Archivio per Norberto Bobbio

Resistenza e resilienza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , on 25 aprile 2018 by Sendivogius

Il paradosso della Resistenza italiana (caso unico nelle democrazie occidentali) è quello di aver dovuto giustificare se stessa per i successivi 73 anni dalla Liberazione dal nazifascismo nello stesso Paese, che pure il fascismo lo aveva inventato nonché esportato (e che per questo dovrebbe almeno mostrare un po’ più di pudore). Perché la Resistenza stava lì, con la sua testimonianza cruda e vitale, a ricordarne le complicità e la pusillanimità, di quanti per ignavia preferirono non scegliere o che per opportunismo si schierarono con il vincitore del momento, ma solo ‘dopo’, affinché tutto cambiasse per rimanere com’è. Per questo il massimo problema non è mai stata la defascistizzazione dello Stato (e della società italiana), ma la rimozione stizzita e reiterata dell’esperienza resistenziale, che nel suo unicum ha sempre costituito un’anomalia nel panorama dei trasformismi e delle italiche convenienze. Non potendo ancora essere cancellato, il ricordo della Liberazione è stato circoscritto (e sterilizzato) nelle celebrazioni formali di una ‘festa’ sempre più demistificata e svuotata del proprio significato reale, mentre viene costantemente infangata, denigrata, villipesa, dagli eredi di quel nazifascismo oggi pienamente riabilitato ed implicitamente ammesso ad un consesso istituzionale, che ne liquida certe manifestazioni ‘estetiche’ come boutade folkloristica. Il tutto consumato nell’indifferenza, negli ammiccamenti, e nell’apatia di un popolo che sembra aver smarrito ogni valore, che non sia a dimensione tascabile o caricabile su formato touch-screen.
Per questo la Liberazione è un esercizio quotidiano della memoria e dello spirito, che nonostante tutto sopravvivono e massimamente resistono.

«Sento attorno a me le solite obiezioni. Esiste ancora lo spirito della Resistenza? E se esiste, non è esso alimentato da pochi e sparuti fedeli che sono una piccolissima minoranza di pazzi in una nazione di “savi”? E infine, fossero pur molti i fedeli, non è la situazione di oggi tanto mutata da quella in cui la Resistenza operò, che è assurdo e inutile, pretendere di tramandarne lo spirito? Rispondiamo.
Primo: lo spirito della Resistenza non è morto. E’ morto in coloro che non l’hanno mai avuto e a cui del resto non lo abbiamo mai attribuito. Che non sia morto è dimostrato dal fatto che non vi è grave evento della nostra vita nazionale in cui non si sia fatto sentire ora per elevare una protesta, ora per esprimere un ammonimento, ora per indicare la giusta strada della libertà e della giustizia.
Secondo: che i devoti dello spirito della Resistenza fossero una minoranza, lo abbiamo sempre saputo e non ce ne siamo né spaventati né meravigliati. In ogni nazione i savi, cioè i benpensanti, sono sempre la maggioranza; i pazzi, cioè gli ardimentosi, sono sempre la minoranza. Come al teatro: quattro attori in scena e mille spettatori in platea, i quali non recitano né la parte principale né quella secondaria; si accontentano di assistere allo spettacolo per vedere come va a finire e applaudono il vincitore.
Terzo: sì, la situazione è cambiata, non c’è più la guerra, lo straniero in casa, il terrore nazista. Ma quando invochiamo lo spirito della Resistenza, non esaltiamo soltanto il valore militare, le virtù del soldato che si esplica nella guerra combattuta, ma anche il valore civile, le virtù del cittadino di cui una nazione per mantenersi libera e giusta ha bisogno tutti i giorni, quella virtù civile che è fatta di coraggio, di prodezza, di spirito intrepido, ma anche, e più, di fierezza, di fermezza nel carattere, di perseveranza nei propositi, di inflessibilità. Ciò che ha caratterizzato il partigiano è stata la sua figura di cittadino e insieme di soldato, una virtù militare sorretta e protetta da una virtù civile. Non vi è nazione che possa reggere senza la virtù civile dei propri cittadini. Ebbene l’ultima rivelazione di questa virtù è stata la lotta partigiana. Lì la nazione deve attingere i suoi esempi, lì deve specchiarsi, lì troverà e lì soltanto, le ragioni della sua dignità, la consapevolezza della propria unità, la sicurezza del proprio destino

 

Norberto Bobbio
(Torino, 25 Aprile 1957)

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La Democrazia che non c’è

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 aprile 2013 by Sendivogius

SANDMANIn tempi non sospetti, quando la grande depressione economica sembrava un evento sepolto nei libri di scuola, i rigurgiti nazional-populistici parevano un’ipotesi capziosa, gli euroburocrati di Bruxelles promettevano un radioso avvenire di prosperità sotto l’egida della moneta unica, e Beppe Grillo muoveva i primi passi nella rete, la reversione post-democratica di un sistema rappresentativo in crisi profonda era più che evidente a chi avesse voluto vedere i sintomi di un’infezione già in atto…
Nel 2006, lo storico Paul Ginsborg si interroga sulla crisi di rappresentanza e nuove forme di partecipazione. E lo fa in un pamphlet dal titolo evocativo: La democrazia che non c’è (Einaudi), con la grande capacità divulgativa di una lucida intelligenza.

«Nel 1989 la democrazia liberale trionfò senza riserve sul suo, ormai impresentabile, avversario. Ma, nel momento della vittoria globale, molte delle prassi fondamentali della democrazia liberale si sono rivelate carenti e molti dei suoi più orgogliosi vanti infondati. Oggi la democrazia liberale è, almeno in parte, un re nudo. Per vestirlo adeguatamente urgono dibattito teorico e innovazione pratica. Partendo da Marx e Mill e, a dire il vero, senza perderli mai di vista, questo saggio affronta alcune delle questioni più pressanti sorte nella storia della democrazia, rapportandole alle possibilità e ai pericoli dei nostri giorni. Ciò in riferimento alla democrazia in generale, ma con attenzione particolare alle democrazie europee e al destino dell’Unione Europea. E lo fa con un problema preciso in mente: la necessità di inventare nuove forme e prassi che ‘combinino’ la democrazia rappresentativa con quella partecipativa, al fine di migliorare la qualità della prima col contributo della seconda.
La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt’altro: populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c’è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea

Il prof. Ginsborg immagina l’incontro, in una sera primaverile del 1876, tra Karl Marx e John Stuart Mill, nella dimora londinese di quest’ultimo. L’espediente narrativo è funzionale al confronto analitico di idee antitetiche, volte alla costruzione di una sintesi comune per una visione d’insieme nel ripensamento del presente.
einaudi_GINSBORG Strutturata in tre parti, l’opera di Ginsborg prende in considerazione i paradossi della democrazia diretta (con un occhio alla Comune parigina del 1871 ed i soviet rivoluzionari nella Russia del 1905) e la dittatura comunista, insieme all’ossimoro della democrazia liberale che sembra entrare in una crisi irreversibile al momento del suo massimo trionfo. Non nasconde e anzi denuncia il preoccupante deficit democratico (oggi evidente) dell’Unione Europea.
Partendo dall’analisi del sistema politico, prende in considerazione il rilancio ed il rafforzamento dell’istituzione democratica, tramite nuove forme di rappresentanza e partecipazione attiva, nella realizzazione di una democrazia deliberativa con un coinvolgimento sempre più diretto della cosiddetta “società civile”, in rapporto sinergico.
Quindi, sposta l’attenzione sulle variabili di genere ed economiche, con le disuguaglianze sociali, che inficiano la tenuta di un sistema compiutamente democratico, con la strutturazione di tempi e scale di intervento.
Appurato come la democrazia sia un sistema tanto mutevole quanto vulnerabile, Paul Ginsborg reputa che questa vada rianimata, e aperta alla partecipazione diretta ed al coinvolgimento della cittadinanza attiva (e responsabilizzata), per inclusione e mai per esclusione.
Il cuore pulsante di un simile processo di rilancio democratico risiede in coloro che Ginsborg chiama soggetti attivi e dissenzienti, tramite un sistema di interconnessioni, con la creazione di reti sociali multiple (dall’associazionismo di base ai comitati pubblici), ripartite per specificità ed ambiti di coinvolgimento: famiglia; società civile; istituzioni politiche. Democrazia partecipata che sia oltre (e non contro) quella fondamentale sfera politica, attualmente separata e monopolizzata dal predominio degli apparati di partito.

«Le tre sfere sono tra loro interdipendenti. Non può esistete società civile senza il sostegno e l’incoraggiamento attivo dello stato democratico. Né la politica democratica può rinnovarsi senza il sostegno e il controllo attivo delle associazioni della società civile. […] Donna o uomo che sia, il moderno cittadino attivo e dissenziente non è un giacobino.»

Al contempo, il prof. Ginsborg dopo aver tessuto l’elogio della “società civile”, declinata nelle sue varie forme associative, ed esaltate le sue potenzialità intrinseche, ne avverte altresì i limiti:

«Le organizzazioni della società civile presentano numerose pecche. Spesso proprio il loro carattere fluido e informale, che tanto affascina e attrae su un certo piano, rappresenta un grave difetto sotto una diversa prospettiva. In assenza di regole formali, è facile per alcuni individui sfruttare la loro posizione di figure carismatiche fondatrici o simili, per cercare di controllare le organizzazioni o di porsi al di là delle critiche.
[…] In realtà un’organizzazione gerarchica prospera assai più facilmente di una votata ai principi delle solidarietà orizzontali e alla diffusione di potere…. Esiste poi il problema della rappresentazione. Chi rappresentano esattamente le organizzazioni della società civile? E in che modo è possibile accertarlo? Dietro denominazioni magniloquenti possono celarsi solo ambizioni individuali.»

aAn_cCatBite Seppur auspicata e reputata parte integrante della soluzione, da rischi simili non è esente nemmeno la “democrazia deliberativa”, né Ginsborg si fa facili illusioni:

«Il periodo in cui viviamo presenta forti punti di contatto con gli anni ’70 del Novecento e dovremmo trarre dagli avvenimenti di quel decennio un monito per il futuro. All’epoca in tutta Europa, ma in particolare in Italia, si ebbero ampie mobilitazioni a favore dell’estensione della democrazia in varie sfere…. La spinta al cambiamento era così forte che Norberto Bobbio notava un “potere ascendente” che si estendeva “a varie sfere della società civile”.
[…] Sfortunatamente, non avvenne alcuna trasformazione del genere ed i risultati finali furono assai deludenti. La montagna partorì un topolino. L’insuccesso è in parte riconducibile al mutato equilibrio di forze alla fine degli anni Settanta: l’esaurimento dei movimenti sociali, la ripresa del controllo esclusivo da parte dei datori di lavoro nelle fabbriche e l’ascesa di una forte ideologia neo-conservatrice dal fascino universale.
[…] In tutta Europa è ora diffusa la retorica del “empowerment” che sottolinea la necessità di ascoltare la gente e coinvolgerla nei processi decisionali. La UE in vari comunicati e programmi non esita a enfatizzare espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini, partecipazione. Tuttavia, se la partecipazione non assume forme solide, realizzabili e costanti, tutto il gran parlare di “empowerment” resta poco più di una presa in giro.»

A distanza di sette anni, ne abbiamo la riprova con drammatica riconferma nella scandalosa gestione della crisi economica da parte della UE.
INCHIESTA-PANORAMA-La-Magna-Casta_h_partbNell’analisi di Paul Ginsborg non c’è posto né indulgenza per il populismo degenerato di un qualunquismo d’accatto che si nutre di furori anti-castali, opportunisticamente alimentati da una campagna di stampa interessata, che fa dell’indignazione uno strumento di pressione politica per la salvaguardia delle elite.
Fede ciecaSe si perdona la polemica, tra i campioni d’eccezione del fortunato filone di vendite ci sono conservatori neoliberisti di ispirazione reaganiana, con incondizionata ammirazione per le politiche economiche di Margaret la CastaThatcher, come Marco Travaglio (ipse dixit!) o l’accoppiata Rizzo-Stella della premiata ditta “Corriera della Sera, con accorati elenchi spese tutti concentrati sui “costi della politica” e mai su quelli dei potentati economici all’ombra della finanza globalizzata (delle quali “Il Corriere della Sera” è da sempre l’organo di stampa privilegiato). A questi, spiace constatare come non manchino mai, da ‘sinistra’, i vari corifei dell’indignazione mediatica a comando, che una vecchia volpe immorale come Lenin, nel suo cinico opportunismo politico, avrebbe definito “utili idioti”.

«La crescente concentrazione del capitale su scala mondiale, conseguente a continue fusioni e acquisizioni, un processo che Marx aveva previsto con grande chiarezza, ha prodotto nuove oligarchie straordinariamente potenti (…) Sono mastodonti estremamente dinamici e rapaci dal punto di vista economico, ma dinosauri in termini di democrazia. Animali non stanziali, battono il mondo a caccia di nuovi mercati e profitti. Il loro è un enorme potere che non risponde a nessuno, se non in forma parziale agli azionisti. Sono in grado di spostare vaste risorse, di decidere del destino di intere comunità e di dettare le loro regole “flessibili” in molte parti del mondo. Alla loro ombra i singoli cittadini si sentono impotenti e dipendenti al contempo. Sono queste le vere relazioni economiche del neo-liberismo e Mill inorridirebbe di fronte a qualsiasi uso del termine “liberalismo”, seppur preceduto da “neo”, in un contesto simile

Perciò, molto meglio concentrarsi sulla sedicente “casta dei politici”, gettando cortine fumogene che distorcono l’interesse sul costo di una “auto blu” o una “indennità parlamentare”, ma allontanano l’attenzione dalle oligarchie del capitale finanziario (e dalle loro rapine), all’origine della devastante recessione economica e principale minaccia a qualsivoglia sistema di diritti e tutele sociali in un ordinamento davvero democratico.

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