Congratulazioni vivissime! Con tempistiche e metodi indegni persino per una junta especial da caudillo
sudamericano, il partito sedicente ‘democratico’ è riuscito in un sol colpo a ricompattare tutte le opposizioni, presenti in un parlamento esautorato da ogni potere e ridotto a caricatura formale di se stesso, approvando la modifica unilaterale della Costituzione a minoranza assoluta in un’aula mezza vuota alle quattro passate del mattino, su testo blindato di un governo a prova di elezione.
L’espressione ghignante di un premier abusivo e sempre più grasso, che scruta soddisfatto gli scranni vuoti di un’assemblea deserta, era quantomeno inquietante.
Soprattutto se osservato nella tracotanza ducesca con la quale irride alle opposizioni assenti, attorniato dalle sue groupies assonnate e sbadiglianti manipoli di complemento, in un’aula sorda e ancorché silenziata nel sonno della democrazia.
E sorvoliamo sulle provocazioni e sulla scena surreale di un capo di partito, diventato presidente del consiglio senza prendersi il disturbo di essere eletto, che si aggira nel cuore della notte e con aria smargiassa in un
parlamento blindato, passando in rassegna le truppe pronte per il voto ad oltranza. Come certi illustri statisti prima di lui, questo è un altro di quelli che “tireranno dritto“!
Ahh l’odore del “partito della nazione” la mattina presto… profuma come… di fascismo!
In un sol colpo, si è riusciti a far passare il principio (assai preoccupante) che la Costituzione possa essere cambiata con una risicata maggioranza relativa, a piacimento e discrezione di un solo partito. E per farlo si stabiliscono tempi contingentati al massimo su tappe forzate, con sedute fiume da 20 ore consecutive, maratone notturne e votazioni ad orari improbabili, passando per lo stravolgimento di tutti i regolamenti parlamentari. Il ricorso al cosiddetto “canguro”, unitamente alla “ghigliottina“, che imbriglia le prerogative parlamentari, dovrebbe costituire un’eccezione straordinaria, non applicabile nelle revisioni costituzionali. Le deroghe alla norma si spingono persino oltre… attraverso la forzatura delle stesse procedure previste dalla Costituzione. L’Art.138 che ne disciplina le modifiche prevede infatti un doppio iter parlamentare, “con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi”.
Ma il Principe a maniche di camicia ha deciso che la ‘riforma’ deve essere varata entro il Sabato del 14/02/15. Ed alle prime luci dell’alba l’avrà, come ordinato, accorpando i tempi di approvazione. Anche per questo la seconda votazione è stata calendarizzata ai primi del mese di Marzo, a distanza di poche settimane ed in palese violazione di quanto per l’appunto previsto dalla stessa Costituzione. E si maneggiano le modifiche con le modalità di un decreto-legge, imposto per volere superiore contro il resto delle Camere.
Con ogni evidenza, fino ad ora, il “sommo garante” non ha avuto alcunché da eccepire: parliamo dell’austero e ancor più silente neo-presidente Mattarella, giudice costituzionalista e profondo conoscitore delle normative parlamentari: l’arbitro che si è prontamente defilato durante la partita, nonostante il crescendo di falli. Attendiamo eventuali segni di vita dall’alto del Colle… E se il buongiorno si vede dal mattino..!
L’ultima volta che la Costituzione è stata cambiata a colpi di maggioranza risale al 2001. Si trattava, oggi come allora, del Titolo V. Ciò avvenne per scelta unilaterale del centro(sinistra?), che a distanza di 14 anni rilancia e raddoppia con qualcosa di ancor più raffazzonato. Quindi, visti i successi, il precedente va replicato in peggio.
La modifica del 2001 è universalmente riconosciuta come una delle peggiori ‘riforme’ mai approvate, con effetti pessimi (ai limiti della catastrofe) sul contenimento dei costi della spesa regionale e la tenuta del sistema
sanitario nazionale. Nel 2006 il governo del papi si sentì in dovere di presentare una sua riforma costituzionale, alla quale la cosiddetta “bozza Boschi” è sovrapponibile come una copia in carta carbone. All’epoca la modifica venne bollata come una “deriva autoritaria” di stampo fascista e sonoramente bocciata nel conseguente referendum confermativo. Oggi invece si chiama “la volta buona”! La stessa merda evidentemente cambia odore a seconda dell’appartenenza.
E rappresenta un precedente pericoloso…
«Tanto più se si intende modificare addirittura la Costituzione, una fonte che è chiamata a disciplinare le nostre istituzioni e quindi a reggere alle tante tensioni che si producono naturalmente intorno ai processi decisionali ed alla gestione dei grandi poteri pubblici: in settori del genere sono assolutamente necessarie un buon livello qualitativo e la piena coerenza delle nuove norme costituzionali, poiché altrimenti i danni possono essere gravissimi, tanto da far dubitare che in tal modo si possa produrre un effettivo miglioramento delle nostre istituzioni.»
In quanto all’efficienza della sedicente “riforma” da approvare in fretta e furia, nell’immutabilità sacrale di un testo chiuso ad ogni integrazione o correzione:
«Anzitutto non appare affatto probabile che possa diminuire l’attuale pesante contenzioso fra Stato e Regioni malgrado l’enorme espansione dei poteri legislativi dello Stato che ci si ripromette, dal momento che la tecnica elencativa di ciò che spetta allo Stato o, invece, alle Regioni, appare largamente imprecisa ed incompleta. Contemporaneamente i poteri legislativi del nuovo Senato sono così confusamente (ed insufficientemente) configurati, che ne potrebbero derivare dubbi di legittimità costituzionale su molte leggi statali approvate con l’uno o con l’altro procedimento previsto nel progetto di revisione costituzionale (se ne possono distinguere sette od otto).
In secondo luogo, tutta questa profonda riforma del nostro regionalismo in senso fortemente riduttivo, non si applicherebbe, se non in alcuni modestissimi ambiti, alle cinque Regioni ad autonomia speciale (Sicilia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia) e cioè alcune delle Regioni di cui – a ragione o torto – più si discute criticamente. Anzi, queste Regioni non solo manterrebbero i loro poteri attuali, ma conquisterebbero con questa modifica costituzionale il potere di condizionare l’ipotetica futura riforma dei loro Statuti speciali (che sono leggi costituzionali, ma che il Parlamento non potrebbe più approvare autonomamente, perché dovrebbe previamente ottenere l’accordo della Regione interessata). Ma un trattamento così manifestamente diseguale non solo produrrebbe nuove disfunzionalità legislative ed amministrative, ma susciterebbe naturalmente pesanti polemiche politiche.»La Stampa
(10/02/15)