L’Opposizione ‘responsabile’

Come l’antica Gallia descritta da Cesare, nel Parlamento italiano anche l’opposizione è divisa in partes tres: assopita al centro, abbiamo l’eterea e favoreggiante UDC; di incerta collocazione ai lati, si trovano invece la tribunizia IdV e l’alternativo PD.
Che cos’è il PD? “È un grande partito democratico e riformista”
Segnatevi la risposta. Perché sarà questa, e questa soltanto, l’unica domanda alla quale l’intera dirigenza del partito vi risponderà all’unisono, in un sol coro e di comune accordo.
‘Democratico’ e ‘Riformista’. Non avrete altra definizione, all’infuori della sola consentita dalla vulgata ufficiale. Dunque, con una simile identità doc così rigidamente certificata, possiamo escludere ciò che è da quanto, nel dubbio, ufficialmente non è.
Prendiamo in considerazione ciò che è dato per certo:
Democratico non vuol dire niente. Ci mancherebbe pure che un partito che aspira a cariche di governo in una democrazia parlamentare si dichiari apertamente anti-democratico (oddìo! In Italia tutto è possibile). È un po’ come dire che il Vaticano si definisce cattolico.
Riformista… Craxi lo era. Anche Silvio Berlusconi è sicuramente un ‘riformista’: nessuno ha mai fatto così tante ‘riforme’ dai tempi del cavalier Benito Mussolini. Dobbiamo per questo condividerle tutte e, in quanto tale, riconoscere al loro riformismo un valore positivo a prescindere dalla sostanza?
Per quanto invece riguarda l’incerto…
Il Partito Democratico non è socialdemocratico, non ‘di sinistra’ (il Pd è oltre), meno che mai ‘socialista’ (Vade Retro!). Infatti non s’è ancora ben capito insieme a quale gruppo parlamentare siederà all’interno del Parlamento europeo.
È ‘non confessionale’ e, in teoria, anche ‘laico’. Purché non gli si chieda di prendere una posizione netta e specifica su:
– Divorzio breve e Diritti di convivenza;
– Ricerca sulle cellule staminali;
– Procreazione assistita;
– Contraccezione e reperibilità della cosiddetta pillola del giorno dopo;
– Nonché sull’interruzione di gravidanza.
Perché se è facile parlare di libertà di scelta, il discorso cambia quando si tratta di mettere in pratica tale libertà, con il 90% di anestesisti, infermieri e medici si dichiarano obiettori di coscienza. La Sanità è l’ultima frontiera della partitocrazia: terreno di scontro politico e di scambio; di lottizzazione selvaggia e di appalti interessati delle forniture. La sanità lombarda è interamente infiltrata dagli integralisti di CL. In tutta Italia, primari e manager delle ASL vengono designati per appartenenza politica. Chi non si allinea (e non ha tessera) non fa carriera. Visto il vento che tira, se obietti è meglio. Per te. E così i consultori rifiutano quasi sistematicamente la prescrizione del Norlevo, un farmaco anticoncezionale (e non anti-abortivo), per motivi di coscienza. Perché senno Gesù piange.
E soprattutto non chiedete al Partito Democratico di esprimersi unitariamente:
– sui privilegi fiscali concessi alla Chiesa, sul finanziamento delle scuole confessionali,
– sull’abolizione dell’ICI per le attività commerciali gestite da enti religiosi,
– sull’attribuzione dell’8 per mille,
– sull’accollo a carico dello Stato degli insegnanti di religione…
Il Partito Democratico è dalla parte dei Sindacati, ma anche della Confindustria. Appoggia le posizioni di Cisl e Uil, ma anche della Cgil. Sta con la popolazione civile di Gaza, ma anche con Tsahal che la bombarda.
Il PD è un partito plurale, aperto a tutte le opinioni e su nessuna fermo… Aspettando Godot, in perenne attesa dell’elettore moderato che non arriva mai, mentre frana alla sua sinistra.
Ma questo non ditelo ai troppi generali, che guidano le disorientate truppe del PD allo sbando. Lasciate che il tenero Walter faccia ancora l’Americano a Roma. Lasciatelo giocare al piccolo chirurgo mentre tenta di rianimare la sua creatura, assemblata con innesti sperimentali: un corpo transgenico in crisi di rigetto.
Nel PD convivono a forza una pluralità di anime diverse senza un’identità condivisa. Come era facile intuire, la “fusione a freddo” tra DS e Margherita si è rivelata una mera sommatoria di numeri (sempre più esigui) e di apparati ingessati nel loro autismo referenziale, scossi da una improvvida sovrapposizione di ruoli e da contraddizioni insanabili. Ad una reale carta di valori condivisi si è preferito una faticosa politica di compromessi per bilanciare gli equilibri contrastanti, attraverso un’asettica opera di ingegneria politica pianificata a tavolino. Con scarso esito bisogna aggiungere, dato che da subito le diversità culturali sono implose, trasformando le rivalità interne in una serie di devastanti lotte intestine che ne stanno lacerando il tessuto interno. Un partito senza più radici sociali, senza storia perché senza un passato condiviso, senza ideali perchè privo di valori definiti che siano comunemente accettati e riconosciuti come tali, è un partito senza futuro. Nel Partito Democratico è ormai in corso una lotta di sopravvivenza, all’ombra di un cupio dissolvi che sconcerta e disgusta. Uno scontro che corrode le labili fondamenta in una emorragia di voti, fino al verminaio napoletano che, come una fogna scoperchiata, rischia di risucchiare tra i liquami ciò che resta del PD campano.
Non chiedete a Walter Veltroni una presa di posizione netta, perché questo significherebbe scontentare qualcuno… E Walter è uomo che aborre il conflitto in ogni sua forma, tanto insopportabile è la tensione che suscita in lui. Perché un agnello resta tale anche se travestito da leone. È nella sua natura.
Non pretendete da lui una linea definita. Non ci sono confini invalicabili: tutto è negoziabile, discutibile, allargabile…
È il “Modello Roma”: Inclusione tramite Cooptazione. Il superamento del dissenso attraverso la gestione compartecipata del potere. Un sistema cosolidato dove istanze e divergenze critiche rimbalzano sui muri di gomma di un’apparente accondiscendenza, affondano nella melassa buonista e lì soffocano sotto la patina caramellata di ipocrisie zuccherose.
Un modello che si è rivelato fallimentare su scala nazionale, come nella stessa Capitale.
Ma non si può dire, perché il buon Walter mica ha capito di aver perso le elezioni e persiste nel metodo, illudendosi forse che ciò possa supplire al sostanziale vuoto programmatico ed al collasso strutturale della sua creazione.
Il Partito democratico assomiglia sempre più ad un regno feudale. Un centro direzionale debole, se non addirittura impotente. Sostanzialmente autoreferenziale, ma incapace di intervenire alla sua periferia. Un regno devastato dalla Guerra dei Baroni scatenata al suo interno dai singoli vassalli, preoccupati unicamente di consolidare i propri feudi politici, al fine di assicurarsi una rendita personale ritagliata a misura di clientela.
Una delusione palpabile, amara, e sempre più diffusa tra coloro che pure avevano creduto (non certo chi scrive) al ‘grande progetto riformista’. Impietoso è il ritratto che del PD traccia Antonello Caporale, una delle penne più brillanti de La Repubblica (il quotidiano che più di ogni altro aveva appoggiato la ‘svolta’ veltroniana):
“Cosa dire del Partito Democratico? Una formazione politica nemmeno nata e già parsa stecchita. Notabili in ogni luogo d’Italia, gruppi di potere contrapposti, legati da un solido astio, guidati da una disistima che avanza pubblicamente. Ognuno per sé. Qui la Margherita, lì i diessini. E a pioggia, innumerevoli sottocorrenti e capibastone. Ciascuno con la sua lingua ed i suoi interessi, le proprie relazioni e le proprie fondazioni.
Non un’idea, non un disegno politico che si scorga e nemmeno una classe dirigente che abbia la minima voglia di rifondarsi. Cambia lo spettacolo, ma è sempre la stessa compagnia di teatro a metterlo in scena. La vita scorre alla giornata, ciascuno col suo mucchietto di potere residuo, intento a difenderlo ad oltranza. Illuminante e in qualche modo penosa la via che, per esempio, Antonio Bassolino ha scelto per custodire quel po’ di potere ancora in suo possesso. Deriso dall’Italia, crocifisso e persino ripudiato dai suoi compagni per le responsabilità connesse alla dissennata gestione dei rifiuti, ha deciso di accucciarsi all’ombra di Silvio Berlusconi. Farsi trasportare dal suo fiume verso il traguardo finale: ancora una volta un seggio. Quello, oggi si dice, di parlamentare europeo. E tutti gli altri? Cosa fanno gli altri, dove sono, cosa dicono? Boh! Il partito democratico ha così tante voci che si ha netta la percezione della sua incapacità di muoversi verso una qualunque posizione unitaria. Ritorno al nucleare? Chi dice sì e chi di no. Eutanasia? Giusta morte? Chi dice sì e chi di no. Dialogo sulle riforme? Chi dice sì e chi di no. Politica della fermezza o spinta dell’integrazione degli immigrati? Nelle città d’Italia i sindaci del PD bastonano gli extracomunitari, nel Parlamento i rappresentati del PD li difendono.
(…) Non esiste una questione dove l’opposizione opponga un comune sentire. Non è giustizialista ne dialogante. Né sembra di sinistra e nemmeno compiutamente riformista. Non clericale ma ancora lontana dall’essere pienamente e convintamente laica. Moderata? E cosa significa essere moderati?
Cos’è la moderazione oggi? Una delle connotazioni peculiari della mediocrità è la sorprendente capacità di adattamento. Il mediocre non ha particolari istanze ideologiche a cui aderire, non si immette in alcuna grande narrazione. Non ha slanci dottrinali. È un camaleonte pronto ad indossare il costume che meglio si adatti alla scena.
La parola chiave, moderazione, è trasmessa sempre più spesso, anzi nascosta nel termine ‘riformista’. Nessuna opinione netta, piuttosto massima flessibilità. Anthony Giddens teorizzava magistralmente la necessità di un nuovo corso storico, la terza via, l’alternativa possibile; il moderato invece dispone di un ben più ampio ventaglio di possibilità. In esso il pensiero debole, il sistema filosofico legato alla postmodernità, raggiunge livelli parossistici degenerando nell’assoluta liquidità di posizioni. La pluralità è assurta a dogma. Il moderato si adatta al mutamento incessante delle condizioni; il suo è un pensiero essenzialmente morbido. È in questo humus che nasce il sublime concetto di cerchiobottismo. Un colpetto al cerchio e uno alla botte. Senza inimicarsi alcuno, restando in un’aurea posizione intermedia. Moderazione significa totale disponibilità ad abbeverarsi dall’una e dall’altra fonte, senza remore, senza pregiudizi. Il moderato sveste una casacca per indossarne un’altra senza pudori di sorta. Nessun tabù, solo realpolitik.
[Antonello Caporale. “MEDIOCRI – I potenti dell’Italia immobile” (pagg.58-60). Baldini Castoldi Dalai editore. Milano, 2008]