Archivio per Messico
BITTER BIERCE
Posted in Kulturkampf with tags 9° Reggimento di Fanteria dell’Indiana, Adolph Danziger, Ambrose Bierce, Banditore, California, Carmilla, Cultura, Examiner, gen. William B. Hazen, Giornalismo, Guerra Civile, Guerra di Secessione, Kentucky Military Institute, Letteratura, Liberthalia, Media, Messico, Patriottismo, Racconti, San Francisco, Stampa, Stati Uniti, Storia, The Wasp, USA, Walter Catalano, West, William Bradford, William Randolph Hearst on 6 giugno 2013 by Sendivogius“Ambrose Bierce, l’uomo più cattivo di San Francisco”
Negli anni immediatamente seguenti al conflitto si imbarca in una serie di avventure western degne di un film di Clint Eastwood: prima come Agente del Tesoro yankee in Alabama a controllare furti e ammanchi sulla requisizione delle tonnellate di balle di cotone sottratte ai Confederati sconfitti: ma è un funzionario troppo onesto per resistere a lungo in quel
Nel 1867, dopo quasi un decennio di vagabondaggi e di guerra, Ambrose si ritrova a San Francisco in bolletta e senza lavoro: quasi per disperazione intraprende la carriera giornalistica sul San Francisco News Letter, dove si occupa all’inizio soprattutto di cronaca nera e – come aveva fatto nel caso dei Mormoni – difende coraggiosamente le minoranze, quella irlandese e soprattutto quella cinese, dagli oltraggi razzisti: “Il cadavere di una donna cinese è stato ritrovato martedì mattina riverso sul marciapiede in una posizione assai scomoda, le cause della morte non possono essere accertate con sicurezza, ma poiché aveva la testa spaccata i dottori pensano sia deceduta per un attacco di cristianesimo galoppante del tipo maligno della California”. Il suo cinismo, il suo humour nero e il suo piglio ferocemente anticlericale e provocatoriamente anticonformista diventano nel giro di poco proverbiali e fanno di lui una delle firme più quotate e temute in città: viene ricambiato con soprannomi poco affettuosi come La Canaglia dai capelli di stoppa, il Diabolico Bierce, il Diavolo che ride, e – il suo preferito – l’Uomo più perfido di San Francisco.
E proprio su The Wasp, Bierce inizia a pubblicare ‘The Devil’s Dictionary’, una colonna di corrosive e sarcastiche definizioni di parole comuni: la raccolta finale, diversi anni più tardi, diventerà uno dei suoi libri più famosi, rivolto – scriverà l’autore – “a quelle anime illuminate che preferiscono i vini secchi a quelli dolci, il senso al sentimento e la satira (wit) all’umorismo (humor)”. E proprio questa distinzione fra wit e humor sarà oggetto di un suo saggio (‘Wit and Humor’) e di una lunga schermaglia con il collega e amico/nemico Mark Twain: satira maligna contro bonario umorismo, “l’humor è tollerante, tenero, fatto di ridicole carezze; la satira (wit) invece pugnala, chiede scusa e rigira il pugnale nella ferita”. Una concezione che ha più a che fare con i poètes maudits alla Baudelaire e con il successivo humour noir surrealista che con Twain e l’umorismo anglosassone: in realtà, come, gli rinfaccia quest’ultimo, le definizioni del Dizionario del Diavolo non sono “buffe” ma mortalmente serie, la risata che inducono è più un ghigno, specchio di un cuore (di pietra) in pezzi. Qualche esempio: Nascita: il primo e il peggiore di tutti i disastri; Adolescenza: periodo della vita umana intermedio fra l’idiozia dell’infanzia e la stupidità della gioventù; Sfortuna: il genere di fortuna che non manca mai; Giorno: periodo di ventiquattro ore, in gran parte sprecate; Novembre: l’undicesima delle dodici parti di una stanchezza; Anno: periodo di 365 delusioni; Una volta: abbastanza; Due volte: una volta di troppo; Solo: in cattiva compagnia.
La battaglia di Chickamauga è ormai finita: il bimbo non si è reso conto di niente perché – come il lettore scopre solo alla fine – è sordomuto), ‘Killed at Resaca’ (un ufficiale si sacrifica in battaglia per redimere il suo onore tradito da un’amante infedele), ‘A Son of the Gods’ (un innominato giovane ufficiale su un bianco cavallo corre da solo incontro al nemico facendosi sparare addosso per rivelarne la presenza ai compagni), ‘The Story of a Coscience’ (un capitano unionista si suicida dopo essere stato costretto a fucilare una spia sudista che gli aveva precedentemente salvato la vita), ‘A Horseman in the Sky’, ‘An Affair of Outposts’, ‘One Kind of Officer’, ‘One of the Missing’; le raccapriccianti storie del sovrannaturale: ‘A Watcher by the Dead’, ‘The Man and the Snake’, ‘The Eyes of the Panther’, ‘The Suitable Surroundings’; e la combinazione dei due generi, il suo capolavoro del 1890, ‘An Occurrence at Owl Creek Bridge’. Il racconto è probabilmente uno dei più giustamente famosi e antologizzati di tutta la letteratura americana: un civile filo-confederato di nome Peyton Farquhar sta per essere impiccato ad un pilone della ferrovia sul ponte di Owl Creek sotto l’accusa di tentato sabotaggio. Mentre attende l’esecuzione, in flashback ricorda la sua condizione di agiato proprietario di una piantagione – probabilmente esentato dal servizio attivo per la “Twenty Negro Law”, una disposizione confederata che evitava l’arruolamento ai padroni di più di venti schiavi – : è stato indotto da una spia unionista a tentare di bruciare il ponte (la sua visione idealizzata e irrealistica della guerra, da “imboscato” che vuole riscattarsi, lo rendono facile preda dell’agente provocatore). L’impiccagione ha luogo ma la corda al primo strappo si spezza e il condannato sprofonda nel fiume, riesce a liberarsi dai legami e riemerge sotto i colpi di fucile nemici lasciandosi portare alla deriva dalla corrente. Guadagnata la riva, fa perdere le sue tracce nella foresta e ritrova la via di casa: sulla veranda la moglie lo aspetta a braccia aperte. Nel momento in cui sta per ricambiare l’abbraccio: “sente un forte strappo sul retro del collo; una bianca luce accecante esplode intorno a lui con un suono come un colpo di cannone: poi tutto è tenebra e silenzio”. La storia si conclude con una delle frasi più ricordate della narrativa ottocentesca statunitense: “Peyton Farquhar era morto; il suo cadavere, con il collo spezzato, penzolava dolcemente da un lato all’altro fra i piloni del ponte di Qwl Creek”. La fuga era stata solo l’allucinazione prodotta dai pochi minuti di ossigeno residuo nel cervello mentre la corda lo strangolava. Non sappiamo se Farquhar corrispondesse a una figura reale nei ricordi di Bierce, ma altri particolari del racconto lo sono certamente: il ponte di Owl Creek, nei dintorni del campo di battaglia di Shiloh, dove il suo reggimento svolgeva servizio di guardia ferroviaria per l’Alabama settentrionale nell’esatto periodo in cui è ambientata la storia; le sue testimonianze sulle impiccagioni come soldato e come cronista di nera: l’abbondanza di particolari realistici accresce il peso dell’evento irreale che sta al centro del testo e lo rende credibile. Un critico dell’epoca Arthur McEwen rimproverò l’amico Bierce a proposito dei suoi racconti: “Non hai, in tutto ciò che scrivi, la minima traccia di quel che si chiama simpatia: la bella fanciulla non arriva mai” – “Che se ne vada al diavolo la bella fanciulla!” – rispose Bierce.
Nel 1898 lo scrittore entrò apertamente in conflitto anche col suo boss Hearst a proposito della guerra ispano-americana: Hearst propagandava la guerra e l’indipendenza di Cuba dalla Spagna furoreggiando dai suoi giornali sulle immaginarie atrocità perpetrate dagli spagnoli ai danni degli indipendentisti cubani; Bierce scriveva, sugli stessi giornali: “Il patriottismo è aspro come la febbre, spietato come la tomba, cieco come una pietra e irrazionale come una gallina decapitata”. Con la consueta lucidità smascherava i pretesti umanitari statunitensi che coprivano
Nonostante le aspre schermaglie però, la collaborazione con Hearst continuò anche dopo il volgere del secolo, quando Bierce passò dai quotidiani al mensile Cosmopolitan: in quegli anni vennero anche pubblicate in dodici volumi le ‘Opere Complete di Ambrose Bierce’ – che comprendevano: The Devil’s Dictionary (con il titolo modificato in The Cynic’s Word Book), Tales of Soldiers and Civilians (anche questo col titolo inglese In the Midst of Life), Can Such Things Be?, The Monk and the Hangman’s Daughter, la collezione di Fantastic Fables in stile Esopo che aveva scritto per i britannici Fun e Tom Hood’s Magazine, e tutta la sua occasionale (e decisamente non memorabile) poesia. L’accoglienza critica fu devastante, le vendite anche: l’editore Neale ci rimise 7.500 dollari e lo stesso Bierce 2000. Nella primavera del 1910 lo scrittore torna finalmente in California dopo dodici anni di assenza, in tempo per constatare gli effetti del terribile terremoto che aveva colpito San Francisco: “La mia San Francisco è morta e non ne avrò mai più un’altra” – dichiara. In quei giorni incontra Jack London: gli porge le sue condoglianze per la recente perdita del primo nato (avendo lui stesso perso due figli sa cosa vuol dire), London si commuove, simpatizzano, litigano sulla politica (Jack è un fervente socialista, Ambrose tutt’altro), si scambiano aneddoti su Hearst (per cui London ha coperto la guerra Russo-Giapponese), scolano bottiglie di cognac Three Star Martell, una dietro l’altra, finché Bierce non stramazza addormentato. L’incontro con London è l’unico episodio piacevole del suo ritorno in California: Bierce si sente sempre più isolato, deluso per i pessimi esiti dei suoi Collected Works, colpevole per la sua famiglia perduta (dopo i figli maschi anche la moglie – dalla quale era separato senza aver mai voluto divorziare – è scomparsa nel 1905. Helen la figlia femmina – che aveva vissuto sempre con la madre – lo tiene a distanza), assalito da sempre più frequenti e gravi attacchi d’asma: comincia a sentirsi non troppo dissimile dai fantasmi che tante volte ha evocato sulla pagina ed è ormai pronto per l’ultima avventura. “Questa rivoluzione in Messico mi interessa: voglio scendere giù a vedere se i messicani sparano bene” – dice agli amici e colleghi di Washington prima di lasciare per sempre la città.
Il 5 Novembre arriva a San Antonio, visita Alamo, dove gli ufficiali del Terzo Cavalleria lo trattano come un ambasciatore straniero e per poco non sfilano in parata in suo onore. Il 6 Novembre, l’ultima lettera (alla nipote Lora Bierce) da Laredo : “Non resterò qui abbastanza a lungo per poter aspettare tue notizie e non so quale sarà la prossima tappa. Dubito abbia molta importanza. Adios”.
LA GUERRA DELL’ACQUA
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PRIVATIZZAZIONE :
Come ti rubo la vita…
“Un’economia fattasi troppo astratta per tenersi in piedi sottrae liquidità all’economia reale. Tutto ciò che era gratis, perché ritenuto socialmente utile, per non dire spettante di diritto, sarà messo in vendita. Servono liquidi da immettere sul mercato finanziario. La scuola, dalle elementari all’università, il pubblico impiego, l’elevazione dell’età pensionabile, il passaggio dal lavoro sicuro al precariato (accompagnato da opportuni slogan che esaltino la “flessibilità”) diventano oggetti di risparmio monetario, perché la finanza possa ripartire.”
(“Il crack della finanza spiegato al popolo 2/2” di Valerio Evangelisti – pubblicato il 30/10/08 su carmillaonline.com)
La Crisi economica globale incombe. Molti i responsabili ma nessun colpevole (as usual). E mentre i singoli governi sono chiamati a drenare le ultime risorse fiscali, nel tentativo di sanare i guasti di un Turbo-Capitalismo marcio e famelico, gli eredi dei Chicago Boys intonano il loro ennesimo peana neo-liberista: esternalizzare, valorizzare, privatizzare.
Una sola ideologia universale: massimizzazione dei profitti; mercificazione dell’esistente; azzeramento dei diritti, sostituiti da elargizioni “compassionevoli”.
Il mercato vive di sogni indotti, ma si nutre di risorse primarie. Non esistono beni essenziali o diritti inalienabili. Tutto può avere un prezzo e come tale essere venduto. In questa prospettiva, ogni cosa che abbia un valore d’uso possiede inevitabilmente un valore di mercato. E l’acqua, specialmente l’acqua potabile, non fa eccezione. Alla stregua di un qualsiasi prodotto, può essere negoziabile, standardizzabile, e quindi commercializzabile, destrutturata in commodities e prezzata come una qualunque merce in vendita.
Esistono i casi estremi, come in Cile, dove (col patrocinio del gen. Pinochet, grande amico della signora Thatcher) i Chigago Boys sono riusciti a privatizzare perfino i fiumi. E poi Bolivia, Argentina, Uruguay… A dimostrazione che solo le dittature ed i regimi autoritari hanno i requisiti essenziali per applicare, a livello ottimale, le (non) teorie di Milton Friedman e dei suoi discepoli, che col loro ricettario economico hanno avvelenato il continente latinoamericano, prima di essere spazzati via quasi ovunque dal vento delle nuove revoluciones libertadoras.
In Europa, si inizia a parlare di privatizzazione delle acque nel 1989, durante il governo di Margaret Thatcher, quando nella sua furia ultraliberista la Lady di Ferro pose nelle mani dei privati anche l’approvvigionamento idrico dei sudditi di Sua Maestà britannica. Il servizio è stato appaltato ad una società australiana che, per ripianare i presunti costi di investimento, ha triplicato le tariffe. Da allora, la corsa all’acqua, “l’oro blu”, da parte delle grandi corporations non si è mai fermata. Il mercato idrico internazionale è diventato appannaggio esclusivo di pochi colossi senza scrupoli.
“La mercificazione dell’acqua segue molte strade. Una è la concessione a privati dello sfruttamento di sorgenti, pozzi, acquedotti e canali. In Messico, le riforme per aprire questo tipo di mercato trovano qualche resistenza perché la Costituzione stabilisce che la gestione dell’acqua è riservata allo stato. Ciò significa che, almeno in teoria, questa non è una merce come le altre e che può essere oggetto di concessioni solo per un tempo limitato. Le difficoltà legali si aggirano grazie a una parola magica: “decentralizzazione”. Magica e ingannevole giacché nei fatti “decentralizzare” ha voluto dire consegnare i sistemi idraulici ai governi locali con l’unico obiettivo di aprire il passo alle privatizzazioni.
L’altra via della mercificazione è quella del consumo d’acqua in bottiglia, che dappertutto è una truffa colossale, visto che da nessuna parte gli imbottigliatori usano acqua di fonte, ma pongono il proprio sigillo all’acqua della rete pubblica. Il Messico è sempre stato un gran consumatore di bibite a base di cola e ora è il secondo consumatore pro capite d’acqua imbottigliata, preceduto solamente dall’Italia.”
Fin dalla nascita, il mercato globale dell’acqua ha presentato caratteristiche singolari giacché è sempre stato controllato da un pugno di giganti europei che esibiscono attitudini depredatrici simili o anche peggiori a quelle dei concorrenti nordamericani.” – Le imprese più grandi sono Veolia, Suez, e Vivendi Universal. Sono francesi e insieme si spartiscono il 80% del mercato mondiale dell’acqua – “Per giustificare il loro operato esse diffondono l’idea che di fronte all’inefficienza generalizzata delle istituzioni pubbliche, è meglio optare per l’impresa privata che è ‘dinamica’, ‘produttiva’ e ‘onesta’.”
(Tratto da: “La guerra dell’acqua” di A. Mannucci – ecplanet.com)
Alessio Mannucci dedica un lungo reportage sulla gestione dell’acqua e sui paradossi della privatizzazione. Vale la pena di riportare il caso grottesco, ai limiti del demenziale, avvenuto nella città di Aguas Calientes in Messico.
Nel 1993, “il servizio pubblico d’acqua potabile, captazione e trattamento delle acque residue” di Aguas Calientes viene dato in concessione ai privati: un consorzio idrico al quale partecipa anche la francese Compagnie Générale des Eaux, una sussisidiaria della Vivendi.
“Le autorità giustificarono la privatizzazione con il cattivo stato del servizio (ma questo non migliorò). Gli unici effetti visibili furono il repentino aumento delle tariffe e la sospensione della fornitura nei casi di morosità, una pratica fino allora quasi sconosciuta. Secondo la compagnia, quello era l’unico modo per frenare il consumo stimolando il risparmio e limitando così lo sperpero. L’impresa passò, malgrado ciò, per molteplici disavventure finanziarie accumulando debiti. Con la svalutazione della moneta nel 1994, questi diventarono pressoché ingestibili. Per evitare la bancarotta e la sospensione del servizio, la giunta municipale dovette apportare grandi dosi di capitale pubblico (mostrando ancora una volta come i grandi monopoli privatizzano i ricavi, ma socializzano le perdite). Il colmo: nel 1996 il contratto originale fu modificato per favorire ancor più l’impresa, ampliando a 30 anni la durata della concessione e rendendo tuttavia più flessibili i suoi obblighi, esimendola dall’investire nella costruzione di infrastrutture.”
A volte la “guerra dell’acqua” assume le dimensioni di una lotta titanica, dove piccoli David riescono ad aver ragione dei Golia delle multinazionali…
BOLIVIA. La rivolta di Cochabamba. Nel 1999 il col. Hugo Banzer Suarez, presidente-dittatore, “ebbe la felice idea di privatizzare l’acqua nel dipartimento di Cochabamba”. Fu così che l’acquedotto cittadino fu dato in concessione, insieme ai servizi idrici e fognari di La Paz e di El Alto. Arrampicata sulle Ande, a 2500 m. di altezza, con i suoi 1.800.000 abitanti, Cochabamba è la terza città della Bolivia. Nel settembre 1999 viene firmato dalle autorità municipali un contratto con l’unico concorrente in gara per l’appalto: il consorzio Aguas de Tunari. Si tratta di un complicato groviglio societario a scatole cinesi, con la partecipazione congiunta di grosse holding multinazionali. Il consorzio è ufficialmente guidato da una off shore con sede alle Isole Cayman, la IWL (International Water Limited), che detiene il 55% del pacchetto azionario. Ma la IWL è in realtà una controllata alla pari della statunitense BECHTEL (molto legata a Dick Cheney) e dell’italianissima EDISON che a sua volta possiede l’altro 50% delle azioni IWL.
“E qui viene il bello: l’Edison è della TDE, mentre la Tde appartiene per il 50% alla francese WGRM e per il restante 50% alla AEM e cioè l’Azienda energetica di Milano, che per il 43.26% appartiene al Comune. Da quando sono state privatizzate, le municipalizzate anche in Italia pensano a fare operazioni di compravendita dei pacchetti azionari di altre imprese, acquisendo il controllo di aziende che producono disastri in giro per il mondo come nel caso della Bolivia.”
Il resto delle azioni è in mano alla spagnola ABENGOA (25%) e… della Banca Mondiale: grande regista dell’operazione, nella triplice veste di ideologo delle privatizzazioni, in nome del sacro Verbo monetarista (l’unico credo consentito), finanziatore dell’impresa e azionista del consorzio privato.
“La ‘Aguas del Tunari’ viene registrata in Olanda, in quanto gli accordi bilaterali fra Olanda e Bolivia prevedono regole estremamente favorevoli alle multinazionali qualora venisse rescisso un contratto. Tra queste, vi è la possibilità per una multinazionale persino di chiedere il mancato lucro qualora un governo facesse delle scelte che danneggino l’impresa; addirittura anche qualora venissero introdotte norme a tutela dei diritti dei lavoratori o dell’ambiente.”
(Giuseppe De Marzo – Ass. A Sud)
In base al contratto, il consorzio “riceveva per trenta anni la concessione della captazione, trattamento e distribuzione dell’acqua nel territorio comunale. La concessione dava ad Aguas del Tunari il monopolio assoluto su ogni fonte d’acqua nella municipalità, inclusi i pozzi privati. (…) Nel giro di pochi mesi gli abitanti di Cochabamba vedono aumentare le tariffe del 300%, mentre le condizioni precarie delle reti idriche e fognarie non subiscono alcuna operazione di mantenimento o miglioramento. La spesa media dell’acqua arriva a toccare circa 12 dollari mensili, su un salario medio di 60 dollari. Le tariffe vengono adeguate al dollaro statunitense, costituendo una grave perdita del potere d’acquisto per una popolazione già in condizioni di estrema povertà. Gli alti costi richiesti per le connessioni domiciliari sono a carico degli utenti e l’accordo con Aguas del Tunari proibisce l’uso di fonti alternative naturali. (…) Vengono imposti l’obbligo di acquisto di permessi per accedere alla risorsa e addirittura un sistema di licenze per la raccolta dell’acqua piovana. Dopo un anno di gestione il 55% degli abitanti continua a non avere accesso all’acqua.”
Al consorzio veniva altresì attribuito il potere di pignorare la casa e le proprietà del consumatore insolvente, arrivando a vietare (e nel caso confiscare e demolire) gli invasi e le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana.
Nell’aprile del 2000 la misura è colma. Centinaia di migliaia di persone scendono in piazza e marciano a Cochabamba contro il governo, nonostante l’intervento della polizia che attua una brutale repressione con morti e feriti. Dal coordinamento delle azioni di opposizione nasce la “Coordinadora de defensa del agua y la vida” costituita da sindacati, contadini, ecologisti, operai, studenti, comitati di quartiere e gente comune, che assume come impegno centrale quello di impedire la privatizzazione dell’acqua nella città di Cochabamba. “I dirigenti della Coordinadora vengono arrestati durante le trattative con il governo, rinchiusi in una prigione al confine con il Brasile e accusati dal ministro dell’interno di finanziarsi con il narcotraffico.” Accusa naturalmente falsa. Dopo la sollevazione dell’intera cittadinanza e la creazione di una sorta di Comune autogestita, a democrazia diretta, “la vittoria è stata piena: il governo ha ripreso una proposta di legge popolare che sancisce il diritto all’acqua e la sua gestione pubblica. Il contratto con il consorzio privato è stato abrogato. La gestione idrica è andata a un’impresa in cui siedono rappresentanti del comune, i sindacati, le associazioni di quartiere.”
(Ma.Fo; “Il Manifesto” del 29/08/02)
Siccome il lupo perde il pelo ma non il vizio, nel gennaio 2005 una nuova rivolta popolare costringe alla ritirata le compagnie che speculano sull’acqua di El Alto e fanno affari sulla pelle dei suoi 800.000 abitanti.
BOLIVIA 2005. La seconda guerra dell’acqua. “Opportuno, a questo punto, un ritorno alla realtà che fatalmente ci riporta a una seconda guerra dell’acqua: combattuta, questa volta, nell’immenso labirinto di El Alto, città-satellite che da 4.000 metri incombe su La Paz, la capitale, aggrovigliata lì sotto come in un pozzo e quasi spettrale. Anche qui il motivo della contesa è l’ «Aguas del Illimani», consorzio idrico finanziato dal gruppo francese Suez, che deteneva il 55% delle azioni, mentre l’ 8% era nelle mani della Banca Mondiale e il resto in quelle di investitori sudamericani. La seconda guerra è scoppiata nel gennaio dell’ anno scorso, dopo che la «Aguas del Illimani» (anche qui il nome è quello di une delle più alte vette andine) aveva imposto forti aumenti delle tariffe e chiesto per l’allacciamento alla propria rete la cifra spropositata di 445 dollari, equivalenti a sei mesi dello stipendio base di un lavoratore. Ma la guerra è durata poco. Le organizzazioni di quartiere di El Alto hanno indetto uno sciopero generale e alla fine costretto il consorzio privato della Suez a rimettere il sistema idrico sotto il controllo pubblico: e, come a Cochabamba, il governo di La Paz ha cancellato il contratto dell’ «Aguas del Illimani». In un Paese dove il 34% di 8,6 milioni di boliviani vive con meno di due dollari al giorno, non era possibile tollerare che gli azionisti stranieri continuassero a lucrare sull’acqua.”
(Ettore Mo – “Corriere della Sera” del 15/01/06)
E in Italia?!? In Italia il Parlamento ha votato l’articolo 23bis, già inserito nel decreto 112 di Tremonti e convertito nella Legge 133/08, con votazione del 06/08/08. Naturalmente con l’immancabile appoggio dell’opposizione, PD in prima fila, nella persona del ministro-ombra Lanzillotta. Sempre pronti a scattare sull’attenti, quando gli allibratori del “Libero Mercato” reclamano la loro razione di carne fresca.
“Così il governo Berlusconi ha sancito che in Italia l’acqua non sarà più un bene pubblico, ma una merce e dunque, sarà gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali). Già a Latina la Veolia (multinazionale che gestisce l’acqua locale) ha deciso di aumentare le bollette del 300%. Ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e Carabinieri per staccare i contatori.”
(Maddalena Parolin, “Acqua in bocca”)
L’Art. 23-bis. della Legge n° 133 disciplina la materia in ambito dei Servizi pubblici locali di rilevanza economica. In tale norma si afferma“in via generale l’affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica in materia di rifiuti, trasporti, energia elettrica e gas, nonché in materia di acqua” a soggetti privati.
Al comma 1 e 2 si può leggere:
1. Le disposizioni del presente articolo disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, in applicazione della disciplina comunitaria e al fine di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, nonché di garantire il diritto di tutti gli utenti alla universalità ed accessibilità dei servizi pubblici locali ed al livello essenziale delle prestazioni, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettere e) e m), della Costituzione, assicurando un adeguato livello di tutela degli utenti, secondo i principi di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione. Le disposizioni contenute nel presente articolo si applicano a tutti i servizi pubblici locali e prevalgono sulle relative discipline di settore con esse incompatibili.
2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.
Scrive Paolo Rumiz in un ispirato articolo comparso su La Repubblica dell’11 novembre:
“Non se n’ è accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e ciò anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano. Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti. La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola.
(…) Col 23 bis i Comuni perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso. Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario è inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante “call center” cui segnalare soprusi o disservizi. Insomma, l’ acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade. La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a. e lavorare con rigore. L’ Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono più scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e società multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si è rivelata una delusione. Nessuno rifà gli acquedotti, le reti restano un colabrodo. Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un’ indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d’Italia e tariffe tra le più basse d’Europa. Col voto del 6 agosto si rompe l’ ultima diga. L’acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e l’ osso ai secondi. Il peggio del peggio.
(…) Situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos’ è accaduto a Firenze. Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la “Publiacqua“ manda agli utenti una lettera dove spiega che, causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato lo premia lo spreco, non il risparmio. L’ unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia in Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la società “Acqualatina”. Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta. A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la società “Gori“ ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell’ acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza è dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Più o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette più care d’ Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento. L’ Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si è indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando è scattato il regime di S.p.a., s’ è scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l’ impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione è coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone più a rischio d’ Italia, causa la falda avvelenata del Po.
(…) Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l’Acea di Roma che ha comprato l’acqua toscana; l’Amga di Genova che s’ è alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all’ Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell’ Aem milanese e dell’ Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d’ assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato”.
(Paolo Rumiz in “Acqua S.p.A.” – La Repubblica, 14/11/08)
Ultimamente, per capire cosa sta succedendo in Italia, basta guardare al Sud America.
Altre fonti documentarie:
Corriere della Sera; La Repubblica; L’Unità; Il Manifesto; Consumo Critico.
ECplanet (www.ecplanet.com) – Selvas.org – Ass. A Sud (www.asud.net) – Unimondo.org – Terra Libera
Autori degli articoli consultati:
Maddalena Parolin; Alex Zanotelli; Giovanna Vitrano; Giuseppe de Marzo