di battaglia. Noi siamo decisamente lontani da esitazioni di ordine morale sui campi di battaglia nazionali. Noi vediamo davanti a noi il comando della Torah, il più alto insegnamento morale del mondo: “Cancellateli… fino alla distruzione!” Noi siamo in particolare lontani da ogni sorta di esitazione nei confronti del nemico, la cui perversione morale è accettata da tutti. Ma il terrore è essenzialmente parte della nostra battaglia politica alle presenti condizioni e il suo ruolo è ampio e grande. Ciò dimostra, a chiare lettere, a coloro che ascoltano in tutto il mondo e ai nostri fratelli scoraggiati fuori le porte di questo paese che la nostra battaglia è contro il vero terrorista che si nasconde dietro le sue pile di carta e di leggi che egli ha promulgato. Non è diretta contro il popolo, è diretta contro i rappresentanti. Finora ciò è efficace

“Terrore” (Agosto 1943)
Pubblicato su “Il Fronte” (He Khazit), giornale clandestino del Lehi.

Tra il 1930 ed il 1950, le organizzazioni clandestine armate legate al sionismo revisionista di Zeev Jabotinskij, operative in Palestina, si contraddistinguono per ferocia e per lo stillicidio degli attentati dinamitardi contro autorità britanniche e popolazione araba, in un continuo deflagrare di bombe sui treni e nei mercati, nei cinema e negli uffici postali, sugli autobus e nelle stazioni ferroviarie. A questi vanno aggiunte le uccisioni a sangue freddo dei fellahin arabi che vengono ammazzati mentre lavorano nei campi a scopo intimidatorio, insieme ad i raid notturni nelle fattorie arabe ad opere delle SNQ (Special Night Squads) dell’Haganah Leumi, applicando con largo anticipo quella che poi verrà universalmente chiamata “pulizia etnica”.
Le gesta dell'Irgun riportate dal 'Times' di LondraLo stesso Likud, il principale partito della destra nazionalista attualmente al governo in Israele, è la filiazione politica di organizzazioni armate come l’Irgun ed il Lehi della famigerata Banda Stern, le attività terroristiche dei quali culmineranno con la strage del King David Hotel di Gerusalemme (22/07/1946), quando i terroristi dell’Irgun fecero saltare in aria un’intera ala dell’albergo, ed il massacro di Deir Yassin (09/05/1948) con tutti i suoi abitanti passati per le armi a sangue freddo dopo la resa.
A questo si aggiunga il rapimento e l’assassinio dei due sergenti inglesi (Clifford Martin e Marvin Paice nel 1947), fatti ritrovare impiccati in un campo d’ulivo; la distruzione dell’ambasciata britannica a Roma, fatta esplodere nella notte del 31/10/1946; l’omicidio del conte Folke Bernadotte (17/09/1948), inviato ONU a Gerusalemme.
Hitler  Durante la seconda guerra mondiale, le attività criminali della Stern gang in funzione anti-britannica si spinsero a tal punto da prefigurare un’alleanza strategica con la Germania nazista, in un patto scellerato che alla fine non andò in porto.
La sequela di crimini ed azioni terroristiche delle due bande furono tante e tali, da provocare il biasimo e la reazione sdegnata di moltissimi ebrei, tra cui lo stesso Albert Einstein

Albert Einstein contro i terroristi del Lehi

Nell’Irgun Zvai Leumi e nel Lehi hanno militato alcuni dei principali leader politici dello Stato israeliano:  Yitzhak Shamir (Lehi) e Menachem Begin (Irgun), entrambi attivamente implicati nelle operazioni terroristiche delle due organizzazioni.
Terroristiche furono altresì le attività del generale e premier israeliano Ariel Sharon, che comincia la sua carriera di criminale di guerra nel 1953 con la strage di Qibya, un intero villaggio spazzato via con tutti i suoi abitanti, e raggiunge l’apice con il massacro di Sabra e Shatila durante l’invasione del Libano nel 1982.
sabra-trueIn compenso, una volta costituitosi in stato, Israele della vecchia amministrazione imperiale britannica ha mantenuto ed esteso il regime di occupazione militare e l’amministrazione di tipo coloniale dei territori TIMEpalestinesi, esercitando requisizioni coatte e confische illegali, le deportazioni forzate, l’uso dei tribunali speciali militari. Si consideri poi l’attribuzione di un diverso status giuridico per i palestinesi, con evidenti discriminazioni in sede processuale, insieme al ricorso agli arresti di massa, con detenzione indeterminata senza certificazione dei capi di imputazione (tutti “terroristi”!). E non si dimentichi la demolizione di abitazioni e distruzione di beni privati, di proprietà palestinese, che si configurano sempre come una forma di punizione collettiva, in un regime di rappresaglia permanente. 

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Il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza nel 2007 fu propagandato come una forma di disimpegno unilaterale. Peccato che l’enclave palestinese si sia progressivamente trasformata in un immenso lager a cielo aperto, costantemente sotto controllo militare e privo di qualunque autonomia, dal momento che l’esercito di Tel Aviv controlla i valichi di frontiera, lo spazio aereo, i porti marittimi, e tutte le merci in entrata ed uscita dalla Striscia che devono necessariamente transitare in territorio israeliano. Tutti i fondi e gli aiuti economici destinati a Gaza, da quelli destinati ai servizi sanitari, fino al pagamento dei funzionari pubblici, devono essere depositati in banche israeliane che decidono a propria discrezione quando e se erogare le risorse indebitamente trattenute.
George A. CusterA sua volta, puntellata com’è di fortini, avamposti militari, check-point, borghi fortificati e colonie armate, la stessa Cisgiordania assomiglia più ad una riserva indiana rosicchiata dalle giubbe blu, che un “territorio autonomo”: né stato indipendente, né protettorato ONU, ma solo un controsenso geografico a cui attribuire un ambiguo riconoscimento giuridico, senza alcun risvolto pratico e soggetto a tutte le violazioni possibili.
Attacco al fosforo bianco su rifugio ONUA guardare bene, le esecuzioni extragiudiziali, i rastrellamenti e gli arresti di massa, la totale assenza di processi regolari, le detenzioni illegali, la sistematica distruzione delle proprietà dei sospetti, gli espropri forzati e senza alcun indennizzo, le incursioni militari… insieme alla palese violazione di ogni elementare norma di diritto e di qualunque disposizione terza da parte di organismi internazionali, nell’assoluta certezza che le violazioni non comporteranno alcuna conseguenza o sanzioni, non sembra che pongano molte alternative alla popolazione palestinese che può scegliere tra un regime brutale di occupazione coloniale o un embargo feroce.   
Bomba intelligente su centro ONU a Gaza In seguito al blocco imposto alla Striscia nel 2008, è stata creata una zona di interdizione di tre km ovviamente all’interno del territorio palestinese e imposto un blocco marittimo che impedisce ai pescatori di Gaza di spingersi oltre le tre miglia navali dalla costa. A meno che questi non vogliano essere mitragliati dalla Marina israeliana e vedersi sequestrare le imbarcazioni. Tagliata fuori da ogni collegamento con i territori autonomi della West Bank, a loro volta frazionati a macchia di leopardo, la Striscia di Gaza risponde alla più classica delle strategie: divide et impera.
E quando questo fondamentale requisito viene mene, ogniqualvolta le fazioni palestinesi sembrano raggiungere un accordo condiviso per una politica unitaria ed una azione comune, Israele attacca adducendo un qualche pretesto che non manca mai.
Saluto dei bimbi israeliani ai bimbi palestinesiPer esempio nell’autunno del 2000, quando il premier Ariel Sharon organizzò una provocazione premeditata che scatenò volutamente la rivolta generale dei palestinesi (la Seconda Intifada), per stornare l’attenzione dal fallimento degli accordi di pace (sistematicamente sabotati dal Likud e dall’area più oltranzista della destra israeliana) e legittimare la svolta fascista in Israele, col risultato di favorire ogni volta il sopravvento di formazioni ancora più radicali, come il caso di Hamas e Jihad che hanno progressivamente soppiantato le indebolite organizzazioni laiche di Al-Fatah ed i marxisti del FPLP.
gaza-bombe-al-fosforo-bianco-attacco-IsraeleE poi ci sono i sistematici raid su Gaza, che avvengono ormai a cadenza regolare, e che preferibilmente vengono lanciati in prossimità di ogni tornata elettorale in Israele o crisi di popolarità per questo o quell’esecutivo di governo…
gazaphosphorous-victimsSostanzialmente, il governo conservatore di Tel Aviv cercava solo un pretesto per scatenare l’ennesimo attacco nella Striscia di Gaza, da quando ha iniziato a profilarsi l’ipotesi di un governo di unità nazionale tra i palestinesi della Cisgiordania e quelli di Gaza, con una convergenza delle due principali organizzazioni politiche dei territori autonomi: Al Fatah ed i “terroristi” di Hamas, che avrebbe implicato un maggior peso nell’ambito delle trattative internazionali. Soprattutto non si poteva ammettere alcun cedimento nei confronti dei “terroristi” di Hamas, che si rifiutano di riconoscere lo Stato di Israele (esattamente come Israele ha sempre negato ogni riconoscimento di uno Stato palestinese) e predicano la sua distruzione. Bisogna dire che all’atto pratico l’intento riesce molto più facilmente al governo di Tel Aviv, rispetto ai propositi di Hamas: i razzetti portatili Al-Qassam hanno fatto una ventina di vittime in poco più di dieci anni (meno morti degli incidenti stradali in un week-end), mentre Tsahal ammazza sotto i suoi bombardamenti qualche migliaio di civili ogni due anni, tanto per bilanciare il rapporto demografico.

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Sull’altro versante atlantico, l’Amministrazione USA si dice “scioccata” per le ultime stragi di civili, che in massima parte riguardano bambini (gli adulti White washinginvece possono anche crepare senza troppi turbamenti). Però poi all’atto pratico non fa nulla di concreto per fermare il massacro indiscriminato, salvo bloccare sistematicamente col proprio veto al consiglio dell’ONU ogni risoluzione di condanna nei confronti di Israele; giustificandone incondizionatamente qualunque azione (e relativi crimini di guerra); rimpinguandone gli arsenali militari con sistemi balistici e supporti tecnologici di ultima generazione, a meno che non si creda che gli israeliani combattano le loro guerre solo con mitragliette Uzi e fucili automatici Galil. Gli Stati Uniti, indistintamente dal governo in carica, hanno sempre concesso crediti illimitati per svariati milioni di dollari, a carico del contribuente americano tanto ossessionato dalle tasse. Il bravo Barack Obama, a cui si deve a chiacchiere la posizione più critica che gli USA abbiano mai avuto nei confronti degli “eccessi” di Israele, in concreto ha stanziato circa un miliardo di dollari a fondo perduto, e ulterioremente rifinanziato, per la fornitura di sistemi d’arma a Tsahal. Dopo le stragi di Gaza, il contributo non è stato messo affatto in discussione ed anzi è stato prontamente confermato ed incrementato: Israele ha svuotato gli arsenali e bisogna riempirglieli per la prossima guerra.

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Al contempo, gli investitori americani acquistano titoli di stato che nessun hedge funds statunitense si sognerebbe mai di reclamare in caso di insolvenza, al contrario di quanto avviene ad esempio per i bond argentini, contribuendo in maniera fondamentale alla prosecuzione dell’orgia di sangue in un circo stanco.

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UNITED BOMBER

Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 settembre 2013 by Sendivogius

Hellblazer - Pandemonium

Qualcuno di voi si ricorda del sig. Iyad Allawi?
Fondatore della Intesa Nazionale Irachena, sedicente capo dell’opposizione democratica in esilio, è stato l’inutile idiota pescato dalla CIA e sponsorizzato dal Dipartimento di Stato statunitense, per rappresentare quella solida democrazia che è l’Iraq pacificato dal dopo-invasione.
Peraltro si trattava di un uomo di paglia di seconda scelta, giacché inizialmente tutte le preferenze erano state accordate a tale Ahmed Chalabi ed al suo fantomatico Congresso Nazionale Iracheno (INC), la cui influenza e radicamento nella realtà irachena era tale quanto un pinguino può essere rappresentativo della fauna sub-sahariana.
Ahmed Chalabi Accreditatissimo presso l’amministrazione Bush, viene presentato come un eroe della democrazia (secondo il modello petrolifero-coloniale dei neocon) e definito contro ogni sprezzo del ridicolo il “George Washington dell’Iraq”, aggiungendo la farsa alla tragedia. Chalabi è in realtà un noto bancarottiere, truffatore internazionale, nonché mitomane conclamato, doppiogiochista e sospetto spione al soldo degli ayatollah iraniani, senza alcun seguito politico o legame con l’opposizione anti-saddamita in Iraq. Al contempo, l’INC è una protuberanza personale del furbo avventuriero levantino, che la usa per rastrellare (e mettersi in tasca) le decine di milioni di dollari destinati alla ricostruzione nel dopoguerra iracheno. Verrà subito nominato Ministro del Petrolio dai “Liberatori”, nel nuovo Iraq trasformato in colonia da estrazione.
IraqiFreedom-XD’altronde, Ahmed Chalabi è stato anche colui che ha prodotto le prove ‘inoppugnabili’ sui legami del regime laico ed ultra-nazionalista dei baathisti di Bagdhad con gli integralisti transnazionali di Al-Quaeda. Più facile che un cobra e una mangusta convivano insieme nella stessa tana. Altresì, sempre Chalabi è la fonte ‘incontrovertibile’ che a suo tempo fornì le Colin Powellcartucce esplosive alla famosa “smoking gun”, creando la strampalata favoletta sui laboratori mobili per la produzione delle “armi di distruzione di massa”, montati dagli iracheni su tir in movimento, ed esposta al Consiglio di sicurezza dell’ONU con dovizia di particolari (05/02/93) da un Colin Powell senza alcuna ombra di imbarazzo.
Adesso, con dieci anni di distanza e di guerre infinite che dallo scacchiere mediorientale si trascinano senza soluzione di causa tra gli altipiani dell’Afghanistan e le valli dello Swat pakistano, la nuova amministrazione USA si prepara a trascinare nell’ennesimo conflitto una nazione che, con ogni evidenza, non riesce proprio a stare lontano dalla guerra.
Obiettivo di turno è la Siria dello stralunato Bashar al-Assad, nella convinzione che per alleviare le sofferenze della popolazione civile non ci sia niente di meglio che innaffiarla con una pioggia di bombe.
if you don't come to democracySe le motivazioni e le manovre che nel 2003 portarono alla seconda Guerra del Golfo furono oggetto di critiche serrate, l’operazione condotta all’epoca dall’amministrazione Bush rischia di apparire addirittura un capolavoro politico e diplomatico, a paragone della raffazzonatissima strategia messa frettolosamente in piedi da O’Banana e dai bravi ragazzi del suo groupthink, dopo i conclamati successi in Libia ed Egitto.
Il mio amico GheddafiIl contestatissimo Bush jr, in flagrante violazione delle disposizioni ONU, riuscì comunque a mettere insieme una “coalizione di volenterosi” con una cinquantina di paesi compiacenti.
O'BananaIl presidente “Hope & Change”, premio Nobel alle intenzioni per la pace, e attuale commander in chief della nazione più guerrafondaia del pianeta si accinge ad attaccare la Siria, ovviamente senza mandato ONU, con l’apporto delle due principali ex potenze coloniali della regione: una recalcitrante Gran Bretagna e la fanfaronesca Francia del ‘socialista’ Hollande.
Inoltre, l’intervento militare è fortissimamente caldeggiato da noti baluardi democratici, oltremodo famosi per la difesa dei diritti umani, come quel campione della laicità e della libertà religiosa che è l’Arabia Saudita. All’atto pratico, i diretti beneficiari dell’attacco saranno i simpatici tagliagole barbuti delle formazioni salafite: gli affidabili “ribelli” che combattono per l’instaurazione della sharia e si dedicano alla caccia delle minoranze (a partire dai cristiani) in tutti i territori ‘liberati’, che finora ci hanno deliziato col solito corollario di decapitazioni, mutilazione dei prigionieri, e (davvero ci mancavano!) atti di cannibalismo immortalati nei loro filmini amatoriali orgogliosamente caricati su internet.
L’America dei neocon, traumatizzata dagli attentati del 9/11, pensò comunque di dover fornire le “prove” a legittimazione del proprio intervento armato, spendendosi nella pantomima dei mobile production facilities for WMD all’ONU.
O’Banana ed il suo staff invece si guardano bene dal presentare, e tanto meno dall’esporre pubblicamente, le indiscutibili informazioni sull’uso indiscriminato di armi chimiche da parte del famigerato regime siriano. In tal modo non si corre il rischio di venire smentiti, o di fare incresciose figure come quella fatta all’epoca dallo zelante Colin Powell.
Nel 2013 come nel 2003, il referente naturale dell’amministrazione USA è un evanescente “Consiglio” dell’opposizione in esilio, di cui non si sa assolutamente nulla e di cui si ignorano totalmente gli interlocutori e le reali influenze.
democracy coming soonSarà meglio invece sorvolare sulle ipocrite giustificazioni all’ennesima “guerra umanitaria”. La motivazione ufficiale con la quale O’Banana sta cercando di ammansire un’opinione pubblica sempre più scettica, in soldoni, è: “in Siria è stata violata la linea rossa con l’uso delle armi chimiche”. A dire il vero, finora l’uso conclamato dei gas asfissianti è stato attribuito con una certa soglia di sicurezza ai sedicenti “ribelli”, che in Afghanistan ed in Iraq vengono chiamati “terroristi” ma che in Siria tornano utili come i talebani nella guerra contro i sovietici. La cosiddetta “linea rossa” era già stata violata a maggio, senza che l’amministrazione USA si sia impensierita troppo: non era il sanguinario regime di Assad ad aver premuto il bottone e dunque tanto valeva fare finta di nulla. Del resto, era già avvenuto nel 2009, quando Tsahal non si faceva certo remore ad usare il fosforo bianco su Gaza (la città più densamente affollata al mondo); tra gli obiettivi, la scuola dove aveva sede l’agenzia ONU per i rifugiati ed il principale ospedale della città. All’epoca gli USA intervennero eccome, con assoluta prontezza, per mettere il veto ad ogni risoluzione di condanna per i crimini di guerra perpetrati dal comando militare israeliano.
D’altra parte, armi chimiche sono state utilizzate dallo USArmy durante la cosiddetta battaglia di Falluja. Proiettili all’uranio impoverito (il miglior modo per liberarsi delle scorie radioattive) sono stati sparacchiati senza riserva un po’ ovunque: dalla Bosnia al Kosovo, e per tutto l’Iraq.
Su quali presupposti etici, il Paese che detiene il più grande arsenale di armi chimiche e batteriologiche del pianeta; l’unico che abbia mai usato la bomba atomica, nuclearizzando un paio di città; lo stesso che ha scaricato tonnellate di Napalm sui villaggi vietnamiti, inondando le campagne con il famigerato Agente Orange… si permetta di ergersi a giudice morale è cosa ben curiosa. In quanto a crimini di guerra, la più grande democrazia del mondo li ha perpetrati praticamente tutti, nella più assoluta impunità.
VietnamI tentennamenti di Obama, che si è infilato da solo in un cul-de-sac coi controfiocchi, sono stati sprezzantemente liquidati da un certo Bill Clinton come “vigliaccheria”. È certo prova di grande coraggio invece lanciare missili dal largo delle coste siriane, in acque internazionali, mentre si sta al sicuro a migliaia di chilometri dal teatro delle operazioni. Mr Clinton è lo stesso presidente (“democratico”) che nel 1998 i missili li lanciò su un deposito di medicinali in Sudan, scambiato per una fabbrica di armi chimiche, a dimostrazione di una politica particolarmente intelligente e coraggiosa.
Attualmente il problema si chiama Iran, divenuto senza colpo ferire una macropotenza regionale, dopo la scomparsa dei suoi principali nemici alle frontiere: l’Iraq di Saddam Hussein ad ovest ed il regime feudale dei talebani in Afghanistan, per provvidenziale intervento USA su entrambe i fronti di guerra. Abbattere il regime degli Assad in Siria, priverebbe Teheran di un prezioso alleato e ne ridimensionerebbe l’influenza nella regione, rassicurando i falchi della destra israeliana.
Insomma, parlare a nuora (Siria) affinché suocera (Iran) intenda . In fondo è da oltre un decennio che al Pentagono si studia una possibile guerra con gli eredi di Serse… Oramai non se ne fa mistero neppure nell’industria dell’intrattenimento: da film come “300” a videogame come “Battlefield”.
Battlefield 3La scomparsa di uno dei pochi stati laici del Medio Oriente, con la creazione dell’ennesima ierocrazia di ispirazione wahabita, dove scorrazzano indisturbati gruppi di jihadisti armati fino ai denti che premono contro il fragilissimo Libano, e si incuneano nel bel mezzo di Stati amici come la Giordania ed Israele, con l’Egitto ridotto ad una polveriera pronta ad esplodere, denota invece una lungimiranza fuori dal comune. Straordinaria se si pensa che per ottenere l’eccezionale risultato, si vanno a pestare i piedi pure a superpotenze come la Russia e la Cina, irrompendo a suon di bombe in un paese da sempre sotto la loro influenza geopolitica.
Ma oramai Mr President mica può perdere la faccia. E dunque comincino i fuochi d’artificio!

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1° MAGGIO

Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 1 Maggio 2011 by Sendivogius

Nell’Italia dei senza lavoro e della crisi infinita è festa grande.
Finalmente restituito alla sua vera natura medioevale, un intero Paese è fermo nelle celebrazioni pubbliche dell’enorme autodafé pontificio: la più grande operazione commerciale a profitto ecclesiastico, mai organizzata dai tempi delle indulgenze giubilari.
In concomitanza con una delle poche feste laiche della Repubblica, rottamata in nome del profitto e per le tasche dei bottegari, si sovrappone la beatificazione del papa polacco, amico di dittatori e gran protettore dei pedofili (purché in tonaca), restauratore del potere temporale dei pontefici e campione della conservazione più intransigente. Però è stato un papa fotogenico, abile nell’autopromozione, e tanto basta a considerarlo “buono”.
Aperto ad ogni modernità, tanto per dire, è stato capace di istituire una commissione di studio per confutare (negli anni ’80!) la validità delle teorie di Galileo e valutare un’eventuale revisione della condanna. Ancora non era convinto..!
L’ennesimo revival sanfedista di una superstizione necrofila, fondata sull’esposizione di pezzi di cadavere, con l’adorazione di secrezioni ed umori colliquativi morbosamente conservati, è l’occasione per ribadire in pompa magna la supremazia del Papa-Re sul “giardino” italiano. Non per niente il piccolo imperatore è corso a presentare formale atto di sottomissione al primato del papato, seguito da tutto il resto dell’arco istituzionale.

TRIPOLI BEL SUOL D’AMOR…
 Con spirito cristiano, le città libiche vengono benedette da una provvidenziale pioggia di bombe (però intelligenti) e in nome dell’accoglienza si respingono i profughi che si vorrebbero liberare da una feroce tirannia.
Come il generale von Clausewitz, il presidente Giorgio Napolitano ci ricorda, a modo suo, che “la guerra è una naturale prosecuzione della politica”… per l’esattezza, “un’evoluzione naturale”. Un ottimo modo per festeggiare il centenario della Guerra di Libia (1911-2011). Del resto abbiamo un’eccellente copertura giuridica perché, come gli antichi romani, noi aborriamo le iniusta bella.
Per questo i bombardamenti italiani (su una nostra ex colonia) sono cominciati con l’autorevole avvallo presidenziale, mai così solerte, prima ancora che se ne potesse discutere in Parlamento, in nome della sacra risoluzione n.1973 dell’ONU, mentre già si sussurra l’invio di truppe di terra. Peccato che la risoluzione delle Nazioni Unite non contempli l’eliminazione fisica del rais e lo sterminio della sua famiglia, non autorizzi l’uccisione dei suoi figli e dei suoi nipoti con attacchi notturni alle loro abitazioni private, non preveda la distruzione delle stazioni televisive del regime e delle infrastrutture.
Si tratta di gravi violazioni al mandato originario, che conferiscono agli attacchi l’infame natura di rappresaglie terroristiche. Tuttavia, questo il presidente Napolitano ha omesso di ricordarlo.
E del resto la situazione libica avrebbe richiesto un minimo di prudenza…

Innanzitutto, dopo mesi, non si è ancora ben capito chi siano i nuovi referenti politici… il fantomatico consiglio di Bengasi?!? L’ex ministro degli interni (un fedelissimo di Gheddafi) passato alla causa degli insorti insieme ad alcuni militari caduti in disgrazia?
A tutt’oggi, in Cirenaica non esiste un direttorio unificato; si ignorano chi siano questi “ribelli” né si conosce una linea programmatica precisa e soprattutto condivisa.
Manca completamente un vero centro di coordinamento, tanto meno  è stato costituito  un credibile governo provvisiorio. Ogni centro abitato e regione insorta ha il proprio consiglio cittadino improvvisato ed i vari comitati si muovono disordinatamente per proprio conto, irrimediabilmente divisi tra appartenenze claniche e gelosie tribali.
Se questa è la situazione politica. Ancora peggio è la realtà militare… qui mancano anche le basi minime e le più elementari nozioni di combattimento:
 1) I combattenti improvvisati ci hanno messo un mese per capire che i pick-up bianchi in mezzo al deserto sono un bersaglio ideale per qualsiasi artiglieria e che quindi andrebbe improvvisata un minimo di mimetizzazione. Soprattutto non ci si muove asserragliati in mandrie tanto per farsi coraggio o incitarsi a vicenda. Non parliamo poi di formazione a ventaglio, disposizione allargata, e altre cosucce che a quelle latitudini sembrano fantascienza.
 2) Qualcuno deve aver spiegato ai ribelli che le armi vanno tenute pulite e ben oliate. E giustamente abbiamo assistito a scene dove le mitragliatrici calibro 50 venivano lavate con acqua e sapone e gli AK-47 impastati di grasso. Il sistema migliore, e più rapido, per renderli inutilizzabili.
 3) Non esiste alcuna logistica, né un comando unificato, nessun piano strategico. Ci si muove alla spicciolata, secondo l’ispirazione del momento; si sparacchia a casaccio, possibilmente davanti alle telecamere; ci si mobilita secondo il capriccio del giorno, né si concordano gli obiettivi con gli altri gruppi di combattimento, tanto meno ci si preoccupa di segnalare gli spostamenti. Non esistono ponti radio, né un sistema di comunicazione e coordinamento delle varie unità.
Come risultato immediato, è facilissimo incorrere nel cosiddetto “fuoco amico” e farsi annientare dalle sortite a sorpresa degli irregolari governativi.
Ne consegue che il prossimo ed inevitabile passaggio successivo ai bombardamenti su scala tattica della NATO sarà l’invio di una forza militare d’occupazione (o d’interposizione che dir si voglia), ad integrazione dell’inconsistenza politica e militare dei nostri nuovi “alleati” libici. Ma questo il solerte Napolitano che tanto si è sbrigato a sottoscrivere l’attacco, tuffandoci in questo pantano, preferisce non dirlo; meno che mai il ministerume e parlamentarucoli di ogni colore, assiepati intorno al dicastero della guerra, tutti in ben altro affaccendati…
Evviva l’Imperatore!! Evviva il Papa-Re e pure il Papi-Re!!

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SCEMO DI GUERRA

Posted in Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 23 marzo 2011 by Sendivogius

Comunque la pensiate sulla questione libica, ovunque la si guardi, l’Italia rimane terra di solide certezze e fumose realtà, dove la lingua schiocca molto più veloce dei fatti sostituendosi in tutto o in parte ad essi. Il risultato è una maionese impazzita dagli effetti esilaranti.
I grandi mattatori sono in genere affiancati da ottime spalle comiche che, nei casi migliori, tendono ad assumere vita propria cimentandosi come solisti nel tentativo di guadagnare un loro palcoscenico. Il nostro preferito è l’unico e solo Ignazio, il vero over the top del mitico Trio Monnezza: Strazio, Raglio & Magno. Al secolo: La Russa, Gasparri & Alemanno.

Con l’apertura delle ostilità, da quando sono cominciate le operazioni militari in Libia, lo spiritato Ignazio è felice come una pasqua: dai soldatini è passato a giocare con gli aeroplanini; dismessa la mimetica, tra poco ci toccherà vederlo con la cerata dell’aeronautica, travestito da pilota. E chi lo ferma più?!?
Discetta di “gentri di gomando” affidati all’Italia; rimbalza da una trasmissione all’altra, infoiato come non mai. Vero kamikaze della comunicazione, lanciato oltre le iperboli del ridicolo, parla dell’ammiraglio statunitense Samuel Locklear, comandante operativo della flotta USA, e si ostina a chiamarlo generale Loacker, pensando agli omonimi biscottini con gli gnomi.

Alfiere dell’atlantismo in livrea, ci tiene ad esibire i suoi giochini tecnologici e partecipare ai war games degli alleati, rischiando nella smania da compiacimento di incespicare con le sue braghe esageratamente calate.

«Abbiamo aderito alla coalizione, trasferendo sotto il comando della coalizione stessa, otto aerei, ma se fra un minuto ci chiedessero altri tipi di aerei valuteremmo. Una cosa è certa: non è intenzione dell’Italia mettere caveat al proprio intervento.»

Il redivivo Francesco Baracca alla Difesa scalpita più irrequieto del solito e lo stesso giorno (20 Marzo) la spara ancor più grossa:

«Abbiamo forte capacità di neutralizzare i radar di ipotetici avversari e su questo potrebbe esserci una nostra iniziativa: possiamo intervenire in ogni modo ed in ogni momento.»

Qualcuno, dalle parti dello schieramento anglo-francese (gente solitamente seria), lo prende in parola e, visto che ci tiene tanto, affida all’aviazione italiana il compito di neutralizzare le batterie costiere coi sistemi elettronici di contraerea: sofisticati gingillini di produzione ALENIA che, per intenderci, l’amico Silvio ha recentemente fornito ai libici.

Il 21 Marzo giunge l’agognato battesimo del fuoco…
Sturm und Drang di La Russa in un tripudio futurista, squilli di tromba e rulli di tamburo per la celebrazione dell’eroica missione:

«I Tornado italiani in azione in Libia avevano il compito di neutralizzare i radar nemici, in una operazione il cui obiettivo è di mettere a tacere la contraerea libica e consentire la No-Fly Zone. L’obiettivo è largamente realizzato, l’opera potrebbe considerarsi completata»

Tutte cazzate! Come rivelerà dopo il ritorno un incauto pilota, i cacciabombardieri italiani si sono limitati ad un giretto dimostrativo di perlustrazione, senza sparare un colpo.
Lo stesso Berlusconi gela i bollenti ardori del ministro a distanza di qualche ora:

“I nostri aerei non hanno sparato e non spareranno. I nostri aerei sono lì solo per garantire il pattugliamento”

Ignazio La Russa si crede Scipione l’Africano, ma sembra uno di quegli ammiragli borbonici della flotta di re Franceschiello alle grandi manovre:

“Facite Ammuina!
Tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora;
chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta;
tutti chilli che stanno abbascio vann’ ncoppa e chilli che stanno ncoppa vann’ bascio passann’ tutti p’o stesso pertuso;
chi nun tene nient’ a ffà, s’ aremeni a ‘cca e a ‘ll à.”

E del resto non è lecito capire bene il ruolo dell’Italia in questa operazione, né le modalità di impiego del suo potenziale bellico, né la sua strategia d’insieme, né eventualmente la tutela dei suoi potenziali interessi nazionali.
D’altro canto, tra i pur loquaci politicanti di governo e di opposizione, nessuno si è preoccupato di chiarire la posizione e fornire un annuncio certo al Paese, impegnati come sono a contendersi il comando della missione coi francesi e bisticciare su chi ce l’ha più grande, pur mantenendo gli equilibri interni alla maggioranza.
Il Presidente della Repubblica, che simbolicamente avrebbe anche il comando delle Forze Armate, chiosa con l’usuale fastidio che ne contraddistingue le repliche ogni volta viene a Lui posta domanda sgradita e dagli esiti tutt’altro che scontati:

«Non siamo in guerra. Inutile ripetere cose che tutti dovrebbero sapere»
 Giorgio Napolitano
 (20/03/2011)

Evidentemente, il concetto non deve essere tanto lapalissiano, giacché tre giorni dopo la chiosa presidenziale il sottosegretario Alfredo Mantovano ancora si chiede:

«Siamo in guerra? E’ difficile negarlo, dal momento in cui partono degli aerei all’interno di un’operazione militare e lanciano sul suolo libico delle bombe»

E di sicuro è difficile assumere un ruolo definito con una posizione certa a livello istituzionale, specialmente se si incorre nella serie di straordinarie circostanze, che molto hanno beneficiato al prestigio internazionale dell’Italietta berlusconizzata.
In fondo, si tratta di una grande storia d’amore interrotta da una burrascosa “pausa di riflessione”. Rivediamone gli aspetti salienti:

 Un Presidente del Consiglio che per oltre due anni si è esibito in genuflessioni e appassionati baciamano col Rais della Sirte, ostentando grandi profusioni di amicizia e reciproco affetto nei riguardi del farsesco pagliaccio beduino nonché suo omologo d’oltremare, che in cambio ha introdotto il nostro Pornocrate ai raffinati ‘misteri’ del bunga-bunga.
E d’altra parte il Papi della Patria non ha perso occasione per volare a Tripoli, ogni qualvolta non erano disponibili le accoglienti dace messe a disposizione dall’amico Putin in Russia.

L’allestimento di un circo equestre a Villa Pamphilj, con parate berbere e convention coraniche con tanto di entreneuse a gettone presenza: transumanza scenografica di 530 mammifere in svendita, pronte a sputtanarsi per la ghiottissima cifra di 60 euro.

Poi il rapporto si è progressivamente incrinato…
30 giorni di ostentato silenzio, per non disturbare il buon Gheddafi intento a schiacciare la sua opposizione interna e reprimere le insurrezioni in Cirenaica, mantenendo intatti accordi e trattati.
24 ore per scaricare il dittatore libico e rinnegare cotanto amore.
12 ore per aderire all’intervento militare, con relativo piano di bombardamenti, contro l’ex amante tradito.

Eppure l’affetto non si è ancora spento del tutto. Turbato da un’inevitabile processo di proiezione che porta il nostro dittatorello bananiero ad identificarsi col l’amichetto tripolino, il Nano da cortile confida:

“Quello che accade in Libia mi colpisce personalmente. Sono addolorato per Gheddafi”
 S.Berlusconi
 (20/03/2011)

Osvaldo Napoli (23 Marzo), dalle scuderie dell’Imperatore, si affretta a specificare che l’incerottato despota brianzolo in realtà è dispiaciuto per il popolo libico e intanto approfitta della confusione per farsi confezionare l’ennesimo provvedimento ad personam dai suoi avvocati-deputati.
In virtù di ciò, l’ineffabile Italo Bocchino non perde occasione per ribadire che:  L’Italia doveva fare di più, doveva guidare la coalizione. E certo è risaputo che USA, Francia e GB, scalpitano all’idea di prendere ordini ed essere coordinati dall’affidabilissimo alleato peninsulare, specialmente a riconoscimento del formidabile ruolo svolto dalla nostra intelligence.
Nessun dubbio invece nell’opposizione “seria e responsabile” del PD, con un insolito Massimo D’Alema in versione strategica:

“Siamo a rischio ritorsioni. Dobbiamo chiedere che si attivi un dispositivo di protezione della Nato, una rete di sicurezza indispensabile”
 (18 Marzo)

Il Baffo d’oro della politica riformista ignora forse, che il nostro comparto militare con tutte le sue inefficienze è comunque perfettamente in grado di fronteggiare l’inconsistente minaccia libica, non foss’altro perché si troverebbe ad affrontare un esercito con arsenali vecchi di 60 anni, all’avanguardia forse per la II guerra mondiale.
E se abbondano gli ostensori dell’intervento umanitario a suon di bombe su mandato ONU, non mancano i pacifondai di professione, pacifisti ad oltranza per riflesso pavloviano sempre e comunque, che in quanto a castronerie non sono secondi a nessuno.
In proposito, si segnale l’ultima uscita dell’immaginifico Nichi Vendola che immagina una forza di interposizione di pace, come quelle viste efficacemente all’opera durante la guerra civile in Bosnia con gli strabilianti risultati che tutti hanno dimenticato, ma che le sopravvissute di Srebrenica ricordano fin troppo bene.

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Non disturbate il genocida

Posted in Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 febbraio 2011 by Sendivogius

Dell’insana passione che il Nano delle Libertà sembra coltivare per i dittatori avevamo già parlato [QUI e ancora QUI]…
Del resto, il personaggio non è nuovo all’intreccio di amicizie pericolose. Pertanto, l’allucinato despota libico non costituisce certo un’eccezione, ma una regola diffusa nel solco inodore degli ‘affari’. Coerentemente, dinanzi ad una spietata repressione militare, almeno inizialmente, il campione brianzolo delle libertà non ha nulla da eccepire. E certo non intende per così poco disturbare l’amico Gheddafi, salvo virare coi consueti giri di valzer nel momento in cui le cataste di cadaveri intasano gli obitori e l’appoggio incondizionato al dittatore diventa difficilmente sostenibile. Specialmente se bombarda con l’aviazione le proprie città in rivolta.

Intendiamoci: dietro la facciata del biasimo ufficiale, tutti hanno fatto affari con Gheddafi ma nessuno aveva mai raggiunto i livelli di supina accondiscendenza, esibiti dallo statista di Arcore in pubbliche (e imbarazzanti) pagliacciate.
Anche il papa re aveva il suo boia, ma non per questo lo invitava nelle cerimonie ufficiali, tributandogli i massimi onori, con atto di sottomissione…
Questa diplomazia del focolare, che trova nell’imbalsamato Frattini The Mummy (ex maestro di sci per i rampolli della real casa) la sua massima espressione, ha pensato bene di assecondare i capricci di un personaggio assolutamente inaffidabile. Ci si è legati mani e piedi alle sorti di una delle più spietate dittature nordafricane, sposando in pieno le sorti di un despota sanguinario, responsabile di alcuni dei più odiosi eccidi terroristici che mai abbiano sconvolto l’Europa.
Senza curarsi troppo dei possibili risvolti futuri, il governo italiano si è piegato al giogo di una politica ricattatoria e ambigua, che sembra contraddistinguere le relazioni libiche. In tale contesto, gli interessi nazionali dell’Italia soggiacciono a quelli privati di pochi gruppi industriali legati all’apparato governativo, che per inciso presentano non poche analogie con le élite del potere descritte da Wright Mills.
Tuttavia, mai l’Italia aveva raggiunto un simile livello di irrilevanza internazionale, cancellata dalle agende estere che contano, e quindi restituita al suo ruolo di colonia americana, per di più relegata ai margini delle province dell’Impero.
In proposito i cablogrammi di wikileaks, tra le molte ovvietà, ci consegnano l’immagine di un paese da operetta, privo di qualsiasi visione strategica indipendente e di ampio respiro; senza una vera politica estera; completamente appiattito sui revanchismi mercantilistici e personali del piccolo monarca italico, ansioso di compiacere l’alleato statunitense oltre le stesse aspettative di Washington.
L’Italia detiene, per questioni storiche e geografiche, un ruolo di primo piano nello scacchiere del Mediterraneo. Un’accorta pianificazione geopolitica avrebbe richiesto la preparazione di un accurato piano di intermediazione sotterranea per una successione indolore, specialmente nel caso di un regime quarantennale come quello libico. La contingenza delle circostanze avrebbe dovuto suggerire lo studio di opzioni alternative, con l’apertura di nuovi canali di contatto con nuove figure maggiormente credibili, e soprattutto presentabili. Si sarebbe dovuta sondare la disponibilità dei gruppi tribali più influenti e stabilire una cooptazione dei clan più rappresentativi di una società beduina, imbrigliata nelle forme primitive di uno Stato padronale incardinato interamente sulla famiglia Gheddafi a tal punto da rischiare di scomparire con essa.
 In fin dei conti, in Libia la prima forma embrionale di uno stato pre-moderno prende forma durante le reggenze barbaresche del XVI secolo. A tal proposito, pessima era la fama dei pirati tripolini, tra tutti gli stati corsari della Barberia. Alle taifas guerriere dei mercanti-corsari subentra (nel 1912) l’amministrazione coloniale italiana che impianta gli innesti di uno Stato repressivo e discriminatorio, le cui strutture vengono sostanzialmente ereditate da Gheddafi nella sua palingenesi islamo-nazionalista dopo il golpe militare del 1969, senza mai mettere delle vere radici sociali e condivise. 
La possibile dissoluzione dello Stato libico creerebbe un pericoloso vuoto di potere, capace di destabilizzare l’intera area con effetti dirompenti:

a) L’esercito nazionale spezzettato in funzione delle solidarietà tribali e frazionato in fazioni contrapposte.
b) La regione Cirenaica di fatto indipendente, ma priva di risorse reali; magari rifornita di armi dall’Egitto intenzionato a diventare una micro-potenza regionale, contando sulla frammentazione libica.
c) La contrapposizione tra le province orientali e la Tripolitania, sempre più nel caos, col rais ed i suoi fedelissimi asserragliati nella capitale.
d) Le regioni sahariane dell’interno abbandonate a loro stesse, con presidi militari isolati e tagliati fuori dalle principali linee di rifornimento e vettovogliamento.
e) Squadracce disperate di mercenari allo sbando, senza via di fuga, e per questo resi folli dal terrore del linciaggio.
f) Lo squagliamento progressivo dell’intero apparato statale, magari sostituito da signorie armate, con l’apertura dell’immenso territorio libico ad ogni genere di traffico illecito.
g) Nel mezzo, masse di profughi che rimbalzano dai confini dell’Egitto a quelli della Tunisia (senza dimenticare la turbolenta Algeria), rischiando di travolgere il fragilissimo equilibrio dei due traballanti vicini sconquassati dalle rivolte e dalla crisi economica.

Dinanzi a simili prospettive, è vergognosa l’inconsistenza politica dell’Unione Europea, rattrappita dai suoi piccoli egoismi nazionali, dalle meschinerie ipocrite di cancellerie pesantemente compromesse coi regimi dei rais nordafricani, e per di più in drammatica crisi di credibilità presso il proprio elettorato. Al sostanziale fallimento delle strutture comunitarie, alla pletorica inutilità di organismi come Frontex, si aggiunge la totale l’assenza di un piano comune d’intervento di una UE che non perde occasione per dimostrare la sua perniciosa inutilità. È evidente infatti che alla sedicente “Unione” null’altro preme al di fuori del libero scambio delle merci, della sostanziale demolizione di ogni solidarietà sociale e welfare, ad esclusivo vantaggio del capitale finanziario e delle grandi banche d’affari.
Non merita commenti l’ONU che, con abbondante ritardo, si riunisce in consiglio per deplorare la repressione e invitando il colonnello Gheddafi al rispetto dei “diritti civili”, dando così prova di rara idiozia e pilatesco declino di ogni coinvolgimento.
È ovvio che, vista la totale assenza della comunità internazionale, il peso enorme della crisi libica ricadrà quasi interamente sulle spalle dell’Italia e dei Paesi nell’immediato più coinvolti (Malta!), che si ritroveranno a gestire l’emergenza in totale solitudine, in attesa di un possibile e (a questo punto) auspicabile intervento USA.

Vista l’inesistenza di referenti credibili, a maggior ragione l’Italia si sarebbe dovuta attivare autonomamente (e per tempo), rivendicando il suo ruolo di intermediatore fondamentale nel bacino mediterraneo. Invece, assistiamo ad un politica miope e priva di lungimiranza, contraddistinta dall’assoluta assenza di qualsiasi reale strategia d’intervento, da parte di un governo nel panico e che ora è costretto a correre ai ripari senza sapere bene dove mettere le mani. Il timore più grande sembra circoscritto in prevalenza verso l’ondata migratoria che, probabilmente, sarà assai più contenuta rispetto alle dimensioni “epocali”, paventate dal ministerume berlusconiano.
 La crisi dei regimi nordafricani, travolti da un dirompente effetto domino, sembra aver colto completamente impreparate la nostra diplomazia e la nostra intelligence, nel sostanziale disinteresse del governo in tutt’altro affaccendato, occupato com’è a garantire l’impunità del libidinoso rais nostrano che ora pensa si risolvere la crisi con un paio di telefonate.

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