Archivio per Nazione

Slava Ukraïni!

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 28 Maggio 2022 by Sendivogius

«Tutto il nostro nazionalismo è nulla, un castello sulla sabbia, se non è fondato sull’appartenenza di sangue, il fondamento della Razza. Il nazionalismo tradizionale tende a dichiarare che la Nazione è un fenomeno linguistico, culturale o territoriale-economico. Certamente non rifiutiamo l’importanza dei fattori spirituali, culturali e linguistici, così come il patriottismo territoriale. Ma, nella nostra profonda convinzione, tutto questo deriva solo dalla nostra Razza, dalla nostra natura Razziale. Se la spiritualità, la cultura e la lingua ucraine sono uniche, è solo perché la nostra natura razziale è unica. Se l’Ucraina è un paradiso terrestre, è solo perché la nostra Razza lo ha trasformato in esso.
Di conseguenza, l’azione del nostro Corpo Nazionale deve iniziare con la Pulizia Razziale della Nazione. E poi un sano Spirito Nazionale sarà rianimato in un sano corpo razziale, e con esso cultura, lingua e tutto il resto. Oltre alla questione della purezza, dovremmo anche prestare attenzione alla questione della consapevolezza della razza. Gli ucraini fanno parte (e uno dei più grandi e di altissima qualità) della razza bianca europea.  La missione storica della nostra Nazione in questo secolo cruciale è quella di guidare i Popoli Bianchi del mondo nell’ultima crociata per la loro esistenza. Campagna contro il subumanesimo semitico guidata dai semiti.
Sostituiamo lo slogan “Ucraina indipendente” con lo slogan “Grande Ucraina”. Gli ucraini sono una nazione con una lunga storia imperiale. Durante la sua esistenza, gli ucraini avevano almeno due superpotenze: la Grande Scizia e la Rus’ di Kiev. Il compito dell’attuale generazione è quello di creare un Terzo Impero – la Grande Ucraina. E questa domanda, stranamente, non è tanto politica quanto biologica.
[…] Così, il nazionalismo sociale solleva sullo scudo tutti gli antichi valori ariani ed ucraini dimenticati nella società moderna. Solo la loro rinascita e attuazione da parte di un gruppo di combattenti fanatici può portare alla vittoria finale della civiltà europea nella lotta mondiale.
Noi ci basiamo su questo, e non possiamo farlo in nessun altro modo! Gloria all’Ucraina!»

Andrij Biletskij
“Il Nazionalismo Sociale ucraino”
(16/10/2011)

Non è esattamente un’esegesi della “Critica della Ragion Pura” di Kant, ma forse con un po’ di limature…
In attesa che una qualche ‘prestigiosa’ casa editrice decida di immortalarne le riflessioni politiche ad imperitura memoria e tramandarle ai posteri, il comandante Biletsky, nazionalista sociale, resta uno di quei prodi che fanno palpitare il cuore dei nostri pennivendoli d’assalto in conto atlantico. E che infatti lo hanno subito eletto ad eroe della resistenza (quella con la R maiuscola) ucraina, iscritto d’ufficio nel pantheon dei “nuovi partigiani”, rilanciandone deferentemente le “testimonianze” (le informative sull’uso di armi chimiche sono le sue) dalla città di Mariupol, trasformata in proprio feudo personale con poteri quasi assoluti, tra culti pagani e cerimonie naziste.
Soprattutto è uno di quei personaggi da torture-porn, che rischiano di provocare le polluzioni incontrollate di un Massimo Gramellini (non nuovo a certi inturgidimenti), in aggiunta ai fiumi di bava fumante coi quali la nostra stampa liberale e indipendente è solita lubrificare i propri idoli, in ossequio al padrone di turno ed in piena estasi da mistica fascista, dinanzi alle gesta autopromozionali degli ukronazi che tanto piacciono a certo “Occidente” libero e democratico.
In qualsiasi altro paese mediamente civilizzato, Andriy Biletsky sarebbe stato solo uno dei tanti neo-nazisti, più o meno anonimi, che affollano le peggiori cloache del “suprematismo bianco”, mentre condividono in rete i deliri razzisti, che di solito ispirano il nazi-killer psicopatico di turno, in un miscuglio di paccottiglia nazistoide: dalle epifanie mitopoietiche della terra e del sangue, alle apocalissi razziali della Grande Sostituzione, fino ai misticismi esoterici dell’occultismo nazista legato ai miti del Sole Nero… la Runa del Lupo… i Werwolf… le divisioni delle Waffen SS… e tutta quella merda nostalgica lì.
Almeno finché non diventano fonte di ispirazione, per più ambiziosi progetti…

«Una popolazione genetica chiusa ha il diritto di sbarazzarsi di altre mescolanze sul suo territorio, deportando i suoi portatori nel territorio storico della loro residenza. L’Associazione ha il diritto di migliorare la propria salute attraverso l’introduzione di leggi razziali, eugenetiche e ambientali

Organizzazione dei Patrioti dell’Ucraina
(17/09/2006)

Va da sé, come sia del tutto superfluo chiedersi in quale altro luogo un simile figuro sarebbe potuto diventare ‘maggiore’ della milizia territoriale ed essere integrato col suo esercito privato nella “Guardia Nazionale”, entrando nei ranghi dell’esercito regolare; essere armato, rifornito, e stipendiato direttamente dal Ministero della Difesa; venire promosso quindi a tenente colonnello della Polizia di Stato (nonostante sia un ex detenuto pluripregiudicato); quindi elevato ad “Eroe della Nazione”, blandito dai governi e coccolato da certi media…

 «Il nazionalismo sociale ucraino considera la comunità nazionale ucraina come comunità di sangue e di razza. Studi antropologici sul campo del professor Dyachenko hanno dimostrato che gli ucraini conservano tutte le caratteristiche principali della popolazione Cro-Magnon dell’Ucraina, cioè esistono come un tipo razziale immutabile per almeno 40 mila anni. La razza è tutto per la costruzione della nazione

Andrij Biletskij
“Lingua e Razza”
(15/12/2011)

Siamo tutti ucraini!? Anche no, grazie!

«Contro la Razza Bianca c’è una guerra ben pianificata a livello fisico, spirituale, culturale, di civiltà. L‘Ucraina è stata l’avanguardia della civiltà bianca nel corso della sua storia. Ora è il momento di adempiere al suo scopo principale: diventare non uno scudo, ma la spada dell’Europa Bianca, salvare l’Uomo Bianco dall’estinzione, creare nuovi Ideali, diventare un nuovo Sole che illuminerà le Nazioni Europee.
L’armonia del mondo può essere creata solo da una civiltà superiore. La nazione ucraina è in grado di ripristinare lo sviluppo della civiltà bianca. Quest’ultimo sarà possibile solo a condizione dello sviluppo globale e massimo dell’Uomo ucraino.
[…] Il nazionalismo sociale ucraino non è solo l’ultima speranza della razza bianca e della nazione ucraina per l’esistenza, ma anche l’unica speranza per la salvezza dell'”uomo” come portatore dello Spirito Divino.
Il dominio della nazione ucraina è proposto non come l’idea di tirannia sugli altri popoli, ma come l’idea di una nazione bianca leader, che stabilirà il ritmo di sviluppo della cultura e dell’economia per tutte le altre nazioni. La Grande Ucraina non si vede come un tiranno del mondo, ma come un arbitro internazionale, leader, leader della Razza Bianca

Andrij Biletskij
“Il Nazionalismo Sociale ucraino”
(16/10/2011)

Al netto delle grandi ambizioni di restaurazione razziale, come invece una formazione paramilitare di nostalgici neo-nazisti capeggiati dal Brenton Tarrant delle terre nere sia entrata a far parte dei miti del più infimo churnalism d’asporto, e massimamente dei nostri assaltatori in livrea che combattono accampati nei salottini girevoli dei tank-show, è cosa fin troppo facile da intuire…

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TABULA RASA

Posted in Business is Business, Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 giugno 2019 by Sendivogius

Quello che vi proponiamo è un articolo risalente al 2017 di Michel Onfray, saggista, filosofo, ed esponente “post-anarchico” della gauche francese, che ha il pregio di rompere l’afasia asfittica delle gabbie semantiche, nelle quali troppo spesso la “sinistra” ama imprigionare se stessa; di fatto negando quelle realtà che non sfuggono assolutamente alla sua comprensione logica, ma che risultano in contraddizione coi nuovi schemini cognitivi mutuati dal politicamente corretto, con tutto il suo stucchevole glossario di ipocrisie polisemiche. La conseguenza è che determinate ‘discordanze’ vanno semplicemente rimosse, per non disturbare la sua narrazione ideologica su conformismo ecumenico, nel terrore di non sembrare abbastanza ‘buoni’, salvo sorprendersi dell’evidente crisi di rappresentatività in un costante scollamento sociale.
 Michel Onfray, con poche ed incisive parole, illustra perfettamente (da sinistra) ciò che a ‘sinistra’ sanno benissimo ma che preferiscono non dire. Ed inserendosi nel solco di un’intelligente revisione critica di certo “multiculturalismo”, che nella migliore delle definizioni si è rivelato un clamoroso errore di valutazione, e che (finalmente!) sta mettendo radici anche a ‘sinistra’, spiega assai meglio di tanti altri zuccherosi commentatori i prodromi all’origine dell’ascesa del sovranismo populista…

«Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, seguita nel 1991 dal crollo dell’Unione Sovietica e del blocco dell’Est (riguardo al quale si è poi scoperto che, lungi dall’essere un’implacabile macchina di guerra, altro non era che una scenografia in cartapesta), il capitalismo ha potuto espandersi senza i controfuochi marxisti-leninisti. Ed è allora che si ebbe l’accelerazione atomica della globalizzazione.
Questa globalizzazione – voluta con tanto ardore dal capitalismo liberale più duro – ha trovato un alleato inaspettato nella sinistra liberale e in seguito, ancor più paradossalmente, nella sinistra anti-liberale. Il mercato odia le frontiere, disprezza il locale e ciò che ha messo radici, combatte una guerra spietata contro i paesi, riempie di merda le nazioni, orina contro i popoli, e ama soltanto i flussi multiculturali che abbattono le frontiere, sradicano il mondo, devastano ciò che è locale, spaesano i paesi, fustigano le nazioni, diluiscono i popoli a esclusivo beneficio del mercato, l’unico a contare e a dettare legge – la definizione chimicamente pura del liberalismo.
Il capitale vuole l’abolizione delle frontiere per porre fine una volta per tutte a ciò che nell’ambito delle nazioni e dei paesi è stato ottenuto con secoli di lotta sociale. Lo Stato Tale prevede una sicurezza sociale, offre scuole gratuite, il pensionamento a un’età decorosa, un equo diritto del lavoro, un potere sindacale forte, una sinistra che ha a cuore l’autentico progresso sociale – e non un progresso sociale soltanto ipotetico, il cui orizzonte non oltrepassabile si trova nell’affitto dell’utero di donne indigenti a beneficio di coppie ricche, autentico progetto liberale di commercializzazione dei corpi.
Nel frattempo, lo Stato Talaltro si fa beffe delle tutele sociali e pratica la medicina con due pesi e due misure, o quella dei poveri o quella dei ricchi; dispone di un sistema di istruzione, certo, ma a misura di genitori facoltosi in grado di pagare le rette per la loro progenie e privo di utilità per i genitori indigenti; ignora i limiti dell’orario di lavoro e fa sgobbare i lavoratori tutta la giornata, tutta la settimana, tutta la vita, come ai tempi della schiavitù; non conosce il codice del lavoro e trasforma gli operai, gli impiegati, i salariati, i proletari, i precari, gli stagisti in soggetti sottomessi, che devono sobbarcarsi ogni tipo di corvè.
La Russia che si avvicina agli Stati Uniti che rompono con il Messico. L’Inghilterra che si allontana dall’Europa che riallaccia con l’Africa. Mentre l’Australia diventa una megacolonia cinese. Planetario dei cambiamenti globali con il nuovo inquilino della Casa Bianca
Quel che vuole il capitale, il capitalismo, il liberalismo, nella sua versione di destra come nella sua versione di sinistra, è la diffusione del secondo modello e, a tal fine, la scomparsa del primo. Da qui la sua ideologia che prevede l’abolizione delle frontiere, degli stati, delle tutele di qualsiasi tipo, simboliche, reali, giuridiche, legali, culturali, intellettuali.
Non appena viene meno tutto ciò che protegge i deboli dai forti, questi possono disporre dei deboli a loro piacere e i deboli possono essere terrorizzati dal fatto di trovarsi in costante concorrenza, possono essere sfruttati con posti di lavoro precari, maltrattati con contratti a tempo determinato, imbrogliati con gli stage di formazione, minacciati dalla disoccupazione, angosciati dalle riconversioni, messi kappaò da capetti che giocano anche con i loro stessi posti di lavoro. Il mercato detta legge.
Giocando la carta del liberalismo, la sinistra al governo spinge nella medesima direzione del capitalismo con i suoi banchieri. Giocando la carta dell’antiliberalismo, la sinistra definita radicale spinge nella medesima direzione del capitalismo con i suoi banchieri. Perché il capitalismo vuole l’abolizione delle frontiere affinché si crei un grande mercato libero, nel quale a dettar legge sia solo la “libera concorrenza, non quella fasulla”, una volta con la sinistra liberale, un’altra con la sinistra antiliberale.
Queste due modalità d’azione della sinistra hanno gettato il popolo che io chiamo old school alle ortiche: non ci sarebbero più operai, impiegati, proletari, poveri contadini, ma soltanto un popolo-surrogato, un popolo di migranti in arrivo da un mondo non giudeo-cristiano, con i valori di un Islam che, assai spesso, volta le spalle alla filosofia dei Lumi. Questo popolo-surrogato non è tutto il popolo, ne è soltanto una parte che, però, non deve eclissare tutto ciò che non è.
Ebbene, il proletariato esiste ancora, e così pure gli operai, e anche gli impiegati, per non parlare dei precari, più importanti che mai. La pauperizzazione analizzata così bene da Marx è diventata la vera realtà del nostro mondo: i ricchi sono sempre più ricchi e sempre meno numerosi, mentre i poveri sono sempre più poveri e sempre più numerosi.
Se nell’ambito dell’Europa si pratica l’islamofilia empatica, fuori dalle sue frontiere il liberalismo che ci governa pratica un’islamofobia militare. Al potere, in Francia, la sinistra socialista ha rinunciato al socialismo di Jaurès nel 1983 e in seguito, nel 1991, ha rinunciato al pacifismo del medesimo Jaurès prendendo parte alle crociate decise dalla famiglia Bush, che così ha dato all’apparato industriale-militare che lo sostiene l’occasione di accumulare benefici immensi, conseguiti grazie alle guerre combattute nei paesi musulmani.
Queste guerre si fanno nel nome dei diritti dell’uomo: di fatto, si combattono agli ordini del capitale che ha bisogno di esse per dopare il suo business e migliorarne artificialmente le prestazioni. Usare armi significa poterne costruire e immagazzinare altre, ed è anche l’occasione per i mercanti di cannoni di collaudare a grandezza naturale nuovi armamenti e garantirsene la pubblicità presso i paesi che li acquistano. Infine, muovere guerra significa che gli imprenditori avranno la possibilità di ricostruire i paesi da loro stessi devastati ricavandone introiti smisurati.
Se per caso i diritti umani fossero la vera motivazione alla base degli interventi militari degli americani e dei loro alleati europei, tra cui la Francia, per quali motivi non si dovrebbe dichiarare guerra ai paesi che violano i diritti dell’uomo, come Arabia Saudita, Qatar, Cina, Corea del Nord e tanti altri distintamente citati nei rapporti ufficiali di Amnesty International?
Queste guerre americane sono nuove forme di guerre coloniali che, come quelle che le hanno precedute, prendono a pretesto nobili motivazioni: esportare i Lumi occidentali, tra cui la democrazia, in un mondo che li ignora. Lottare contro l’oscurantismo dei talebani, contro la dittatura di Saddam Hussein, contro la tirannia di Gheddafi: sono tutte motivazioni più nobili che dichiarare chiaro e tondo che si va in guerra per saccheggiare le ricchezze del sottosuolo, per confiscare l’oro del Tesoro di una nazione, per assumere il controllo geostrategico delle basi militari, per perlustrare e tenere d’occhio quelle regioni a fini di intelligence, ma anche per sperimentare armi letali e piani di guerra a grandezza naturale che potrebbero costituire una forma di preparazione della repressione di eventuali insurrezioni urbane nei loro stessi paesi.
Queste false guerre per la democrazia, che di fatto sono vere e proprie guerre coloniali, prendono dunque di mira le comunità musulmane. Dal 1991 hanno provocato quattro milioni di morti – vorrei che si leggesse bene questa cifra: quattro milioni di morti – tra le popolazioni civili dei paesi coinvolti. Come si può anche solo immaginare che l’umma, la comunità planetaria dei musulmani, non sia solidale con le sofferenze di quattro milioni di correligionari?
Di conseguenza, non ci si deve stupire se in virtù di quella che Clausewitz definì la “piccola guerra”, quella che i deboli combattono contro i forti, l’Occidente gregario della politica statunitense si trova adesso esposto alla reazione che assume la forma di terrorismo islamico. La religione continua a essere “l’oppio dei popoli” e l’oppio è tanto più efficace quanto più il popolo è oppresso, sfruttato e, soprattutto, umiliato. Non si umiliano impunemente i popoli: un giorno quei popoli si ribelleranno, è inevitabile. E la cultura musulmana ha mantenuto potentemente quel senso dell’onore che l’Occidente ha perduto.
Alcuni, quindi, ricorrono al terrorismo. Con semplici taglierini acquistati al supermercato, alcuni terroristi riescono a far schiantare due aerei contro le Torri Gemelle, mettendo così in ginocchio gli Stati Uniti, ai quali non resta che ammettere – proprio loro, uno dei paesi più militarizzati al mondo – che la loro sofisticata tecnologia, i loro aerei invisibili e le loro navi, le loro bombe nucleari, nulla possono per fermare tre individui armati di lame taglienti come rasoi e determinati a morire nel loro attentato.
In reazione alla privazione della dignità, altri utilizzano le elezioni: il ritorno del popolo alle urne è una risposta alla bassezza di questo mondo capitalista e liberale che è impazzito. Dalla caduta del Muro di Berlino, le ideologie dominanti hanno assimilato la gestione liberale del capitalismo all’unica politica possibile.
L’Europa di Maastricht è una delle macchine con le quali si impone il liberalismo in maniera autoritaria, ed è un vero colmo per il liberalismo… Negli anni Novanta, la propaganda di questo Stato totalitario maastrichtiano ha presentato il suo progetto asserendo che esso avrebbe consentito la piena occupazione, la fine della disoccupazione, l’aumento del tenore di vita, la scomparsa delle guerre, l’inizio dell’amicizia tra i popoli.
Dopo un quarto di secolo di questo regime trionfante e senza opposizione, i popoli hanno constatato che ciò che era stato promesso loro non è stato mantenuto e, peggio ancora, che è accaduto esattamente il contrario: impoverimento generalizzato, disoccupazione di massa, abbassamento del tenore di vita, proletarizzazione del ceto medio, moltiplicarsi di guerre e incapacità di impedire quella dei Balcani, concorrenza forzata in Europa per il lavoro.
A fronte di questa evidenza, il popolo dà cenno di ritorno. Per il momento si affida a uomini e donne che si definiscono provvidenziali. Il doppio smacco di Tsipras con Syriza in Grecia e di Pablo Iglesias con Podemos in Spagna mostra i limiti di questa fiducia nella capacità di questo o quello di cambiare le cose restando in un assetto di politica liberale. Anche Beppe Grillo e i suoi Cinque Stelle invischiati negli scandali a Roma vivono un flop di egual misura.
La Francia, che nel 2005 ha detto “no” a questa Europa di Maastricht, ha subito una sorta di colpo di Stato compiuto dalla destra e dalla sinistra liberale che, nel 2008, hanno imposto tramite il Congresso (l’Assemblea nazionale e il Senato) l’esatto contrario di ciò che il popolo aveva scelto. Mi riferisco al Trattato di Lisbona ratificato da Hollande e partito socialista e da Sarkozy e il suo partito. Gli eletti del popolo hanno votato contro il popolo, determinando così una rottura che ora si paga con un astensionismo massiccio o con decine di voti estremisti di protesta.
Altri paesi ancora che hanno manifestato il loro rifiuto nei confronti di questa configurazione europea liberale – mi riferisco a Danimarca, Norvegia, Irlanda, Svezia, Paesi Bassi – sono dovuti tornare a votare per rivedere le loro prime scelte. La Brexit è in corso e assistiamo in diretta a una sfilza di pressioni volte a scavalcare la volontà popolare.
A fronte della globalizzazione del capitalismo liberale, alle prese con le guerre neocoloniali statunitensi, davanti ai massacri planetari di popolazioni civili musulmane e a guerre che distruggono paesi come Iraq, Afghanistan, Mali, Libia, Siria, provocando migrazioni di massa di profughi in direzione del territorio europeo; a fronte dell’inettitudine dell’Europa di Maastricht, forte con i deboli e debole con i forti, il popolo sembra deciso a voler fare tabula rasa di tutti coloro che, vicini o lontani, hanno avuto una responsabilità precisa nel creare la terribile situazione nei loro paesi.
Una volta ottenuta questa tabula rasa, non è previsto che ci sia alcun castello nel quale riparare, perché è impossibile che vi resti un castello. A quel punto sembra che non ci resterà che un’unica scelta: la peste liberale o il colera liberale. O il contrario. Trump e Putin non potranno farci nulla. È il capitale a dettar legge. I politici obbediscono e i popoli subiscono

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SAND CREEK

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 30 novembre 2014 by Sendivogius

The Birth of a Nation (1915)

Massacri, stragi, etnocidi.. sono elemento ricorrente nella storia dell’umanità, tanto da costituire l’unico aspetto universalmente condiviso su scala globale fin dagli albori dei tempi. Se dovessimo prendere per buone le ipotesi più recenti, persino gli uomini di Neanderthal si sarebbero estinti in seguito ad un deliberato atto di sterminio, praticato con ferocia dal più “evoluto” Homo sapiens: l’umanità gattonava da poco sulla faccia della terra agitando pietre e bastoni, senza nulla sapere della lavorazione dei metalli o dei rudimenti fondamentali per l’agricoltura, che già si produceva nel suo primo genocidio.
In compenso, col tempo e con l’evoluzione, la pratica si è affinata così da estendersi con efficacia su scala di massa ancor maggiore, potendo contare su mezzi e strumenti sempre più sofisticati, fino ai massimi risultati raggiunti nell’età contemporanea…
American Nazi party pickets bookshop in 1962Nel corso dei secoli, qualunque fosse la latitudine, razza, o religione, ogni popolo ha dato il suo fondamentale contributo nell’album delle atrocità, che sono sempre state perpetrate con gusto particolare e consumate con una certa creatività omicida.
Rio Grande  E se la ferocia eliminazionista, ovviamente ammantata delle migliori intenzioni in nome del “progresso”, della “civilizzazione”, o della “sicurezza nazionale”, è stato uno dei tratti distintivi per l’affermazione dei moderni stati-nazione, pochi hanno celebrato le proprie efferatezze, incastonandole in una sorta di cornice epica di compiaciuta esaltazione, come nel caso della grande democrazia americana che ha fatto della dicotomia schmittiana Amico/Nemico l’essenza costitutiva della sua identità ‘nazionale’, parallelamente allo sviluppo di una propria “teologia politica”; per giunta con ampio anticipo sui tempi, rispetto alla formulazione teorica del giurista tedesco.
Nascita di una nazione - La croce ardente del Ku Klux KlanTra gli innumerevoli bagni di sangue che hanno consacrato l’ascesa della nazione americana nella sua compiuta definizione identitaria, in concomitanza coi 150 anni esatti dalla consumazione della strage (29/11/1864), vale la pena di ricordare il massacro di Sand Creek.
Sand Creek massacre by Andy ThomasNel 1864, la guerra civile che oppone i secessionisti della CSA agli unionisti del Nord non è ancora terminata, che già la Federazione guarda con bramosia agli immensi territori dell’Ovest: una sorta di dispensa interna dalle risorse potenzialmente illimitate e tutta da colonizzare, dove convogliare le masse di disperati provenienti da ogni angolo della vecchia Europa. Che poi le terre in questione fossero già occupate, era questo un aspetto del tutto secondario e non certo tale da costituire un problema, per una nazione avviata verso le sorti radiose di un destino manifesto, ovviamente predestinata ad una espansione incontrollata della “razza bianca anglosassone” per volontà divina.
US cavalry and indian scoutPer incentivare la migrazione verso le Grandi Pianure occidentali, nel 1862 il Congresso degli Stati Uniti promulga l’Homestead Act: tutte le terre poste al di fuori dei confini originari delle tredici colonie vengono considerate terreno demaniale da assegnare a chiunque ne faccia richiesta. Ripartiti in lotti di 65 ettari (estensibili), i terreni sono ceduti a titolo gratuito agli assegnatari dopo 5 anni di usufrutto legale. Ovviamente, gli eventuali diritti The Art of Howard Terpning (2)delle popolazioni indigene di cacciatori semi-nomadi, che sulle terre oggetto dell’annessione vivono già da qualche millennio, non vengono minimamente presi in considerazione. Frazionati in clan rivali e gruppi tribali spesso in lotta l’uno contro l’altro, i popoli delle Grandi Pianure (Cheyenne, Dakota, Arapaho..) si ritrovano in poco tempo catapultati dal neolitico all’età moderna, in una società complessa e irriducibilmente aliena che non comprendono e nella quale risulta loro impossibile integrarsi. D’altra parte, i coloni considerano i “pellerossa” poco più che animali e meno che dei selvaggi: un inutile ingombro all’avanzata di sviluppo e progresso.
nativeSecondo il copione classico di ogni espansione coloniale, con gli indigeni vengono siglati “patti di eterna amicizia”, si scambiano doni, si promette assistenza e protezione militare, si definiscono le zone di caccia, si delimitano le rispettive aree di influenza. Sono trattati che vengono blandamente rispettati da ambo le parti, fintanto che non si intensificano gli insediamenti dei colonizzatori.
All’occorrenza, i capitribù vengono ‘invitati’ d’imperio nei forti militari a sottoscrivere contratti capestro (che all’occorrenza vengono violati secondo convenienza), in cui cedono volontariamente la terra. Quindi sono costretti letteralmente a levare le tende e trasferiti di forza in qualche ritaglio di terreno, sempre più ristretto ed il più inospitale possibile, sperando che fame e malattie facciano il resto. Ove ciò non avvenga, provvede l’esercito.
us-cavalry-battle-prairie-dog-creekIl destino riservato alle “selvagge” popolazioni degli Cheyenne e degli Arapaho del Colorado nel 1864 non fu poi molto diverso da quello in cui un paio di anni prima erano incorsi i Dakota del Little CrowMinnesota. In merito, il generale John Pope, al comando della spedizione punitiva del 1862 contro la tribù ribelle di Little Crow, ha le idee chiarissime su come vadano trattati gli oriundi, considerati maniaci e bestie feroci coi quali nessun accordo può essere considerato valido. John PopeIl Gen. Pope istituisce deportazioni in condizioni proibitive. Sollecita impiccagioni di massa, mentre i suoi tribunali militari sfornano condanne in serie, dopo processi sommari che non prevedono alcun diritto alla difesa. Istituisce taglie da 25 dollari, per lo scalpo di ogni indiano sorpreso a gironzolare nel Minnesota.
scalpoTra il 1861 ed il 1864 è la volta dei Navajo e degli Apache dell’Arizona: il capo Mandas, che è cristiano, viene catturato a tradimento, durante un incontro con le autorità militari, torturato con ferri roventi, infine ucciso e decapitato.
CherokeePrima di loro, intorno al 1830, era toccato alle “tribù civilizzate” dei Cherokee del Mississippi, ai Creek ed ai Chickasaw del Tennessee, ai Seminole della Florida… e ancor prima alla confederazione delle nazioni Seminoleirochesi. Incapaci di accantonare le proprie rivalità dinanzi al pericolo comune, in compenso le tribù si lasciano coinvolgere attivamente nelle Guerra d’Indipendenza prima, e in quella di secessione dopo, dividendosi equamente tra lealisti britannici ed indipendentisti, quindi tra confederati ed unionisti, senza ricavarne peraltro alcun beneficio in termini di riconoscimenti e trattati favorevoli.
the-long-shot“Civilizzati” o meno che fossero, i nativi vengono infatti giudicati inassimilabili al nuovo stato ‘democratico’ dalle sorti radiose. La separazione razziale, rigorosamente ammantata di una qualche legittimazione legale, costituirà una preoccupazione costante del legislatore statunitense, ansioso di preservare la purezza originale dei primi coloni wasp, sempre affamati di nuove terre da occupare.
Guerra di IndipendenzaSubito dopo la Guerra d’Indipendenza contro l’Impero britannico, le popolazioni oriunde vengono dapprima tenute separate dalla popolazione bianca, in una sorta di regime di apartheid. Quindi, man mano che aumenta l’interesse e la bramosia verso le loro terre, si ricorre ad una progressiva espropriazione, con la deportazione degli abitanti originari. I popoli autoctoni vengono espulsi in massa, al passo con le requisizioni coatte, e trasferiti in luoghi sempre più inospitali attraverso lunghe marce forzate, che spesso e volentieri si trasformano in vere marce della morte. Le “riserve indiane” verranno istituite solo quando non si troveranno terre ancora ‘selvagge’ dove poter espellere gli indesiderati.
Navajos deportati a Bosque RedondoÈ interessante notare come una delle prime forme scientificamente pianificate e organizzate di “pulizia etnica” in epoca moderna venga messa in pratica da un sistema democratico, costituzionalmente riconosciuto, per motivi squisitamente razziali. I giuristi di Washington parlano di rimozione, così come si fa coi rifiuti ingombranti. La pratica genocida, che per modalità di esecuzione poco differisce con l’eliminazione degli Armeni dell’Anatolia da parte dei Turchi un secolo fa, viene legittimata e protocollata su base legale attraverso l’Indian Removal Act del 1830.
Armenians_marched_by_Turkish_soldiers,_1915Tortura e sterminio vengono considerate come giuste “punizioni” da impartire a scopo deterrente e con severità, perché ogni atto di indulgenza o moderazione si configura sempre come una intollerabile debolezza. Ne va del prestigio nazionale! Va da sé che i peggiori eccidi vengono sempre perpetrati a scopo “difensivo”.
La “democrazia americana” non aveva ancora compiuto 60 anni, che già applicava con disinvoltura la segregazione razziale, la pulizia etnica e lo sterminio degli indiani, la schiavitù dei ‘negri’. Col tempo migliorerà, estendendo le discriminazioni agli immigrati cinesi e asiatici, ai latini e agli ispanici, facendo del linciaggio e delle esecuzioni sommarie a sangue freddo una pratica ordinaria, in una nazione sempre più militarizzata nella sua paranoia securitaria.

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La Conquista del West
Pionieri Nel decennio che va tra il 1851 ed il 1861, vengono intensificati i trattati per regolare la penetrazione delle regioni attraversate dal fiume Platte, stipulando la ripartizione delle terre dal Nebraska al Missouri, fino alle Montagne Rocciose passando per il Colorado. Gli accordi sono semplici: si cedono le terre al governo federale in cambio di “doni”, che spesso e volentieri non arrivano, e ci si trasferisce di forza nelle “riserve” assegnate (e revocabili in qualsiasi momento).
Cercatori d'oroIntorno al 1858, il massiccio afflusso in Colorado di minatori e cercatori d’oro che sconfinano in territorio indiano, insediandosi nei territori di caccia delle tribù, provocano il crescente malumore di Cheyennes e Arapaho, con incidenti sempre più frequenti sulla linea invisibile della frontiera. Attratti dalla corsa all’oro, circa 100.000 coloni in gran parte provenienti dal Kansas si insediano abusivamente nei territori assegnati agli indiani neanche un decennio prima (Trattato di Fort Laramie, 1851) e fondano una propria entità amministrativa indipendente che chiamano Territorio di Jefferson, stabilendo la propria capitale la neonata città di Denver. In tale modo, costituiscono il primo nucleo del futuro stato del Colorado che verrà ufficialmente riconosciuto nel 1861, in violazione di tutti i trattati precedentemente stipulati coi nativi.
Art of Howard TerpningIl 18/02/1861, a Fort Wise, viene stipulato un nuovo accordo bilaterale: gli ‘indiani’ avrebbero rinunciato unilateralmente ai 2/3 delle terre concesse soltanto un decennio prima; tutti i nativi avrebbero dovuto trasferirsi obbligatoriamente in un’ansa ritagliata lungo il fiume Arkansas nel Colorado orientale, in cambio di un’indennità dal valore di 30.000 dollari annui, convertiti in derrate alimentari, sementi per la coltivazione, e attrezzi agricoli. L’esercito si sarebbe impegnato nella “protezione” dei nativi deportati. Il nuovo trattato viene firmato soltanto da una decina di capi tribali, tra i quali Black Kettle (Pentola Nera), Antilope Bianca, e Lean Bear (Orso Magro).
Nel 1864 la situazione precipita ulteriormente, esacerbata dal fatto che il Colorado difetta in difese, dal momento che gran parte della truppa è stata inviata al fronte per combattere nella Guerra di Secessione.
Battle of Bull Run (1861)Nell’Aprile del 1864, dopo l’ennesima razzia ai danni di alcuni rancheros, il generale Samuel Curtis, comandante federale del Dipartimento del Kansas, incarica il colonnello Chivington di provvedere alla difesa del nuovo Dipartimento del Colorado.
Col. John Milton Chivington  John Milton Chivington è un pastore metodista, con ambizioni politiche, che ha fatto carriera nell’esercito. Decisamente anti-schiavista, si è schierato dalla parte dell’Unione, distinguendosi nella Battaglia di Glorieta Pass alla quale partecipa insieme ai volontari del 1^ Reggimento cavalleggeri del Colorado. Il colonnello, investito del suo nuovo comando, si mette subito all’opera spingendo le sue rappresaglie oltre i confini della riserva indiana, attaccando indistintamente tutti i gruppi coi quali si imbatte.
The-Battle-of-Glorieta-PassIl 16/05/1865 una compagnia di cento soldati al comando del tenente Earye attacca l’accampamento della tribù di Orso Magro (Lean Bear), uno dei pochi capi che ha accettato il Trattato di Fort Wise, uccidendolo a freddo mentre disarmato agita una copia dell’accordo, reclamando il rispetto delle clausole sottoscritte appena tre anni prima.
Black HillsLa mancata corresponsione delle indennità promesse, la violazione dei diritti di transito e la distruzione delle mandrie di bisonti, provocano la feroce reazione degli indiani. In un crescendo di violenze sempre più efferate, gruppi armati di Cheyennes e Kiowas assaltano le fattorie isolate, trucidandone gli abitanti; attaccano i convogli di carri diretti verso la California; saccheggiano le Dog soldierproprietà dei coloni. A distinguersi negli attacchi, sono le spietate bande guerriere degli “uomini-cane” (i Dog Soldiers), che sfuggono ad ogni controllo dei capi moderati e si muovono autonomamente sul territorio, sotto il comando di Roman Nose (Naso Romano).
The Art of Howard Terpning (1)Il 05/07/1864, allarmato dalle notizie di una imminente rivolta generale, e dai raid sempre più cruenti che ormai si spingono fino ai sobborghi di Denver, il John Evansgovernatore John Evans promulga la legge marziale con la sospensione delle garanzie costituzionali. Dinanzi alla ferocia dei Dog-Soldiers, a Denver viene indetto lo stato d’assedio. Quindi si procede all’arruolamento di un nuovo corpo di volontari, con la creazione del 3^ Reggimento Cavalleria del Colorado.
Cavalleggeri del ColoradoIl nuovo reggimento di cavalleggeri è composto da 1150 effettivi su ferma trimestrale (per l’esattezza 100 giorni), mentre gli ufficiali vengono eletti su indicazione George L. Shuop da giovanedelle truppa. La neo-costituita unità di cavalleria viene posta sotto il comando del 28enne George L. Shoup: un subordinato del colonnello Chivington, con cui a combattuto a Glorieta Pass contro i confederati. Descritto dopo i fatti di Sand Creek come la feccia del Colorado, il 3^Reggimento in realtà arruola il meglio della buona società di Denver: commercianti, uomini di affari, impiegati di banca, avvocati, insegnanti, ingegneri e piccoli proprietari terrieri…
Colorado-3rd-Regiment-Recruiting-Poster-August-1864Si tratta di civili senza un vero addestramento militare, volontari armati scarsamente professionalizzati, traumatizzati dalle incursioni delle bande di Naso Romano.
Henry Roman NoseAl contempo però, oltre alla mobilitazione militare, si cerca di addivenire ad un nuovo accordo con i capi Cheyenne più accomodanti.
Edward W. Wynkoop, in Denver, Colorado Territory, Appx. 1865 Il 28/09/1864, il maggiore Edward W. Wynkoop, che detiene il comando della guarnigione di Fort Lyon attorno al quale si sono raccolte le tribù non ostili, scorta a Denver una delegazione dei capi Cheyenne e Arapaho che avevano a loro tempo sottoscritto il trattato di Fort Wise nel 1861, per addivenire ad una nuova intesa che li garantisca da eventuali rappresaglie armate.
Denver il 28 settembre 1864In quella che viene chiamata “Conferenza di Fort Wise”, partecipano il governatore Evans ed il comandante Chinvington, Black Kettle (Pentola Nera)oltre ai capi indigeni Pentola Nera (Black Kettle) e Antilope Bianca, senza che peraltro si raggiunga alcun accordo definitivo. Chivington telegrafa al suo diretto superiore, il gen. Curtis, per ricevere istruzioni. Lapidario, il generale boccia ogni possibile trattiva:Non voglio alcuna pace finché gli indiani non soffriranno di più.
John M. Chivington at Camp Weld with Black Kettle and his menPertanto, i clan di Black Kettle e White Antelope e gli Arapaho di Mano Sinistra (Left Hand) vengono considerati “tribù ostili”. Nonostante questo, viene permesso loro di continuare ad accamparsi a due miglia da Fort Lyon, come era stato loro ordinato appena un paio di mesi prima dal governatore Evans.
Fort LyonAgli indiani vengono fornite razioni per dieci giorni, secondo quanto prestabilito peraltro da tutti i precedenti trattati ancora in vigore. Motivo per il quale il maggiore Wynkoop, comandante del forte, verrà rilevato dal comando e messo sotto indagine disciplinare.
Major Anthony Al suo posto, viene insediato il maggiore Scott Anthony, la cui massima preoccupazione è come “punire gli indiani”. Il maggiore Anthony intima alle tribù di Pentola Nera e Antilope Bianca di accamparsi in prossimità del fiume Sand Creek, in piena Riserva, ad una sessantina di km dal forte, ed invia persino un carro ambulanza col soldato David Louderback che poi diventerà uno dei testimoni d’accusa della mattanza.
sandcreek-mapQuindi informa il comando del colonnello Chivington che un migliaio di nativi ostili si sono accampati a meno di 30 miglia dal forte, chiedendo l’invio di immediati rinforzi.
Chivington ed Anthony con ogni evidenza si rifanno alla filosofia del generale Philip Sheridan, secondo cui un buon indiano è sempre quello morto. In particolare, Chivington, con spirito evangelico come si addice ad un presbitero della Chiesa Metodista, è convinto che si debba ‘ucciderli tutti’ a scopo preventivo, compresi i bambini, perché le uova di pidocchio diventeranno pidocchi.

arapaho

Eventuali “danni collaterali” che all’epoca non venivano nemmeno contemplati rientravano nella ricerca ossessiva di una “punizione” collettiva. Come ebbe a dire lo stesso generale Sheridan:

Philip Sheridan  «Se un villaggio viene attaccato e donne e bambini muoiono nel corso dell’attacco, la responsabilità di queste morti non deve ricadere sull’esercito, ma sulla gente che ha causato l’attacco stesso con i propri crimini

Che poi è quanto Tsahal va predicando ininterrottamente da settant’anni, mettendo in pratica le sue rappresaglie contro i palestinesi tutti e indistintamente. Sorvegliare e soprattutto punire.
Cavalleggeri US (1)Il 28 Novembre giunge al forte il contingente di cavalleria al comando del colonnello Chivington, che viene accolto con entusiasmo dal maggiore Anthony. Quest’ultimo si unisce alla spedizione con altri 125 soldati e quattro obici di artiglieria da montagna, per un totale di circa 800 uomini. Con loro, ci sono infatti i cavalleggeri del 1^ Rgt del Colorado, i volontari del 1^ Rgt del New Mexico, e quelli del 3^ Rgt del Colorado al comando del George L. Shoupcolonnello fresco di nomina George Shoup, che in seguito farà una sfolgorante carriera politica diventando il primo governatore dello stato dell’Idaho (1889) e poi senatore degli Stati Uniti.
John Milton Chivington Chivington, che vuole sfruttare l’occasione per potere vantare una grande vittoria militare contro gli indiani, le cui bande combattenti finora hanno continuato a sgusciargli via tra le mani, scalpita per lanciare l’attacco contro l’accampamento che formalmente sarebbe sotto la ‘protezione’ dell’esercito, per giunta nel territorio di assegnazione, e nonostante le rimostranze di alcuni ufficiali del primo reggimento che non condividono le ragioni dell’attacco: il capitano Silas Soule, coi tenenti Joseph Cramer e James Connor.
Cavalleggeri USAll’alba del 29 Novembre 1864 i volontari della milizia del Colorado, affiancati dai soldati regolari dell’esercito federale, Pentola Nerapiombano sull’accampamento di Black Kettle e Antilope Bianca, che vengono colti totalmente di sorpresa non aspettandosi alcuna minaccia. Sulla tenda di Black Kettle, posta al centro dell’accampamento, sventola una vistosa bandiera americana sotto la quale iniziano a raccogliersi le donne ed i bambini del campo, aspettandosi una qualche immunità, mentre i soldati, smontati da cavallo, circondano l’accampamento cominciando a sparare all’impazzata e avanzando in disordine nel caos più totale.
White Antelope Tra i primi a venire falciati dalla scarica è Antilope Bianca che, gravato dai suoi 75 anni di età, viene abbattuto, mentre incredulo e sdegnato avanza disarmato verso il colonnello Chivington. I soldati faranno scempio del cadavere del vecchio capo, tagliando via naso, orecchi, e testicoli, dopo averlo scalpato. Sorte che peraltro viene riservata alla quasi totalità dei caduti.
Con le sacche testicolari pare siano stati ricavati dei porta tabacco a souvenir dell’impresa, mentre le vagine ascisse alle donne vengono usate come ‘decorazioni’ per i cappelli.
SandCreekMassacreAlcuni dei soldati erano completamente ubriachi, il coordinamento pessimo, tanto che finirono con lo spararsi addosso gli uni con gli altri. Ma la cosa permise a Black Kettle e molti altri nativi di mettersi in salvo, sfuggendo così alla mattanza e provocando la delusione del maggiore Anthony: il comandante di Fort Lyon che aveva accordato la sua protezione agli indiani.
Come ebbe a testimoniare il Capitano Cree:

sand-creekIl Maggiore Anthony, dopo la battaglia al Sand Creek disse che avevamo fatto una buona cosa a uccidere gli Indiani. Voleva che li inseguissimo per poterne uccidere di più.

Celebrato come una grande vittoria militare, il massacro di Sand Creek diventerà presto oggetto di inchiesta in sede penale, più come manovra per stroncare le ambizioni politiche di John Chivington che per senso di giustizia.
Suoi principali accusatori saranno il maggiore Edward W. Wynkoop, estromesso a suo tempo per essersi mostrato troppo morbido coi nativi, e gli ufficiali che maggiormente si erano opposti al raid, suscitando l’ira del loro comandante.
sandcreekIn proposito, il tenente James Connor ebbe a dichiarare:

«Tornato sul campo di battaglia il giorno dopo non vidi un solo corpo di uomo, donna o bambino a cui non fosse stato tolto lo scalpo, e in molti casi i cadaveri erano mutilati in modo orrendo: organi sessuali tagliati a uomini, donne e bambini; udii un uomo dire che aveva tagliato gli organi sessuali di una donna e li aveva appesi a un bastoncino; sentii un altro dire che aveva tagliato le dita di un indiano per impossessarsi degli anelli che aveva sulla mano; per quanto io ne sappia John M. Chivington era a conoscenza di tutte le atrocità che furono commesse e non mi risulta che egli abbia fatto nulla per impedirle; ho saputo di un bambino di pochi mesi gettato nella cassetta del fieno di un carro e dopo un lungo tratto di strada abbandonato per terra a morire; ho anche sentito dire che molti uomini hanno tagliato gli organi genitali ad alcune donne e li hanno stesi sugli arcioni e li hanno messi sui cappelli mentre cavalcavano in fila

Robert Bent Rober Bent, la guida meticcia che era stata costretta con la forza ad accompagnare le truppe verso il campo indiano, testimoniò:

«Vi erano circa trenta o quaranta squaws che si erano messe al riparo in un anfratto; mandarono fuori una bambina di sei anni con una bandiera bianca attaccata a un bastoncino; riuscì a fare solo pochi passi e cadde fulminata da una fucilata. Tutte le squaws rifugiatesi in quell’anfratto furono poi uccise, come anche quattro o cinque indiani che si trovavano fuori. Le squaws non opposero resistenza. Tutti i morti che vidi erano scotennati. Scorsi una squaw sventrata con un feto, credo, accanto. Il capitano Soule mi confermò la cosa. Vidi il corpo di Antilope Bianca privo degli organi sessuali e udii un soldato dire che voleva farne una borsa per il tabacco. Vidi un squaws i cui organi genitali erano stati tagliati.
Vidi una bambina di circa cinque anni che si era nascosta nella sabbia; due soldati la scoprirono, estrassero le pistole e le spararono e poi la tirarono fuori dalla sabbia trascinandola per un braccio. Vidi un certo numero di neonati uccisi con le loro madri

John S. Smith, commerciante ed interprete, ospite dell’accampamento, parla di massacro indiscriminato:

«Ho visto i corpi di coloro che erano distesi a terra venir tagliati a pezzi, incluse le donne. Si è trattato delle peggiori mutilazioni che abbia mai visto prima. Venivano tagliati coi coltelli, scalpati, i cervelli buttati via… bambini di due o tre mesi, gente di tutte le età, dai poppanti ai guerrieri

Il colonnello Shoup, comandante del 3^ Rgt Colorado indiziato delle atrocità peggiori, dichiarerà che lui era troppo distante per poter aver visto bene.
Black Kettle, sopravvissuto all’eccidio, dopo aver ricevuto un indennizzo irrisorio per lo spiacevole equivoco, verrà poi internato di riserva in riserva, costretto a sottoscrivere trattati di volta in volta abrogati o violati, salvo finire ammazzato quattro anni dopo nel Massacro di Washita, stavolta ad opera del 7^ Cavalleggeri del generale Custer.
custerIl capitano Silas Soule, che si era distinto nella battaglia di Glorieta Pass combattendo contro i confederati, venne deferito dal colonnello Chivington alla corte marziale con l’accusa di vigliaccheria per essersi rifiutato di sparare contro le donne in fuga.

Capitano Silas Soule (1)Non posso concludere il mio rapporto senza dire che la condotta del Capitano Soule, Compagnia D, 1° Cavalleria del Colorado, fu riprovevole, dal momento che disse di aver ringraziato Dio per non aver ucciso Indiani e altre espressioni che lo fanno sembrare più in simpatia con gli Indiani che con i bianchi.

Rapporto al Gen. Curtis del Col. J.M.Chivington
Denver, 16/12/1864.

Capitano Silas Soule Ad ogni modo, Soule ne divenne l’ccusatore implacabile. Tuttavia non riuscì mai a testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta militare, dal momento che alcuni mesi dopo venne ammazzato in una sparatoria a Denver da un certo Charles Squire, il quale riuscì poi ad evadere fortunosamente di prigione facendo perdere ogni traccia.
Ovviamente, a parte qualche nota di biasimo ed una condanna puramente formale, non il colonnello Chivington né alcuno dei responsabili dell’eccidio di Sand Creek ebbe mai a patire noie o conseguenze particolari per i loro atti, che non dettero luogo ad alcuna vera incriminazione e tanto meno ad una condanna.
IndiansProprio come oggi a Ferguson in Missouri o nel Cermis (Italia, 1998). Ma l’elenco è potenzialmente infinito… Specialmente quando c’è di mezzo un “destino manifesto”..!

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Hic sunt leopoldi

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 28 ottobre 2014 by Sendivogius

ZEE Cast by Alexiuss - Longing

«Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro

 Umberto Eco
“Costruire il nemico”
(15/05/2008)

Giulio Andreotti Il Divo Giulio, che della materia se ne intendeva, era solito dire il potere logora chi non ce l’ha. E possiamo soltanto immaginare i tormenti del Giovane Renzi, fintanto che non ha potuto ottenere l’agognato giocattolo e ritagliarsi un corona di carta stagnola.
RenzusconiArrogante, indisponente, sferzante.. il Bambino Matteo mostra finalmente il suo vero volto, senza più finzioni. Adesso che ha ultimato la muta e raggiunto la maggior età, manovra saldamente il bastone del potere, rivelandosi per ciò che in fondo è sempre stato… Un capriccioso caudillo peronista col gusto del comando e ambizioni sconfinate, che per puntellare un potere personalistico quanto mai precario ha bisogno di inventare ogni giorno dei nemici, contro i quali convogliare le proprie inadeguatezze. E pazienza se li sceglie tutti a “sinistra”, con alleanze spostate interamente a “destra”, mostrando un furore ideologico che va ben oltre la Thatcher, ed esibendo un disprezzo sconosciuto persino all’Amicone di Arcore nei suoi tempi migliori.
Gianni e Pinotto (EDOARDO BARALDI)Per intenderci, è quello che, ad eccezione del padronato di Confindustria con cui la sintonia invece è totale, non tratta con le parti sociali (che al massimo possono essere convocate per prendere ordini dai suoi tirapiedi senza delega), perché prima devono farsi eleggere in parlamento. Esattamente come ha fatto Matteo Renzi e la sua cricca di speculatori.
E questo perché le leggi si fanno in parlamento, non nei tavoli per le trattative.
Peccato che poi, ridotto il Senato ad un simulacro di non eletti, il Parlamento rimanga più che altro aperto pro forma, dal momento che al suo interno tra voti di fiducia, deleghe in bianco al governo, e contingentamento dei tempi di discussione in aula tramite l’abuso della “ghigliottina” (più pratico mettere bavagli che tagliar teste), ormai non si parla né si discute più di nulla. In compenso, si ubbidisce a tutto ciò che un Presidente del Consiglio, rigorosamente non eletto, impone in ‘agenda’ (la sua), ricorrendo ai servigi di una corte di nominati in null’altro scelti se non per fedeltà e dipendenza diretta con le sorti del Capo, a cui sono indissolubilmente legati.
Alla “Leopolda”, più che una stella è nato un ducetto. Di quelli piccoli piccoli, come i borghesi dei quali si circonda, per puntellare il culto della sua egocrazia personalistica.
The-Walking-Dead-Companion-TV-Show-Series-AnnouncedEd è morto un partito, imbarazzante come le sue iniziali in richiamo della bestemmia che è stato, per lasciare il posto al “partito della nazione”, a vocazione più egemonica che maggioritaria; coi suoi ras e le sue squadre di chierichetti d’assalto, transumati dalle stalle della provincia fiorentina alla greppia del potere romano, confermando un vecchio aforisma:

“Nessun partito politico è di sinistra dopo che ha assunto il potere.”
Guido Morselli
“Diario”
Adelphi (1988)

In quanto ai partiti della nazione, che nei casi più deleteri hanno l’inclinazione a degenerare in “partiti unici”, i precedenti non mancano e non sono dei migliori…
BalillaSinceramente non se ne sentiva la mancanza. Ma agli italiani piacciono. Che si tratti di una camicia nera, un distintivo cloisonne appuntato sul bavero, un tavolo prenotato negli scantinati della stazione di Firenze… li fa sentire importanti, alimenta in loro la presunzione di appartenere alla “razza padrona”. O quantomeno dona l’illusione di farsela amica, che poi sistemiamo tutto la famiglia!
Non esiste corte senza servi, né padrone senza cortigiani. E il machiavellismo del piccolo principe fiornentino non fa eccezione.
Il partito della nazione vive di assoluti e aspira alla totalità. Di riflesso, non ama la diversità; semmai la tollera, fintanto che è funzionale a mantenere l’illusione della pluralità al suo interno, purché le voci critiche siano anche impotenti e pronte ad allinearsi all’occorrenza.
I corpi sociali e le rappresentanze intermedie sono superflue. Se indipendenti, costituiscono un problema. E vengono vissute come un inutile impaccio, quando non speculari alla rappresentazione del potere ed alla costruzione del consenso nel e per il “partito” che si è fatto “nazione”; o meglio: a puntello del comitato d’affari che ne dirige il corso.
A maggior ragione, per tastare il polso della nazione basta un Capo, meglio se carismatico, che come gli antichi re taumaturghi instaura un rapporto diretto coi suoi sudditi, tramite il tocco salvifico della sua autorità.
renzi-berlusconi - opera di EDOARDO BARALDIOvviamente tutto il suo potere discende dal “popolo”, che non potendo essere consultato nella sua interezza può esprimersi solo attraverso il lavacro catartico delle elezioni, strutturate alla stregua di un plebiscito. Le votazioni sono concepite come ordalia elettorale a giustificazione trascendente di un esercizio personalizzato del potere, sempre più svincolato rispetto al primato della legge, o alla stessa architettura costituzionale da distruggere tassello dopo tassello con furia iconoclasta.
art 138In assenza di un consenso totale, ci si accontenta della maggioranza relativa, mistificata in investitura assoluta: 11 milioni di voti alle elezioni europee (Water Veltroni ne prese 13 milioni alle “politiche”. E perse), su una nazione di 60 milioni di abitanti, possono bastare.
In fondo, si tratta di un passaggio di consegne: la “sovranità del popolo” viene ceduta per delega (basta una crocetta su una scheda) a legittimazione di un potere esclusivo, accentrato nelle mani del nuovo sovrano, che lo esercita nelle forme che ritiene opportune, in deroga alle norme stesse e nella pretesa delle sue prerogative regali.
Spacciata per modernità al passo coi tempi di un mondo globalizzato, è in realtà una formula di potere antichissima; nelle sue varianti la si è chiamata oclocrazia, cesarismo (la definizione più appropriata), bonapartismo… ma tutte discendono da una medesima matrice: il feudalesimo.
Lo si può digitalizzare strusciando le dita unte sul display di un i-phone, cinguettando banalità via twitter e aggiornando il profilo facebook con la velocità di una connessione wi-fi, ma il risultato non cambia.
SELFIE-MAN (1)Col superamento dello “spirito delle leggi”, viene meno la divisione dei poteri e dunque dello “stato di diritto”. Semplicemente ci troviamo di fronte ad ‘altro’. Ma in fondo parliamo di Montesquieu: uno che per scrivere usava una piuma d’oca, attingendo l’inchiostro da un calamaio, facendosi luce con una candela di sego. E se si doveva fare un selfie, al massimo chiamava un ritrattista specializzato in bozzetti a carboncino su foglio di pergamena!
Altro che gettone telefonico e rullini fotografici!!

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Aggiungi un posto a tavola

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 22 novembre 2010 by Sendivogius


Profumo di incenso e odor di sacrestia, direttamente dai salotti vellutati di Casa Caltagirone, comincia la belle epoque del ‘bel Pier’, entreneuse politica d’alto bordo e dalla verginità ricostruita, in cerca di un buon marito di governo.
Il Casini pontifex appartiene a quella divertente schiera di alieni che, appena sbarcata dal pianeta Marte, declina ogni complicità passata per riciclarsi come il nuovo pacchetto costituente: ago perfetto di una bilancia truccata che, dal Centro di galleggiamento permanente, pende sempre nelle direzioni contingenti, là dove il piatto è più ricco, gli interessi sono sempre “nazionali” e mai personali.
Il potere logora chi non ce l’ha. Per consolarsi dalla momentanea astinenza governativa, nel frattempo, il ‘responsabile’ Pierferdy ha compensato l’assenza occupando ovunque fosse possibile poltrone e incarichi nelle amministrazioni locali, dovunque fosse certo della vittoria, con accordi trasversali senza badare troppo al colore dell’alleato di turno. Per spirito di sacrificio, s’intende! Giammai per convenienza!
Emblema di perfezione, il cinguettante canarino da compagnia non lesina lezioni di democrazia e buon governo applicato alla convenienza del momento. Lui coglie l’attimo e di null’altro si duole.
Da bravo democristiano, nato per ‘governare’, fotte a man bassa. I risultati elettorali sono ininfluenti e le maggioranze variabili, in sintonia col suo umore mutabile come le opportunità.
Indipendentemente dalla sua rappresentanza politica, Lui decide il nome del premier, la composizione della maggioranza di governo, il tipo di coalizione, i programmi, quali partiti possono partecipare e chi vada invece escluso. A prescindere dai numeri elettorali e dall’esito delle votazioni. Magnanimo, si preoccupa anche dell’opposizione parlamentare; ne stabilisce i programmi, le politiche di indirizzo, le future alleanze e persino la scelta dei candidati altrui.
È la Democrazia secondo Casini: il voto è una iattura; vinco o perdo decido comunque io; con Spagna o Francia basta che se magna
È l’estensione della formula sulla sostanza: “governo di armistizio”“di solidarietà nazionale” “collaborazione dinamica nella distinzione”… così come vuole la tradizione; perché i tempi cambiano ma certi vizi restano:

 Siamo collaborazionisti rispetto al governo di Mussolini affinché esso arrivi a spostare il pendolo verso il centro equilibratore temperando e regolando il moto iniziale.
In verità osservatori lontani, stupiti da certe esercitazioni verbali di tono dittatoriale e da certe pose gladiatorie, che i minori proconsoli imitano in ogni villaggio riuscendo ad apparire buffi, ma non sempre innocui, possono trovare ragione per dubitare che tale veramente sia il proposito e la meta del fascismo. Ma osservatori più vicini e attenti credono di sapere che Mussolini, pur facendo al periodo rivoluzionario delle concessioni, non dimentica né può trascurare il monito di Giuseppe Mazzini, il quale scriveva che «prima legge di ogni rivoluzione è quella di non creare la necessità di una seconda rivoluzione».
Si proclama anzi di voler dare una disciplina alla nazione. E noi non dovremmo approvare e incoraggiare tale sforzo?
(…)
O possiamo noi come cattolici e come italiani, augurare e favorire il ritorno delle forze negative che il fascismo ha contribuito a bandire, cioè lo spirito di scetticismo e di disgregazione, il senso di sfiducia nelle proprie fortune e lo svalutamento di ogni forza morale?
Ecco quindi, o amici, perché non ha fondamento l’accusa che il nostro collaborazionismo sia inquinato da una riserva mentale che si riferisca ad uno stato d’animo incerto ed equivoco, il quale attenda per rivelarsi un momento favorevole.
No, nessun equivoco nello stato d’animo, nessuna riserva nel nostro pensiero che possa trovare domani un’espressione contraddittoria alle affermazioni di oggi. Il nostro collaborazionismo non ha riserve equivoche, ma incontra dei limiti chiari e precisi e nelle nostre dottrine e nelle condizioni di fatto in cui la collaborazione si svolge.
(…)
Il problema della collaborazione non è quindi un problema della statica, ma è un problema della dinamica; un problema del divenire politico i cui termini si spostano non solo secondo la maggiore o minore convergenza di volontà nei collaboratori, ma anche per modificazioni che subiscono le condizioni di fatto, nelle quali la collaborazione è tentata o attuata.
Ora su quale terreno, in quale misura, entro quali limiti si compie la collaborazione fra popolari e fascisti? Nell’attività amministrativa e legislativa essa è data dalla partecipazione dei nostri amici al governo.
(…)
Dare un giudizio complessivo e definitivo sull’opera legislativa e parlamentare del consiglio dei ministri e giudicare quindi dei risultati della nostra collaborazione per mezzo della partecipazione al governo sarebbe oggi intempestivo.
Vi sono dei provvedimenti buoni come quelli scolastici e la riforma giudiziaria, abolizione degli enti autonomi e parassitari alcune sagge economie di bilancio, alcuni provvedimenti tributari; vi sono delle misure discutibili e dei provvedimenti errati (…) ma non si può ignorare che le riforme principali entro cui si inquadrano tutte le altre, dalle quali anzi dipende la relativa bontà e tollerabilità di provvedimenti già presi, sono quella amministrativa e quella tributaria.
Ora la riforma dell’amministrazione e la sistemazione del bilancio sono in studio o in corso, il che vuol dire che l’esperimento di governo per quanto riguarda la fase ricostruttiva è in atto. Ci pare quindi giusto che il governo possa ottenere un giudizio sospensivo per quei provvedimenti che, non accettabili in sé, non rappresentano però per un governo il definitivo e l’inesorabile.”

 Alcide De Gasperi
 IV Congresso Nazionale del P.P.I.
 (Partito Popolare italiano)
 Torino; 12-14 Aprile 1923

È la saggia lungimiranza democristiana  nell’eterno  ritorno al sempre uguale: se proprio devo scegliere, meglio optare per il peggio purché ci sia in cambio almeno un posto nella greppia.

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