Della privatizzazione dell’acqua avevamo già parlato: chi volesse può (ri)leggersi “La Guerra dell’Acqua”. Nell’articolo raccontavamo i ‘benefici’ che la gestione privata delle risorse idriche, affidata a consorzi europei, ha portato alle fortunate popolazioni di Messico e America latina.
In virtù dei brillanti risultati che hanno caratterizzato le precedenti esperienze, ricordavamo come l’iniziativa abbia conquistato anche le menti eccelse della politica italiana.
Comincia la ministra Lanzillotta insieme ai liberalizzatori del provvisorio governo Prodi. Ma a completare il lavoro, ci pensa però il governo Berlusconi, con la partecipazione straordinaria del ministro Tremonti impegnato a svendere il Paese a tranci pur di fare cassa…
I PRECEDENTI
Nel Luglio 2006, Linda Lanzillotta, in veste di Ministro per gli Affari Regionali (quota ‘Margherita’), presenta il Disegno di Legge n° 772 “per il riordino dei servizi pubblici locali”. Si tratta di un collegato alla Finanziaria 2007 controfirmato dall’allora ministro Pier Luigi Bersani (DS), di concerto con i ministri: Giuliano Amato (Ulivo); Antonio Di Pietro (IdV); Emma Bonino (Radicali).
Il DDL 772 è importante perché contiene il progetto embrionale per l’affidamento ai privati di servizi fondamentali per la collettività, pur con le opportune garanzie e “fatte proprie le finalità pubbliche”.
Infatti, tramontato il governo Prodi, l’ipotesi di privatizzare i servizi idrici (e non solo) viene subito ripresa da Giulio Tremonti, che inzeppa il provvedimento nell’onnicomprensivo Decreto Legge 112 del 25/06/08 (ne avevamo accennato qui). La successiva Legge 133 del 06/08/08 (art.23bis) ha reso la possibilità di privatizzare l’acqua molto più di un’ipotesi…
OGGI
18 Novembre 2009. Con l’ennesimo ricorso al voto di fiducia, in un Parlamento cassato a bivacco fedele di disciplinatissimi manipoli, il governo Berlusconi decreta che l’acqua cessa di essere un diritto, per diventare una merce a consumo. È uno strumento di lucro e come tale è in vendita.
A rendere attuativa la norma che prevede la (s)vendita del nostro patrimonio idrico, ci pensa il solito ‘decreto legge’, per l’esattezza il DL 135 (Sett.2009) concernente “disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari”.
Ultimamente va di moda attribuire ogni porcata del governo ad una imprecisata volontà europea: “Ce lo chiede l’Europa!”
Certo, come no?!? Peccato che dalla UE non ci sia mai pervenuta nessuna richiesta esplicita né vincolante in materia. In compenso, ci arrivano le ‘procedure di infrazione’ ma quelle non destano alcuna preoccupazione…
In pratica, il DL 135/09 impone la privatizzazione coatta delle acque e di tutti i servizi idrici a gestione pubblica o municipalizzata, esautorando i Comuni e gli enti locali di ogni autonomia decisionale sulla questione, a prescindere sull’efficienza del servizio erogato e la solidità di bilancio.
In dettaglio, con la scusa dell’Adeguamento alla disciplina comunitaria in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica, l’art.15 intima a tutte le società, “a partecipazione pubblica e privata o mista” (quotate in borsa o meno), di vendere le proprie quote di maggioranza a gruppi privati.
In caso contrario,
“Le società a partecipazione pubblica già quotate in borsa a tale data e a quelle da esse controllate, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio, a condizione che la partecipazione pubblica, si riduca anche progressivamente, attraverso procedure ad evidenza pubblica ovvero forme di collocamento privato presso investitori qualificati e operatori industriali, ad una quota non superiore al 30 per cento entro il 31 dicembre 2012; ove siffatta condizione non si verifichi, gli affidamenti cessano, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2012”
È un ultimatum. Se le società pubbliche che gestiscono il servizio non riducono la loro quota di partecipazione al 30% entro il capodanno 2012, la concessione di servizio verrà rivista unilateralmente (dal governo) ed affidata d’imperio a soggetti privati che dovranno in ogni caso detenere la maggioranza azionaria ed il pieno controllo della società con una partecipazione non inferiore al 40%.
“2.b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento”
Attenzione però! Al privato, per legge, si riserva comunque la fetta migliore della torta. Infatti, qualora la rete idrica richieda interventi di manutenzione straordinaria, implichi costi ed oneri particolari, o sia semplicemente anti-economica ed in contrasto con le aspettative di profitto del gestore privato, allora l’acqua resta rigorosamente pubblica.
“3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.”