Archivio per Oligarchie

FUOCO GRECO

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , on 7 luglio 2015 by Sendivogius

OXI

Consumato il referendum ellenico nell’ostilità praticamente totale delle cancellerie europee, che vedono nella libera consultazione democratica quanto di più pericoloso possibile, la lezione di orgoglio e di dignità che i Greci hanno impartito alla dittatura delle tecnoburocrazie monetariste e della turbofinanza, dimostra quanto la piccola Atene abbia ben assestato il suo colpo lasciando il segno in un Europa sempre più chiusa nel neo-elitismo darwiniano delle sue oligarchie.
Paolo Mieli Flatulenti codazzi di pennivendoli a libro paga, sedicenti esperti da salotto e bocconiani d’asporto, Francesco Giavazzi‘economisti’ falliti e politicanti a contratto, ci spiegheranno ben oltre la nausea a reti unificate, quanto disastrosa, incompetente, e deleteria sia stata la scelta del popolo greco. E non v’è dubbio che faranno di tutto per far sì che ciò accada, mentre già si prepara la strafexpedition contro i piccoli ribelli del Mediterraneo. Ne vale della stessa sopravvivenza di un’intera struttura di potere, che guarda all’autodeterminazione popolare ed alle costituzioni democratiche con fastidio sempre più crescente. Si tratta di un regime affaristico-finanziario su base autoritaria e non elettiva, che poco o nulla c’entra con l’Europa, ma parecchio riguarda l’immondo baraccone tecnocratico asservito agli interessi privati di pochi.
Memorandum macht freiE il baraccone sta cominciando a scricchiolare sotto il peso stesso della sua arroganza predatoria, che già l’aria comincia a mancare ai troppi pescecani riuniti al suo interno…

star trek

«È inutile ripetere i dettagli del programma che questa Amministrazione ha martellato sulle incudini dell’esperienza. Il mucchio delle mistificazioni e delle contorsioni statistiche non potranno non potranno nascondere, offuscare, o sporcare quel dato. Né gli attacchi senza scrupoli dei nemici, né le esagerazioni troppo zelanti degli amici serviranno ad ingannare il popolo.
[…] Per dodici anni questa Nazione è stata afflitta da un governo che non ascoltava, non vedeva e non faceva nulla. La nazione guardava al governo, ma il governo guardava altrove.
Nove anni beffardi col vitello d’oro e tre lunghi anni di piaghe.
Nove folli anni di speculazioni borsistiche e tre lunghi anni di file per il pane!
Nove folli anni di miraggi e tre lunghi anni di disperazione!
Lobby potenti lottano ora per restaurare quel tipo di regime con la loro dottrina per cui il miglior governo è quello più indifferente.
[…] Abbiamo dovuto lottare contro i vecchi nemici della pace: il monopolio imprenditoriale e finanziario, la speculazione, la spregiudicatezza bancaria, l’antagonismo di classe, il campanilismo, i profitti di guerra. Avevano cominciato a considerare il governo degli Stati Uniti come una mera appendice dei propri affari. E noi sappiamo che il governo del denaro organizzato è pericoloso esattamente quanto quello del crimine organizzato.
Yanis VaroufakisIn tutta la nostra storia, mai prima d’ora tali forze sono state tanto unite contro un candidato come lo sono oggi. Sono unanimi nel loro odio contro di me e io do il benvenuto al loro odio.»

Franklin D. Roosevelt 31/10/1936. Franklin Delano Roosevelt, rivolgendosi alla platea del Madison Square Garden di New York.

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De finibus bonorum et malorum

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 agosto 2014 by Sendivogius

Panlora's Donnie Darko Rabbit

In attesa del prossimo vertice della UE, che per certo sarà “storico”… “epocale”… “determinante”… secondo la scoppiettante salva di iperboli, che di solito accompagnano i giri di valzer europei e che di consueto vengono utilizzati per coprire la voragine della loro inconsistenza, una cosa sembra abbastanza chiara: la cosiddetta ‘Unione Europea’ (omaggio alle intenzioni nella contraddizione della pratica) appare sempre più come un guscio vuoto, priva di un animus fondativo che non sia mero esercizio contabile in tempi di post-mercantilismo. E questo al di là delle fumose dichiarazioni d’intenti ad usum populi, peraltro in piena crisi di rigetto nella sua disillusione per un’istituzione percepita sempre più come estranea ed invasiva, con la sua tecnocrazia oligarchica, consacrata alle divinità profane di un ‘mercato’ ormai cannibalizzato dai morsi di una crisi finanziaria, mai davvero affrontata se non con cataplasmi tardivi. In proposito, è interessante notare come la BCE si muova sul filo del rasoio, ottemperando a tutti i passaggi fondamentali per incappare come da manuale nella più classica trappola della liquidità.
Scacco al Re Del tutto sprovvista di una qualsivoglia visione strategica, la sedicente “unione” manca praticamente di quanto è più necessario per potersi definire tale: non ha una politica immigratoria, rimessa com’è all’improvvisazione dei singoli stati; non ha una politica estera condivisa (non è capace neanche di tutelare gli interessi economici continentali, figuriamoci la gestione delle emergenze umanitarie!); né una politica di difesa, al di fuori del coordinamento NATO. Nonostante sia alla base della sua costituzione, la UE non possiede una vera politica economica e finanche nemmeno il tanto decantato “mercato comune integrato”, a meno che non si voglia considerare tale il modello neo-camerale di ispirazione teutonica in un’Europa sempre più simile ad una sorta di Lebensraum, per incrementare la bilancia commerciale del nuovo reich germanico. Ed il surplus delle partite correnti sta lì a testimoniarlo, in barba ai sacralizzati “trattati” interpretabili (e violabili) a discrezione e senza timore di sanzioni che evidentemente, quando riguardano Berlino, sono sempre derogabili…
merkelSono gli inconvenienti nei quali si incorre quando si pretende di costituire un’entità (con)federale attorno ad una moneta (creata in laboratorio) e non viceversa, pensando di compensare tale carenza con la costruzione di un’area valutaria ottimale (optimum currency area), fortemente integrata a livello economico e commerciale. In riferimento all’eurozona, è superfluo dire che l’area è assai meno ‘integrata’ di quanto non si vuole ammettere e tutt’altro che ‘ottimale’, incapace com’è di fronteggiare i cosiddetti “choc asimmetrici”.
elite-daily-european-crisis1A dodici anni dall’immissione in circolazione dell’euro, è un fatto che l’Europa stia entrando nel suo ottavo anno di recessione e langua a tutt’oggi nella più grave depressione economica (peggiore persino di quella del 1929) della sua storia, senza che si intravedano concrete prospettive di ripresa. Se l’obiettivo della moneta unica era quello di favorire i processi di integrazione ed unificazione europea, si può dire senza falsi pudori che ha miseramente fallito nel suo scopo: mai gli stati europei sono stati tanti divisi nella reciproca diffidenza, negli egoismi nazionali, e nella totale assenza di coesione e solidarietà tra di loro, dalla fine della seconda guerra mondiale.
Tiounine-Guardian-2Succede, quando si imposta un matrimonio unicamente sui soldi, combinando le nozze nell’interesse dei pochi e tirando di conto sulla dote da versare.
Biglietto consorzialeA contrario di quanto vanno affermando gli stucchevoli filmini (per influenzare non per informare), che il nuovo Min.Cul.Pop per la propaganda manda in onda col nome di Cantiere Europa, l’esperimento monetario Orounitario era già stato tentato in passato con modalità totalmente diverse (il parametro fondamentale era il gold standard), rivelandosi ogni volta un fallimento. È stato il Unione monetaria Latinacaso dell’Unione Monetaria Latina, che nell’ignoranza dei più rimase in vigore per oltre 60 anni (dal 1865 al 1927), e delle ancor meno conosciute “Unione monetaria scandinava” (1872-1914) e quella austro-germanica. Quest’ultima, stipulata a Vienna il 24/01/1857 nell’ambito della Deutscher Bund, includeva gli statarelli dello Zollverein germanico, il Regno di Prussia, l’Impero Austriaco ed il Principato del Liechtenstein, con l’introduzione di un rigido sistema di cambi fissi e, sul modello del tallero, l’adozione di una moneta comune da affiancare alle valute nazionali: il Vereinstaler, o anche Vereinsmünze.
Preußischer Vereinstaler von 1866Tali accordi monetari (perché di questo e nient’altro si trattava) rimasero in piedi, più per gli oneri legati alla loro liquidazione che non per la loro effettiva efficacia, alla stregua di contratti con clausole di rescissione non convenienti. A dimostrazione che nessun processo è “irreversibile”, se non nella crisi che ne decreta la fine.

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TRANSFORMER ITALIA

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Hellraiser - Cubo di Le Marchand

Con l’asciuttezza che ne distingue la prosa e le analisi, gli storici anglosassoni definiscono il Trasformismo, come una pratica di governo per la formazione di coalizioni centriste a maggioranza variabile e mutualità di intenti nella loro fumosità ideologica.

Storia d'Italia «Il trasformismo è uno dei modi in cui può funzionare il sistema parlamentare, e questo tipo di permanente coalizione centrista tendeva indubbiamente a dare alla lotta politica un carattere meno polemico e più moderato. Ma di quando in quando anche taluni liberali erano costretti a riconoscere che…. l’assenza di aperte controversie aveva un effetto paralizzante e negativo.
[…] Il trasformismo venne attaccato e accusato di essere una degenerazione della prassi del compromesso…. che nascondeva l’assenza di convinzioni profonde.
[…] Depretis, Crispi, e lo stesso Giolitti ricorsero tutti uno dopo l’altro allo stesso metodo, e ciò con lo scopo preciso di impedire che potesse formarsi un’opposizione organizzata, in quanto in circostanze di emergenza il Presidente del Consiglio era così sempre in grado di allargare la schiera dei suoi sostenitori, grazie a una “combinazione” con alcuni dei dissidenti potenziali. Quest’assenza di una opposizione ben articolata ebbe talvolta effetti quanto mai negativi nella vita costituzionale italiana, come ad esempio la rapida successione di ministeri che ne risultava, dato che quella che sembrava una solida maggioranza si volatilizzava da un giorno all’altro

  Denis Mack Smith
 “Storia d’Italia
  Laterza, 1987.

Agostino DepretisStoricamente, il metodo si afferma nella seconda metà del XIX° secolo con l’insediamento del gabinetto governativo di Agostino Depretis, quando la contrapposizione, del tutto fittizia, in seno al blocco liberale nel Parlamento tra l’ala conservatrice (“Destra”) e quella progressista (“Sinistra”), si risolse con una serie omogenea di esecutivi di compromesso, fondati sullo scambio clientelare e la gestione condivisa del potere su base personalistica.

«Una volta al governo la Sinistra, che era salita al potere soltanto grazie all’aiuto di gruppi dissidenti della Destra, trovò che le riforme erano più difficili da attuare che da predicare. Il discorso inaugurale della Corona nel novembre del 1876 accennò una volta ancora al maggiore decentramento amministrativo, ma si trattava soltanto di parole. Depretis si sforzò in ogni modo di far apparire il suo ministero più progressista di quello precedente, ma in pratica non poté far molto di più che promettere di studiare possibili riforme future e di usare metodi meno autoritari nell’applicazione della legge. Neppure quest’ultima promessa fu mantenuta

  Denis Mack Smith
  “Storia d’Italia
  Laterza, 1987.

Ed è piuttosto illuminante ricordare come Agostino Depretis illustrò il nuovo corso ai propri elettori, in uno dei suoi celebri discorsi nel suo feudo elettorale di Stradella…

«I partiti politici non si debbono fossilizzare né cristallizzare. Ed eccovi quel che io diceva in questo stesso luogo l’8 Ottobre 1876:
[…] Io spero che le mie parole potranno facilitare quella concordia, quella faconda trasformazione dei partiti, quella unificazione delle parti liberali della Camera, che varranno a costituire quella tanto invocata e salda maggioranza, la quale ai nomi storici tante volte abusati e forse improvvidamente scelti dalla topografia dell’aula parlamentare, sostituisca per proprio segnacolo un’idea comprensiva, popolare, vecchia come il moto, come il moto sempre nuova, il progresso.”
Noi siamo, o signori, io aggiungeva, un Ministero di progressisti.
E lo siamo ancora, e se qualcheduno vuole entrare nelle nostre file, se vuole accettare il mio modesto programma, se vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?»

 Agostino Depretis
(08/10/1882)

Cronache marziane Istituito sotto i migliori auspici, il gabinetto Depretis fece del “trasformismo” una filosofia di governo, destinata ad avere successo e contribuendo non poco a sedimentare quella palude istituzionale, che spalancò le porte al fascismo in violenta polemica con le sabbie (im)mobili del “parlamentarismo” ed in aperta rottura con un sistema sostanzialmente sclerotizzato nella propria referenzialità.
Depretis, nel suo galleggiamento ministeriale, reseconfuse le questioni di principio e impossibile ogni chiarezza di pensiero, guardandosi bene:

«...dal formulare una politica ben definita che avrebbe potuto essere respinta da un voto contrario del parlamento e preferiva degli espedienti che potevano essere sconfessati in qualsiasi momento, semplicemente abbandonando al suo destino un ministro impopolare e rimaneggiando il ministero

  Denis Mack Smith
 “Storia d’Italia
 Laterza, 1987.

Concepito come una possibile soluzione alle pastoie del parlamentarismo italiano, con la rissosità congenita di una società profondamente frazionata, il “trasformismo” si è ben presto rivelato come parte integrante del problema.

«Nacque allora la formula definita del “trasformismo” che, presumibilmente concepita come strumento utile a garantire quella che oggi definiremmo “governabilità”, si risolse in un elemento di corruzione spicciola, di cooptazione interessata.
[…] La formula Depretis, peraltro, non poggiava soltanto su questa logica miserevole. La sostennero anche uomini come Marco Minghetti, conservatore, il quale, pur auspicando un sistema bipartitico, imperniato su una dialettica di contrapposte posizioni, riteneva preminente in quel momento assicurare all’Italia un governo stabile e – per avversione tanto all’estrema destra clericale, quanto alla sinistra radicale – avvicinò a Depretis molti deputati di orientamento conservatore. Anche questo elemento, come è ovvio, contribuì a stemperare gli originari propositi riformatori della Sinistra.
Alla morte di Agostino Depretis (1887) divenne presidente del Consiglio Francesco Crispi che, pur dichiarandosi in teoria nemico del trasformismo, fece largo ricorso a quel metodo. Se ne servì negli anni successivi anche Giolitti, ogni volta che in parlamento stava per formarsi un’opposizione organizzata

  Sergio Turone
 “Corrotti e corruttori
 Laterza, 1984

HELLBLAZERIn tempi più recenti, il sostanziale immobilismo, la cooptazione clientelare delle camarille locali, una corruzione endemica funzionale alla strutturazione del consenso, sono confluite nel cosiddetto “consociativismo” che è stata una variante moderna dell’originale trasformismo in evoluzione.
Date le sue peculiarità, non è un mistero come la pratica trasformistica, soprattutto nella sua componente consociativa, abbia costituito un aspetto constante del sistema politico italiano, alla base dell’egemonia democristiana nell’immanenza della sua longevità al potere. Lungi dall’essersi esaurito, oggi il fenomeno sembra più radicato che mai, incistato com’è tra il personalismo emergente dei nuovi caudillos populisti e la ricerca di un unanimismo totalizzante nella ridefinizione degli assetti di potere in atto…

«Il venir meno di ogni discriminante ideologica e programmatica fra i due maggiori schieramenti in campo (ossia la fine di quel sia pur imperfetto modello bipolare che aveva caratterizzato la scena parlamentare italiana nel primo ventennio postunitario) ebbe come effetti un visibile degrado del dibattito politico all’interno della ‘grande maggioranza’ costituzionale e il trasferimento delle funzioni proprie dell’opposizione a forze non pienamente legittimate (l’estrema radicale, repubblicana e poi socialista) oppure a gruppi eterogenei o marginali, pronti peraltro a rientrare alla prima occasione nel gioco delle combinazioni ministeriali.
[…] Il trasformismo non nasceva da una connaturata inclinazione al compromesso dei politici italiani, ma era il portato della debolezza originaria dello Stato unitario, della fragilità delle istituzioni e della cronica esiguità delle loro basi di consenso. Non era il prodotto di un carattere nazionale, ma la risposta, forse sbagliata, a un problema reale

  Giovanni Sabbatucci
 “Enciclopedia delle scienze sociali
 (1998)

Oggi, ci si illude di superare il bipolarismo imperfetto, previa rottamazione della Costituzione repubblicana e revisione del principio maggioritario.
Le cosiddette “riforme”, più strumentali che strutturali, brandite come una clava dalla anomala maggioranza di governo nel solco di più laide intese, costituiscono il tassello evidente di un’anomalia costituzionale ancor prima che istituzionale, con un esecutivo che interviene pesantemente nel gioco parlamentare, facendosi promotore ancor più che garante di una revisione costituzionale da portare avanti a tempi contingentati e tappe forzate. E lo fa preordinando la ‘sua’ riforma, denigrando le voci critiche in seno alle istituzioni repubblicane, rimuovendo dalle commissioni i senatori non allineati (fatto senza precedenti). Impone quindi la propria “bozza” ad un Parlamento ed un Senato, ancorché supini, che subiscono l’iniziativa di un premier mai eletto in un esecutivo presidenziale, tenuto a Carl Schmittbattesimo palatino. Nel superamento dei vecchi schemi politici e di partito, il governo si attribuisce competenze che spettano alle Camere ed agisce esso stesso come un partito (della nazione), accentrando su di se i poteri e istituzionalizzando l’eccezione in virtù di un presunto principio di necessità. Vizio antico ma sempre presente.
L’iniziativa governativa più che integrare l’azione parlamentare, ne determina l’indirizzo e la sovrasta nella sua ipertrofia decisionale. Viste le finalità recondite, circa l’attivismo promozionale (e propagandistico) del governo, viene in mente una vecchia polemica gramsciana riconquistata ad insospettabile attualità:

Gramsci«Il governo ha infatti operato come un “partito”, si è posto al di sopra dei partiti non per armonizzarne gli interessi e l’attività nei quadri permanenti della vita e degli interessi statali nazionali, ma per disgregarli, per staccarli dalle grandi masse e avere “una forza di senza-partito legati al governo con vincoli paternalistici di tipo bonapartistico-cesareo”: cosí occorre analizzare le cosí dette ‘dittature’ di Depretis, Crispi, Giolitti e il fenomeno parlamentare del trasformismo

  Antonio Gramsci
 “Passato e Presente. Agitazione e propaganda
 Quaderno III (§119); Anno 1930.

JOHN McCORMICKAttualmente, il trasformismo centrista di matrice neo-consociativa sembra convivere con le impennate demagogiche di un populismo di ritorno, dal quale trae giustificazione e legittimazione quale necessario argine di contenimento, mentre la componente cesaristica ne diventa strumento indispensabile di governo, in qualità di catalizzatore del consenso personalizzato a dimensione di “leader”. Per disinnescare la carica eversiva della minaccia populista, il “cesarismo” ne assume in parte le istanze; le converte in alchimie di governo consacrate alla preservazione della ‘stabilità’ tramite l’adozione su polarità alternata e contraria di un populismo reazionario, ammantato da un’onnipervasività plebiscitaria, riadattando il sistema alle necessità congenite del leader ed al consolidamento della sua posizione di potere. Si tratta di iniezioni controllate, con inoculazione del veleno a piccole dosi in funzione immunizzante. La pratica si chiama “mitridatismo”. E peccato che le tossine così somministrate a lungo andare finiscano col distruggere l’organismo che s’intendeva preservare.
Per quanto mutevoli possano essere le sue forme, il Cesarismo continua ad essere declinato nella forma prevalente dell’istrione, che a quanto pare resta il figuro più amato dagli italiani, incentrando la sua preminenza sui legami emozionali.

Wien - Kunsthistorisches Museum - Gaius Julius Caesar«L’organizzazione politica del cesarismo si afferma sempre a seguito di un processo di deistituzionalizzazione delle organizzazioni e delle procedure politiche preesistenti. In altri termini, parleremo di cesarismo se, e solo se, la leadership individuale nasce sulle ceneri di un’organizzazione politica istituzionalizzata che è stata colpita da un processo di decadenza e di disorganizzazione.
Il cesarismo è un regime di transizione, intrinsecamente instabile. Sorge per fronteggiare uno stato di disorganizzazione e di crisi acute della comunità politica ed è destinato a lasciare il posto a forme diverse e più stabili di organizzazione del potere.
[…] Un regime politico di transizione, che sorge in risposta alla decadenza di istituzioni politiche preesistenti ed è fondato su un rapporto diretto – ove la componente emozionale (così come è descritta, ad esempio, da Freud) è preminente – fra un leader e gli appartenenti alla comunità politica, veicolato da tecniche plebiscitarie di organizzazione del consenso.
[…] Per usare termini schmittiani potremmo dire che il cesarismo è il regime dello “stato d’eccezione” in cui però l’assunzione di pieni poteri da parte del leader si sposa con un consenso plebiscitario, o semiplebiscitario, della comunità politica (delle sue componenti maggioritarie). In questa prospettiva si può spiegare facilmente anche la scarsa attenzione che la scienza politica presta ai fenomeni cesaristici. Trattandosi di regimi di transizione, i regimi cesaristici hanno una vita effimera. Essi sorgono in risposta a una crisi e si trasformano più o meno rapidamente in regimi diversi

 Angelo Panebianco
Enciclopedia delle scienze sociali
(1991)

Semmai, il problema della transizione risiede nella durata, che qui in Italia si esplica in parentesi prolungate da non prendere mai alla leggera…
Il vecchio che tornaPerché al di là dei toni trionfalistici, l’unanimismo plebiscitario, la piaggeria cortigiana ed i facili entusiasmi, l’attuale governo garantito dai “senza-partito” vincolati al premier da un legame “bonapartistico-cesarista” e dalle più alte Grillinoprotezioni dell’ermo Colle, costituisce nella sostanza una parentesi di transizione, volta ad essere superata in fretta non appena sarà chiaro il trucco delle tre carte al volgere della fine dei giochi, sbollita l’enfasi delle contro-riforme artificialmente pompata da un apparato mediatico più che compiacente. Un “regime cesaristico” si afferma sul disfacimento dei partiti e prosperano traendo alimento dal populismo che inevitabilmente si sprigiona dalla loro decomposizione, con ben pochi vantaggi per lo sviluppo civile e di una società pienamente democratica.

«Man mano che i vecchi partiti da fiorentissimi sono diventati secchissimi (non parlo, com’è ovvio di quelli già defunti sotto le macerie di Tangentopoli), sono riemersi i caratteri di una società civile tradizionalmente avulsa dai meccanismi dell’associazionismo intermedio, mentre si è creata una voragine nel luogo del primitivo insediamento, un vuoto che può essere colmato d’un tratto da qualsiasi predicazione, poco importa se proveniente da demagoghi improvvisati, da corporazioni che invadono il campo della politica, o da partiti d’opinione, che sappia catturare il voto “emotivo”

  Mario Patrono
Maggioritario in erba – Legge elettorale e sistema politico nell’Italia che (non) cambia
Edizioni CEDAM
  Padova, 1999

In questa sua opera ‘minore’ di agevolissima lettura, Mario Patrono, costituzionalista di orientamento socialista ed esperto in Diritto pubblico comparato, coglieva con un ventennio d’anticipo i limiti intrinseci del maggioritario e le implicazioni sul sistema politico italiano, che col senno di poi si sono rivelate in buona parte esatte. A suo tempo il prof. Patrono, con tutte le riserve del caso, aveva posto la propria attenzione sulla “zoppìa del maggioritario in azione, sottolineando i limiti e le speranze già all’alba della sua adozione:

«..visto come il toccasana per guarire d’incanto il sistema politico italiano da tutti i mali che lo affliggevano: la corta durata dei governi, la fragilità della loro azione, la presenza di troppi partiti, la mancanza di ricambio al potere, la degenerazione della politica stessa, il maggioritario – alla prova dei fatti – sembra aver peggiorato piuttosto che migliorato lo stato delle cose, aggiungendo malanni nuovi a quelli preesistenti

Mario Patrono
 “Maggioritario in erba
(1995)

Considerati i soggetti politici attualmente in lizza secondo un’ottica tripartita, il parlamentarismo proporzionalista svolgerebbe una funzione ‘analgesica’, che per esempio un giurista del calibro di Hans Kelsen definiva di per se stessa “sedativa” nei sistemi conflittuali ad alta temperatura. E la stesura di una nuova legge elettorale è forse utile in tal senso, come migliore antidoto a prossime ed eventuali involuzioni nell’ambito dell’offerta politica, segnando una linea di demarcazione tra il rilancio della Politica ed il “commissariamento della Democrazia”, destinata ad essere strozzata dalla garrotta dei “governi tecnici”.

«Quale potrà essere l’esito finale di questo scontro tra chi vuole davvero il maggioritario, e perciò si adopera per valorizzarlo, e chi maneggia invece per affogarlo nella pozza di un sistema piegato ad avere tre poli in luogo dei “classici” di due, non è dato al momento sapere. Da una parte, a favore del bipolarismo gioca il terrore retrospettivo delle condizioni di un tempo, che l’inchiesta giudiziaria “Mani pulite” si vorrebbe aver chiuso per sempre. Ragiono nei termini di un riscatto morale dalla corruzione, e mi riferisco al dato inoppugnabile che il sistema elettorale maggioritario vi si oppone assai meglio della proporzionale, che al contrario la fomenta….
Ma è proprio qui che si nasconde la questione a cui è legata la possibilità dell’Italia di diventare una democrazia “funzionante”. È davvero il capitalismo italiano in grado, lo è davvero la società italiana di fare a meno della corruzione pur conservando la pace sociale e mantenere intatto il livello di benessere, al Nord come al Sud? Se la risposta è ‘no’, mille interessi leciti e illeciti, grandi e piccoli non tarderanno a far rivivere il passato. E la “Seconda Repubblica” rimarrà scritta nel libro dei sogni.
[…] Resta che le difficoltà e i pericoli di questa fase della vita politica si rivelano con chiarezza, non appena si guardi alla somma di incongruenze che vi albergano:
– un maggioritario in erba, parziale e indigesto per difetto di cultura;
– un bipolarismo precario che funziona male e che sono in molti, nel loro intimo, a non volere;
– una situazione politica confusa, fluida, miscelata, con maggioranze scarse;
una società che – dopo tanto discutere se fosse preferibile “rappresentarla” o piuttosto “governarla” – appare, per colmo di paradosso, né “rappresentata” né “governata”

  Mario Patrono
 “Maggioritario in erba
 (1995)

Pig and his girl by EastMonkey Alla prova dei fatti, possiamo dire che la risposta è stata ‘no’.
E la cosiddetta Terza Repubblica non è che si preannunci tanto meglio delle precedenti. Anzi!
In riferimento invece ai ‘governi tecnici’ (Ciampi e Amato), che hanno preceduto l’insediamento ventennale della pornocrazia berlusconiana, quanto di ‘meglio’ ha saputo incarnare lo spirito della “Seconda Repubblica”, così si esprimeva il prof. Patrono paventandone i rischi e le conseguenze future:

«Inoltre, e questo è forse il danno maggiore, si assiste ad una semiparalisi delle dinamiche istituzionali, che si manifesta con la presenza di un governo “tecnico”, che tiene il cartellone già da parecchi mesi. Il che sta provocando due conseguenze, l’una più grave dell’altra: un tentativo di nascondere dietro le contraddizioni in termini di una (presunta ma impensabile) “neutralità della politica” il fenomeno ben più allarmante di un oscuramento della politica, e ciò accade quando appunto la politica avrebbe dovuto ricevere dal maggioritario un rilancio in grande stile; ed un processo di commissariamento della democrazia, effetto e sintomo nel profondo della crisi che ha investito i partiti e le grandi organizzazioni sindacali, che fa dipendere le grandi scelte politiche da una cerchia di oligarchi senza investitura popolare: un processo che rischia, alla lunga, di aggravare il distacco tra i cittadini e il potere, nel momento stesso in cui il maggioritario è considerato dai suoi fautori (insieme al referendum e dopo di esso) il modo più genuino, immediato, ed anche più attraente di far partecipare il popolo, la “gente” alla vita politica.
OLIGARCHIAPer scrupolo osservo che questa fase…. rappresenta una miccia accesa sotto l’insieme delle libertà repubblicane: se non riusciamo a lasciarcela dietro alle spalle in tutta fretta, il rischio di un logoramento dello stesso contratto sociale diventa inevitabile

Mario Patrono
Maggioritario in erba – Legge elettorale e sistema politico nell’Italia che (non) cambia
Edizioni CEDAM
Padova, 1999

Praticamente, a decenni di distanza, siamo ritornati al bivio di partenza con una situazione sociale e culturale persino peggiore, e ancor più logorata, della matrice originaria…

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LETTA FOREVER

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LA PACIFICAZIONE

In un’orgia di scandali veri (il Caso Shalabayeva, con la moglie e la figlia del principale dissidente kazako deportate e ‘vendute’ al dittatore Nazarbaev) e presunti (le solite calderolate), c’è un’altra questione che dovrebbe preoccupare l’ambizioso premier del “governo di servizio”, fondato sul rinvio, e che mette a nudo la rete di relazioni trasversali su cui si basa il Gianni Lettapotere del Giovane Letta; in sinergia con l’ossidata immanenza di Gianni il Vecchio: il conte zio delle relazioni pericolose nel sottobosco delle intese allargate…
In tempi di post-democrazia, le decisioni (quelle che contano) ovunque passano fuorché nei parlamenti, rigorosamente “al riparo dal processo elettorale” e da tutti quei fastidiosi condizionamenti che un sistema democratico impone per potersi definire realmente tale.
Ovvio che i centri decisionali esulano dal loro tradizionale alveo istituzionale, per assurgere a dimensione privata come intreccio di rapporti particolari, progressivamente estromessi dai controlli della cittadinanza e sottratti alla sovranità popolare, trovando la loro legittimazione e ossatura nei circoli ristretti del nuovo potere oligarchico.
Umbrella Corporation by SuchtIl modello di riferimento è il think-tank di matrice anglosassone (nelle sue derivazioni “net”), declinato nelle forme e nelle modalità delle “fondazioni” private le quali hanno il duplice vantaggio di essere ottimi collettori di contatti coi grandi gruppi economico-finanziari e correnti di potere personale. Strutturate all’interno dei vecchi partiti, permettono altresì di costruire leadership politiche, convogliando finanziamenti privati e consensi clientelari a fini elettorali.
La creazione dei think-tank, col progressivo fiorire di fondazioni e centri studi omologhi ai loro corrispettivi statunitensi, è speculare alla cosiddetta “crisi della politica” ed al tracollo delle ideologie che, a livello di massa, hanno lasciato il passo a ‘movimenti’ populistici su base demagogica e nessuna prospettiva di lungo periodo.
La preghierina del buon democristo Sempre al passo coi tempi, anche l’intraprendente Enrico Letta (peraltro in copiosissima compagnia) non poteva non crearsi la sua bella fondazione personale ad uso politico, per la promozione in sordina delle sue smisurate ambizioni presso i salotti che contano davvero.
Il principale pensatoio di Enrico Letta si chiama “VeDrò – L’Italia al Futuro” e costituisce una tipica filiazione politica del nipote d’arte prestato alle Istituzioni. Per disinteressato “servizio”, s’intende!
Nata nel 2005, sotto i buoni auspici del tenero Enrico e dell’avv. Giulia Buongiorno (la finiana divenuta celebre per la difesa di Giulio Andreotti al processo per mafia), l’associazione riflette il cazzeggio fintamente giovanilista dei suoi promotori:

«VeDrò è un think-net nato per riflettere sulle declinazioni future dell’Italia e delineare scenari provocatori, ma possibili, per il nostro Paese.
Sulla scena dal 2005, la nostra è una rete di scambio di conoscenza formata da più di 4.000 persone: professori universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, politici, artisti, giornalisti, scrittori, registi, esponenti dell’associazionismo.
I vedroidi, oltre che dal dato generazionale, sono accomunati dalla disponibilità ad apprendere costantemente, a mettersi in discussione, ad analizzare temi e fenomeni senza barriere ideologiche o tesi precostituite, secondo una chiave interpretativa lungimirante che vada oltre la contingenza dei dibattiti in corso.
veDrò ha fatto dell’informalità la propria cifra e tutti gli eventi organizzati sono costruiti sull’interazione paritaria e de-gerarchizzata, dove l’ibridazione di competenze diverse diventa progetto e dove l’incontro è tra persone, non tra ruoli

Meno enfaticamente, VeDrò è una creatura personale a partecipazione trasversale, ripartito in 17 working group, per la cooptazione allargata: un po’ di berlusconiani e un po’ di ex democristiani confluiti nel PD, con un nutrito contorno di industriali e boiardi di Stato al gran completo. E con finalità che, ad essere maliziosi, è facile intuire…
L’associazione è inserita in un network molto più ampio di organizzazioni private, dove il minimo comun denominatore è sempre lui: Enrico Letta.
Tra aderenti, semplici sostenitori, partecipanti agli incontri, ad animare la struttura ci sono personaggi di tutte le tendenze e orientamenti, pescati nei settori che contano: dai Media allo Sport; dalla Politica all’Industria, dalla Cultura alla Magistratura (Raffaele Cantone, Nicola Gratteri, Stefano Dambruoso).
NuclearePer dire, del mazzo pare facciano parte anche il leghista Flavio Tosi e Adolfo Urso, presidente della fondazione FareFuturo, già viceministro allo Sviluppo economico nell’ultimo Governo Berlusconi e grande fautore del ritorno al nucleare.
Renata Polverini Tra gli altri, vi partecipano a vario titolo pure Mara Carfagna e Mariastella Gelimini (il ministro che ha smantellato la Scuola pubblica); Renata Polverini, dimenticabile governatore del Lazio costretta alle dimissione per lo scandalo dei rimborsi regionali [QUI]. Ci sono inoltre Angelino Alfano, Maurizio Lupi, e Josefa Idem, opportunamente messi agli Interni, alle Infrastrutture, e alla Pari Opportunità (dimissionata) dell’attuale “governo di servizio”, presieduto dall’ineffabile Enrico e contraddistinto dalle notevolissimi prestazioni.
C’è da chiedersi da quanto tempo fossero già in incubazione le “larghe intese”, prima che si consumasse il falso psicodramma della rielezione di Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica.
Da questo punto di vista, Enrico Letta è una sorta di precursore, mentre VeDrò è soltanto la naturale evoluzione di un lungo percorso cominciato altrove…
Nino AndreattaPer esempio nella AREL, Agenzia di Ricerche e Legislazione, fondata nel lontano 1976 da Beniamino Andreatta: grande protettore e sponsor politico di Letta junior, che infatti nel 1994 ne diventa il segretario generale.
E continuata successivamente presso la filiazione italiana dell’onnipresente Aspen Institute, di cui Enrico Letta è vicepresidente dal 2003, al fianco di Giulio Tremonti che ne detiene invece la presidenza. D’altronde, proprio alla struttura ed all’organizzazione dell’Aspen Institute il Letta nipote si ispira apertamente, mosso com’è da incondizionata ammirazione, tenendo i fili dei contatti con l’influente amico americano ed il suo imprescindibile patrimonio di relazioni trasversali con l’establishment finanziario d’Oltreoceano.
Aspen

Con la creazione di VeDrò, il dinamico Letta mette a frutto un’esperienza a lungo meditata, in vista della sua investitura finale come candidato premier alle prossime elezioni politiche. E con buona pace di Matteo Renzi (pure lui dentro ‘VeDrò’), il quale infatti ha mangiato la foglia e ora scalpita irrequieto.
Il think-net lettiano agisce in sordina, ma ha entrature importanti…
Per i fondamentalisti “anti-casta” ossessionati dai rimborsi elettorali, c’è da dire che “VeDrò” non costa un centesimo alle casse pubbliche. Infatti si regge esclusivamente su finanziamenti e donativi privati, che ovviamente sarebbe ingenuo considerare a fondo perduto.
Tra gli sponsor privati che elargiscono i fondi sui quali si regge l’intera baracca, c’è infatti tutto il gotha industriale che conta: gli energetici ENEL ed ENI, ma anche Edison; i colossi delle tlc come Telecom Italia e Vodafone. Ci sono poi i giganti come Sky, ma anche Lottomatica e Sisal, Autostrade per l’Italia. Ci sono i colossi agro-alimentari come Nestlé ed il Gruppo Cremonini (quello della carne Montana). C’è il settore farmaceutico con l’intera associazione di categoria: Farmindustria.
Tra i nomi che spiccano, vale inoltre la pena ricordare: Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria; Luisa Todini (Costruzioni e Acciaio), già eurodeputata per Forza Italia. Nonché, Anna Maria Artoni, amministratrice unica dell’omonimo gruppo, con incarichi alla SAIPEM, alla PIRELLI, e nel gruppo RCS, nonché componente del comitato investimenti delle “Credem Private Equity” per la gestione del risparmio privato e membro del consiglio direttivo di Confindustria. 
E certamente non poteva mancare l’onnipresente Corrado Passera, già amministratore delegato del Gruppo Intesa-SanPaolo, nonché ministro ‘tecnico’ dell’ex esecutivo Monti. Nell’estate del 2010, in occasione del convegno di VeDrò sulla mobilità elettrica e le smart cities, organizzato presso la centrale idroelettrica di Fies di Dro (Trento), Passera fu tra i massimi finanziatori insieme ad ENEL. Oltre ad essere uno dei principali sponsor, ENEL è anche la protagonista del working group che VeDrò dedica al settore ‘Energie’. A dimostrazione che i sostenitori attivi non si limitano solo a finanziare le iniziative, ma altresì orientano anche l’indirizzo dei lavori.
Mose E, a conferma del vecchie detto secondo il quale il denaro non ha odore, tra i finanziatori di VeDrò giunge fresco dalla ribalta delle cronache il caso del Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dei lavori per la realizzazione del contestatissimo (e costosissimo) sistema di dighe artificiali, chiamato Mose, per la salvaguardia (tutta da verificare) della Laguna di Venezia. L’ex presidente del Consorzio, l’ing. Giovanni Mazzacurati, è finito agli arresti insieme ad altre 14 persone tra imprenditori e amministratori per una presunta serie di illeciti che, come hanno avuto modo di circostanziare gli investigatori della Guardia di Finanza insieme al nucleo di Polizia tributaria, contemplano:

«..la distorsione del regolare andamento degli appalti di Giovanni Mazzacurati, che predeterminava la spartizione delle gare allo scopo di garantire il monopolio di alcune imprese sul territorio veneto, di tacitare i gruppi economici minori con il danaro pubblico proveniente da altre Pubbliche amministrazioni e quindi di conservare a favore delle imprese maggiori il fiume di danaro pubblico destinato al Consorzio Venezia Nuova

Con un simile intreccio di interessi, partecipazioni e (nel caso) collusioni opache, ci sarebbero tutti gli estremi per un colossale conflitto inerente la posizione di personaggi con ruoli istituzionali e di governo, che si trovano ad essere contemporaneamente controllori, controllati, e beneficiari di elargizioni liberali e donazioni da parte di gruppi imprenditoriali, ex monopoli dello Stato, coinvolti in appalti e concessioni pubbliche, di importanza strategica per miliardi di euro.
GodzillaÈ quantomeno discutibile che un premier ed esponente politico di punta si faccia alfiere delle privatizzazioni, al contempo incassando (legalmente) i finanziamenti privati per la sua associazione da quei settori (come ENI ed ENEL), che dovrebbero essere oggetto della (s)vendita, ed al contempo dai gruppi interessati all’acquisto del patrimonio pubblico, come se la cosa fosse esente da possibili ripercussioni o condizionamenti. Basterebbe una semplice dose di buonsenso, per comprendere l’inopportunità di simili legami.
Ma tutto questo non sembra certo turbare i sonni dell’imperturbabile Enrico e della sua “strana maggioranza”, nel silenzio reiterato del Monitore che dall’alto del Colle pare non abbia niente da dire, a partire dalla vergognosa rendition kazaka.
ERGO PROXYFortunatamente, a vigilare sulla regolarità dei conti di VeDrò c’è il tesoriere Riccardo Capecchi. A meno che non si tratti di una omonimia, Capecchi divenne famoso per essere il funzionario di Palazzo Chigi, immortalato nel 2007 mentre si accingeva a salire sull’aereo di Stato che conduceva il Mastella ministro e figlio al Gran Premio di Monza. Nella circostanza, ebbe il raro buongusto di dimettersi senza clamori né polemiche.
Com’è ovvio, Capecchi non si pone troppo domande circa i motivi e la provenienza dei finanziamenti. Lui, da bravo ragioniere, incassa e registra. Ma non domandategli dettagli sui benefattori perché, per motivi di riservatezza, non vi risponderà.

«Noi per ovvie ragioni di privacy non diffondiamo l’entità delle contribuzioni. Quello che posso dire, è che la contribuzione media è di circa 30 mila euro. Anche se poi, ovviamente c’è chi dà meno e chi dà molto di più»

Si è recentemente giustificato il gentile Riccardo. E d’altra parte, da Renzi a Grillo, il segreto su bilanci e finanziatori sembra essere una costante in comune a tutti.
Informalmente, pare che VeDrò disponga di un budget oscillante attorno al milione di euro. Di per sé, non è una grande cifra, mentre interessanti restano i sottoscrittori.
Benedetta RizzoInsieme a Capecchi, alla presidenza dell’organizzazione c’è la 44enne Benedetta Rizzo, mentre la 35enne MonicaMonica Nardi Nardi (soprannominata “la Letta di Letta”) si occupa delle relazioni coi media. Ma le cariche come le sedi sono interscambiabili, perché la VeDrò condivide lo stesso indirizzo romano (Via del Tritone 87) insieme all’associazione “Trecentosessanta” che, nata nel 2007, funziona un po’ come comitato elettorale permanente di Enrico Letta.
Boccia Soprattutto, tra i “vedroidi” c’è Francesco Boccia: altro bocconiano prestato al PD, rigorista alfiere ad oltranza dell’austerity contabile, convinto che gli F-35 siano elicotteri destinati allo spegnimento degli incendi boschivi (salvo smentita a posteriori); l’eterno rivale (perdente) di Vendola, ripetutamente candidato alla presidenza della Regione Puglia e sistematicamente sconfitto. Uomo d’apparato, e pretoriano del governissimo, Boccia è il presidente della commissione Bilancio della Camera. Una carica questa che gli permette di gestire per conto del Presidente del Consiglio (Enrico Letta) i rapporti con l’industria parastatale dei colossi energetici e della difesa: da Finmeccanica ad ENI, passando per ENEL.
Insieme a Letta, l’amico Boccia condivide la comune origine democristiana e la provenienza dall’AREL sotto l’ala protettiva di Andreatta e poi di Prodi, che si sospetta non abbia esitato a sacrificare sull’altare delle “larghe intese”. Peraltro, prima di convolare a felici nozze con Boccia, anche Nunzia De Girolamo (PdL) pare abbia frequentato a lungo la comunità dei “vedroidi”. E infatti, non si sa con quali competenze ma per sicure parentele, è diventata l’attuale ministro alle Politiche Agricole nell’accogliente governo dell’amico Letta (Enrico). Ça va sans dire!

Il giovane Enrichetto

Sono i primi passi di una nuova razza padrona, che certo non ci farà rimpiangere la vecchia ma al contempo non promette nulla di buono: Post-Democrazia, Oligarchie, Tecnocrazia, Liberismo spinto e Monetarismo rigorista. Ma in veste ggggiovane.
Allegria!!!

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Argentina mi amor

Posted in Business is Business, Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 febbraio 2013 by Sendivogius

Zio Tibbia

A noi il presidente del consiglio Mario Monti, tuttora premier ‘tecnico’ (poiché, seppur dimissionario, è ancora in carica e piena attività) di un governo mai eletto, sfiduciato e privo di maggioranza, che lungi dal limitarsi all’amministrazione corrente continua imperterrito a legiferare per decreto, e con un parlamento pressoché assente perché in campagna elettorale, senza che su una simile anomalia costituzionale il sommo Garante abbia nulla da ‘monitare‘, ha sempre ricordato per rigidità rigorista e strategie economiche Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932. Della preoccupante analogia, avevamo già parlato in dettaglio QUI.
Carlos Saul Menem (Retrato Oficial 1989)Ora, scopriamo invece (QUI ma anche QUI) che il vero modello della politica montiana è in realtà l’Argentina del presidente Carlos Menem: sconcertante emulo berlusconiano del populismo sudamericano, invischiato in traffici illeciti e plurinquisito, principale responsabile del crollo economico dell’Argentina e della vendita dissennata ai privati delle maggiori industrie produttrici nazionali, insieme al suo ministro delle finanze Domingo Cavallo. Quest’ultimo divenne famoso per la rocambolesca fuga in elicottero, assediato da una folla di migliaia di argentini inferociti e ridotti sul lastrico dalle sue catastrofiche ricette ultra-liberiste.

LA STAMPA - Monti e Menem

In una rara intervista pubblicata su La Stampa del 13/08/1994 era già racchiuso in tutta la sua attuale freschezza il Monti-pensiero, giunto fino ad oggi imperturbabile ed immutato…
Fiducia messianica nel potere auto-regolatore della “finanza”; primato assoluto e sacrale dei “mercati” che non sono una creazione umana, ma emanazione divina a cui piegare le leggi degli uomini e consacrare la vita dei popoli.
Dalla scelta cinica a “scelta civica”, c’è quasi un richiamo straussiano alla “nobile menzogna”: un’elite di sapienti che finge di conformarsi ai voleri delle moltitudini ignare; ne asseconda le illusioni per indirizzarne le credenze e con l’inganno carpirne il consenso, per rimettere tutto il potere nella disponibilità assoluta di pochi “eletti”.

I Racconti della Cripta

A proposito del primo Governo Berlusconi, incalzato dall’intervistatore, il banchiere prestato alla propaganda chiosa serafico:

«Il governo, alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del Paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”»

Domingo Cavallo Domingo Felipe Cavallo, oriundo italiano della provincia piemontese (Buriasco), è un banchiere prestato alla politica. Ça va sans dire!
Nel 1991, in qualità di ministro dell’economia, Cavallo fa approvare uno speciale piano di convertibilità che fissa la parità di cambio tra il peso argentino ed il dollaro statunitense, con il preciso scopo di ridurre l’altissimo tasso di inflazione del paese sudamericano, in una prospettiva monetarista. Il piano di convertibilità presenta però un inconveniente di natura pratica: la perdita di sovranità monetaria e l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, mentre le sorti di una valuta debole come il pesos argentino vengono legate alle fluttuazioni di una moneta forte come il dollaro, tramite il cambio fisso, con l’impossibilità da parte del governo centrale di controllarne le oscillazioni e di orientarne le dinamiche macroeconomiche.
Per stare in piedi, un simile piano è sostenibile solo attraverso politiche fortemente liberiste, incentrate su un’austerità ad oltranza, tramite la riduzione costante del debito e saldo di bilancio proiettato ben oltre l’avanzo primario. Se si vuole mantenere l’agganciamento alla moneta forte, la ricetta rigorista implica altresì l’accettazione di parametri rigidi e speciali “agende” appositamente confezionatr dal FMI e dalla Banca Mondiale, con la supervisione interessata di organismi privati. Per dirla col prof. Mario Monti, l’intera politica economica di uno Stato sovrano è ispirata e rimessa alle autorevoli opinioni espresse nei mercati e nei bollettini delle principali banche d’investimento, tutte analisi che hanno un gran peso nel determinare i comportamenti degli operatori del mercato.
Impropriamente, è quanto avvenuto in Italia (e non solo) con il passaggio dalla lira all’euro, tramite l’adozione di parametri transnazionali e non negoziabili.
Per garantire la stabilità monetaria ed il mantenimento del cambio fisso, senza ripercussioni sull’andamento monetario, il piano di stabilità voluto dal ministro Cavallo ed imposto dal presidente Menem prevede una massiccia serie di privatizzazioni, con la totale dismissione del patrimonio pubblico ed il taglio radicale della spesa sociale. In pochi anni, vengono (s)vendute sul mercato tutte le risorse pubbliche e nazionali, con valutazioni (al ribasso) affidate alle principali banche d’investimento private, tra le quali si distingue la statunitense Merrill Lynch, specializzata in finanza strutturata.
Grazie all’improvvisa liquidità affluita dalla privatizzazioni selvagge, nell’arco del triennio 1991-1994, l’economia argentina conosce un aleatorio quanto illusorio incremento del PIL, con un effimero rilancio degli investimenti produttivi e con la ripresa dell’industria automobilistica (che coincide con gli investimenti FIAT).
Sul piano sociale, le politiche economiche attuate dal duo Menem-Cavallo si concretizzano attraverso uno smantellamento progressivo delle tutele contrattuali ed occupazionali, con la compressione dei sindacati, la liberalizzazione dei contratti ed una sostanziale contrazione dei salari per rendere “più competitive le imprese sui mercati” “incrementare la produttività”. Nella pratica ciò si traduce in condizioni di lavoro peggiori e salari più bassi. La liquidazione del settore pubblico ed il taglio radicale dei servizi provoca sul medio periodo un aumento costante della disoccupazione che raddoppia in pochi anni, in parallelo con l’impoverimento della classe media. 
Tra le privatizzazioni più interessanti, c’è il caso della vendita della compagnia aerea di bandiera, ovvero le Aerolìneas Argentinas. Si tratta di uno dei primi esempi conclamati di bad company: la società viene regalata a prezzi stracciati ai privati, mentre tutti i debiti vengono accollati allo Stato che si fa carico delle passività. Ma il sistema viene universalizzato all’intero piano di dismissioni: risanamento e debiti rimessi al pubblico; profitti interamente privati e depurati da oneri.
Augusto Ugarte PinochetUn altro punto di forza risiede nella riforma pensionistica, che ricalca fedelmente quella promossa sotto la dittatura cilena del generale Pinochet dal ministro José Piñera. Ispirata alle politiche neo-liberiste dei Chicago Boys, la Riforma Piñera è sostanzialmente identica al suo omologo italiano, la Riforma Fornero, che insieme alla famosa Agenda Monti molto sembra attingere dal vecchio “Progetto Cile” (Proyecto Chile), riscritto nel 1990 e aggiornato al 2010, dal golpista Piñera frettolosamente riciclato in democrazia.
Tornando in Argentina, il prosciugamento degli investimenti pubblici, non compensati da quelli privati, insieme al crollo dei redditi, si traduce in una drastica riduzione della domanda aggregata con una crisi economica senza precedenti, accompagnata ad una esplosione delle disuguaglianze sociali ed una ripresa del debito pubblico, una volta esaurita l’onda corta delle “liberalizzazioni”.
Nel 2001 Domingo Cavallo, il notevole ministro dell’economia, viene ripescato nel governo del presidente Fernando de la Rúa. La crisi economica si evolve presto in crisi finanziaria col crollo del sistema bancario, la fuga di capitali, e la corsa agli sportelli di credito da parte dei correntisti per ritirare gli ultimi spiccioli dalle banche. Cavallo non ha niente di meglio che imporre il blocco dei prelievi ed il limite all’uso del contante, provocando una rivolta su scala nazionale e sfuggendo per poco al linciaggio. Ciò non impedirà allo straordinario Cavallo di accreditarsi come grande economista e di far parte del cosiddetto Gruppo dei Trenta, peraltro in buona compagnia visto che in questa organizzazione di banchieri centrali e finanziari internazionali fa parte anche Mario Draghi. E non senza polemiche [QUI].
Nel Novembre 2001 con la fuga di De la Rua ed un triennio di cure da Cavallo, il notevole ministro dell’economia lascia un paese stremato da tre anni di recessione e sprofondato nella depressione economica con un tessuto sociale in pezzi.
I redditi medi degli argentini sono precipitati ai livelli del 1976 (con un arretramento trentennale).
Sempre nel 2001, nonostante i tagli selvaggi e le privatizzazioni radicali, il debito pubblico argentino passa dagli 8.000 milioni di dollari a circa 160.000 milioni. Nello stesso periodo, l’Argentina ha rimborsato intorno ai 200.000 milioni di dollari, vale a dire circa 25 volte quello che doveva nel marzo del 1976. Questo perché gran parte dei prestiti e dei capitali affluiti con le privatizzazioni sono stati utilizzati per rifinanziare debiti e titoli scaduti e impegnati come garanzia per i creditori esteri, mentre il gettito fiscale viene usato per ripagare gli interessi sul debito, per l’80% detenuto da istituti finanziari internazionali.
Questa è l’eredità di Cavallo e delle agende neo-liberiste.

Com’è ovvio, attualmente il principale problema dell’Argentina è il governo di sinistra dei Kirchner, non certo le politiche della destra liberista (e golpista) che hanno portato il Paese allo sfascio e che anzi ‘qualcuno’ vorrebbe esportare in Italia, magari col partito serio e riformista a tenergli il moccolo per “senso di responsabilità”.
Licoreria Francisco Monti y HermanosDel resto, Mario Monti conosce bene l’Argentina, dal momento che la sua famiglia storicamente in tale paese ha vissuto e prosperato… Il papà Giovanni è nato a Luijan nel 1888, dove nonno Abramo aveva fondato un’omonima distilleria, per la produzione locale di birra e liquori, salvo rientrare in Italia nel 1907. A proposito, è curioso notare come l’uomo che aborre il posto fisso e predica il ricambio sociale, provenga da una dinastia di funzionari di banca giunti alla quarta generazione nella trasmissione ereditaria del mestiere. Manco nel feudalesimo!
Father & Son - Abramo e Giovanni MontiMa Monti sembra conoscere ancor meglio le potenzialità sudamericane… Non per niente sembra accompagnarsi a personaggi come Ugo Di Martino, che parrebbe essere il referente delle cosche calabresi in America Latina [QUI], esperto in brogli elettorali e voto di scambio.
È il nuovo che avanza. E non promette niente di buono.

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(44) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , , , , , , , on 1 novembre 2012 by Sendivogius

Classifica OTTOBRE 2012

 Inarrestabili.. funambolici.. creativi.. sostanzialmente inguaribili!
Non conoscono tregue, né requie. È la galleria degli orrori, tra le creature da incubo che popolano l’eterna notte della repubblica nel paese dei Lotofagi.
E mentre si ride o ci si indigna dinanzi alle prestazioni degli inutili idioti di una classe politica indegna, nell’attesa di un chiassoso ricambio di sostituti persino peggiori dei loro predecessori, i veri poteri di questo Paese si riorganizzano e riscrivono le regole di un nuovo ordine padronale e (anti)sociale.
È il paradosso della post-democrazia, atrofizzata nelle sue forme rappresentative sempre più svuotate di senso, che delega quote di sovranità in nome di un efficientismo tutto presunto e assolutamente timocratico, nella sua feroce ideologia mercantilista di rigida osservanza monetarista. E lo fa ad esclusivo vantaggio della costituzione di un nuovo blocco oligarchico, coagulato attorno alle elite finanziarie e tecnocratiche che di fatto dominano una società sempre più iniqua. “Liberale”.
Ci si inquieta per l’ipertrofia decisionale dell’Esecutivo a discapito dell’iniziativa parlamentare, ma d’altra parte si ha un parlamento pessimo con una rappresentanza abominevole (regolarmente eletta), che quando legifera sforna leggi pessime ad usum principis et latronum. Leggi fatte da ladri a vantaggio dei ladri.
È una situazione dai richiami quasi weimeriani. Il peggio deve ancora arrivare e, visti i presupposti, si può star certi che non tarderà…

Se potessi, avrei più senno; ma mi trascina contro la mia volontà una forza nuova, e il desiderio mi tira in una direzione, la ragione in un’altra: vedo e approvo il meglio ma seguo il peggio.”

Ovidio
Metamorfosi (VII; 18-21)

In questo, gli italiani non deludono mai.

Hit Parade del mese:


01. OPERAZIONE SIMPATIA

[10 Ott.] «Firenze è una città piccola e povera»
(Sergio Marchionne, un Grasso Ricco)

02. FOLGORATO SULLA VIA DI VOGHERA

[18 Ott] «Voglio occuparmi delle casalinghe, delle persone che non arrivano a fine mese. Sul palco con ma saliranno una casalinga, un operaio ed un idraulico»
(Emilio Fede, il Casalingo)

03. LE PROCESSIONARIE

[22 Ott.] «Vogliamo portare la Madonna di Fatima a Strasburgo, accogliere le sue richieste significa salvare l’Europa e tutto il mondo ed assicurare pace e prosperità»
(Mario Borghezio, il Madonnaro)

04. PARTITO DEI LADRI

[22 Ott.] «I cittadini hanno il diritto di votare chi vogliono, anche persone condannate.»
(Piero Longo, l’Avvocato del Diavolo)

05. COLDIRETTI PADANA

[29 Ott.] «Adesso faccio il contadino, ma d’altra parte per fare politica non serve una carica, la politica si fa anche nei bar»
(Renzo Bossi, il Terrone)

06. AMORE CIECO

[25 Ott.] «Nessun uomo ha mai sacrificato la sua vita e la sua felicità per gli altri come ha fatto Berlusconi. Avrebbe potuto vivere questi vent’anni in pace ma non l’ha fatto. Questo, dopo il suo ritiro, è un giorno cupo per l’Italia. Ma chissà, magari gli italiani gli chiederanno con forza di tornare in campo»
(Michaela Biancofiore, papi-girl)

07. REPETITA (NON) IUVANT

[19 Ott.] «Nessuna pressione sulla questura, io volevo evitare un incidente diplomatico con Mubarak»
(S.Berlusconi, l’Inossidabile)

08. GRANDI SODDISFAZIONI

[29 Ott.] «Il risultato del 25% della nostra area che fa riferimento a Musumeci mi sembra straordinariamente positivo. Alle condizioni date è la prova che il centrodestra c’è ed è potenzialmente vincente»
(Angelino Alfano, il Vittorioso)

09. UN PASSO INDIETRO E DUE AVANTI

[24 Ott.] «Faccio un passo indietro per amore dell’Italia ma rimango a fianco dei più giovani»
(Silvio Berlusconi, il Gambero nero)

10. CANTAMI O MUSA…

[19 Ott.] «Ma lo sa che Massimo D’Alema cita l’Iliade a memoria?»
(Marianna Madia, la Musa)

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LA FARAONA

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 marzo 2012 by Sendivogius

Solo un paese intrinsecamente reazionario come l’Italia poteva passare dal fascismo populista dell’oclocrazia berlusconiana al direttorio tecnocratico di una destra elitaria da fine ‘800, con la benedizione di un ex comunista alla Presidenza della Repubblica e l’avvallo incondizionato dei principali partiti della (ex) opposizione: dai dorotei della UDC, a quello zombie in decomposizione chiamato PD… Sulla perniciosa inutilità del partito bestemmia è inutile infierire ancora, poiché l’operazione rasenterebbe la necrofilia, con vilipendio di cadavere. Di questo non-morto politico in passato avevamo già abbozzato una diagnosi terminale [QUI]; bisogna dire che col tempo la prognosi si è ulteriormente aggravata. Aggiungiamo che la dipartita di questo ibrido senza identità sarebbe la naturale conclusione di una imbarazzante agonia.

D’altro lato, come in un ingiallito album di figurine d’antan, l’esecutivo Monti non si fa mancare nulla: banchieri, ammiragli, arcigni funzionari di polizia, un’agguerrita delegazione di baroni accademici, qualche arnese clericale e una folta rappresentanza di blasonati aristocratici dal sangue blu. Definirlo governo di “classe” è quasi un eufemismo e nella sua evidenza farebbe impallidire anche il più irriducibile dei marxisti.
Eppur tuttavia, le compassate cariatidi che affiancano il prof. Monti nella sua neo-giunta di salvezza nazionale sono in realtà figure opache, sostanzialmente irrilevanti. Oltre i temi economici, le iniziative dei singoli dicasteri sono praticamente inesistenti. E, nei fatti, il Governissimo sembra non andare oltre la soglia delle istituzioni bancarie e dei grandi interessi privati che apertamente rappresenta. La sua azione consiste nello svolgere diligentemente i compitini dettati dalle tecno-oligarchie di Strasburgo; proseguire come un rullo compressore nella demolizione delle politiche sociali, in atto da almeno trenta anni; correre ad incassare i complimenti degli euro-burocrati. Le eventuali voci critiche vanno ammutolite con lo spettro dell’apocalisse economica, opportunamente evocato e pompato da una stampa sostanzialmente omologata. Quando ciò non basta, il nuovo ‘messia’ può sempre fornire il calamaio alla penna giusta e, in alternanza con l’altro golden boy della finanza globalizzata prestato alla BCE, dettare il prossimo editoriale ai redattori del WSJ.
Parliamo naturalmente del ‘Wall Street Journal’:

«…ovvero TWMIP, “the world’s most important pubblication”, come si autodefinisce, beatamente ignaro di quanto sconosciuto questo allegro quotidiano neofascista sia alla maggioranza degli americani, per tacere degli svariati miliardi di persone che vivono nelle tenebre dove i bagliori sulfurei del giornalino di Wall Street non sono che vapori acquitrinosi dalle più remote marche del folle impero

Gore Vidal: “I nuovi teocrati”; pubblicato su The Nation il 21/07/1997.

Lungi dall’essere una struttura collegiale, il Governo Monti agisce però in splendida solitudine, con l’eccezione dell’intraprendente ministro Elsa Fornero: la spocchiosa professorina sabauda che pensa di “rieducare” il popolino dai suo vizi, per ricondurlo all’ortodossia dei mercati (finanziari).
Come il professorone, esperto in aumento dell’IVA e delle accise sui carburanti, abbia scoperto questo inquietante incrocio tra la Fata Turchina e Mary Poppins con l’elmetto resta un mistero. Si ha l’impressione di trovarsi dinanzi a personaggi surreali, usciti da un film di fantascienza degli anni ’50… o da una sessione di esami universitari… con la ministra che dispensa pagelline di merito, bacchetta gli alunni indisciplinati, e non ammette repliche ai suoi piani di battaglia. Più che un direttivo tecnico, sembra una giunta militare.
Impersonali, ingessati, ieratici, i ministri tecnici assomigliano ad una cucciolata aliena, particolarmente stagionata, da “invasione degli ultracorpi”. Conducono le trattative con le aborrite ‘parti sociali’, sfoggiando la stessa grazia diplomatica di un Klaatu in “Ultimatum alla Terra”.
 La trattativa sulla riforma del lavoro va chiusa in fretta, non oltre il 23 Marzo.
È già partito il countdown. Così Marione potrà bullarsi del risultato nella prossima trasferta asiatica.
 O mangiate questa minestra o saltate dalla finestra.
Evidentemente, la Fornero è convinta di parlare ancora dalla cattedra al ricevimento studenti.

«Noi proponiamo qualcosa e mi sono impegnata a che le risorse non vengano tolte dall’assistenza. Mi sembra che questo sia un buon impegno. Anzi avrei voluto sentire anche una piccola parola di apprezzamento per questo impegno, che vuol dire non togliere, non sottrarre risorse all’assistenza. Mi sembra una buona cosa. Ma non ho sentito neanche mezza parola di apprezzamento»

La ministra non spiega dove reperirà i fondi, per finanziare la riforma. Da pessima economista, si guarda bene dal fornire la copertura fiscale. Ma diamine! Ha dato la sua parola e mica vorrete metterla in dubbio?!? Firmate il contratto in bianco. E arriverà una paccata di soldi. Quanti e come non è dato saperlo. Un po’ come è avvenuto con la riforma delle pensioni: i risparmi dovevano servire a sostenere l’occupazione giovanile e consolidare la “solidarietà generazionale” (era da egoisti opporsi!)… Poi però i soldi sono andati a rifinanziare il fondo salva-banca e il pagamento degli interessi, alla faccia delle promesse originarie!
Ma la professoressa Fornero lamenta:

non ho sentito neanche una mezza parola di apprezzamento

Ehm.. signora Ministro?!?
Con licenza parlando….
Ma VAFFANCULO!!!

Per chi ha amato le serie animate dei robottoni giapponesi, questo artificiale ‘governo dei tecnici’ ricorda vagamente i Meganoidi [QUI] del mitico Daitarn 3.
In particolare, la strana coppia Monti-Fornero presenta inquietanti analogie con i due principali cattivoni della serie: Koros e Don Zauker.
 Koros, il glaciale comandante supremo dei meganoidi, che interpreta il volere dell’incomprensibile Don Zaucker e agisce per suo tramite.
Elsa Fornero, il ministro zelante che ci mette la faccia e porta avanti i piani segreti dell’imperscrutabile robo-Monti.
O, forse, più funzionale alla dimensione cibernetica del nuovo ministro allo smantellamento sociale, che rischia di far rimpiangere persino il suo predecessore Maurizio Sacconi e che è riuscito a stizzire persino il Gatto e la Volpe dei due sindacati gialli, è la figura del faraone. Per l’esattezza, la FARAONA.

«Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto. Il faraone non vi ascolterà e io porrò la mano contro l’Egitto e farò così uscire dal paese d’Egitto le mie schiere, il mio popolo degli Israeliti, con l’intervento di grandi castighi. Allora gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli Israeliti!»

  Esodo 7,4-5

E il Faraone, com’è noto, dovette piegare la sua intransigenza a più miti consigli, dopo lo scatenamento delle bibliche “dieci piaghe”.
Bisogna dire che, per una compagine governativa che ha in orrore e demonizza le tensioni sociali, il risultato di certe iniziative sembra abbastanza scontato…

 «Il popolo italiano non è ancora un branco di schiavi, non è materia morta. Ma non è neppure un popolo uso a libertà e di libertà geloso. Non è l’asino paziente, ma non è il leone incatenato. La rivolta non sarà morale. Sarà lo scoppio di un generale malcontento egoistico, di un’esasperazione di ventri vuoti.»

  Camillo Berneri
  (1929)

Fedelmente al nuovo corso liberale, dobbiamo attenderci le cannonate di un prossimo Bava Beccaris?

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LA TELA DEL RAGNO

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 8 marzo 2010 by Sendivogius

Ci sono autori che, confinati tra i polverosi scaffali delle biblioteche accademiche, andrebbero invece riscoperti e divulgati con pubbliche letture. Profetici quanto e più di Nostradamus, senza doversi inventare astruse quartine, sono sicuramente meno ermetici nelle loro previsioni e, soprattutto, ci azzeccano!
 È il caso di
Charles Wright Mills, un prof. texano (1916-1962) che indirizzò i suoi studi sui meccanismi che determinano la stratificazione sociale, soffermandosi in particolare sulle trasformazioni della struttura di classe, a superamento della vecchia concezione marxista.
L’opera di Mills è interessante per diversi motivi…
In primo luogo perché focalizza l’attenzione sull’emergente classe media di lavoratori dipendenti dei quali studia la psicologia sociale ed i valori di riferimento, sottolineandone l’individualismo conformista e l’intrinseca incapacità di porre azioni politiche organizzate.
In secondo luogo perché analizza la concentrazione elitaria del potere su base gerarchica, in riferimento agli intrecci economici e politici delle società capitalistiche. E facendo il verso ai teorici dell’oligarchia (Michels, con gli italiani Mosca e Pareto) arriva alla conclusione che “l’appartenenza al vertice del potere deriva da posizioni istituzionali che vengono occupate, con una continua osmosi fra gerarchie, da un gruppo ristretto per il quale esse diventano una sorta di bene ereditario”.

I gruppi di potere così strutturati si suddividono per sfere di interessi il controllo dell’apparato statale; di quello militare, che si regge sulle commesse pubbliche; e delle società da capitale, sempre più avviate a ritagliarsi un ruolo autonomo e correlato come potere a sé stante.
Requisiti fondamentali per la tenuta del gruppo (o delle ‘cricche’) sono una forte coesione interna, meglio se spalmata su base familiare, dettata dalla comune estrazione sociale e da un sistema di idee condivise.
Le elite, per loro stessa natura, tendono a riprodursi, attraverso una rete di relazioni personali, volte alla conservazione del potere acquisito, sulle basi privilegiate proprie del sistema oligarchico. Godono delle rendite di posizione, ma di proprio rischiano pochissimo. Inutile dire che l’oligarchia sta alla democrazia, come la merda sta alla cioccolata.

L’Italia è tutta un club. Un immenso Rotary. Il vero potere è nella corporazione. Nella rete. Per avere successo, o semplicemente garantirti un futuro certo, devi iscriverti.
(…) L’immobilismo è la chiave che permette alle lobby di beneficiare in eterno delle loro prerogative indiscusse. Così l’imperativo diventa: non cambiare, ancorarsi al passato e trasmetterlo alle nuove generazioni di eletti.
(…) La mediocrità si organizza in reti per due ragioni essenziali. In primo luogo da solo nessuno è mediocre: la mediocrità emerge se è possibile un confronto e se c’è competizione. Almeno in potenza. In secondo luogo le reti rafforzano e si nutrono della mediocrità rendendola ‘absoluta’, sciolta da tutto quello che non rientra nel suo mondo di riferimento, avulsa da chi non ne condivide le regole.
(…) Quando le reti lavorano per modificare la società, lo fanno soprattutto per adattarla alle proprie esigenze.

 Antonello Caporale
Mediocri
BCD – Milano 2008

In un paese curtense come l’Italia, consacrato all’immobilismo sociale ed al perseguimento del proprio particulare, l’origine primigenia del “potere” risiede in un semplice, ma fondamentale, principio di casualità: nascere nella famiglia ‘giusta’. Ogni sforzo futuro sarà la preservazione parassitaria di quanto ereditato per diritto di casta e la sua trasmissione ereditaria. A ciò si aggiunge un’oculata politica di alleanze, e la creazione di una rete interattiva di protezioni, coltivando le amicizie utili nel gruppo dei pari. Per questo esistono i Circoli privati e Club esclusivi (la massoneria è solo una loro proiezione esotica), i Cenacoli editoriali, e soprattutto la Curia pontificia. La captatio benevolentiae di qualche monsignore, ben inserito all’interno delle gerarchie vaticane, è fondamentale in una società clientelare che, dietro i paraventi della devozione religiosa, ammassa i denari sottratti a Cesare. Con i crediti giusti, pochi uomini di talento che rispondano ai requisiti della “Triple C” e che sappiano muovere con perizia i singoli pezzi possono gestire a piacimento il gioco.

IL CARDINAL VICARIO
 Colui che ha fatto della compenetrazione oligarchica un’arte, curando l’interazione armonica dei singoli segmenti, è sicuramente Gianni Letta: il raffinato maestro del cerimoniale di corte, il gran ciambellano degli occulti concistori tra politica e affari, il furbo cultore delle relazioni informali.
Perfetto erede del potere democristiano di fede dorotea, Letta è il Magister Officiorum dell’imperium berlusconiano. All’ombra dell’Imperatore, ha saputo costruirsi la sua personale rete di potere parallelo, che gestisce tramite i canali vischiosi della diplomazia sotterranea. In questo, Gianni Letta assomiglia molto a quegli spregiudicati cardinali dall’intelligenza sulfurea, che gestivano il regno per conto del Re Sole nella Francia dell’ancien regime. Del periodo l’affettato sottosegretario abruzzese (è nato ad Avezzano nel 1935) sembra conservare il gusto per le ciprie e le acconciature scolpite, che conferiscono al personaggio quell’aspetto plastificato da museo delle cere. Dunque falso.
Ma l’intrigante Visir del Sultano è anche l’architetto dell’eccezione permanente, strutturata nel ricorso esasperato alle “ordinanze” immediatamente esecutive e sottratte ad ogni vaglio preventivo di costituzionalità. Prodotto naturale di questi moderni decretalia regi  sono  i commissari straordinari: i nuovi Federali nel regime delle emergenze che, con un accorpamento di poteri senza eguali, esautorano gli equilibri del controllo democratico, in nome dell’urgenza per decreto. Fedele sacerdote della teologia del ‘fare’, Letta ha consolidato la sua influenza tramite un sistema capillare di proconsolati: collettori di affari e centraline di collegamento che trasformano le istituzioni in protettorati personali.

IL PRANZO È SERVITO
 Anfitrione d’eccezione, Gianni Letta ha reso la buona tavola molto più di un momento conviviale… Il luogo ideale dove il ragno tesse i fili impercettibili della sua tela… Come negli antichi banchetti, l’aristocratico sottosegretario ha trasformato la mensa domestica in naturale prosecuzione della politica e occasione per accordi trasversali. Famose sono le cene romane di casa Letta. Famosissima la cena del giugno 1997 che imbrigliò nel cosiddetto “patto della crostataMassimo D’Alema: lo stratega fallito delle guerre perdute.
Ma il culto per i piaceri della cucina è anche, e soprattutto, una lucrosa tradizione di famiglia…
Condurre un’impresa commerciale non è mai cosa facile. Certo, se puoi contare su appalti blindati e canali privilegiati, il lavoro sarà molto più semplice… Di sicuro, ne sanno qualcosa alla Relais le Jardin: il giardino nel cuore del ragno, per vecchie abitudini che non cambiano.
Relais le Jardin, azienda specializzata nel catering di lusso, è la fortunata creatura della famiglia Ottaviani. Esponenti del generone romano, già proprietari dell’hotel Byron al quartiere Parioli, gli Ottaviani hanno consolidato parte delle loro fortune nel mercato della ristorazione. A dirigere l’attività della Relais sono i rampolli del casato, Stefano e Roberto, ma ai fondamentali rapporti istituzionali provvede la consorte di Stefano Ottaviani, ovverosia Marina Letta e quindi, per interposta persona, l’onnipotente papà Gianni. Non è un caso che il catering di famiglia si sia aggiudicato le più ricche commesse pubbliche degli ultimi 10 anni, dai vertici internazionali ai ‘Grandi Eventi’ confezionati su misura per le necessità della ditta.
Alla Relais è stata affidata la cura delle mense, per rifocillare gli augusti convenuti agli inconcludenti (ma costosissimi) summit diplomatici, che riempiono l’album fotografico del Sultano.
Nell’ordine:
Il sanguinoso G-8 di Genova  (2001).
Il pacchianissimo vertice NATO a Pratica di Mare (2002), dove Re Silvio illustrava agli ospiti le gesta di Romolo e Remolo. Per l’occasione, la Relais incassò 414.000 euro.
La Conferenza intergovernativa di Roma (2003), per la firma dei Trattati europei.
I vari congressi tenuti durante il semestre di presidenza italiana della UE.
Il G-8 2009 nella caserma di Coppito (AQ), il più costoso ed inutile della storia, per il quale la Relais le jardin ha intascato dalla Protezione Civile di Bertolaso, la modica cifra di un milione e 65 mila euro.
Ad ogni buon conto, gli affari sono strettamente legati alle entrature del premuroso papà Gianni, tanto da poter dire che dove c’è Letta c’è Relais le jardin.
Promotore delle Olimpiadi a Roma per il 2016 (un’altra ghiotta cuccagna per speculatori e palazzinari di ogni risma), reggente per il consiglio d’amministazione dei Mondiali di nuoto di Roma 2009 durante i quali molto si è data da fare la cricca Anemone-Balducci (15 impianti privati su 17 sotto sequestro per abusi), Gianni Letta è l’uomo dei grandi Circoli sportivi della Capitale: vere confraternite per la cogestione sotterranea del potere.

GOLDEN CLUB
 Tra le sue molte iscrizioni, Letta è socio del Circolo Canottieri Aniene. Si direbbe in ottima compagnia, visto che tra gli illustri tesserati ci sono: Vittorio Silvestri, revisore alla Corte dei Conti; Gianni Petrucci, eterno presidente del CONI; i costruttori della famiglia Toti e soprattutto Francesco Gaetano Caltagirone, suocero di Casini ed editore de Il Messaggero. Caltagirone, con partecipazioni azionarie all’ACEA (sarà lui a beneficiare della privatizzazione dell’acqua a Roma), dopo aver scaricato l’accoppiata Veltroni-Bettini che pure l’avevano ingrassato fin quasi a scoppiare, è diventato il grande sponsor del sindaco Alemanno. Ma nel circolo si possono incontrare anche Giulio Andreotti; Cesare Romiti e Luca Cordero di Montezemolo; Angelo Rizzoli e Carlo Toto; Gianni Alemanno e Andrea Ronchi. E fino a poco tempo fa, pure Marrazzo.
Presidente del Circolo Aniene è Giovanni Malagò, altro grande esponente del potere trasversale, al quale il buon Gianni è legato da antica amicizia.
Ebbene, per conto del CONI, la Relais gestisce il Bar del Tennis al Foro Italico.
Per conto della FNI (Federazione Italiana Nuoto) si è aggiudicata l’appalto per le forniture ai Mondiali di nuoto (Giugno 2009).
Per il Comune di Roma sotto la podestà di Alemanno, la Relais provvede ai pasti in Campidoglio e organizza i servizi del cerimoniale del Comune. Fornisce i servizi di catering e caffetteria ai Musei Capitolini (canone annuo: 80.000 euro). Rifornisce la Fiera di Roma, le Scuderie del Quirinale. È presente nei servizi all’Ippodromo delle Capannelle, e non manca nella ristorazione della tribuna d’onore dello stadio Olimpico. Ma provvede a gestire anche i 6 bar dell’Auditorium di Roma nel cui CdA, guarda caso, siede Gianni Letta.

I ricavi della società gestita dal genero di Letta in pochi anni hanno superato i 20 milioni di euro l’anno. Tutti sanno che i proprietari sono gli Ottaviani, ma le quote societarie oggi sono in mano alla Immobiliare Villa Miani 90, dal nome del palazzo di via Trionfale che ospita congressi dei politici di ogni schieramento. Impossibile sapere di chi è la società: si finisce in un dedalo di sigle anonime del Lussemburgo e di altri paradisi fiscali come Tortola e le Bahamas.”

 ‘No Letta No Party’
di Emiliano Fittipaldo
 L’Espresso – 26 febbraio 2010

Ispiratore e promotore delle ordinanze che trasformano la Protezione civile in un network di commissari proconsolari alle sue dirette dipendenze, Gianni Letta ha costruito attraverso la formula dei “Grandi Eventi” una ragnatela dalle mille opportunità. Testa di cuoio di questo progressivo scardinamento democratico, è il suo plenipotenziario alla Protezione Civile: Guido Bertolaso, “il Batman arrogante e litigioso dei cataclismi” (Massimo Falcioni), avviato verso l’empireo degli onnipotenti.

CHERCEZ LA FEMME
 La pioggia di miliardi che si è riversata nelle casse della nuova Protezione civile, sciolta da ogni controllo preventivo e con totale libertà di spesa, è una greppia troppo ghiotta, per starci lontano. Tuttavia, ci sono persone con le quali il felpato Letta evita accuratamente ogni contrasto, perseguendo le rodate vie della cooptazione condivisa, in vista dei comuni interessi. È il caso di Umberto Vattani, l’inamovibile presidente dell’ICE.
[Di Vattani & Family abbiamo già parlato QUI.]
Le fortune della Relais le jardin sono infatti strettamente correlate con la Triumph di Maria Criscuolo, general contractor negli eventi organizzati dalla Protezione civile. Insieme, le due aziende hanno creato il consorzio NEXXI e monopolizzano la quasi totalità dei servizi catering, legati ai meeting di Stato.
La Criscuolo, 48 anni, ex interprete dell’ambasciatore USA in Vaticano, insieme a Vattani ha gestito l’accoglienza al G-8 di Genova. Un’esperienza imprenditoriale che per l’intraprendente ambasciatore col pallino per gli affari si risolse in un crack colossale. Sulle gesta di Vattani potete leggere QUI e anche se purtroppo l’articolo originale non è più disponibile, qualcosa si può comunque recuperare…

«Le toghe rosse sono sempre in agguato. E, visto che Silvio Berlusconi è un osso duro, se la prendono con un pover’uomo come l’Ambasciatore Umberto Vattani che, dopo una carriera brillante e prestigiosa all’ombra di consolati e ambasciate, è ora alla guida dell’ICE, l’ente che sviluppa e promuove i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero e l’Italia nel mondo. Vattani è un italiano vero: generoso, elegante, simpatico. Un infaticabile servitore dello Stato. Ai tempi del governo di centrosinistra, contribuì con grande fatica ad evitare che l’Italia avesse la grave seccatura di divenire membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E durante il governo Berlusconi si prodigò in ogni modo per non informare l’allora ministro Frattini dell’uccisione di Quattrocchi in Iraq, mandandolo in diretta allo sbaraglio a “Porta a Porta” a negare il fatto mentre le agenzie di stampa avevano già battuta la notizia. Insomma, un uomo senza pari, anche se con molti dispari. Forse è per l’invidia degli uomini cattivi di cui è pieno il mondo che su quest’uomo tutto di un pezzo ogni tanto sono piovute accuse tanto ingiuste quanto infamanti. Una volta un tale insinuò in Parlamento che all’epoca del G8 di Genova, Vattani, gestore dell’evento, affidò ad un semisconosciuto armatore greco-genovese, Georges Poulides, l’appalto per le navi che ospitarono 7 degli 8 grandi della terra, per un costo per lo stato di 6 miliardi e mezzo di vecchie lire, e casualmente subito dopo fondò assieme a lui una Fondazione (la “Fondazione festival”) per l’organizzazione di eventi mondani e di crociere di lusso. Purtroppo l’iniziativa naufragò miseramente con un crack da 800 milioni di euro, 300 lavoratori licenziati, 260 imprese non pagate per le forniture, una ventina di banche con crediti non saldati, migliaia di turisti che ancora chiedono (sfrontati!) il rimborso degli anticipi versati. Tutte calunnie, naturalmente. Ma le calunnie sono come le ciliegie: una tira l’altra. E così, ecco il nostro povero ambasciatore coinvolto in un’inchiesta della procura di Potenza su una cordata di imprenditori associati nell’iniziativa E-noi, con la quale si voleva commercializzare il gas tunisino in Italia. Nel corso delle indagini, violando la sacrosanta privacy di tanti onesti cittadini, furono disposte numerose intercettazioni che nominavano Umberto Vattani, allora segretario generale della Farnesina, riguardo presunti favori e relativi compensi. Umberto Vattani naturalmente non conosceva nessuno di questi signori, anche se li incontrò – ovviamente per puro caso – il 20 febbraio 2003 all’Harry’s Bar di Via Veneto. Dando credito a queste calunnie infamanti quel pazzo comunista del Pm Woodcock aveva chiesto addirittura l’arresto del povero ambasciatore-martire. Per fortuna, il giudice per le indagini preliminari respinse la richiesta di arresto e passò tutto l’incartamento nelle nebbie della procura di Roma. Fu proprio durante l’indagine sul gas tunisino che i finanzieri del Gico ebbero l’autorizzazione di intercettare le conversazioni telefoniche del nostro povero ambasciatore. Una indegna intrusione nella privacy di quest’uomo retto e tutto di un pezzo. Questi ficcanaso registrarono qualche piccola, breve e insignificante telefonatina. Precisamente 264 telefonate per una durata complessiva di 52 ore e 26 minuti, con un costo di circa 25 mila euro, fatte da Umberto Vattani, sempre come Segretario generale del Ministero degli Esteri verso gli uffici di Bruxelles. Il nostro ambasciatore aveva lavorato in quegli uffici, e ne serbava un ricordo meraviglioso. Per questo telefonava “a spese dello Stato più volte e a qualunque ora, anche di sera tardi e nei giorni festivi” ad una gentile signora che lavorava in quell’ufficio: per ricordare con lei i bei tempi andati. Purtroppo le donne italiane sono belle, ben odoranti e benvestite, ma non sempre gradiscono le offerte dei cavalieri. La signora non cedeva, e Vattani continuava a telefonare. E quegli insensibili dei sostituti procuratori Angelo Antonio Racanelli e Giuseppe De Falco ne chiesero il rinvio a giudizio: perché “l’alto funzionario della Farnesina avrebbe abusato della relazione d’ufficio per compiere le telefonate per motivi libidinosi e quindi biasimevoli“. La signora, sentita dai magistrati in istruttoria, si rivelò effettivamente un po’ infastidita dalla continue chiamate dell’ambasciatore. Ma si sa come siamo noi italiani: l’uomo è cacciatore e ha il diritto di chiedere. Quindi, il GUP decise di archiviare l’accusa per molestie. Che per discolparsi disse “da una semplice lettura delle conversazioni risulta la mancanza di qualsiasi costrizione e il tono assolutamente scherzoso delle telefonate stesse”. Le telefonate c’erano, ma erano un innocente scherzetto. E poi, come dice un vecchio detto, Ambasciator non porta pene! Il GUP però non archiviò le accuse per peculato e rinviò a giudizio il povero Vattani: perché le sue telefonatine l’Ambasciatore avrebbe almeno dovuto farle a sue spese. La storia non finì qui. Gianfranco Fini, allora ministro degli esteri, saputo del coinvolgimento dell’alto funzionario in questa vicenda, e anche se era sicuro della buona fede di Vattani, decise a malincuore di prendere i “provvedimenti del caso“. Impietosito dal fatto che si trattava pur sempre di un bravo ed onesto padre di famiglia (i bravi italiani tengono sempre famiglia), e soprattutto pensando che dalle escort all’export la differenza non è poi molta, il “provvedimento del caso” fu la decisione di nominare l’ambasciatore rinviato a giudizio per peculato alla presidenza dell’Istituto per il Commercio Estero. Il nostro povero ambasciatore come tutti gli innocenti, in questi anni ha cercato di difendersi dalle false accuse costruite ad arte contro di lui dalle toghe rosse. Ha dimostrato, ad esempio, che è normale che i diplomatici all’estero facciano un po’ di confusione con l’imputazione delle spese, e che comunque lui, con grande rettitudine, le aveva rimborsate. Solo che – forse per la troppa ansia di dimostrare la sua innocenza – portò in procura la documentazione dell’avvenuto pagamento di 11.650 euro per telefonate che nulla centravano con il caso in questione. Mettendo nei guai anche un altro povero innocente, il capo contabile della sede diplomatica di Bruxelles, Bernardo Salaparuta, incriminato a sua volta per falso e favoreggiamento nei confronti di Vattani perché secondo la procura “i tempi dei pagamenti non corrispondevano, erano stati fatti quando già le indagini erano partite”. Una coincidenza, naturalmente, ma i magistrati comunisti non ci hanno voluto credere. Vattani comunque, incurante del processo e con la coscienza limpida di chi nulla deve temere, ha continuato a portare l’immagine dell’Italia nel mondo: un plurindagato, in attesa di giudizio, guascone e cacciatore di belle donne. Insomma, un perfetto italiano degli anni 2000. Nel frattempo ha lavorato alacremente sulla vicenda dell’Expo 2015 e, da bravo italiano che si rispetti, ha avuto l’immensa soddisfazione dell’importante incarico assegnato ad un ragazzo di nome Mario Andrea Vattani, uno che chiama l’ambasciatore Umberto Papy, e che Gianni Alemanno ha nominato, per la modica cifra di 488 mila euro annui, Consigliere Diplomatico per le relazioni internazionali del Sindaco di Roma


La TRIUMPH è una srl che organizza eventi a livello internazionale ed è attiva sul mercato dal 1986, quando la società si occupava della ristorazione nei convegni di medicina per poi specializzarsi in comunicazione promozionale e grandi eventi. Ciò vuol dire che la Criscuolo, che si definisce “imprenditore di prima generazione”, ha avviato la sua attività poco più che ventenne. Lei stessa la racconta così:

Ho iniziato 21 anni fa nel mondo dell’organizzazione degli eventi e della comunicazione, oggi presiedo un gruppo che è presente in Italia, in Belgio e in Cina, che si occupa di comunicazione intesa come comunicazione integrata, nel senso che all’interno del gruppo ci sono una serie di realtà aziendali che vanno dal mondo dell’organizzazione congressuale, al mondo della comunicazione intesa come comunicazione di prodotto, a tutta quanta l’organizzazione di eventi istituzionali, quelli che magari si vedono in televisione, quali il G8, il vertice della NATO, il semestre di presidenza. Fino ad una compagnia di viaggi che fa prevalentemente incentivazione, dunque nella realtà è una incentive house per aziende e a un quarto settore, assolutamente importante, che oggi è anche molto di moda, che è quello della promozione integrata tra la promozione di prodotto e la produzione territoriale, quello che noi diciamo oggi ‘promuovere il made in Italy’, che sarebbero più realtà insieme.”

  (23 agosto 2007)

E che è prerogativa di Umberto Vattani (aggiungiamo noi). Con un centinaio di dipendenti la società fattura circa 28 milioni di euro all’anno. Una parte davvero cospicua dei guadagni arriva però con le commesse della Protezione civile, tant’è che al famoso vertice a Pratica di Mare (27/05/2002), la Triumph si porta a casa la bellezza di 7 milioni 45 mila euro soltanto per le attività connesse all’organizzazione, gli allestimenti, la ristorazione, le fotocopiatrici, gli interpreti. E ne rigira 414.000 alla RLJ degli Ottaviani. Nel recente G-8 de L’Aquila, pare che le due società si siano ritagliate un milione a testa. Naturalmente, tutti gli appalti avvengono per assegnazione diretta e senza gara.
Soprattutto, il Gruppo Triumph naviga nell’orbita della Compagnia delle Opere, braccio economico di Comunione e Liberazione. E proprio i favori a CL sono costati a Letta, nel novembre 2008, una denuncia per turbativa d’asta e truffa aggravata, in merito alla fornitura di pasti ai centri di prima accoglienza per gli immigrati richiedenti asilo.

Il Caso FIORI
 Tra i protege di Letta e Bertolaso c’è sicuramente Marcello Fiori, 50 anni, attualmente dirigente presso la Presidenza del Consiglio. Le fortune di Fiori conoscono una svolta per grazia ricevuta, in concomitanza col Giubileo del 2000. Successivamente, approda nei munifici uffici della Protezione a guida Bertolaso, fino a diventare responsabile dell’Ufficio Emergenze.
Nel febbraio 2009 (ordinanza n. 3742) Bertolaso lo fa nominare “Commissario delegato per la realizzazione di interventi urgenti e necessari per il superamento di grave pericolo in atto nell’area archeologica di Pompei”. La carica prevede deroghe amplissime al codice degli appalti e dei regolamenti urbanistici, con un portafoglio già stanziato di 40 milioni di euro. Sono tutti soldi sottratti al ministero dei Beni Culturali ed alle Sovrintendenze archeologiche. Ma gli obiettivi sono fumosi e privi di indirizzo, a parte caldeggiare l’ingresso dei privati nella gestione del patrimonio culturale nazionale. E in tale prospettiva, l’iniziativa può essere riconducibile ad un più ampio programma di privatizzazione, che non riconosce ai beni artistici nessun valore se non quello d’uso.
Il 30/07/09 i poteri del Proconsole vengono ulteriormente ampliati con l’ordinanza 3795 che esautora di ogni funzione le Sovrintendenze di Pompei e di Napoli, “per il superamento della situazione di emergenza” che (opportunamente) continua a restare indefinita. Per questo, dopo più di un anno e svariati milioni già spesi, viene istituita una ‘Commissione d’indirizzo’ dalla quale vengono escluse le sovrintendenze!
È una sorta di esperimento in progressione, che continua tutt’ora: militarizzazione del territorio, discontinuità democratica, prosciugamento delle prerogative degli enti territoriali, eccezione normativa.
Marcello Fiori è il tipico esponente di quella rete trasversale, che troppo spesso incrocia il cammino del Cicoria e degli ex Margheriti

Fiori ha una laurea in lettere e nessuna esperienza con alluvioni e terremoti. Un passato di portavoce dell’Acea, l’Azienda elettrica di Roma, nel 2007 è segretario generale del ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni.
Il suo nome appare il 22 marzo 1999 in una lettera di raccomandazione firmata da Francesco Rutelli, di cui allora è vice capo di gabinetto. Il sindaco-commissario per il Giubileo chiede al segretario generale della presidenza del Consiglio, Paolo De Ioanna, di affidare a Fiori l’incarico «di coordinare le attività nell’azione di lotta al degrado ambientale, ai fini della salvaguardia del decoro nella città di Roma». Sospinto da Rutelli e Bertolaso, farà strada. Fino ai rifiuti di Napoli. Prima però Fiori diventa responsabile dell’ufficio emergenze della Protezione civile. La notte del 26 dicembre 2004 la sala operativa di via Vitorchiano lo sveglia per avvertirlo del fortissimo terremoto registrato dai sismografi di tutto il mondo e del successivo maremoto. Dove? In Indonesia, rispondono dalla sala operativa. Va bene, buona notte.
Qualche ora dopo Gianni Letta, chiamato dal ministero degli Esteri, butta giù dal letto Bertolaso che ancora non sa nulla. La regola prevede che sia il capodipartimento ad informare il governo. Questa volta succede il contrario. Ci sono migliaia di turisti italiani ed europei di cui non si hanno più notizie. Bertolaso vuole fare tutto da solo. Gestisce i soccorsi e i 16 milioni e 156 mila euro raccolti dagli italiani con l’idea degli sms. Snobba perfino il ministro degli Esteri. Il capo della Protezione civile fa decollare due Canadair del servizio antincendio, Can 23 e Can 24. Sono aerei inadatti alle operazioni di lungo raggio. Non superano i 365 chilometri orari di velocità e le 6 ore di autonomia. Quanto tempo impiegano per arrivare in Sri Lanka lo racconta una scheda sul sito della presidenza del Consiglio: «Partiti dall’Italia il 31 dicembre e arrivati a destinazione dopo quattro giorni di volo». L’aereo è progettato per scaricare acqua. Non ha spazio per trasportare materiali. Così a ogni missione vengono recapitate soltanto 6 tende. Alla fine i piloti accumulano 452 ore di volo di cui 59 ore per distribuire soltanto 250 tende. Al costo di esercizio di un Canadair: 14 mila euro l’ora. Guido Bertolaso non parla mai più del dovuto. Quando davanti al consiglio comunale della Maddalena un rappresentante del Pdl critica i metodi di affidamento degli appalti, lui lo interrompe: «Lei è pregato di misurare le parole… Io posso anche fare direttamente degli esposti alle autorità competenti, per le affermazioni ingiuriose nei confronti di un rappresentante del governo. Sia ben chiaro»

 Protezione Civile Super S.p.A.
 Fabrizio Gatti
 L’Espresso, n. 52 del 29 dicembre 2009

Il demenziale utilizzo dei Canadair in trasvolata continentale, non è una boutade legata alla tragicità comica del caso, perché l’impiego dei CL-145 costituisce un aspetto importante nel business dei protetti di Letta e un capitolo di spesa fondamentale nei bilanci della Protezione Civile, ridotta a braccio armato di questo  nuovo potere oligarchico.
È un argomento del quale torneremo ad  occuparci  quanto prima…

 Continua.

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