Archivio per Licio Gelli

Letture del tempo presente (VI)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , on 19 settembre 2020 by Sendivogius

Ora che il famigerato Piano di Rinascita Democratica della Loggia Propaganda 2 è stato in gran parte realizzato nei suoi principali obiettivi fondanti, ed è ormai prossimo al raggiungimento di quelli più funzionali alla sua attuazione, sta a vedere che alla fine dovremo chiedere pure scusa a Licio Gelli ed ai suoi affiliati col cappuccetto.
In fin dei conti, nel “Piano” c’era già tutto:
– Polarizzazione in due schieramenti contrapposti (e di fatto interscambiabili per equipollenza).
– Superamento del bicameralismo perfetto (c’è chi ha fatto di meglio, pensando di eliminarlo direttamente il Senato).
– Accentramento del controllo dei mass media con la creazione ed infiltrazione di grandi gruppi editoriali; dismissione della RAI e creazione di un polo televisivo privato.
Riforma della Magistratura con separazione delle carriere ed introduzione della responsabilità civile per i magistrati, insieme all’introduzione di esami psicoattitudinali.
– Scudo fiscale per i capitali illecitamente trasferiti all’estero.
– Riforma del mercato del lavoro con libertà di licenziamento, insieme alla limitazione del diritto di sciopero; disarticolazione della rappresentanza sindacale con la creazione di sindacati gialli, oltre all’eliminazione delle festività settimanali.
– Abolizione del valore legale del titolo di studio e privatizzazione delle università.
– Abolizione delle Province e riduzione del numero dei parlamentari (Il “Venerabile” pensava di portarne il numero complessivo a 700; la “riforma” attuale, con qualche milione di elettore in più, li riduce a 600).
Il paradosso del programma, a suo tempo considerato “eversivo”, non risiede tanto nella sua realizzazione, quasi interamente compiuta, quanto nel fatto che la sua applicazione risulta essere persino peggiore rispetto al “Piano” originale, superando di gran lunga i più ambiziosi propositi dei suoi primi ostensori. Quando gli allievi (molti a dire il vero) superano il Maestro.
A modo loro, i teorici della Loggia P2 sono stati dei precursori del XXI° secolo (così come Jack The Ripper lo fu per il XX°); quasi dei geni incompresi, ma soprattutto inconsapevoli dell’incredibile spinta propulsiva che avrebbe potuto conferire al compimento del loro Progetto l’innesto populista nella grande orgia demagogica di retorica anti-Ka$ta, tra torme di imbecilli iperconnessi e bande di scappati di casa miracolati in un parlamento che vorrebbero sprangare, dopo esserselo pappato come una scatoletta di tonno.
E se solo i nostri inquietanti cretinetti leggessero di più e twittassero di meno, potrebbero scoprire tante cosette interessanti attraverso un uso intelligente della “rete”… Magari potrebbero facilmente accedere alla Relazione della Commissione d’inchiesta sulla Loggia P2, stilata da un Parlamento certamente migliore di questo e di sicuro con un senso più alto della Democrazia, che non fosse mero esercizio contabile di costi e patetica rendicontazione scontrini, scambiando la rappresentanza (che un tempo era cosa seria e non un bivacco di cazzoni pescati su facebook) con un caffè in più all’anno.
Le conclusioni della Commissione Anselmi sembrano per certi versi scritte ieri. E sono invece trascorsi 36 anni, durante i quali il male si è aggravato diventando metastasi diffusa.

«Il documento si pone come il risultato finale di una serie di testi nei quali è consegnata al nostro studio una ideologia che abbiamo già definito di stampo genericamente conservatore, contrassegnata da una propensione di avversione al sistema nel suo complesso e da un superficiale apprezzamento del ruolo dei quadri tecnici in rapporto alla dirigenza politica.
[…]
lo studio del piano di rinascita democratica, sotto il profilo dei contenuti, conferma la filosofia di fondo di stampo conservatore, o meglio predemocratica, concretando in tale direzione un ulteriore stadio di sviluppo quando si consideri la finalizzazione che esso postula del funzionamento della società e delle sue istituzioni al perseguimento dell’obiettivo della massima incentivazione della produzione economica. Traspare infatti dalle righe di questo singolare breviario politico, calata in una prospettiva genericamente tecnocratica, l’immagine chiusa e non priva di grigiore di una società dove si lavora molto e si discute poco. L’analisi a tal fine svolta nel testo degli istituti politici ed amministrativi viene condotta, con conoscenza di causa, nel dettaglio dei problemi: dalla riforma del pubblico ministero agli interventi sulla stampa, dai regolamenti parlamentari alla politica sindacale, sino alla legislazione antimonopolio ed a quella sull’assetto del territorio, nulla sembra sfuggire all’attenzione dell’anonimo redattore del documento.
[…]
Il dato di analisi che occorre qui sottolineare è che il piano di rinascita democratica non è un testo astratto di ingegneria costituzionale, come molti affermano proponendo incauti paragoni, né un documento di intenti che lo possa qualificare come il manifesto della Loggia P2. Esso è piuttosto un piano di azione che, oltre a fissare degli obiettivi, predispone in dettaglio le conseguenti linee di intervento e come tale ne arriva a preventivare perfino il fabbisogno finanziario.
[…]
Altra notazione da sottolineare è il tipo di rapporto delineato con il mondo politico, per il quale si avverte l’assoluta indifferenza verso precise scelte di campo, come quando, in altro punto del testo, si ipotizza l’eventualità di avvicinare (“selezionare gli uomini”) esponenti di forze politiche diverse, appartenenti ad aree persino opposte. Ma certo una delle peculiarità del documento è l’approccio asettico e in certo senso neutrale che esso prospetta nei confronti delle forze politiche, viste come uno degli elementi del sistema sui quali influire, di nessuna sposando per altro la causa politica in modo determinato. Rivelatore è in proposito il brano dianzi citato, dove si legge: «uomini… tali da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano…». Traspare da queste parole una concezione di subalternità e di strumentalità della politica in genere che costituisce uno dei tanti motivi di riflessione che siamo venuti a sottolineare nel corso del nostro lavoro sulla reale portata del personaggio Gelli e sui possibili suoi punti di riferimento politico e strategico.
Come si può constatare, la ricostruzione sinora condotta dei rapporti politici e dell’azione politica della Loggia P2 trova puntuale riscontro nei contenuti del piano di rinascita democratica e viene pertanto confermata sul versante ideologico oltre che su quello immediatamente operativo. A non dissimile conclusione infatti possiamo pervenire, rispetto a quanto prima enunciato, affermando che la vera filosofia di fondo, che permea le pagine di questo documento, è quella di un approccio ai problemi della società finalizzato al controllo e non al governo dei processi politici e sociali. La denuncia inequivocabile di questa concezione politica, sottesa a tutto il documento, sta proprio nel ruolo subalterno che alle forze politiche viene assegnato nel contesto del progetto sistematico racchiuso nel documento, che a sua volta collima con il miraggio dell’opzione tecnocratica intesa come alternativa a quella politica, secondo una indicazione ricorrente sin dal primo documento in nostro possesso.
[…]
La logica del controllo contrapposta a quella del governo balza qui in evidenza con tutta la cinica conseguenzialità di una visione politica che tende a situare il potere negli apparati e non nella comunità dei cittadini, politicamente intesa. E alla razionalizzazione degli apparati e dei processi produttivi, infatti, non del sistema di rappresentanza della volontà popolare del quale i partiti sono manifestazione, che il piano sintomaticamente si finalizza con lucida coerenza: una razionalizzazione che appare calata dall’alto — o iniettata dall’esterno ? — e che non promana come frutto dei processi politici attraverso i quali una società libera e vitale esprime le proprie tensioni e trova i suoi assetti istituzionali.
[…]
In armonia con queste considerazioni si pone l’insistente accenno al ruolo dei tecnici, contrapposti dialetticamente ai politici più che ad essi coordinati in funzione di ausilio e collaborazione: è infatti nella rottura dell’equilibrio tra decisione politica ed attuazione tecnica che viene individuato, con modernità di approccio, un cuneo di inserimento per l’attuazione dell’operazione di controllo.
[…]
In questa dimensione la Loggia P2 consegna alla nostra meditazione una operazione politica ispirata ad una concezione pre-ideologica del potere, ambito nella sua più diretta e brutale effettività; un cinismo di progetti e di opere che riporta alla mente la massima gattopardesca secondo la quale «bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’era»: così per Gelli, per gli uomini che lo ispirano da vicino e da lontano, per coloro che si muovono con lui in sintonia di intenti e di azioni, sembra che tutto debba muoversi perché tutto rimanga immobile.
La prima imprescindibile difesa contro questo progetto politico, metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso, sta appunto nel prenderne dolorosamente atto, nell’avvertire, senza ipocriti infingimenti, l’insidia che esso rappresenta per noi tutti — riconoscendola come tale al di là di pretestuose polemiche, che la gravità del fenomeno non consente — poiché esso colpisce con indiscriminata, perversa efficacia, non parti del sistema, ma il sistema stesso nella sua più intima ragione di esistere: la sovranità dei cittadini, ultima e definitiva sede del potere che governa la Repubblica

“Il piano di rinascita democratica ed il principio del controllo”
(Cap. IV; pagg 146 e ss)

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PATER PATRIAE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 dicembre 2015 by Sendivogius

master of puppets coloured by Zalines

Con la morte di Licio Gelli alla veneranda età di 96 anni, scompare l’ultimo (e più vero) padre costituente di questa protuberanza fascio-clerico-massonica, penzolante impotente alle propaggini inferiori dell’Europa, e meglio conosciuta come “Repubblica Italiana”.
Kiss the LicioElevato in forme mitologiche ad entità immanente, il Gran Maestro Venerabile (così si faceva chiamare) ha rappresentato per lunghissimo tempo l’incarnazione del “lato oscuro della forza” al servizio di uno Stato parallelo, in grado di incistarsi (peraltro con estrema facilità) nei gangli nevralgici dell’amministrazione pubblica dell’Italia ‘democratica’, determinandone spesso il corso e plasmandone l’identità in una sorta di doppia fedeltà istituzionale, col perseguimento dei più inconfessabili interessi. O almeno ciò è quanto avveniva prima di finire confinato nel buen retiro dorato di Villa Wanda, in quella sonnacchiosa provincia aretina improvvisamente sconquassata dall’ultimo scandalo della Banca Etruria: la stessa dove il Venerabile teneva i suoi conti fiduciari, potendo contare su una disponibilità di denaro in apparenza illimitata.
puparoConsiderato praticamente il “regista occulto” di tutte (o quasi) le trame eversive, che hanno sconvolto e condizionato il sottobosco della politica italiana per oltre mezzo secolo, non vi è stata inchiesta né scandalo in cui non sia comparso il nome del “grande burattinaio”, sempre defilato ma onnipresente, nella sostanziale ambiguità che ha contraddistinto la sua azione a tutti i livelli possibili di un contropotere nascosto, eppure palpabilissimo nella sua influenza costante, facendo della cospirazione ben più che un’arte di successo.
Istruzione elementare ed ambizioni smisurate, nel corso della sua lunghissima esistenza, Licio Gelli ha vissuto molte vite, rimanendo però coerente a quella che in fondo è sempre stata la sua estrazione ideologica di riferimento…
Licio Gelli - Tessera PNFFascista verace della prima ora, è attivissimo nelle repressione del dissenso. Con un ruolo mai chiarito (ci mancherebbe!) nei servizi segreti del duce, si dedica alle schedature di massa che redige con precisione maniacale. Nel 1943 aderisce convintamente ai “fasci repubblicani” della RSI di Salò; spione al soldo dei nazisti, fa il doppiogioco ed alla fine della seconda guerra mondiale solo per un soffio sfugge alla fucilazione per collaborazionismo, facendosi pure passare per partigiano (!). Ricostruita una verginità democratica, si ricicla senza problemi nella nuova Italietta democristiana (che gli garantirà protezioni e immunità), non venendo mai meno alla sua passione inveterata per l’intrigo e facendo più che tesoro delle sue esperienze pregresse. Gelli è in fin dei conti un uomo che si mette a disposizione, in un intreccio perverso di affarismo, complotti e politica, perseguendo un personalissimo disegno di potere…
LoggeLe sue ‘consulenze’ offrono la sponda alle pesantissime ingerenze della CIA di Allen Dulles e James Jesus Angleton nel dopoguerra. E non disdegnano i tentativi di colpo di stato (dal “Golpe Borghese” alla Rosa dei venti”) per l’instaurazione di un regime autoritario e parafascista, sulla falsariga della “Dittatura dei Colonnelli” in Grecia. Nell’intreccio di inchieste che lo Gladiolambiscono appena, durante la sua lunga epopea, il nostro piccolo eroe borghese compare nei misteri di “Gladio”. Bazzica l’eversione nera, insieme all’apertura di quella lunga stagione stragista che va sotto il nome di strategia della tensione (coi relativi depistaggi in istituzionale sede). Ma il personaggio fa capolino anche nei segreti del Caso Moro; rispunta nell’omicidio di Mino Pecorelli e nel crack del Banco Ambrosiano di Calvi e Sindona (entrambi suicidati), passando per la banca del OP- La Gran Loggia VaticanaVaticano (lo IOR). Il suo brand di riconoscimento più famoso resterà sempre la loggia massonica ‘coperta’ Propaganda 2, con ramificazioni in ogni articolazione possibile dell’apparato economico (dall’industria alla finanza) e militare. Praticamente controlla l’intero controspionaggio italiano, che una certa vulgata assolutoria definisce “deviato” quando l’infiltrazione era invece totale o quasi. E non disdegna incursioni nel mondo politico (inserendosi nella lotta tra correnti democristiane) e nell’editoria (dal Corriere della Sera, al controllo della Rizzoli, fino alla nascita delle tv commerciali di Silvio Berlusconi..). Perché Licio Gelli è forse uno dei primi in Italia a capire, meglio e più degli altri, l’importanza del ruolo dei mass-media nella manipolazione dell’opinione pubblica e conseguentemente del suo controllo. D’altronde e nonostante qualche fastidio, la P2 si rivela un’esperienza fortunata, destinata a rinnovarsi nel tempo…
loggia-P2-3-4-PnDemiurgo e ispiratore di un nuovo ordine, il Venerabile stilerà un vero e proprio manuale politico, con un cospicuo pacchetto di ‘riforme’, che chiamarà pomposamente “Piano di Rinascita democratica”. Va da sé che la parola “democratico” è presente solo nel nome del progetto e costituisce un ossimoro. A lungo osteggiato in Italia, il “Piano” troverà piena applicazione nei regimi dittatoriali dell’America Latina, dove peraltro Licio Gelli conduce un proficuo giro d’affari. Si scommette molto sull’Uruguay di Alberto Demicheli, ma è l’Argentina peronista il laboratorio più promettente… Il miglior interprete del piano di riforma sarà però la feroce giunta militare instaurata Jorge Videlanel 1976 dal generale Jorge Rafael Videla, e proseguita poi (fino al 1983) dai suoi subordinati con le stellette: Roberto Viola, Emilio Massera, Leopoldo Galtieri, Benito Brignone. È curioso notare come in pratica siano tutti o quasi oriundi italiani! La dittatura argentina rielabora quindi il “piano di rinascita“, che per la bisogna diventa “Processo di riorganizzazione nazionale” e che almeno non si ha l’ indecenza di chiamarlo “democratico”.
Giuramento della Giunta militare di MASSERA-VIDELA-AGOSTIBollato all’epoca senza indugio come progetto eversivo, il “Piano di Rinascita” elaborato da Gelli resterà a lungo relegato ai margini della vita politica italiana, come fantasia cospirativa per nostalgici mussoliniani. Bisognerà Ricevuta di pagamento per iscrizione alla P2aspettare il XXI secolo e l’avvento dell’ex confratello piduista Silvio Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, per veder tornare in auge l’antico prospetto restituito a nuova dignità ed inaspettata validità. Tuttavia, contro ogni previsione, è con l’instaurazione dell’ultimo governo abusivo di Laide Intese, ovviamente a prova di legittimazione elettorale, che il “Piano di Rinascita democratica” (ormai pienamente riabilitato) sembra trovare la sua massima legittimazione in ambito istituzionale, costituendo parte integrante nell’impianto ispiratore della nuova “riforma costituzionale” e “modernizzazione dello Stato”, pompata a colpi di decreti-legge e voti di fiducia a cadenza giornaliera, che sembrano essere diventati la prassi ordinaria del Governo Renzi.
Ce lo chiede LicioCol vezzo civettuolo del “padre nobile” in attesa del meritato riconoscimento, il Grande Vecchio non mancava di farlo notare, quanto mai compiaciuto da un così grande riconoscimento postumo, nel suo splendido esilio aretino dove si dedicava alle composizione poetiche, raccolte in edizioni autoprodotte di lusso per gli amici, fregiandosi del titolo di “conte”. A suo modo, Licio Gelli potrebbe essere considerato persino un “innovatore”, un “precursore” del nuovo millennio. E dunque andrebbe annoverato a pieno titolo tra i veri fondatori della sedicente Terza Repubblica (che assomiglia sempre più ad una merda rifatta e dipinta)  la quale, se tutto andrà come deve, sancirà in realtà il pieno trionfo di una lunga opera decennale, a coronamento del lavoro di una vita intera. Non per niente, a legittimazione della sua attività ‘sotterranea’, il personaggio ha sempre goduto di un’impunià pressoché totale.

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Le Lunghe Ombre

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , on 2 agosto 2013 by Sendivogius

Dead SilenceNel 33esimo anniversario della Strage di Bologna, un Porco fresco di condanna, corruttore ed evasore, lo sdogantore del nazi-fascismo in Italia, il trait d’union dei rapporti inconfessabili tra mafia e politica, l’affiliato (tessera 1816) alla Loggia eversiva P2… invece di rassegnare immediatamente le dimissione dal seggio senatorio che indegnamente occupa, si lancia nel suo ennesimo e sperticato attacco agli organi costituzionali della Stato, rilanciando i consueti strali contro la Magistratura che ha osato condannare il pornocrate.
Italy's former prime minister Silvio Berlusconi attends a session at the Senate in RomeA che titolo non è dato sapere, insieme agli scherani di quella sua associazione a delinquere cooptata nell’esecutivo della “larghe (immonde) intese”, ne pretende l’immediata “riforma” a scopo punitivo. E nel farlo non trova niente di meglio che aggrapparsi e riproporre le identiche bozze di intervento, già contenute nel famigerato Piano di Rinascita del suo mentore e “maestro venerabile” Licio Gelli, i cui confratelli ebbero un ruolo di primissimo rilievo nelle trame eversive dello stragismo e nei depistaggi, che raggiunsero il loro culmine nella mattanza bolognese della quale ricorre per l’appunto la tragica ricorrenza.
Licio Gelli - Tessera PNFE del resto il Piano di Rinascita, vero programma di governo alla base del berlusconismo, in questi 20 anni è stato in massima parte realizzato e messo a profitto nei suoi obiettivi (peraltro fatti propri anche da insospettabili vecchi e nuovi):

1) POLITICA e PARTITI.
 Nei confronti del mondo politico occorre: […] l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale.

2) MAGISTRATURA.
Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass. Naz. Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.
E’ sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento già operativo nell’interno del corpo anche ai fini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di eversione.
Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di una équipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di “ripresa democratica”, è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all’attuazione dei procedimenti sopra descritti.

Ricevuta di pagamento per iscrizione alla P2

Proprio in merito all’ordinamento giudiziario,

le modifiche più urgenti investono:

a) la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;
b) il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;
c) la normativa per l’accesso in carriera (esami psico-attitudinali preliminari);
d) unità del Pubblico Ministero (a norma della Costituzione – articoli 107 e 112 ove il P.M. è distinto dai Giudici);
e) responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del P.M. (modifica costituzionale);
f) istruzione pubblica dei processi nella dialettica fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici giudicanti, con abolizione di ogni segreto istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed eliminando le attuali due fasi d’istruzione;
g) riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale);
h) riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile;
i) esperimento di elezione di magistrati (Costit. art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in possesso di particolari requisiti morali;

3) Ordinamento di altri organi istituzionali
 a) Corte Costituzionale: sancire l’incompatibilità successiva dei giudici a cariche elettive od in enti pubblici; sancire il divieto di sentenze cosiddette attittive (che trasformano la Corte in organo legislativo di fatto);
 b) Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire l’ineleggibilità ed eliminare il semestre bianco (modifica costituzionale);
 c) Regioni: modifica della Costituzione per ridurre il numero e determinarne i confini secondo criteri geoeconomici più che storici.

4) GOVERNO.
 Sui numerosi provvedimenti inerenti l’ordinamento del governo (alcuni interessanti, altri condivisibili, molti altri meno) vale la pena ricordare:
a) modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso l’elezione del successore;
b) modifica della Costituzione per stabilire che i Ministri perdono la qualità di parlamentari;
c) riforma della legge comunale e provinciale per sopprimere le provincie e ridefinire i compiti dei Comuni dettando nuove norme sui controlli finanziari.

5) PARLAMENTO.

a) nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proporzionale secondo il modello tedesco), riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati – ex funzionari e imprenditori pubblici – ex militari ecc.);
b) modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza economica (esame del bilancio);
c) stabilire norme per effettuare in uno stesso giorno ogni 4 anni le elezioni nazionali, regionali e comunali (modifica costituzionale);
d) stabilire che i decreti-legge sono inemendabili;

6) MEDIA e INFORMAZIONE.
Nei confronti della stampa occorrerà:
 a) acquisire alcuni settimanali di battaglia;
 b) coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;
 c) coordinare molte TV via cavo con l’agenzia per la stampa locale;
 d) dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna
[…] Altro punto chiave è l’immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.

7) SINDACATI.
 Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell’UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi in una libera confederazione, oppure, senza toccare gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederali allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti (CGIL-CISL-UIL).
Sono previste:
 a) L’eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti (salvo 2 giugno – Natale – Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto.
 b) L’unificazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di sicurezza sociale da gestire con formule di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi attuali.

Già contemplate dalla “Riforma Sacconi”, sono state messe in pratica da Elsa Fornero, la maestrina tecnica del Governo Monti.

8) SCUOLA e ISTRUZIONE.
 Il rimedio consiste: nel chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio = posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel programmare, insieme al fenomeno economico, anche il relativo fabbisogno umano; ed infine nel restaurare il principio meritocratico imposto dalla Costituzione.
In proposito il “piano” prevede altresì: l’abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sflollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attui i precetti della Costituzione).

misfits

A suo tempo, la “Rinascita democratica” era stata entusiasticamente sottoscritta da un nutrito esercito di generali felloni e non pochi golpisti, torturatori argentini, vecchi reduci di Salò e neo-fascisti di ogni risma, la quasi totalità dell’apparato industriale e dei “servizi di sicurezza” militari, funzionari di Polizia, ufficiali dei Carabinieri e della GdF, sindacalisti della Cisl e parecchi arnesi politici molti dei quali passati poi a “Forza Italia”… e pure alla scomparsa IdV.
La comune Loggia di appartenenza, secondo l’emulo brianzolo di Al Capone, “raccoglieva gli uomini migliori del Paese”.

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ONORE AL MERITO!

Posted in Masters of Universe, Roma mon amour with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 agosto 2012 by Sendivogius

«In linea di principio potrei anche assumere mia madre, non mi pare inopportuno»

 È quanto ha dichiarato Sveva Belviso (il 31/07/12), vicesindaco di Roma già assessore alla Politiche Sociali, in merito all’assunzione della… cognata!
Ormai, è quasi impossibile tenere il conto dell’infornata di assunzioni al Campidoglio e “chiamate dirette” nelle aziende municipalizzate del Comune. Del resto, il vero fondamento della Repubblica italiana non risiede certo nel ‘Lavoro’, bensì nella ‘Famiglia’ alla quale gli italiani (politicanti inclusi) sono estremamente legati. Per questo non se ne separano mai.
La parola magica si chiama intuitu personae; è la formula prediletta per la pronta sistemazione di parenti, famigli e sodali, nell’accogliente greppia capitolina, a prescindere da titoli e competenze e fedina penale.
Per il resto dei comuni mortali, che protettori non ne hanno o non ne cercano, le cose funzionano molto diversamente…
Per esempio, è prevista:

a) L’immunità da condanne penali o procedimenti penali in corso che impediscano la costituzione di un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.
b) L’idoneità allo svolgimento delle mansioni relative al posto da ricoprire.

Tali prescrizioni costituiscono soltanto una parte dei requisiti di ammissione, per le “procedure di selezione pubblica per titoli ed esami”, in teoria obbligatorie, per l’assunzione (tramite concorso) al Comune di Roma. E in ogni caso:

“Non possono partecipare alla procedura selettiva coloro che siano dichiarati decaduti dall’impiego per aver conseguito dolosamente la nomina, mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità insanabile [per esempio, una laurea falsa] o che abbia riportato condanne penali con sentenza passata in giudicato.”

Le disposizioni sono contenute nella delibera comunale n.424 del 22/12/2009, a cura della giunta Alemanno la quale, con ogni evidenza, applica sulla carta i principi che bellamente ignora al proprio riguardo. Mentre il Civetta e la sua cricca piazzava vecchi squadristi e avanzi di galera, cubiste e semianalfabeti, ad incarichi di responsabilità, con infornate di masse e lauti stipendi, è divertente notare la scrupolosa attenzione con la quale vengono selezionati i travet comunali…

I principi che devono orientare l’azione amministrativa della P.A. nell’espletamento della funzione amministrativa sono riconducibili a tre tipologie di fonti normative (comunitarie, costituzionali, l.241/1990). Quale tra quelli indicati è individuato nel capo I della legge n. 241/1990?
A) Principio di semplificazione.
B) Principio del decentramento amministrativo.
C) Principio democratico.
D) Nessuna delle altre risposte è corretta.

Con riferimento alla realtà australiana, una delle seguenti non è tra le ragioni individuate da Savage nel 2006 per spiegare la scarsa attenzione degli operatori museali riguardo alle ricerche sul pubblico:
A) Convinzione che la missione del museo non è il pubblico ma la conservazione delle opere.
B) Convinzione di conoscere il proprio pubblico.
C) Convinzione di non poter sostenere le spese per un’indagine appropriata.
D) Mancanza di fiducia in qualsiasi tipo di ricerca sociale.

Secondo la definizione di Simona Bodo, i modelli di policy per il “museo relazionale” sono:
A) 3.
B) 4.
C) 5.
D) 6.

Con riferimento ai principi e/o criteri individuati nel Capo I della legge n. 241/1990 indicare quale affermazione sul principio della semplificazione del procedimento è corretta.
A) Per semplificazione si intende l’organizzazione del procedimento amministrativo che tende a valorizzare le esigenze di trasparenza e concentrazione dell’azione amministrativa, unitamente a quelle del giusto procedimento, attraverso l’introduzione di istituti e regole operative a tutti i livelli del procedimento.
B) Comporta che l’azione amministrativa deve svolgersi nei limiti dell’autorizzazione legislativa e nel rispetto dei principi che presiedono all’esercizio della funzione amministrativa.
C) Comporta l’obbligo per le P.A. di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso sia quando il procedimento è iniziato ad istanza di parte sia quando è iniziato d’ufficio.
D) Comporta per la P.A. l’obbligo di esporre le ragioni di fatto e di diritto (giustificazione), nonché delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta.

Sono alcuni dei quesiti (neanche tra i più difficili), contemplati nella prova preselettiva per il posto di Istruttore Servizi Culturali, Turistici e Sportivi al Comune di Roma, durante l’ultimo grande concorso pubblico. Sono domandine semplici, che presuppongono una certa preparazione giurisprudenziale, per un profilo professionale riservato a candidati con diploma di maturità liceale.

FOGNA SENZA FONDO
 L’incompetenza genera sempre costi supplementari. Il vantaggio di una giunta bulimica, che non riesce a controllare gli appetiti dei troppi gerarchi, è quello di poter addebitare le spese sul conto della cittadinanza. Infatti, oltre allo spropositato aumento della seconda rata dell’IMU (la più cara d’Italia), i Romani si sono visti aumentare il prezzo del biglietto di autobus e metropolitane, a fronte di un servizio trasporti che, con un pietoso eufemismo, si potrebbe definire ‘carente’. Va inoltre aggiunto l’aumento della tassa sulla (pessima) raccolta rifiuti, in una città oramai assediata dalle sue stesse immondizie. E non andrebbero dimenticati i continui disservizi di ACEA (acqua ed elettricità), che sembra sempre più incapace di emettere bollette con gli importi al consumo esatti.
E questo nonostante le migliaia di assunzioni clientelari nelle municipalizzate (tutte con i bilanci pesantemente in passivo): 1.400 assunzioni in AMA (raccolta rifiuti); 854 in ATAC (trasporto urbano), 600 assunzioni in ACEA (gestione idrica). L’aggravante risiede nel fatto che ACEA è una società quotata in borsa, che ha visto crollare in poco più di una anno i rendimenti azionari a seguito di una gestione a dir poco indecente.

Dopo aver infilato raccomandati ovunque e posto cialtroni incompetenti ai vertici aziendali, prosciugando le casse, la giunta fascista (hic et nunc e tutt’altro che post) ha provato inutilmente di svendere ACEA ai privati (leggi: Gruppo Caltagirone) e privatizzare la rete idrica nonostante l’esito del referendum sull’acqua pubblica. I palazzinari a Roma hanno sempre prosperato con le giunte di qualsiasi colore. Il loro sostegno è imprescindibile. Pertanto, coccolati i Caltagirone (e P.F.Casini, parente acquisito) non poteva certo mancare una lauta contropartita per il Gruppo Parnasi, a carico stavolta dell’ATAC. Si tratta di una delle tante sorprese lasciate in eredità dalla catastrofica gestione di Adalberto Bertucci [QUI] e che la nuova governance aziendale sta cercando disperatamente di contenere, limitando i danni fin dove possibile:

«L’ATAC ha un bilancio in rosso fisso. Eppure, l’azienda che gestisce la mobilità della Capitale, pensa a comprare una nuova sede da 24mila metri quadrati (che ancora deve essere costruita) sborsando 119 milioni di euro. Ma non solo. Decide di farlo con una modalità di pagamento che è estremamente vantaggiosa per il venditore (il fondo Sgr di BNP Baripas che ha come soggetto attuatore il gruppo di costruzioni Parnasi) e ad alto rischio per l’acquirente: un anticipo di 20 milioni e il resto in base all’avanzamento dei lavori. Un’operazione pericolosa fermata, solo per il momento, dalla nuova governance dell’Atac che è riuscita a trasformare il contratto di compravendita in un contratto di affitto. Ma il rischio resta.
[…] Decorsi 30 mesi dalla data di efficacia del contratto di affitto, infatti, il fondo che gestisce l’immobile vicino al Grande raccordo anulare può tornare a chiedere ad Atac di acquistare il complesso a 94 milioni di euro (pari alla differenza tra il nuovo prezzo ribassato e i 20 milioni versati per il canone) utilizzando anche come pagamento un’eventuale permuta. Magari proprio una delle attuali sedi, come quella strategica in via Tiburtina rimasta deserta per via del trasferimento del personale nel nuovo immobile. Operazioni finanziare ad altissimo rischio, effettuate con i soldi dei cittadini.»

Davide Desario
Il Messaggero – 03/08/2012
(Articolo integrale QUI)

Inoltre, trasformare il Campidoglio e le sue aziende in una enorme ‘casa del fascio’, per il collocamento dei camerati in disarmo e dei democristiani in transumanza, con la creazione di nuovi bacini di voto clientelare, non ha portato fortuna al podestà barese subissata da una sequenza di scandali a ciclo continuo, con cadenza settimanale.

Nell’indecente farsa senza fine della parentopoli romana, non poteva certo mancare il classico siparietto assenteista, con gli impiegati che timbrano il cartellino per poi dileguarsi. Palcoscenico di turno: ACEA.
Peccato che i due furbacchioni colti sul fatto non siano dipendenti qualsiasi… Si tratta infatti di Enrico De Castro (classe 1965) e Alessandro Causi (classe 1963), rispettivamente capo della sicurezza informatica e responsabile della vigilanza il secondo. I due utilizzavano le ore d’ufficio per dedicarsi all’autosalone di famiglia, facendosi rimborsare peraltro le “spese di trasferta” direttamente dall’ACEA.
Nel 2010 la loro assunzione, naturalmente con chiamata diretta su segnalazione (pare) del Campidoglio, a suo tempo aveva suscitato più di un mugugno scandalizzato. Il loro primo ingresso nella partecipata pubblica risale al 2008, quando imboccano entrambi con un contratto di consulenza a cinque mesi (rinnovabili), come ‘esperti della sicurezza’ per conto della “Security Service”. Di rinnovo in rinnovo, il contratto originario si trasforma in assunzione diretta a tempo indeterminato, non prima di aver intascato quasi 150.000 euro in consulenze e nonostante in Acea esistesse già una più che avviata divisione per la sicurezza. E se Enrico De Castro ha esperienze lavorative alla Ericsson ed alla British Telecom, Alessandro Causi può vantare una laurea in “Scienze Investigative” conseguita presso la famosissima Constantinian University, ateneo cattolico con sede nel Rhode Island (USA).
La prestigiosa istituzione viene costituita nel lontano agosto del 1966, da mons. Eugenio Tissarant, arcivescovo di Ostia, come Università degli Studi Costantiniana. La sede originale si trova alla Giustiniana (oscillando ai due estremi della periferia romana), ma la vocazione è internazionale e il trasferimento negli USA a partire dal 2000 solleva il presunto ateneo da fastidiose verifiche ministeriali.
Una curiosità: il ‘senato accademico’ della sedicente università vanta tra le sue “autorità” anche il gen. Amos Spiazzi. Il vecchio generale monarchico è stato un anello delle trame eversive, attraverso il quale sono passati i fili della sottile linea nera del golpismo italiano, dalla Rosa dei Venti al Golpe Borghese, dalla Strage di Piazza Fontana all’adesione alla Loggia P2 di Licio Gelli, contraddistinto da un’ambiguità di fondo mai dissolta.

Il Business delle Sicurezza
 La furbissima accoppiata Causi e De Castro, i due consulenti diventati dirigenti ma venditori d’auto a tempo pieno, sembra si avvalesse pure dei servigi degli (ex) colleghi della Security Service, ovvero l’istituto di vigilanza che ha in appalto la sicurezza di Acea.
Nella selva dei nomi più improbabili, per un’inflazione delle sigle più disparate, quello delle agenzie private per la vigilanza e per la sicurezza è un business tutto particolare, pompato da commesse quasi sempre pubbliche, quasi sempre su assegnazione politica, per stipendi miserrimi e assunzioni su ‘segnalazione’. Insieme alle cooperative di facchinaggio e di pulizie, costituiscono una riserva strategica di assunzioni clientelari. Specialmente per quanto riguarda i servizi di portierato e reception, tali agenzie costituiscono un pratico supplemento occupazionale, per la creazione di personali bacini di ritorno elettorale. È questa a Roma una pratica soprattutto ad uso UDC, come si conviene ad una specialità d’origine democristiana.
È un intreccio di rapporti sotterranei e commistioni politiche tutt’altro che limpido e con interessi non sempre leciti, nel suo impianto dalla facciata legalitaria e dall’impronta fascistoide.
La “Security Service”, dalla quale Alessandro Causi proviene e deve le sue fortune nel pubblico impiego, non è affatto sconosciuta alla cronaca recente, essendosi guadagnata una certa notorietà in ambito giudiziario…

LA CUCCAGNA SANITARIA
 Forse pochi ricordano come l’agenzia privata sia stata coinvolta nel mega-scandalo della Sanità laziale, ai tempi allegri della giunta regionale del fascistissimo Francesco Storace, che molto ha contribuito alla voragine contabile della Regione Lazio: questo nero deretano al centro della Penisola, capace di defecare da 70 anni e senza vergogna alcuni dei peggiori politicanti nazionali.
Nel corso del 2007, il NAS dei Carabinieri smantella un sistema di corruzione scientifica, che gravita attorno ad un pugno di manager pubblici e imprenditori privati, fondato sulla manipolazione delle gare d’appalto, il sovrapprezzo delle forniture ospedaliere, l’assegnazione dei servizi di vigilanza privata per i presidi ospedalieri, e i rimborsi truccati della cosiddetta sanità convenzionata.
Al centro della truffa c’è la Asl RM/C. Tra gli ospedali invischiati nello scandalo c’è il presidio dell’Addolorata (interno all’Ospedale S.Giovanni), il Sant’Eugenio, l’Istituto Zooprofilattico del Lazio, il Presidio ospedalierio Sant’Anna…
Si falsifica tutto: dai numero dei pasti forniti ai conti della lavanderia, dai rimborsi spese alla contabilità ordinaria, fino al numero dei ricoverati e delle prestazioni fornite… Dal 2002 al 2006, verranno conteggiati 280.000 degenti fantasma per ricoveri mai avvenuti.
Sono coinvolti dirigenti sanitari, imprenditori, ma anche grossi esponenti politici. Per esempio, c’è Marco Buttarelli, ex capo di gabinetto di Storace; Giulio Gargano, ex assessore ai Trasporti. Soprattutto, c’è Marco Verzaschi, transfuga democristiano specialista in riciclaggio presso il vincitore del momento: candidato in “Forza Italia” (1995), assessore alla Sanità del Lazio nella giunta regionale di Francesco Storace, eppoi riciclato nell’UDEUR di Clemente Mastella (2005), pronto per diventare sottosegretario alla Difesa nel Governo Prodi.
Tra le personalità di rilievo della truffa, c’è Anna Giuseppina Iannuzzi, soprannominata Lady Asl. Figlia di un ambulante dell’avellinese, fa la sua fortuna a Roma e insieme al marito, l’ing. Andrea Cappelli, gestisce il “Centro Romano San Michele”.
Secondo le accuse, Marco Verzaschi si sarebbe fatto versare 200.000 euro, per l’accreditamento della struttura in convenzione. Il condizionale è d’obbligo visto che non c’è una sentenza definitiva e Verzaschi ha sempre respinto ogni addebito.
Altri 200.000 euro l’onorevole se li sarebbe fatti dare, tra il 2004 ed il 2005, da Renato Mongillo, titolare della Security Service, per l’assegnazione della vigilanza privata all’Ospedale S.Giovanni. Altri 20.000 euro Mongillo li avrebbe dati a Franco Cerretti, il direttore amministrativo del S.Maria Addolorata.

Nel sistema, secondo i carabinieri, c’era anche Luigi Moriccioli, il ciclista ucciso sulla pista ciclabile nell’estate del 2007, dipendente del San Giovanni, che avrebbe collaborato con Cerretti. Altre irregolarità sarebbero emerse anche in alcuni appalti della società “Innova” presso gli ospedali Sant’Eugenio e Cto che fanno capo alla Asl RmC.

Cecilia Cirinei
L’Espresso – 10/06/2009

Luigi Moriccioli è il ciclista massacrato a Tor Di Valle, da due balordi rumeni il 17/08/2009.
Il delitto verrà poi strumentalizzato oltre ogni decenza (pareva l’avesse ammazzato Veltroni), durante la campagna elettorale di Gianni Alemanno, insieme ad qualsiasi altro fatto di cronaca nera. Salvo poi glissare ogni responsabilità per l’escalation criminale a elezione avvenuta. La figlia di Moriccioli, aveva trovato pronta candidatura nelle file di AN, come una dei “garanti per la sicurezza”. E d’altra parte le preoccupazioni securitarie del sindachetto barese sono ridotte ormai a propagandistici raid notturni contro il meretricio da marciapiede (peraltro dilagante).

SECURITY SERVICE & dintorni
Renato Mongillo è il grande accusatore. Arrestato nel Luglio del 2007 è colui che permette di scoperchiare i gangli del sistema, rivelando le corruttele politiche.

Il direttore amministrativo del S.Giovanni [Franco Cerretti] è stato incastrato da Renato Mongillo, titolare della Security Service, arrestato a luglio 2007 in uno dei filoni dell’inchiesta su Lady Asl: l’imprenditore ha rivelato di aver dato 20 mila euro a Cerretti in cambio dell’aiuto che avrebbe avuto per vincere l’appalto per la sicurezza del San Giovanni. Dopo la confessione, sono iniziate le intercettazioni telefoniche e ambientali. In quella del 2 dicembre 2007 un’impiegata spiega a una collega: «Loro li alteravano i conteggi, sia Cerretti che Moriccioli. Li alteravano perché consideravano sempre che su un letto mangiavano due persone, quello che usciva e quello che entrava. L’aggiustavano a modo loro. Carta vince e carta perde». Sarebbero stati 283.896, tra il 2002 e il 2006, i pazienti fantasma, conteggiati solo per far lievitare il costo di pasti e lenzuola.

Alessandro Fulloni e Ilaria Sacchettoni
“Tangenti in ospedale”
Corriere della Sera del 10 Giugno 2009

La collaborazione però non gli risparmia il rinvio a giudizio e una condanna di risarcimento erariale, da parte della Corte dei Conti (Sent. N.775/2011).
In pratica, la Security Service, per i suoi servizi di vigilanza, incassa dalla Asl Roma/C pagamenti non dovuti per 1.142.000 euro.

“trattandosi di interessi legali e fatture non ancora liquidate o liquidate solo parzialmente, per le quali erano stati commessi grossolani errori di calcolo, oltre che basati solo sulla documentazione presentata dalla società, senza alcun riscontro con quanto risultante agli atti della A.S.L.”

Inoltre, si legge nella sentenza che:

“gli accertamenti condotti nell’ambito di altro procedimento penale avevano riscontrato diversi episodi di corruzione in cui erano stati coinvolti gli amministratori della ASL RM/B (alcuniimprenditori mediante la corresponsione di tangenti, miravano ad ottenere l’aggiudicazione di appalti o il rinnovo di contratti per la fornitura di beni e servizi); considerato che la medesima società aveva svolto servizi di vigilanza anche per la ASL RM/C, venivano svolti accertamenti che permettevano l’emersione di ulteriori irregolarità consistenti nella emissione di falsi mandati di pagamento, formalmente registrati in favore di società contraenti con la medesima ASL, mentre di fatto le somme di denaro venivano accreditate su c/c intestati ad altre società di comodo riconducibili ai componenti del sodalizio criminale; le informazioni acquisite dai titolari delle società destinatarie dei mandati di pagamento consentivano di accertare che le loro ditte non vantavano i crediti riportati nei mandati e non avevano mai delegato per la riscossione le società sui conti delle quali erano state effettivamente versate le somme di denaro.”

La vicenda, assai poco edificante, non ha impedito alla filiazione meridionale della ‘Security Service’ (la Security Service Sud) di aggiudicarsi nel 2010 un mega-appalto da 45 milioni di euro in tre anni, per i servizi di vigilanza presso la Asl di Napoli 1. La gara al ribasso è stata vinta per un solo centesimo di differenza (sul pagamento ogni singola ora di lavoro), rispetto alle offerte delle concorrenti.
A Roma invece, in un afflato di rigorismo legalista senza precedenti, con raffiche di ricorsi al TAR contro le assegnazioni di appalti pubblici (dall’Acea alle Asl regionali) alla Security Service, si è distinta una battagliera alleanza di alcune delle principali agenzie della Capitale, capitanate dall’Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma

Montali & Friends
 L’Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma, insieme alla Securitas Metronotte, la Roma Union Security (che fa capo a Claudio Lotito), Italpol, Capitalpol… costituiscono un’associazione temporanea d’impresa (ATI); al contempo, non mancano partnariati anche con la SIPRO di Salvatore Di Gangi. In pratica, si spartiscono la quasi totalità delle commesse pubbliche a Roma e per conto della Regione Lazio. Di fatto, anche se non è lecito dirlo, secondo i malevoli, costituirebbero quasi una sorta di cartello, rimpallandosi a turno gli appalti più ghiotti: i depositi dell’ATAC; il centro RAI di Saxa Rubra; la vigilanza nelle stazioni della metropolitana; il portierato nelle sedi ministeriali, non ultimo, il ministero dei Beni Culturali.
Il responsabile per lo “Sviluppo Partecipazioni e Controllo Gestione” per conto della Nuova Città di Roma è Fabrizio Montali. Figlio di un ex esponente socialista di epoca craxiana: Sebastiano Montali, siciliano trapiantato a Roma, presidente della Regione Lazio (1985-1987), sottosegratario alle partecipazioni statali (il regno degli appalti pubblici), invischiato nel caso della maxi tangente Enimont, e (manco a dirlo!) approdato in “Forza Italia”.
Montali junior, quello che tanto si è indignato per le fortune della rivale Security Service, non sembrerebbe essere esattamente un immacolato…
Nel 2010 viene denunciato da Mauro Brinati, segretario territoriale della Fisacat Cisal di Roma, per tentata corruzione, nell’ambito di una presunta truffa e falsificazione dei bilanci aziendali per 32 milioni di euro.
Ma le prime indagini sul suo conto risalgono al 2003, nell’ambito del cosiddetto “Vip-Gate”, una delle prime inchieste condotte da Henry John Woodcock, per conto della Procura di Potenza.

“[L’inchiesta] nota come «Vip-gate» nel dicembre del 2003 portò all’iscrizione nel registro degli indagati di 78 persone tra cui politici, due ministri, personaggi dello spettacolo e del giornalismo, funzionari di Ministeri, Comuni, enti pubblici per una serie di reati che andavano dall’associazione per delinquere per la turbativa di appalti all’estorsione, alla corruzione, al millantato credito ed al favoreggiamento. Un’inchiesta che si concluse con l’archiviazione degli indagati più noti ma alcuni fascicoli sono ancora aperti in altre Procure. Il Vip gate era un filone di una precedente indagine incentrata sulle «tangenti Inail» e sulle «tangenti del petrolio» del maggio dell’anno precedente che aveva decapitato i vertici nazionali dell’Inail e coinvolto anche politici lucani di primo piano.

Il Tempo – 17/06/2006

Nel 2006 invece è coinvolto in una storiaccia di estorsioni e minacce con l’intramontabile Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana, per conto del quale pare faccia il prestanome per l’intestazione fittizia dei beni. L’intera vicenda la trovata riassunta QUI.
Per questo,

«E’ indagato per tentata estorsione dal pm Lucia Lotti della Procura di Roma che ne ha già chiesto il rinvio a giudizio per riciclaggio, corruzione e intestazione fittizia di beni con l’aggravante di mafia. Montali sarebbe stato il prestanome di Enrico Nicoletti, accusato di essere il cassiere della banda della Magliana

Paolo Forcellini
“I boss della vigilanza”
L’Espresso (09/10/2006)

Pertanto, nell’autunno del 2006, tramite il Consorzio Pegaso di cui è presidente, Montali rileva dal fallimento l’Istituto Urbe.

«Nel consorzio Pegaso è presente anche Salvatore Di Gangi, il re della vigilanza privata al vertice di un impero di 5 mila vigilantes. Anche lui in passato si è incrociato con Nicoletti: è stato socio al 50 per cento di un’immobiliare che, per l’altra metà, è stata sequestrata a don Enrico. Nonostante tutto, la politica asseconda il consorzio Pegaso. Montali ha partecipato alle riunioni convocate dal ministero dello Sviluppo in qualità di salvatore dell’Urbe.»

Paolo Forcellini
“I boss della vigilanza”
L’Espresso (09/10/2006)

Salvatore Di Gangi, gran patronus di un colosso della vigilanza privata come la SIPRO, è uno di quei personaggi che meriterebbe una trattazione a parte…

«Salvatore Di Gangi, siciliano, inquisito per una lunga serie di reati. E ciò nonostante dominus di una delle più emergenti tra le aziende che si occupano di sicurezza privata in Italia. L’azienda di Di Gangi si chiama Sipro, e nasce nel segno della P2. A fondarla, infatti, è Antonino Li Causi, tessera 526 della loggia guidata da Licio Gelli, un siciliano trapiantato a Roma. Nel 1994 la Sipro viene rilevata da un altro isolano di stanza nella capitale: è lui, Di Gangi, nato nel 1946 a Canicattì. Quando rileva la Sipro, Di Gangi a Roma si è gia ben ambientato, ha amici politici e rapporti d’affari. E anche frequentazioni oscure: suo fratello Vittorio detto Er Nasca bazzica gli ambienti della Banda della Magliana, l’altro fratello Aldo detto Buscetta inanella denunce. Ma ciò non impedisce alla Sipro, sotto la guida dell’ energico siciliano, di crescere, espandersi, conquistare appalti privati e pubblici: questi ultimi soprattutto nelle Poste e nella Difesa, da anni feudo della destra. Per allargarsi, Di Gangi non disdegna metodi sbrigativi, come truccare gli appalti mettendosi d’accordo con i concorrenti. Ed è così che entra nella indagine da cui, filiando come amebe, scaturiscono quasi tutte le inchieste successive, compresa quella che oggi colpisce Storace. L’inchiesta-madre è quella sull’Ivri, il più grosso istituto di vigilanza privata italiano, accusato di comprare appalti a suon di tangenti. Di Gangi finisce inquisito per avere addomesticato in combutta con Ivri una gara per la vigilanza sulle caserme dell’esercito.
[…] Ma di certo l’imprenditore della Sipro ha amicizie che portano dritto nel cuore del mondo delle intercettazioni: è lui stesso a vantarsi di avere un “contatto” ai vertici di Telecom, i suoi rapporti con alcuni alti ufficiali della Guardia di finanza sono notori. Meno notorie, e ormai ingiallite dal tempo, sono le tracce che lo legavano, anche se meno direttamente del fratello Vittorio, ad ambienti criminali dell’ estrema destra romana: in via Magliano Sabina 22, dove hanno sede le società di Di Gangi, risultava anche la Immobiliare Generale Sarda, una società controllata da Enrico Nicoletti, che della Banda della Magliana era accusato di essere il cassiere. Vicende remote e vicende recenti, insomma, sembrano incrociarsi intorno a questo sessantenne riservato e alacre. Oggi Di Gangi è un imprenditore talmente rispettabile che il 27 aprile dell’anno scorso l’Unione Industriali di Roma lo ha designato alla guida della nuova associazione di settore dedicata al mondo della security aziendale, la Sezione Sicurezza. E, a dispetto dei dispiaceri giudiziari, la Sipro sta allargando a vista d’ occhio il suo giro d’affari. A Milano, per esempio, ha ottenuto un contratto per la sicurezza della Fiera, andando ad occupare lo spazio lasciato libero dai rivali di Ivri: gli stessi con cui, secondo la Procura milanese, si accordava per taroccare le gare d’appalto.»

“Segreti e appalti milionari gli affari del re dei vigilantes”
Luca Fazzo La Repubblica (13/03/2006)

Secondo le ricostruzioni giornalistiche, Salvatore Di Gangi avrebbe le mani in pasta ovunque, dai depuratori calabresi al mondo delle intercettazioni illegali; bazzica i servizi segreti militari di Niccolò Pollari e gli spioni del Caso Telecom.
Sempre nell’ambito del Consorzio Pegaso, ritornando invece a Fabrizio Montali, nel 2006 a perorare il salvataggio dell’Istituto Urbe, facendosi sponsor politico dell’operazione, c’è il Sergio De Gregorio… Il senatore napoletano è un altro di quei fenomeni da baraccone che solo Antonio Di Pietro (con raro intuito) riesce a raccattare tra i suoi candidati, a imperitura vergogna. De Gregorio in pratica attraversa tutto l’arco istituzionale: prima il PSI, poi Forza Italia, poi gli Autonomisti di Gianfranco Rotondi… Nel 2000 fonda l’associazione “Italiani nel mondo”, insieme a Nicola Di Girolamo (un altro bel tomo la cui storia abbiamo raccontato QUI); nel 2005 entra nelle fila dell’IdV, poi è di nuovo in Forza Italia e quindi nel PdL. Recentemente salvato dall’arresto con la negazione parlamentare della richiesta a procedere, tra il 2007 ed il 2009, De Gregorio è nell’ordine indagato dalla Procura di Napoli per riciclaggio e favoreggiamento della camorra; stesso reato gli viene ascritto dalla Procura di Reggio Calabria, insieme al concorso esterno di associazione a delinquere di stampo mafioso. Dalla Procura di Roma invece è indagato per corruzione.
 Nel febbraio 2012, concludendo in bellezza, Sergio De Gregorio viene indagato per truffa e false fatturazioni insieme al faccendiere Valter Lavitola (quello della Casa di Fini a Montecarlo), per appropriazione indebita dei finanziamenti (23 milioni di euro) destinati a L’Avanti! il quotidiano di cui Lavitola è direttore.

Poi ci si meraviglia che a Roma la giunta comunale abbia reclutato il povero Maurizio Lattarulo.
Ci si chiede piuttosto perché mai non venga riabilitata l’intera Banda della Magliana, appaltando la sicurezza dello Stato direttamente ai picciotti di mafia, in perfetta sinergia.

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Eravamo quattro amici al bar

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«Non state a leggere i titoli dei giornali, stamattina hanno parlato di P3 ma sono quattro pensionati sfigati, che si sarebbero messi insieme per cambiare l’Italia. E se non ci riesco io…»
 (S.Berlusconi – 13/07/2010)

In effetti il Caro Leader è fedele al modello originale a cui si attiene con coerenza.
Perché inventarsi una presunta “P3” dal momento che il programma della floridissima Loggia P2 è stato elevato a prassi organica di governo?
Dopo le dimissioni dell’inconsapevol
e Claudio Scajola dallo ‘Sviluppo economico’, in pochi giorni abbiamo avuto quelle del pluripregiudicato Aldo Brancher, elevato a provvisorio Ministro del Nulla, insieme al sospetto camorrista Nicola Cosentino che rinuncia alla sua carica di ‘Sottosegretario all’Economia’.
Per essere la settimana del
ghe pensi mi, come risultato non c’è male.
Questo stillicidio dimissionario in flagranza di reato è la metafora inquietante di una Cleptocrazia che, in piena crisi economica, non ha alcun piano strategico di intervento, al di fuori del ladrocinio applicato.

Tornando ai “quattro pensionati sfigati”, questi sono in realtà amici di vecchia data di Re Silvio da Arcore…
C’è l’intramontabile
Flavio Carboni, con i suoi 78 anni vissuti pericolosamente nella presunzione di impunità; l’onnipresente Marcello Dell’Utri, sedicente bibliofilo con la passione per il duce e la mafia, che frequenta disinvoltamente guappi e picciotti; il dinamico Denis Verdini, coordinatore PdL e banchiere intrallazzone, assurto agli onori delle cronache giudiziarie come la variante casereccia di Winston Wolf nella Pulp Fiction delle Libertà.
Ma tra i giocatori di questo strano ‘scopone scientifico’ ci sono anche due vecchi arnesi in disarmo della politica pentapartita
Arcangelo Martino, ex assessore socialista del Comune di Napoli, sodale craxiano che avrebbe presentato (non si sa a che titolo) il messo comunale Elio Letizia, padre della più famosa Noemi, all’onnipotente “Cesare” al governo.
Pasquale Lombardi, geometra e sedicente giudice tributarista (in virtù della sua partecipazione a varie commissioni tributarie) col pallino degli affari.
Sono gli
“Sviluppatori” del nuovo millennio: parola di fresco conio per un mestiere antico che, nell’Italia che ruba, non conosce declino. Lo sviluppatore si preoccupa di procacciarsi le concessioni, acquisire terreni, convincere le amministrazioni comunali, gestire le compravendite, meglio se con un capitale sociale minimo, attraverso una rete di società a responsabilità limitata, e poi cedere tutta la gestione alle grandi compagnia.  Un tempo si chiamavano “faccendieri”

L’OSCURO FACCENDIERE
 Flavio CARBONI (Sassari, 14/01/1932) è uno specialista unico nel suo genere. Invischiato nelle trame più torbide dei misteri italiani, è un procacciatore d’affari che si muove a suo agio nel sottobosco della politica e nelle pieghe oscure delle finanza italiana (e vaticana), frequentando disinvoltamente monsignori e massoni, imprenditori e mafiosi. Per tutti è “il Faccendiere” esperto in mediazioni.
Condensare in una sintesi di poche righe le gesta di Flavio Carboni non è un’impresa ardua, ma cosa semplicemente impossibile. Perciò proveremo a dare una semplice idea d’insieme delle molte attività poste in essere in un trentennio di attività.

Tra le sue molte intermediazioni d’affari poco ortodosse, il “faccendiere” è entrato in relazione con personaggi di primo piano della famigerata Banda della Magliana (Domenico Balducci, il cravattaro della bandaccia), con mai chiarite implicazioni nel sequestro di Emanuela Orlandi (QUI); con i servizi segreti militari (SISMI) tramite Francesco Pazienza; con Licio Gelli e la Loggia P2; con la Mafia siciliana… In particolare, è stato in contatto con Giuseppe ‘Pippo’ Calò conosciuto come il Cassiere dei Corleonesi, per conto dei quali riciclava il denaro sporco e reinvestiva i proventi criminali in ambiziose operazioni finanziarie. Viene implicato nel gigantesco crack del Banco Ambrosiano ed invischiato nell’omicidio di Roberto Calvi, il Banchiere di Dio del quale potete leggere un’agevole biografia QUI dove è riportata in breve tutta la catena.
Tutti saldamente uniti nella fratellanza massonica di osservanza piduista.

«Calvi trasferisce somme stratosferiche su conti segreti intestati a Licio Gelli, Pippo Calò, Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Umberto Ortolani, e opera scalate azionarie fino al tentativo di acquistare il “Corriere della Sera” nel 1976. gli è vicino un piccolo imprenditore sardo, che è in grado di fungere da ponte tra Roberto Calvi ed il mondo politico italiano.
[…]
Il 19/10/89 a Roma viene arrestato Flavio Carboni con l’accusa di truffa e ricettazione della borsa che Roberto Calvi aveva con sé quando espatriò clandestinamente a Londra, dove è morto. E nell’impeachment è implicato il vescovo cecoslovacco Pavel Hnilica che avrebbe ricevuto da Carboni documenti relativi allo IOR in cambio di alcuni assegni in bianco.»

 La Santa Casta della Chiesa
Claudio Rendina
Newton Compton; 2009.

E pur tuttavia, Carboni riesce ad uscire sempre indenne dalle inchieste che lo coinvolgono, ritornando immediatamente in gioco per sempre nuovi affari.
Questo “sfigato pensionato” è altresì una vecchia conoscenza di Silvio Berlusconi col quale ha condiviso più di una operazione di speculazione immobiliare in Sardegna, nell’ambito del cosiddetto progetto
Olbia 2 – Costa Turchese.
In proposito, alcune informazioni interessanti le trovate
QUI.
  P.S. Ripensando ad Olbia 2… questa storia delle città fotocopia (new towns), numerate in progressione, devono essere una vera fissazione del Cavaliere.

Il SODALICIUM
 Il 30/06/2010 il GIP del Tribunale ordinario di Roma, Giovanni De Donato, emette una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di tre dei comprimari già citati in apertura. Sono per l’appunto Flavio Carboni, Pasquale Lombardi, e Arcangelo Martino.

«Perché in concorso con terze persone costituivano, organizzavano, e dirigevano un’associazione per delinquere, diretta a realizzare una serie indeterminata di delitti, ivi compresi quelli di corruzione, abuso d’ufficio, diffamazione e violenza privata, caratterizzata dalla segretezza degli scopi, delle attività e della composizione del sodalizio, volta altresì a condizionare il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, nonché di apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali»

(Ordinanza di Custodia Cautelare)

Secondo gli inquirenti, la triade si ripartisce le competenze in base alle proprie specialità di intervento: A.Martino e F.Carboni gestiscono i rapporti col mondo dei politici e dell’imprenditoria; P.Lombardi cura i rapporti con gli ambienti di una certa magistratura oltremodo politicizzata, che non suscita alcuno scandalo a destra e piace più che mai agli intraprendenti cortigiani dell’Imperatore.
 I rapporti con la magistratura sono fondamentali, poiché grazie all’interessamento di giudici compiacenti non solo è possibile disinnescare la minaccia di eventuali controlli, stornando l’azione giudiziaria altrove, ma anche indirizzare gli interventi verso esiti pilotati a vantaggio esclusivo di determinati personaggi e gruppi politici.
Per la bisogna, il ‘Sodalizio’ sviluppa “una fitta rete di conoscenze nei settori della magistratura e della politica da sfruttare per i propri i fini segreti […] coinvolgendo con funzioni diverse anche personalità estranee al sodalizio”, ma utili al perseguimento degli obiettivi in cambio di un congruo corrispettivo in termini di vantaggi, di carriera, e di redditizie consulenze private.
Fra gli strumenti utilizzati per stabilire i contatti e le cooptazioni, vi è un’associazione denominata
Centro studi giuridici per l’integrazione europea “Diritti e Libertà”. Si tratta di un’invenzione di Lombardi (segretario) e Martino (responsabile).

«Tale struttura svolge in apparenza attività culturali nel settore giuridico, tramite l’organizzazione di convegni, spesso in località di prestigio, di elevato livello per temi trattati e qualità dei relatori e dei partecipanti. Tale attività risulta però strumentale rispetto alle finalità di costruire e consolidare rapporti confidenziali con personalità politiche»

Anche perché, stando a quanto ipotizzato dagli investigatori, il centro studi sarebbe cogestito in maniera occulta dallo stesso Carboni.

«Nel corso dei mesi di settembre e ottobre 2009, CARBONI, MARTINO e LOMBARDI hanno concordato e tentato l’avvicinamento di giudici della Corte Costituzionale, allo scopo di influire sull’esito giudiziario relativo alla Legge n.124/2008 (c.d. lodo Alfano), che aveva introdotto la sospensione del processo penale per le alte cariche dello Stato. L’operazione, per quanto emerso, è stata compiuta essenzialmente da Lombardi, previo accordo e contatto costante con gli altri due, e si intreccia con il tentativo dei tre di ottenere la candidatura dell’on. Nicola COSENTINO alla carica di presidente della Regione Campania.
[…] Dopo l’adozione di un’ordinanza cautelare nei confronti di quest’ultimo, hanno cercato di favorire un rapido accogliemento del ricorso proposto contro tale misura, grazie al rapporto esistente tra Lombardi ed il presidente della Corte di Cassazione, nel tentativo di recuperare la candidatura di Cosentino. Dopo il rigetto del ricorso e dove che i vertici del partito avevano individuato come proprio candidato Stefano CALDORO, il gruppo ha iniziato una intensa attività diretta a screditare il nuovo candidato e così ad escluderlo dalla competizione elettorale, tentando di diffondere, all’interno del partito e a mezzo internet, notizie diffamatorie sul suo conto.»

La rete è così capillare che Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto di Roma, contesta loro il reato associativo con la costituzione di una nuova P2.
Ma andiamo per ordine…

GIOCO DI SQUADRA
 Il ‘Sodalizio dei Pensionati’ gioca principalmente su tre direttive:
1) “Attività di inferenza” nei confronti della magistratura, con lo scopo di coinvolgere componenti del TAR, della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale, fino al Consiglio Superiore della Magistratura, nelle attività del gruppo.
2) La mancata candidatura di Nicola Cosentino alla presidenza della Regione Campania e la campagna di diffamazione aggravata ai danni di Stefano Caldoro, rivale interno allo stesso PdL.
3) L’accaparramento di appalti in esclusiva, per lo sviluppo di impianti eolici in Sardegna.

In una informativa del 18/06/2010, i Carabinieri del ROS di Roma, che si occupano della conduzione pratica delle indagini, annotano:

«Il modus operandi e le attività degli indagati rivela una vera propria struttura riservata, costituita e partecipata, da Flavio Carboni, da Arcangelo Martino e da Pasquale Lombardi.
L’organizzazione svolgeva in maniera sistematica e pianificata un’intensa, riservata ed indebita attività di interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionale di amministrazioni pubbliche, allo scopo di ottenere vantaggi economici o di altro tipo. Un gruppo che si giova dell’appoggio di due referenti politici, i parlamentari Dell’Utri e Denis Verdini. Altri personaggi vicini al gruppo che prendono parte alle riunioni, nel corso delle quali vengono impostate le principali operazioni e che paiono fornire il proprio contributo alle attività d’interferenza, sono individuati nei giudici Arcibaldo Miller, Antonio Martone ed il sottosegretario alla giustizia, Giacomo Caliendo (…) per pianificare l’avvicinamento di alcuni Giudici Costituzionali»

Alcune riunioni avvengono a Palazzo Pecci Blunt, in Piazza dell’Ara Coeli, dove si trova l’appartamento romano di Denis Verdini, il coordinatore nazionale del PdL già indagato per i suoi rapporti con la cricca Anemone-Balducci e gli appalti gestiti dalla Protezione Civile di Bertolaso-Letta.
In particolare, la sera del 23 settembre 2009 in casa Verdini si incontrano, oltre alla triade Carboni-Martino-Lombardi, il senatore
Marcello Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia (e magistrato) Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, per discutere l’approvazione del Lodo Alfano e cercare di pianificare una strategia di intervento per orientare, in qualche modo, i giudici costituzionali verso il nullaosta della legge ad personam.

1) Magistratura Amica
Antonio Martone, fino alle recenti dimissioni, è stato avvocato generale in Cassazione ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati.
Arcibaldo Miller è invece il capo degli ispettori ministeriali, che così tante volte hanno fatto visita alla Procura di Milano, per supervisionare gli atti riservati inerenti le inchieste su corruzione e politica (ad esempio, le carte del processo a Cesare Previti).
In particolar modo, Martone è preoccupato su cosa farà da vecchio e chiede a Carboni nuovi incarichi per il dopo-pensione.

La Corte Costituzionale
L’approvazione del Lodo Alfano, col suo giudizio di costituzionalità, sta particolarmente a cuore al sodalizio che si attiva per cercare di avvicinare i giudici, influenzarne il giudizio ed acquisire benemerenze politiche.
Il più attivo di tutti è Pasquale Lombardi che non lesina telefonate, nonostante le raccomandazioni alla prudenza dei suoi sodali:

«Digli di non telefonare ehhh… Lasciasse perdere tutto; si deve fermare, non chiamare, fermare! O sinnò gli togliamo i telefoni. Lui deve andare, non telefonare. Andare è diverso che telefonare»

 A.Martino che parla con un collaboratore, riferendosi a Lombardi.
(Intercettazione del 25/09/2009)

P.Lombardi però non desiste e contatta (26/09/09) lo stupito Renzo Lusetti, parlamentare PD, per sapere se ha “qualche amico nella Corte Costituzionale”.
Il 30 settembre è la volta dell’imbarazzatissimo Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, che non riesce a sgrullarselo di dosso.
L’insistenza di Lombardi è infatti motivata da una certezza:

«Dobbiamo essere duri, loro ci devono rispettare sotto ogni aspetto perché come ci muoviamo noi forse manco loro si possono muove dato il nostro potere… non nostro, il potere dei nostri amici che è quello che è»
 (01/10/2009)

Salvo constatare l’amara verità soltanto pochi giorni dopo, nonostante le promesse millantate agli “amici”:

«Eh che figura di merda… noi non cumandamm’ manc’ o cazz..! Non cumandamm niente cò ‘sti qua… co ‘sti quindici rincoglioniti [i giudici costituzionali n.d.r.]»
(07/10/2009)

In altri ambiti, le cose sembrano però andare meglio…

Consiglio Superiore della Magistratura
Anche in questo caso, a muoversi è soprattutto Pasquale Lombardi:

«A partire dal mese di ottobre 2009 sono state monitorate ripetute attività, poste in essere da Lombardi, dirette a pilotare, tramite pressioni esercitate su componenti del CSM, la nomina ad alcune cariche direttive di magistrati graditi al sodalizio, fra i quali Alfonso MARRA, aspirante alla carica di Presidente della Corte di Appello di Milano. Tali iniziative, delle quali Lombardi tiene informato Martino, sono dirette al fine di far acquisire all’associazione rapporti privilegiati con alcuni dirigenti di Uffici giudiziari e al tempo stesso acquisire meriti presso questi ultimi, in virtù dell’intervento operato»

 (Dall’Ordinanza di Custodia cautelare)

E sempre Lombardi dimostra una grande confidenza con certi ambienti giudiziari, prendendo contatti con Celestina Tinelli, componente del CSM, con la quale discute la nomina dei responsabili per le procure di Isernia, di Avellino, e di Nocera Inferiore, e soprattutto della Corte di Appello di Milano.
Dalle intercettazioni, Lombardi sembra essere in grande intimità col magistrato che si rivolge a lui, chiamandolo “Pasqualino” (cliccare sull’immagine per ingrandire il testo):

Per inciso, il ‘Carbone’ (cerchiato in rosso) di cui si parla è Vincenzo Carbone, primo presidente della Corte di Cassazione.
La questione del contendere è la nomina di un altro protetto del sodalizio, il campano Alfonso Marra (Fofò per gli amici), alla presidenza della Corte di Appello milanese, in contrapposizione al concorrente Renato Rodorf. Quest’ultimo è appoggiato da Giuseppe Berruti (fratello del più noto Massimo Maria) e l’avellinese Nicola Mancino, che però cambierà idea…
In questa specie di faida borbonica, consumata alla periferia del PdL, viene contattato pure l’ex magistrato Giacomo Caliendo, attuale sottosegretario alla Giustizia, “Giacomino” per il sodalizio.
Soprattutto è una squallida lotta tra le correnti interne alla magistratura, con scambio reciproco di favori e promozioni.
Naturalmente, Alfonso Marra diventa presidente della Corte di Appello a Milano.

TAR e Corte di Appello di Milano
Fresco di nomina, A.Marra si attiva subito in favore dei suoi patroni.
Il 01/03/2010 Martino e Lombardi contattano il magistrato per informarlo del rischio di esclusione della Lista Formigoni dalle prossime elezioni regionali, sollecitandone l’intervento.
Al contempo, il 05/03/2010, Arcangelo Martino contatta il magistrato
Arcibaldo Miller, capo dell’ispettorato presso il Ministero della Giustizia, con il quale concorda un incontro e…

«Chiede informazioni circa la possibilità ed il modo di provocare un’ispezione nei confronti dei magistrati componenti la Commissione elettorale»

Tuttavia, nonostante le insistenze e le pressioni, l’ispezione non verrà mai disposta.

 Ad essere sinceri, parlando da profani della materia, nel leggere le carte è difficile ravvisare fattispecie di reato, di gravità tale da reggere a tre gradi di giudizio, ad eccezione delle inevitabili dimissioni dei magistrati coinvolti. A parte le ingerenze indebite e la pressante azione lobbistica ai margini estremi della legalità, non fanno seguito azioni concrete, né è sempre evidente nelle conseguenze pratiche quel potere di condizionamento e di determinazione vincolante. D’altra parte, lo stesso Carboni è stato prosciolto da accuse ben più gravi in inchieste molto più delicate…
In poche parole, ‘sta roba probabilmente in un tribunale non regge. Questa almeno è l’impressione personale che se ne ricava e che, naturalmente, lascia il tempo che trova.
Più interessanti sono invece gli altri due filoni d’indagine…

2) La candidatura alla presidenza della Regione Campania
 Altro tema di discussione durante le riunioni romane con Denis Verdini, è la scelta del candidato governatore per la Regione Campania. La vittoria PdL è data per certa nell’ex satrapia di Antonio Bassolino (PD) dopo la sua dissennata gestione, quindi si tratta di una candidatura piuttosto ambita.
Il candidato ideale è
Nicola Cosentino, sottosegretario all’Economia ed alle Finanze (dimissionario), nonché coordinatore PdL in Campania.
Cosentino è fortemente indiziato (insieme a Mario Landolfi) di essere organico al clan camorristico dei Casalesi, dai quali avrebbe ricevuto voti e finanziamenti elettorali nell’ambito dello smaltimento illegale di rifiuti tossici. Tant’è che nel Novembre 2009 la Giunta per le autorizzazioni a procedere per la Camera dei deputati respinge l’ordine di arresto emesso dal Tribunale di Napoli, facendo leva sull’immunità parlamentate dell’onorevole Cosentino, che dopo molte pressioni interne al partito si vede costretto a rinunciare alla sua candidatura campana.

Al contempo, si attiva anche il “sodalizio” che si muove alle spalle del sottosegretario e pone subito le basi per un serie di iniziative, potendo contare sul sostegno di Marcello Dell’Utri e Denis Verdini.

«Con lo scopo di contrastare le scelte a loro sgradite, operate dai responsabili politici, tenterà di sostenere nuovamente la candidatura di Cosentino, auspicando interventi presso la Corte di Cassazione la rapida fissazione e l’accoglimento del ricorso contro la misura cautelare, cercando d’altro lato di screditare la figura del candidato prescelto, Stefano Caldoro, con una mirata campagna diffamatoria»

Il principale referente in Cassazione è naturalmente il presidente Vincenzo Carbone, che si prodiga in ogni modo. Al contempo, si lavora ai fianchi il rivale Caldoro, con la costruzione di dossier falsi con l’aiuto di Ernesto Sica, che travolto dall’evidenza dei fatti sarà poi costretto a dimettersi da assessore della giunta Caldoro.

MARTINO: Abbiamo messo in piedi una cosa strepitosa, mi segui?
SICA: Tu pensi che una valanga mediatica sia opportuna? Ci vorrebbe un regista bravissimo…

Ai primi di Febbraio, gli aiuto-regista addetti al confezionamento del ‘pacco’ mediatico  comunicano a Cosentino che il rapporto su Caldoro è pronto:

«Dici a Nicola che dovrebbe uscire il rapporto su Caldoro con i trans, forse del problema ha parlato anche un pentito, che fine abbiamo fatto. Siamo finiti in un mondo di froci»

Caldoro diventa ufficialmente “l’innamorato dei ricchioncelli”. Tanto per completare il cappotto, vengono messe in giro on line voci su un presunto coinvolgimento di Caldoro con la camorra, al fine di costringere il partito a ritirare la sua candidatura onde evitare il pubblico scandalo.
Naturalmente, Nicola Cosentino segue tutte le mosse e commenta soddisfatto:

«Il fatto dei frocetti rimarrà nella storia»

Ma noi siamo certi che la Storia riserverà un posto anche per l’onorevole Cosentino… forse anche due: schedario criminale o gogna degli infami?

3) Impianti eolici in Sardegna
 Sicuramente, questo costituisce l’aspetto più ghiotto e più gravido di implicazioni penali nell’intera vicenda.
Il business delle energie alternative con l’installazione di pale eoliche sembra infatti costituire l’ultima frontiera della penetrazione mafiosa nel mondo dell’economia (apparentemente) legale, col reinvestimento dei capitali illeciti. Per non concludere, possiamo dire che nell’ambito del “sodalizio” l’interesse per il settore rientra nelle competenze di Flavio Carboni, come specificato nell’ordinanza di custodia cautelare:

«A partire dal mese di luglio 2009, Carboni ha posto in essere iniziative volte a realizzare in Sardegna impianti di produzione di energia eolica. A tale scopo dapprima ha ottenuto, grazie all’interessamento di esponenti politici ed istituzionali, la nomina di persona a lui gradita (tale FABRIS Ignazio) alla carica di direttore generale dell’ARPAS (l’organismo regionale competente nel settore della tutela ambiente e territorio). In seguito ha intrattenuto rapporti con Farris e con altri rappresentati istituzionali, allo scopo di ottenere l’approvazione di un regolamento regionale favorevole ai propri progetti»

Come specificato nella mission della stessa agenzia, l’Arpas è (o dovrebbe essere):

“un’agenzia regionale che opera per la promozione dello sviluppo sostenibile e per la tutela e miglioramento della qualità degli ecosistemi naturali e antropizzati. L’Agenzia è l’organo tecnico che supporta le autorità competenti in materia di programmazione, autorizzazione e sanzioni in campo ambientale, a tutti i livelli di governo del territorio: la competenza tecnico-scientifica è la sua componente distintiva e qualificante.
L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Sardegna esercita in particolare funzioni di:
– controllo delle fonti di pressioni ambientali determinate dalle attività umane che, prelevando risorse ed interagendo con l’ambiente circostante, producono degli impatti sull’ambiente (scarichi, emissioni, rifiuti, sfruttamento del suolo, radiazioni, ecc.);
– monitoraggio dello stato dell’ambiente determinato dal livello di qualità delle diverse matrici (acqua, aria, suolo, ecc.);
– supporto tecnico alla pubblica amministrazione nel definire le risposte messe in atto per fronteggiare le pressioni e migliorare così lo stato dell’ambiente”

Immaginate cosa potrebbe accadere se le competenze di tali enti venissero stravolte e piegate agli interessi particolari di speculatori senza scrupoli; se fossero occupate e trasformate in cavalli di Troia per il profitto illimitato e per l’avidità di gruppi privati, contigui alla grande criminalità organizzata…
Ne riparleremo presto..!

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La bomba di Stato

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Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

(Pier Paolo Pasolini – 14 Novembre 1974)

L'ora della strageBologna, 2 Agosto 1980. Fa caldo alla Stazione Centrale, nonostante sia mattina, e la sala d’attesa è già piena: comitive di ragazzi; giovani coppie in partenza; anziani. C’è chi aspetta un amico e chi invece ha perso una coincidenza. Chi parte per la prima volta e chi, come la piccola Angela, si è affacciata da poco alla vita.
Ore 10,25. Un lampo improvviso e Angela non esiste più. Il boato schiaccia i timpani e investe i presenti con una scarica di schegge, di vetri e detriti. L’onda d’urto è devastante. Risucchia i polmoni. Strappa gli arti. Si porta via i vestiti e la pelle. Sconquassa i corpi e li spazza lontano. Sui binari. Contro le carrozze del treno Ancona-Chiasso. La fiammata arriva subito e brucia la carne viva dei superstiti: un vento bollente che corrode le ferite fino alle ossa.
Polvere. Macerie. Morte.

“È esplosa una caldaia!”

Lo scrive in prima pagina ‘Il Resto del Carlino’. Lo dice la Polizia. Lo sostiene il Governo Cossiga.
Si scoprirà poi che ad esplodere è stata una valigia, appesantita con qualche chilo di esplosivo di uso militare. Per l’esattezza, si tratta di una miscela di RDX e TNT, esplosivo al plastico ad alto potenziale distruttivo: una carica di T4, ulteriormente arricchita con nitroglicerina gelatinata ad effetto detonante. La valigetta è stata opportunamente collocata su di una mensolina portabagagli, a ridosso di un muro portante nell’ala ovest della stazione, per meglio aumentare l’impatto esplosivo. L’esplosione investe la biglietteria ed i locali della ristorazione ferroviaria. Provoca il crollo del tetto della sala d’attesa della II° e della I° classe, che collassa addosso ai viaggiatori senza fare distinzioni. I cadaveri sono così tanti che un autobus della linea 37 viene dirottato e adibito ad obitorio provvisorio. Le ambulanze non bastano e si usano i taxi. I feriti sono più di duecento. Molti sono piagati da ustioni gravissime. E molti di loro moriranno dopo il ricovero.
Che si tratti di un attentato terroristico se ne renderà conto pure il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, immediatamente giunto sul posto. ‘Basta guardare il cratere lasciato dalla detonazione’ gli fanno notare i primi soccorritori. Ma Cossiga ed i suoi ministri ancora tergiversano. Qualcosa… e soprattutto qualcuno… deve essere sfuggito al controllo…

Carlino

Una lunga scia di sangue segna l’Italia dal 1969 al 1984. La strage di Bologna è sicuramente la più odiosa, ma è anche l’ennesimo tassello insanguinato di una strategia criminale, comunemente chiamata “Strategia della tensione”, che gode di appoggi politici e coperture istituzionali inconfessabili. Alla sua origine vi è un network politico-militare, con finalità atlantiche ed obiettivi ideologici precisi, ulteriormente cementato dal collante massonico offerto dalla Loggia P-2.
Si tratta di un connubio incestuoso tra apparati dello Stato, ‘Servizi’ di intelligence, ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, criminalità organizzata ed eversione neo-fascista:

  1. La Mafia è un potentato locale che dispone di un disciplinato apparato organizzativo su base regionale, sul quale fare affidamento, con interessata sinergia, nel controllo del territorio e dei ‘rossi’. Inoltre, le sue clientele elettorali possono condizionare le elezioni, influendo nettamente sulla formazione delle compagini di governo.

  2. L’eversione nera di matrice fascista costituisce un irrequieto vivaio di sicura fede anticomunista dal quale attingere ‘combattenti irregolari’ e ‘utili idioti’ a pronto uso per operazioni sporche sotto copertura.

È, nel suo complesso, un’articolata struttura di potere parallelo e con i suoi meccanismi di difesa, che non manca di far scattare le proprie maglie protettive nei confronti di mandanti ed esecutori, come nel caso bolognese.

Stazione

Nonostante tutto, la procura felsinea imbocca subito la pista dell’eversione nera, spiccando mandati di cattura per mezza fascisteria romana, vecchi ordinovisti in armi, e nuovi “guerrieri senza sonno”. 

“L’intervento della Procura della Repubblica di Bologna fu tempestivo e l’approccio serio: gli investigatori misero subito a fuoco le protezione di cui il frastagliato mondo del terrorismo eversivo di destra aveva goduto e continuava a godere a Roma malgrado la città fosse stata sottoposta negli ultimi due anni ad una escalation di violenze e di attentati. Già alla fine di agosto comincia ad essere abbozzata una ipotesi accusatoria indirizzata anche verso ideatori e depistatori, ma il passaggio dell’inchiesta dalla Procura all’Ufficio Istruzione segna una sorta di inversione di tendenza: l’indagine comincia ad essere spezzettata. Viene inviata a Roma per competenza l’indagine sull’associazione eversiva. Si fanno più pesanti i depistaggi.”

(Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna)

In realtà, l’iter processuale fu contrassegnato da esiti altalenanti e non sempre lineari. Le indagini si rivelarono difficili e, soprattutto, furono caratterizzate da una sistematica opera di depistaggio messa in atto dai vertici del ‘servizio segreto’ militare. I sabotaggi del SISMI furono denunciati anche dai giudici Vito Zincani e Sergio Castaldo, nella sentenza istruttoria del 14 giugno 1986:

“L’accertamento della verità, opera di per sé sempre difficoltosa, è stato in questo processo ostacolato in ogni modo, poiché le menzogne, gli inquinamenti e le congiure di ogni genere hanno raggiunto un livello talmente elevato da costituire una costante.
(…) L’opera di inquinamento delle indagini appare così imponente e sistematica da non consentire alcun dubbio sulle sue finalità: impedire con ogni mezzo l’accertamento della verità!
(…) Soltanto l’esistenza di un legame di qualche natura tra gli autori della strage, benché autonomamente organizzata ed eseguita, rientrava in un comune progetto politico, la cui gestione richiedeva necessariamente che non fossero scoperti gli autori.”  

LE DEVIAZIONI DEL SISMI
NELLA STRAGE DI BOLOGNA
Stragedibologna-1 Nel 1980, il servizio informazioni militare è diretto dal gen. Giuseppe Santovito (affiliato alla P2 con tessera n° 1630). Il SISMI non ha mai brillato per fedeltà democratica e rispetto costituzionale, ma sotto la gestione Santovito, se possibile, degenera ulteriormente trasformandosi in

“un centro di potere arbitrario ed occulto, comprendente più persone, alcune organicamente inserite nel Servizio ed altre esterne ad esso, ma tra loro unite dall’intesa programmatica di abusare del Servizio stesso per finalità proprie ed incompatibili con quelle istituzionali”
(Roma, 29 Luglio 1985 – Sentenza della Quinta Corte d’Assise)

Il generale Santovito, in una lotta di potere intestina tutta interna al Sismi, per la bisogna fa affidamento su Pietro Musumeci, un colonnello dei Carabinieri, proveniente dalla Divisione “Pastrengo” i cui ufficiali hanno solidi legami col neofascismo milanese. È proprio tra gli alti comandi della ‘Pastrengo’ che matura l’idea dello stupro punitivo ai danni di Franca Rame.
Il col. Musumeci, che come molti suoi colleghi aderisce alla P2 (tessera 1604), soggetto ad un’inchiesta disciplinare per una cresta sulle forniture alimentari nella scuola sottufficiali di Velletri (RM), è il responsabile dell’Ufficio controllo e sicurezza del SISMI, ufficio con compiti di vigilanza interna ma autorizzato ad attività operative. Il gen. Santovito lo metterà anche a capo della sua segreteria particolare.

“L’operato del gruppo di potere costituitosi all’interno del Sismi tra il 1978 ed il 1981 con a capo Santovito e Musumeci si differenzia da altri precedenti episodi di cosiddetta “deviazione” dei servizi segreti per la molteplicità delle attività esplicate. Nel 1962-1964 il generale De Lorenzo e il SIFAR predisposero principalmente un’attività di schedatura dei cittadini e di preparazione di un possibile colpo di Stato. Negli anni ’70 i dirigenti del SID esplicarono soprattutto azioni volte a proteggere eversori di destra e sospetti autori di stragi. Gli ufficiali che ne costituirono le strutture occulte nel 1978-1981 spaziarono dalla trattativa trilaterale con Brigate Rosse e camorra per la liberazione di Ciro Cirillo [esponente DC] al depistaggio dei giudici impegnati nella strage del 2 Agosto, al peculato, dalle macchinazioni nei confronti dei collaboratori del Capo dello Stato, alla diffusione di notizie calunniose attraverso la stampa da loro stessi finanziata. A somiglianza della P2 (della quale la struttura era per altro un’articolazione), il Supersismi svolgeva un amplissimo ventaglio di attività, tutte direttamente o indirettamente finalizzate a intervenire nella sfera politica, il che era con tutta evidenza incompatibile con le finalità d’istituto.”

(Giuseppe De Lutiis; “Storia dei Servizi Segreti in Italia”. Editori Riuniti, Roma 1993)

Tra i collaboratori ‘esterni’, spicca il faccendiere Francesco Pazienza, con solidi contatti nel mondo della finanza e ben inserito nel sottobosco democristiano. Pazienza è il trait d’union tra la P2 di Gelli coi servizi segreti italiani e statunitensi, ma possiede anche ottime referenze nel mondo arabo e, per tramite del Venerabile, controlla Roberto Calvi e con lui il Banco Ambrosiano, senza per questo tralasciare i rapporti con la mafia siciliana e i romani della Banda della Magliana.
La “collaborazione” si traduce in pratica nella produzione di una serie di falsi documentali, informative pilotate, volte a stornare le indagini della magistratura. Musumeci, con l’aiuto del col. Belmonte, cerca di accreditare una pista estera indirizzando le indagini su gruppi terroristici tedeschi e francesi. Il 10 gennaio 1981 il Sismi fa pervenire al Comando generale dei Carabinieri notizie riservate circa un presunto piano eversivo, che prevede attentati alle linee ferroviarie e attentati dinamitardi. Gli ispiratori del gruppo terroristico sarebbero i neo-nazisti Freda e Ventura, con la collaborazione dei tedeschi del “Gruppo Hoffman” e in collegamento con un latitante Stefano delle Chiaie, a sua volta in combutta coi neofascisti francesi del FANE. Secondo il rapporto messo in piedi da Musumeci e Belmonte, le cellule venete di Freda e Ventura provvederebbero alla logistica. A mettere le bombe ci penserebbe invece un gruppo di nazisti austraci che si spostano in camper per riparare oltre confine subito dopo gli attentati. Ad avvalorare la pista francese ci pensa Marco Affatigato, un neofascista a libro paga del Sismi che, opportunamente imboccato, tira in ballo “er Caccola” e la FANE.
Naturalmente servono le ‘prove’ del complotto estero. Al loro reperimento ci pensa Francesco Pazienza ed il colonnello Belmonte, che fanno posizionare su un treno fermo alla stazione di Bologna un borsone contenente armi, micce e lo stesso tipo di esplosivo usato nella strage, accompagnato con tanto di documenti d’identità (stranamente abbandonati) di due noti estremisti di destra: un francese ed un tedesco… 

Stazione 2

Qui però ci fermiamo. Pensare di riassumere in poche righe più di mille pagine di atti processuali, ripercorrere l’intera vicenda giudiziaria, con tutti gli sviluppi di un intreccio decennale, sarebbe solo opera di mera presunzione per un risultato mediocre. Parte della documentazione inerente la potete però  trovare qui: è il sito ufficiale dell’associazione.
Molto resta ancora da scoprire, a partire dai possibili mandanti e gli ispiratori politici, compresa la vasta rete di coperture che ne hanno reso possibile l’operato e l’impunità.
Il processo per strage appurò il coinvolgimento dei neofascisti dei NAR e delinquenti della malavita comune, immersi nel torbido dello spionaggio. Meno lineari sono, forse, le responsabilità dei condannati. Le udienze si sono concluse con la condanna all’ergastolo dei “ragazzini terribili” della Banda Fioravanti: un gruppo di psicopatici pluriomicidi.
Naturalmente godono già tutti della semi-libertà.
Soprattutto venne appurata:

“L’esistenza di una complessa strategia eversivo-terroristica dispiegatasi nel corso di più anni, della quale la strage di Bologna aveva costituito uno dei momenti più significativi, in un cinico piano di controllo del potere istituzionale, nel quale erano confluite tendenze eversive di segno anche diverso, tuttavia di ispirazione ideologica di destra.
(…) Dopo la sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite del 12 febbraio 1992, la Corte di assise di Bologna con sentenza del 13 maggio 1994 ritenne responsabili della strage, quali autori materiali, Mambro e Fioravanti, e un personaggio indubbiamente minore, Sergio Picciafuoco, un delinquente comune collegato peraltro alla destra eversiva e sicuramente presente sul luogo della strage dove rimase ferito. Assolse invece dall’imputazione di strage un altro noto esponente della destra eversiva, Massimiliano Fachini; sanzionò le responsabilità per gli episodi di depistaggio che avevano inquinato le indagini due personaggi vicini ai servizi, Gelli e Pazienza, e due ufficiali del Sismi, Musumeci e Belmonte.”

(Commissione Stragi. Relazione Pellegrino, 2001)

Negli ultimi anni, non sono mancate ipotesi alternative e nuove teorie sulle possibili cause che ispirarono l’eccidio. Alcune genuinamente originali, altre subdolamente interessate.
Invece, su certi tentativi di ‘riabilitare’ lo spontaneismo armato dell’estrema destra e lavare il loro “onore fascista” ingiustamente sporcato, non sprecheremo  una sola parola. Non meritano più commenti di quanti se ne possano fare davanti ad un secchio ripieno di merda.

LE VITTIME
La strage della stazione di Bologna provocò 85 morti ed oltre 200 feriti, molti dei quali con lesioni permanenti.
Circa la metà delle vittime non aveva nemmeno compiuto 30 anni.

Antonella Ceci, anni 19  Lapide commemorativa
Angela Marino, anni 23
Leo Luca Marino, anni 24
Domenica Marino, anni 26
Errica Frigerio In Diomede Fresa, anni 57
Vito Diomede Fresa, anni 62
Cesare Francesco Diomede Fresa, anni 14
Anna Maria Bosio In Mauri, anni 28
Carlo Mauri, anni 32
Luca Mauri, anni 6
Eckhardt Mader, anni 14
Margret Rohrs In Mader, anni 39
Kai Mader, anni 8
Sonia Burri, anni 7
Patrizia Messineo, anni 18
Silvana Serravalli In Barbera, anni 34
Manuela Gallon, anni 11
Natalia Agostini In Gallon, anni 40
Marina Antonella Trolese, anni 16
Anna Maria Salvagnini In Trolese, anni 51
Roberto De Marchi, anni 21
Elisabetta Manea Ved. De Marchi, anni 60
Eleonora Geraci In Vaccaro, anni 46
Vittorio Vaccaro, anni 24
Velia Carli In Lauro, anni 50
Salvatore Lauro, anni 57
Paolo Zecchi, anni 23
Viviana Bugamelli In Zecchi, anni 23
Catherine Helen Mitchell, anni 22
John Andrew Kolpinski, anni 22
Angela Fresu, anni 3
Maria Fresu, anni 24
Loredana Molina In Sacrati, anni 44
Angelica Tarsi, anni 72
Katia Bertasi, anni 34
Mirella Fornasari, anni 36
Euridia Bergianti, anni 49
Nilla Natali, anni 25
Franca Dall’olio, anni 20
Rita Verde, anni 23
Flavia Casadei, anni 18
Giuseppe Patruno, anni 18
Rossella Marceddu, anni 19
Davide Caprioli, anni 20
Vito Ales, anni 20
Iwao Sekiguchi, anni 20
Brigitte Drouhard, anni 21
Roberto Procelli, anni 21
Mauro Alganon, anni 22
Maria Angela Marangon, anni 22
Verdiana Bivona, anni 22
Francesco Gomez Martinez, anni 23
Mauro Di Vittorio, anni 24
Sergio Secci, anni 24
Roberto Gaiola, anni 25
Angelo Priore, anni 26
Onofrio Zappala’, anni 27
Pio Carmine Remollino, anni 31
Gaetano Roda, anni 31
Antonino Di Paola, anni 32
Mirco Castellaro, anni 33
Nazzareno Basso, anni 33
Vincenzo Petteni, anni 34
Salvatore Seminara, anni 34
Carla Gozzi, anni 36
Umberto Lugli, anni 38
Fausto Venturi, anni 38
Argeo Bonora, anni 42
Francesco Betti, anni 44
Mario Sica, anni 44
Pier Francesco Laurenti, anni 44
Paolino Bianchi, anni 50
Vincenzina Sala In Zanetti, anni 50
Berta Ebner, anni 50
Vincenzo Lanconelli, anni 51
Lina Ferretti In Mannocci, anni 53
Romeo Ruozi, anni 54
Amorveno Marzagalli, anni 54
Antonio Francesco Lascala, anni 56
Rosina Barbaro In Montani, anni 58
Irene Breton In Boudouban, anni 61
Pietro Galassi, anni 66
Lidia Olla In Cardillo, anni 67
Maria Idria Avati, anni 80
Antonio Montanari, anni 86

Homepage 

 

L’Onda Anomala

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 8 febbraio 2009 by Sendivogius

 

IL REUCCIO FURIOSO

 

darth-water È un fiume in piena il Silvio Furioso, allergico ai limiti, che tracima gli argini, stralcia ogni regola, e nella sua ira funesta tutto travolge, in una marea montante di fango e di merda dalla quale nulla si salva. Non la magistratura, nemico irriducibile da colpire ed umiliare. Non il Parlamento, ridotto ad anticamera di lusso per cortigiani; muto boudoir riservato alle esibizioni liturgiche del sovrano. Non il Presidente della Repubblica, tornato ad essere uno dell’altra parte, il ‘comunista’: la categoria indeterminata ed onnicomprensiva che isola nel ghetto dell’assoluto disprezzo e della non-cittadinanza chiunque, non allineandosi alle scelte del Re, non sottoscrivendo il suo conformismo manicheo, osa ancora esternare il proprio dissenso. Né si salva la Costituzione, in quanto superata, filo-sovietica, soprattutto indisponibile alle ambizioni autocratiche del reuccio, e per questo vissuta come impaccio.

Nella sua corsa verso un potere assoluto e illimitato, il Silvio ferito vive il richiamo al rispetto degli equilibri istituzionali come un’offesa personale, un’intollerabile provocazione alla sua autorità non discutibile né condizionabile.

Abbiamo già parlato dell’abuso nell’utilizzo della decretazione d’urgenza e delle involuzioni democratiche che sono alla base de Lo Stato di Polizia. In riferimento alla crisi che travolse la Repubblica di Weimar, riportiamo a complemento un brano che ben rende sui rischi legati all’eccesso di decreti:

I decreti erano destinati solo a situazioni straordinarie, ma Ebert, che fu il primo presidente della Repubblica, ricorse molto spesso a questo strumento, utilizzandolo in non meno di 136 occasioni diverse. (…) Non esisteva, in pratica, alcuna tutela contro l’abuso dell’articolo 48 [che, nella nuova Costituzione, disciplinava il ricorso alla decretazione d’urgenza], in quanto il presidente poteva sempre valersi del potere di sciogliere il Reichstag  [il Parlamento tedesco], se esso avesse respinto un suo decreto. Inoltre i decreti potevano essere utilizzati in qualsiasi momento per creare un fatto compiuto o una situazione in cui l’unica opzione possibile per il Reichstag era l’approvazione (i decreti potevano essere usati per intimidire e imbavagliare le voci contrarie al governo in carica). È indubbio che alcune occasioni non concessero spazio ad alternative diverse dal metodo dei decreti. L’art. 48 tuttavia non conteneva alcuna disposizione che consentisse poi al Parlamento di riappropriarsi del potere legislativo.

(…) L’uso eccessivo, e talvolta l’abuso, della decretazione finì per ampliarne l’applicazione fino a trasformarla in una potenziale minaccia per le istituzioni democratiche”.

Richard J Evans, “La Nascita del Terzo Reich”.

A. Mondadori; Milano 2005.

 

È la “Notte dei Cristalli” della nostra democrazia, la più buia, la più difficile: la violazione sistematica di ogni regola civile; la devastazione indiscriminata del diritto, stralciato per il privilegio di pochi e per la gloria di un unico padrone.

Con l’attacco brutale alla Costituzione repubblicana ed al suo garante, le ultime parvenze legalitarie cadono insieme alla maschera della finzione democratica, mostrando la vera natura eversiva del bolso ducetto, passato dai consigli aziendali al consiglio dei ministri. Ne rivela il disegno egemonico, il progetto autoritario a lungo coltivato già sotto i cappucci della Loggia P2, che ritorna nell’attuazione dei famigerati piani di “Rinascita”. Di recente, il venerabile maestro Licio Gelli ha profetizzato: “La democrazia è una sigaretta che sta finendo”.  

Una Democrazia progressivamente svuotata delle sue più elementari peculiarità, sempre più sospinta verso un pozzo nero, inghiottita in una oscura voragine senza fondo.

La Repubblica degradata in possedimento personale a gestione padronale; un magico reame chiamato Impunità, con la sua ubbidiente ‘Corte dei Miracoli’, dove re Silvio l’Intoccabile possa baloccarsi, a piacimento, tra tette e veline, culi e tronisti, in un nuovo mondo plasmato a propria immagine e somiglianza.

Venditore di suggestioni nell’immaginario mitopoietico delle plebi raccolte in adorazione, il Cavaliere Nero irrompe con “inaudita violenza” nel dramma individuale della famiglia Englaro. Con dichiarazioni oscene, che quasi evocano gli innominabili appetiti del satiro brianzolo, ne trasfigura l’essenza: Mi dicono che ha un bell’aspetto, funzioni attive, il ciclo mestruale… Potrebbe anche generare un figlio”. Ne espropria il dolore denigrando i sentimenti di un padre, per appropriarsi del corpo della povera Eluana ridotto a reliquia di una crociata pagana, per la conquista del potere come fenomeno non reversibile e metamorfosi sistemica. Speculare è il connubio interessato con l’assolutismo clericale, nello scardinamento delle ultime resistenze e nella delegittimazione del pensiero critico, per il controllo delle coscienze, per il monopolio della Morale circoscritta negli angusti recinti del dogma.

Silvio il Santo diventa alfiere delle croce e servo del Papa Re, a rinsaldare l’antica alleanza tra il Fascio e l’Altare, a proprio sostegno. Offre la sponda alle incredibili ingerenze vaticane per spingere ben oltre le sue possibilità l’affondo contro la Presidenza della Repubblica, per denigrare le Istituzioni democratiche tramite un attacco congiunto. Bigamo e corruttore, Silvio il Devoto per la sua incoronazione, benedetta in XVI°, porta in dote l’Italia. L’Italia che torna ad essere una propaggine vaticana, il protettorato ecumenico di una ierocrazia assistita nel suo mantenimento parassitario.