Archivio per La Repubblica

MEDIACRAZIA (II)

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 aprile 2022 by Sendivogius

In parallelo con la guerra in Ucraina, sono bastati meno di due mesi di propaganda ininterrotta (ora si chiama “storytelling”), per cancellare ogni credibilità residua di un sistema mediatico rattrappito in servitù volontaria; talmente abituato a sguazzare nei propri escrementi elevati ad oggetto di meraviglia, da rasentare livelli feudali di piaggeria cortigiana, e sputtanarsi irrimediabilmente agli occhi di un pubblico sempre più sconcertato dinanzi al miserabile teatrino di guerra, imbastito da zelanti reclutatori in livrea.
È un rassemblement violentemente ideologico di incarogniti gaglioffi convertiti alla mistica bellica, esteti del pensiero unico, presenzialisti da salotto, e servi sciocchi in cerca di visibilità. Si tratta di un pastone fetido, in cui sembrano convergere meschineria congenita e mediocrità professionale, dove i livori personali (e padronali) vengono ammantati di “indignazione” ad uso delle telecamere; una fossa biologica, nella quale approssimazione e disonestà intellettuale sono travestite da “fermezza”, mentre incompetenza e presunzione vengono esacerbate da una supponenza parolaia ed arrogante. Ci troviamo a vivere e sorbire una grande mistificazione orwelliana, dove si distingue per furore e fervore La Repubblica dei cavalieri GEDI nella galassia degli Elkann, con contorno di truppe cammellate di rinforzo e sturmtruppen da terza linea, tra i quali spiccano alcuni casi più consoni alla psicopatologia clinica che altro, come quel Massimo Gramellini che ha fatto del prof. Alessandro Orsini la sua ossessione personale, con tanto di esegesi dei testi e delle parole del reprobo. Se uno dovesse sottoporre allo stesso trattamento le opere del Gramella nazionale, si potrebbere scrivere una nuova appendice comica sull’inesauribile lista dei libri merdavigliosi dei quali la nostra editoria abbonda. Sono i pretoriani di regime, specializzati nel vituperio generalizzato di ogni voce critica all’invio ad oltranza di armi; la compagnia di disciplina, schierata contro chiunque osi semplicemente richiamare a maggiore prudenza, rispetto alla foga declamatoria dei troppi guerrafondai su procura. Attualmente, i nostri inquisitori di redazione sono uniti nella character assassination del frastornato Giuseppi, maramaldeggiando sul fu avvocato del popolo, politicamente già morto, colpevole di non essere abbastanza allineato al nuovo corso bellico, ma soprattutto non supinamente sdraiato al cospetto del Draghi che ci conduce, e per questo da fustigare legato alla colonna infame.
Strepitoso è pure un Massimo Giannini, che buttati nel cesso anni di solida reputazione giornalistica, lascia sottintendere chissà quali inconfessabili complicità per intesa col Nemico (e non ovvie responsabilità penali, insinuando alti tradimenti), circa gli innominabili scopi della famigerata missione russa ai tempi del Covid, non capacitandosi come il personale medico militare inviato dall’Impero del Male potesse essere coadiuvato da un generale: un “GE-NE-RA-LE!!” scandisce un Giannini furioso, al culmine del suo vibrante sdegno a misura di telecomando, sconvolto da cotanta abnormità.
Perché, il generale Figliuolo che ha gestito l’epidemia pandemica cosa cazzo era?!?

“Gli Oligarchi della tivvù, sbugiardati dal pubblico”
Domenico De Masi
(19/04/2022)

«Man mano che passano i giorni della guerra in Ucraina si moltiplicano i sondaggi trasmessi dalle varie reti televisive per rilevare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo. Il risultato è che cresce la divaricazione tra ciò che quelle reti cercano di accreditare con le proprie trasmissioni e ciò che “la gente” comincia a pensare con la propria testa. Questi media, pubblici o privati che siano, fanno a gara per dimostrare che Putin è pazzo, ma “la gente” comincia a pensare che sarà pure pazzo, ma di sicuro non è scemo. Questi media gareggiano nell’accreditare un’immagine salvifica degli Stati Uniti, ma “la gente” comincia a pensare che l’America sarà pure esportatrice di democrazia, ma i suoi interessi non coincidono con quelli europei. Questi media gareggiano nell’insinuare che in Russia monta un’ondata di dissenso per rovesciare Putin, ma “la gente” comincia a capire che la stragrande maggioranza dei russi concorda pienamente con le strategie belliche dello zar. Questi media gareggiano nel tranquillizzare i consumatori sulla disponibilità di fonti energetiche anche per il prossimo futuro, ma “la gente” è sempre più convinta che il petrolio e il gas raccattato presso altri dittatori comunque non ci affrancherà dalle forniture russe.
Da cosa dipende la sfasatura tra l’informazione fornita dagli anchor men dei media e l’opinione pubblica dei cittadini? A mio avviso dipende dall’abuso di potere esercitato dai primi, sottovalutando la qualità intellettiva dei secondi. Inoltre, gli anchor men soffrono di autoreferenzialità come ogni circolo chiuso in cui poche diecine di privilegiati fanno da guardiani al pensiero unico, mentre i cittadini comunque esprimono una pluralità di vedute garantita dall’essere milioni di teste disparate, appartenenti a classi diverse.
In 24 mesi, tra la realtà incombente della pandemia e della guerra e l’idea che ce ne siamo fatta, si è interposto il filtro distorcente di una ventina di anchor men, oligarchi nostrani dell’informazione che, armati di talk show, hanno imposto il loro punto di vista basandolo sulla propria cultura generica e sull’interesse dei loro padroni. Il metodo manipolatorio è semplice: ogni trasmissione viene articolata in uno o più panel di cosiddetti “esperti” scelti alla rinfusa in un mazzo consueto di giornalisti e politici. Il numero dei partecipanti a ciascun panel deve essere esuberante rispetto al tempo disponibile, in modo che ognuno degli interpellati abbia pochi secondi per esprimere giudizi su questioni cosmiche. Prima che l’interpellato di turno riesca a completare un pensiero, viene interrotto dal conduttore o viene contraddetto da altri partecipanti che sovrappongono il loro dissenso, spesso in tono forsennato, a ciò che si stava dicendo. Essenziale è che, alla fine della messinscena, tutti abbiano parlato senza nulla dire e resti salva solo la tesi che stava a cuore al conduttore, cioè al suo datore di lavoro.
Il sotterfugio sempre più frequentato sta nell’esibire giornalisti in veste di esperti. Quella del giornalista è una rispettabile professione che consiste nella capacità scientifica di raccogliere, vagliare e trasmettere notizie su una vasta gamma di accadimenti. L’esperto, invece, è colui che ha dedicato una vita intera ad approfondire una sola disciplina con qualche necessaria scorribanda nelle discipline confinanti. Ma ora vige il vezzo di promuovere al rango di storico o di geopolitologo o di virologo o di sociologo qualunque giornalista che sia stato impunemente intervistato un paio di volte su questioni di storia o di geopolitica o di virologia o di sociologia.
Tuttavia, quando gli eventi comunicati sono complessi e gravi come quelli attuali, si mette in moto tra “la gente” un meccanismo di autonoma elaborazione delle informazioni per cui l’ignoranza sapiente dell’opinione pubblica travalica la sapienza ignorante degli anchor men. Un aspetto particolarmente grave dell’attuale patologia informativa consiste nell’occultamento sia delle cause che hanno portato alla situazione presente, sia dei disastri cui stimo andando incontro e dei rimedi sbilenchi che gli stiamo opponendo. La carenza congiunta di grano e di fonti energetiche promette a tutto l’Occidente un prossimo futuro di fame per molti e di impoverimento per quasi tutti. Ciò comporta che masse pauperizzate accumuleranno un rancore esplosivo traducibile in sovversione autoritaria o in incremento democratico a seconda del colore delle forze politiche capaci di egemonizzarle e convogliarle. Dio non voglia che, nel frattempo, Le Pen conquisti la presidenza in Francia e Trump la riconquisti in America. A quel punto, Pandemia e guerra in Ucraina ci appariranno disgrazie minori. Ma di questo non si parlerà o ne parleranno i giornalisti, promossi esperti sul campo

Homepage

Brodo di cottura

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 24 settembre 2012 by Sendivogius

Certi argomenti vanno maneggiati con cura. La delicatezza della faccenda è tale, da richiedere la massima circospezione per comprovate esigenze di profilassi…
Certe questioni, come le deiezioni canine, rischiano infatti di rimanerti appiccicate sotto la suola delle scarpe con tutto il loro fetore rappreso…
Notoriamente, tanto per usare un’espressione familiare ai consiglieri laziali: la merda più la smucini e più puzza!

E pur tuttavia, nella nostra cinica indifferenza, noi comuni mortali non ci siamo accorti di quale terribile dramma si stia consumando, proprio in questi frangenti, nel mondo patinato della “libera informazione”, mobilitato in massa su reazione auto-conservativa, per assistere preoccupato alle sorti del tenero Alessandro Sallusti, il giornalista libero e indipendente, dallo stile sobrio e gentile, che rischierebbe (e beato chi ci crede!) la carcerazione per qualche offesa di troppo.
Il personaggio in oggetto non ha bisogno di particolari presentazioni. Chiunque, per appartenenza professionale, inclinazioni sessuali, tendenze politiche, provenienza sociale.. nel corso di questi lunghi anni è stato omaggiato dagli sputazzi e le palate di letame, che l’inconfondibile Sallusti getta a piene mani dalle redazioni dei giornalini padronali presso i quali si passa la staffetta (Libero e Il Giornale), per conto delle nuove Agenzia Stefani coi suoi corifei prezzolati del regime berlusconiano e le relative escrescenze fecali a mezzo stampa.

Chi vuole, può trovare QUI una breve illustrazione sull’esprit libre dell’eroico perseguitato dal Sistema. A protezione del papi-warrior si è schierato l’universo mondo dei media mainstream, insieme all’intero arco parlamentare su mobilitazione trasversale, in quella che (ad essere maliziosi) assomiglia tanto ad una difesa corporativa di natura castale.
Tra i soccorritori in cavalleresco supporto, si distingue per zelo l’insospettabile Marco Travaglio: il castiga-papi folgorato sulla via de “Il Giornale”; il vate del grillismo militante che farebbe carcerare mezzo mondo, ma non il collega che di quel mondo è da sempre l’alfiere a libro paga.
Per i palati più raffinati, c’è da segnalare lo sgangherato editoriale di Giovanni Valentini, pubblicato su La Repubblica, dove si esibisce in una imbarazzante difesa d’ufficio che sembra ricalcata in toto sulle tesi di un Cicchitto o un Gasparri..!

«Per commentare l’inverosimile caso di Alessandro Sallusti, ultima vittima designata di una giustizia ingiusta, basterebbe citare una celebre frase: “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle”.»

Giovanni Valentini
Quando un direttore rischia la galera
La Repubblica – (22/09/2012)

Non per niente, il ricorso alla “galera” costituisce in sé un fatto aleatorio e dunque relativo… Finché a finirci dentro sono dei perfetti sconosciuti (o gli ‘altri’) va sempre bene, o comunque frega loro ben poco, ma se ad essere castigato è uno della sacra categoria, santificata dall’iscrizione ad un Albo, allora cambia tutto..!
Nella fattispecie il povero Sallusti, il vurdalak riesumato dalle cripte della Curia comasca, ha solo sfruttato il dramma privatissimo e delicatissimo di una ragazzina che ricorre all’aborto, trasformando la notizia in uno straccio ideologico da agitare contro l’esecrata magistratura, per galvanizzare le falangi sanfediste di certo berlusconismo che però nulla hanno mai avuto da eccepire sugli squallidi giri di prostituzione minorile nelle alcove del papi nazionale.
Ed ora, mentre se la fa visibilmente addosso in attesa della sentenza, Sallusti è di una tenerezza irresistibile mentre pigola le sue ragioni, farfugliando qualcosa sulla libertà di stampa…
A tal proposito, è interessante ripercorrere le paginette che Il Giornale a direzione Sallusti dedicò a suo tempo alla cosiddetta “Legge Bavaglio” ed al decreto “ammazza-blog” (dei quali avevamo parlato in esteso QUI e QUI), regalandoci illuminanti disamine sul tema… La normativa, fortissimamente voluta dal PdL, introduceva pesanti limitazioni della libertà di espressione, con un’estensione allargata delle sanzioni penali (ma con aggravio di pena) a bloggers, siti amatoriali ed informativi senza scopo di lucro. Sono le stesse sanzioni  attualmente previste per le testate giornalistiche registrate e per i loro direttori. Questi ultimi però sono economicamente protetti (e pagati) dal proprio editore, che di solito risponde in solido dei risarcimenti e delle spese legali. E sono altresì le stesse sanzioni contro le quali oggi il giornalismo professionale tuona all’unisono, in difesa di Sallusti e rigorosamente pro domo sua.
Per esempio, in merito al disegno di legge n.1611, presentato dall’accoppiata sicana Alfano-Centaro di quel delle libertà, si prevedeva un inasprimento delle pene detentive da uno a cinque anni, contro chiunque indebitamente notizie inerenti ad atti o a documentazione del procedimento penale coperti dal segreto, dei quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio; nonché l’obbligo di rettifica entro 48h con pubblicazione integrale delle insindacabili rimostranze, fornite dalla (presunta) parte lesa, con la massima evidenza e senza alcun commento.
Dinanzi ad una serie di proteste legittime (ancorché inutili) contro il tentativo censorio, così si esprimeva il buon Filippo Facci dalle colonne de “Il Giornale”:

 «A un certo vittimismo di categoria stile mi-straccio-le-vesti, roba insomma da giornalisti, ora si aggiunge un’antistorica e anche un po’ patetica – mi scuseranno – pretesa di separatezza da parte dei cosiddetti blogger, i proprietari cioè di blog e di siti internet che per il prossimo 14 luglio hanno indetto uno sciopero: in pratica significa che non aggiorneranno i loro blog con ciò ritenendo – mi scuseranno ancora – che gliene freghi qualcosa a qualcuno. Loro la chiamano “giornata di protesta contro il decreto Alfano e l’emendamento ammazza-internet”, che poi sarebbe quella parte del decreto (comma 28, lettera A dell’Art.1)
[…] In pratica, cioè, dovrebbero comportarsi come il resto della stampa ed esserne più o meno equiparati: e peggior bestemmia per loro non esiste….
Che cosa vogliono costoro? È semplicissimo: vogliono che la rete resti porto franco e che permanga cioè quella sorta di irresponsabile e anarchica allegria che era propria di una fase pionieristica di internet e che era precedente a quando “la rete” non era ancora divenuta ciò che è ora: un media rivoluzionario, ma pur sempre un media, dunque la propaggine di altri media anche tradizionali che sono regolati dalla legge come tutto lo è.»

 Filippo Facci
 “Decreto Alfano: chissenefrega dello sciopero dei blogger”
Il Giornale – 07/07/2011

Il generoso editorialista ci tiene comunque a ribadire che gli assennati non hanno niente da temere. Ne hanno i cretini, gli anonimi e i disinformati. Si potrebbe obiettare che le cose non stanno sempre così e che non tutti hanno le risorse economiche per poter affrontare le spese legali, inerenti pretestuose richieste miliardarie di risarcimento danni che, com’è noto, non costano nulla al querelante e costituiscono un ottimo strumento di intimidazione e censura.
E certi accorgimenti, dettati da una doverosa prudenza, sono più che leciti fintanto che in Parlamento circolerà gente come l’avv. Maurizio Paniz, quello tuttora convinto che Ruby sia la nipote di Mubarak, che va predicando in giro:

«Devono essere sanzionati i giornali che pubblicano e i giornalisti. I giornalisti con una misura di rilevanza penale. Il giornalista che pubblica ciò che non può pubblicare dovrebbe subire una sanzione pensale. Il carcere magari è un percorso più lungo… Ci vorrebbe una sanzione da 15 giorni a un anno, poi il giudice graduerà a seconda della violazione, vedrà se sono possibili riti alternativi, pene pecuniarie o multe o se il giornalista debba andare in carcere.»

 Maurizio Paniz
(05/10/2011)

All’ossigenato Facci che non perde occasione di ribadire quant’è coraggioso lui che ci mette la faccia, con l’editore alle spalle che rifonde i danni di eventuali querele, dall’alto delle sue tutele contrattuali, e al quale ora tremano le dita sulla testiera insieme all’altro leone di carta, Vittorio Feltri, si potrebbe chiedere loro perché mai un Alessandro Sallusti non dovrebbe rispondere di insulti e falsità come chiunque altro. E di cosa abbiano tanto da lamentarsi, se adesso viene applicato quanto previsto dalla Legge, tanto invocata dallo stesso Facci…
Nella fattispecie, si tratta degli articoli 595, 596, 596bis, 597 e 599, del Codice Penale:

Art. 595 c.p. – Diffamazione
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Art. 596-bis c.p. – Diffamazione col mezzo della stampa.
Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57-bis e 58.

È vero! Il povero Sallusti non ha mai scritto l’articolo incriminato e pubblicato da quella vasca di liquami senza eguali, chiamata Libero, della quale Sallusti era malauguratamente direttore…
Infatti è stato inquisito ai sensi dei famigerati articoli 57 e 57bis, 58 e 58 bis del Codice Penale, che disciplinano la “responsabilità del direttore e dell’editore:

Art. 57 c.p. – Reati commessi col mezzo della stampa periodica.
Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati [528, 565, 596bis, 683, 684, 685], è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.

Che l’intera normativa vada rivista ed il reato di diffamazione ridefinito è indubbio.
E il sedicente “Popolo delle Libertà” ha tentato più volte di provvedere in tal senso… cercando di quadruplicare le sanzioni ed estendendo la carcerazione con un inasprimento delle pene detentive!
Prima che l’abnormità della sanzione riguardasse il fedele Sallusti, i pretoriani del papi imperiale non s’erano mai posti il problema, se non in termini ulteriormente repressivi, irridendo quanti impugnavano la questione:

«Irresistibili. Appena qualcuno ne lancia uno, con riflesso pavloviano scattano penna in pugno a sottoscriverli. E così è successo ieri, non appena un gruppo di editori ha ri-lanciato un appello “In difesa della libera informazione”, identico a quello pre-lanciato lo scorso anno al Salone del Libro di Torino contro il ddl intercettazioni. Stessa materia di discussione, stesso governo in carica e quindi stesse urla scandalizzate.
[…] Ora, a parte che la “piena democrazia”, semmai, si gioca sul difficilissimo equilibrio fra libertà di informazione da una parte e tutela della privacy del cittadino dall’altra (un aspetto che i pasdaran del «Pubblichiamo tutto, sempre e subito», anche i contenuti delle intercettazioni penalmente irrilevanti, tendono a dimenticare)… E a parte il fatto che fra il minacciare il carcere per i giornalisti e il pubblicare indiscriminatamente qualsiasi carta esca dalle Procure c’è tutto lo spazio per una civile discussione senza per forza parlare di legge “fascista” come ha fatto l’Idv appena letto l’appello… A parte tutto questo, il manifesto degli editori pone un dubbio e una domanda. Il dubbio è che appelli come questo siano atti di militanza intellettuale, legittima se la si ammette ma ipocrita se si vuole fare “quelli che noi siamo super partes”
[…] Se il principio della libertà di informazione è sempre sacro, la sua difesa a volte – quando è strumentale – rischia di diventare, se non falsa, profana.»

 Luigi Mascheroni
 “Editori uniti anti-bavaglio Un’accolita di ipocriti che grida alla censura
Il Giornale – (11/10/2011)

Per l’appunto, basta con le ipocrisie. E dunque, giusto per fare il verso a Filippo Facci, chissenefrega di Sallusti!

Homepage

THE SWEET SPIRIT OF CAPITALISM

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 giugno 2012 by Sendivogius

 «Supponiamo che la casa del mio vicino prenda fuoco e che io abbia un tubo innaffiatoio lungo quattro o cinquecento piedi e anche più. Se il mio vicino può prendere il mio tubo e collegarlo al proprio idrante, potrei aiutarlo a spegnere l’incendio… E non sto certo a dirgli prima: “Vicino, il mio tubo da giardino costa 15 dollari; pagami 15 dollari per averlo”… Io non li voglio i 15 dollari! Rivoglio il mio tubo indietro una volta che l’incendio è spento.»

  Franklin Delano Roosevelt
(17/12/1940)

Tra gli economisti di matrice classica che furbescamente considerano l’euro (e le sue debolezze) come un insperato grimaldello con cui scardinare il public welfare in Europa, ed i sacerdoti del monetarismo più estremo, che guardano i ‘mercati’ alla stregua di una divinità trascendente alla quale prostrarsi deferenti, offendo sacrifici (meglio se umani) sull’altare di una turbo-finanza senza regole, prospera lieta in vaporosi fumi la nutrita processione di candide vestali dell’Austerità, che declamano il nuovo Wirtschaftswunder della Germania virtuosa e della ritrovata Austria Felix, finalmente riunite nel mitico modello tedesco contrapposto alle frivole cicale latine e all’appestato greco. E, per l’appunto, seppur abilmente costruito, di un mito si tratta…

LA REGOLA DEL RIGORE
 Per prassi consolidata, i rigorosi parametri per il contenimento del debito sono inflessibili e contemplano misure draconiane, ma solo quando vengono applicati agli ‘altri’. Diventano improvvisamente iperflessibili, aggirabili o semplicemente violabili, senza timore di incorrere in sanzione alcuna, quando invece vengono applicati ai ‘Grandi’: i virtuosi dei conti in ordine, i custodi del rigore più estremo… che dettano l’agenda all’intero continente, incassando utili e benefici, ma senza distribuire i dividendi agli altri azionisti i quali, più che condividere, subiscono oneri e rigori della moneta unica. Ciò che vale per la Grecia, e Italia… Irlanda… Spagna… Portogallo… Francia… Con ogni evidenza non vale però per la Germania.
Per dire, i rigidissimi Parametri di Maastricht, fortissimamente voluti dal Paese di Goethe, sono stati da questo sistematicamente violati ogni qualvolta la loro applicazione non era più conveniente. C’è da aggiungere che, se tali parametri fossero stati in vigore e applicati alla lettera ai tempi della riunificazione tedesca, questa non sarebbe mai stata possibile. E forse, col senno di poi, non sarebbe stato affatto un male.

I VIRTUOSI DEI CONTI IN ORDINE
Si obietterà: ma la Germania ha i conti in ordine, grazie ad una gestione oculata delle finanze pubbliche e alla trasparenza del bilancio statale… FALSO!
La Germania non disdegna, se la circostanza lo richiede, di ricorrere agli artifici contabili della finanza creativa, senza farsi troppi scrupoli. E del resto non sarebbe nemmeno la prima volta nel corso della sua storia recente. Insomma, la Germania si comporta ne più ne meno di quanto non facciano altri paesi dalla reputazione ben più spregiudicata. In fondo, si tratta di consuetudini universalmente praticate, unanimemente risapute, e ampiamente tollerate fintanto che garantiscono un ritorno anche agli investitori. Perciò non lasciatevi ingannare dal cipiglio severo del crucco da esportazione che vi guarda dall’alto in basso, reputandosi il prediletto dal Signore.
In dettaglio, nel 2011 la Germania è stata richiamata dalla Corte di Giustizia europea, in Lussemburgo, per l’applicazione di un’aliquota ridotta (7%) sulla riscossione dell’IVA (la Mehrwertsteuer) e ritenuta illegittima perché in contrasto con le regole europee sulla concorrenza. Ma già nel 2010 la Corte di Giustizia UE aveva in corso contenziosi giuridici aperti in materia fiscale, su versamenti ed esenzioni IVA, con la Repubblica Federale tedesca.
..Epperò la Germania ha un debito pubblico molto basso… VERO; o forse no..!
In base ai rapporti statistici di Eurostat 2011, il debito della Germania in effetti è contenuto intorno al 81,2% sul PIL e viene dato in potenziale ribasso. Si tratta di un buon risultato (non ottimo) rispetto al 120% del debito italiano, che comunque è in grandissima parte un’eredità craxiana degli anni ’80, quando l’infame triade Brunetta-Tremonti-Sacconi forniva le sue competenze (oggi come allora) al Tesoro [QUI].
E comunque, in termini monetari, il debito tedesco è più alto di quello italiano: 2.088 miliardi di euro contro 1.897 miliardi dell’Italia. Quello francese è dato all’86% con 1717 miliardi di debito. Tanto per dire, il debito della famigerata Grecia è stimato a 355 miliardi.
Soprattutto, ad inizio 2011, prima che la Spagna venisse travolta dall’esplosione della bolla immobiliare, e dalle prescrizione rigoriste teutoniche che hanno gettato il paese iberico nella depressione economica con lo spread oltre i 500 punti, c’è da rivelare che il debito pubblico della Spagna (66%) era tra i più bassi della UE.
Nel computo del debito pubblico, ed in particolare di quello tedesco, si è soliti distinguere tra:

1. “debito esplicito” (obbligazioni e buoni del Tesoro emessi per rifinanziare la spesa dello Stato);
2. “debito implicito” (Stipendi pubblici, Pensioni, Sanità, politiche sociali e spesa assistenziale);

 Secondo gli economisti convertiti al miracolo teutonico, nel computo del debito di uno Stato, va considerato unicamente il “debito esplicito”, ovvero gli interessi da pagare sull’emissione di titoli pubblici; e non il “debito implicito”, con le sue spese assistenziali e previdenziali, nelle quali si accumula il grosso del passivo di bilancio.
L’affascinante disamina si può leggere sull’International Business Times del dicembre 2011, in risposta ad uno dei soliti articoli farlocchi pubblicati dall’immancabile “Libero”:

«Uno studio del CERP (Centre for research on pension and welfare policies), ad opera di Beltrametti – Della Valle, due economisti dell’Università di Genova, intende analizzare proprio questo tema: è opportuno considerare la spesa assistenziale e pensionistica presente e futura, alla stregua del debito e degli interessi su di esso pagati?
Beltrametti e Della Valle concludono che, mentre la spesa pensionistica e assistenziale non sono un “bene di mercato”, i buoni del tesoro e quindi il debito pubblico “esplicito” sono oggetto del giudizio degli investitori, ed è su questo giudizio che si basano le oscillazioni dei rendimenti che lo stato deve pagare per ottenere capitali in prestito.
Le dimensioni di un sistema previdenziale/assistenziale, dunque, non possono essere computate nel calcolo del debito pubblico totale perchè non pesano allo stesso modo sul mercato del debito, bensì costituiscono un fattore interno ad ogni singola economia, che si riflette sul prelievo che lo Stato deve attuare sul settore privato per ripagare i trattamenti pensionistici e la spesa assistenziale.»

Tutto estremamente interessante. Peccato che questa indulgente distinzione venga applicata unicamente nel caso della Germania, in qualità di fortunata eccezione, mentre in tutto il resto d’Europa la sommatoria si pratica eccome. Altrimenti non si spiegherebbero le cure “lacrime e sangue” tutte incentrate sui tagli alla spesa pubblica e previdenziale e sanitaria.

IL BISCOTTO DI BILANCIO
(ovvero come ti pareggio i conti)
Cambiate le variabili di calcolo, il risultato sarà sempre quello giusto… La chimera del “pareggio di bilancio” da raggiungere in tempi impossibili è il perno della politica economica tedesca: si impone alla UE e, come al solito, non si applica a se stessi se non barando sui saldi.
La disamina del prof. Matthias Hartwig, del Max Planck Institut di Heidelberg, è abbastanza illuminante:

«Nonostante il generale apprezzamento a cui va incontro il “modello tedesco” di costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio (da intendersi qui in senso stretto, al contrario dell’Italia), le criticità non sono poche. Innanzitutto le ragioni che hanno condotto alla riforma costituzionale del 2009 sono varie: contenere la forte crescita del debito tedesco, registratasi dal 1949 al 2009; costituzionalizzare i parametri di Maastricht, sistematicamente violati dalla Germania dal 2002; limitare la possibilità di accendere crediti. Un altro problema prima del 2009, peraltro solo parzialmente risolto oggi, riguarda la mancanza di un controllo giurisdizionale effettivo. Il Tribunale costituzionale federale tedesco si è sempre astenuto dal decidere su questioni di politica fiscale, nonostante fossero stati presentati ricorsi in via principale da parte dei Länder. Peraltro, quando il Tribunale costituzionale federale giungeva a decidere su un ricorso mediamente passavano alcuni anni: la Corte scontava infatti un grande arretrato. Successivamente, con una decisione del 2007, che poi è stata interpretata come un avallo alla successiva riforma costituzionale del 2009, il Tribunale costituzionale federale ha assunto un orientamento più restrittivo quanto al suo intervento sulla sostenibilità della finanza pubblica.
Nel 2009, il nuovo articolo 115, comma 2 GG, introduce l’obbligo di pareggio senza ricorso a crediti. Previsione, quest’ultima, che però vale solo per i Länder e non anche per lo Stato, che quindi è senz’altro più libero dei Länder di derogare ai vincoli all’indebitamento (un indebitamento strutturale dello 0,35% è ammissibile per lo Stato). Inoltre i bilanci delle municipalità non sono sottoposti al vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, innescando in questi anni una dinamica incrementale della spesa.
Il nodo ancora aperto, come si accennava, riguarda proprio il controllo di queste norme introdotte nel 2009. La strada che pare più facilmente percorribile è quella dell’accesso in via principale al Tribunale costituzionale. Dall’altra parte, però, se nel 2007 il giudice costituzionale era sembrato disposto a procedere ad un vaglio più rigoroso sulle norme riguardanti le entrate e le spese, cionondimeno in quella occasione la reticenza del Tribunale costituzionale federale in materia ha avuto modo di manifestarsi su un fronte decisamente contiguo. Infatti, nella già richiamata sentenza del 2007 il Tribunale ha comunque negato la sua competenza a decidere sul rispetto del principio del pareggio di bilancio. Pertanto, modificato il parametro costituzionale, nulla sembra cambiato. Il bilancio federale non è mai stato dichiarato incostituzionale dalla Corte; in senso diverso si è proceduto a livello dei Länder: i Tribunali costituzionali di tre Länder hanno ritenuto i bilanci statali incostituzionali

 Matthias Hartwig  – “La costituzionalizzazione del pareggio di bilancio in Germania”
Intervento al convegno organizzato dalla Fondazione CESIFIN su “Crisi economica e trasformazioni della dimensione giuridica” – Firenze, 15/05/2012.

GLI EUROPEI VOGLIONO VIVERE SULLE SPALLE DELLA GERMANIA
È la più furba (e la più infame) delle favolette interessate, messe appositamente in circolazione…

«LA GERMANIA usa l’Europa per i propri fini, non viceversa. La dimostrazione è quanto accaduto alla Grecia. All’inizio della crisi greca sarebbe bastato dare 140 miliardi a quel paese per evitare il contagio che da Atene sta impoverendo tutta Europa. Ma l’ostinazione della Merkel è nel fatto che le banche tedesche erano esposte verso la Grecia per 400 miliardi. Se la Grecia avesse imboccato un regolare risanamento i crediti tedeschi si sarebbero allungati nel tempo. E così la Germania ha cercato di salvare le sue banche facendo pagare i propri errori a tutti i partners europei.
LO STESSO DISCORSO vale per gli Eurobond che, va ricordato, sono stati invocati ben prima dell’esplodere di questa terribile fase due della crisi dall’allora ministro dell’economia italiano Giulio Tremonti. Tutti sanno che l’Europa per fronteggiare la crisi, ma soprattutto per rilanciare il ciclo economico avrebbe bisogno (anche) di queste tre mosse: far diventare la Bce un istituto di emissione e prestatore di ultima istanza, emettere Eurobond in modo da omogeneizzare in un unico titolo i debiti sovrani degli Stati membri, svalutare parzialmente l’Euro immettendo liquidità nel sistema.»

  Marilena Palazzo
(23/05/2012)

Ci sarebbe da aggiungere che le banche tedesche, lungi dall’essere solide, dopo la farsa degli stress-test che hanno spostato i problemi del credito alla detenzione dei titoli pubblici, sono tra le più indebitate ed esposte al contagio dei titoli tossici, detenendo nello stomaco migliaia di derivati spazzatura.

«Se infatti l’economia ripartisse gli investitori avrebbero meno interesse a finanziare il debito e più a sostenere la produzione. E questo sarebbe un danno per la Germania. Primo perché la Germania sta guadagnando sul suo debito. Il Bund tedesco a dieci anni viene remunerato sotto il tasso di inflazione a dispetto peraltro dei fondamentali dell’economia tedesca.
LA GERMANIA può così ricapitalizzare le sue banche che sono intossicate molto di più delle altre da titoli spazzatura consentendo una sorta di riciclaggio del denaro. E inoltre deprimendo le economie dei suoi competitor e in particolare dell’Italia che è il secondo Paese europeo esportatore la Germania si assicura i mercati. Non a caso la Germania sta vivendo un periodo di euforia economica. Nel primo trimestre di quest’anno il Pil tedesco fa più 1,2% quello italiano fa il meno 0,8. Ma è un’euforia pericolosa.
LA MERKEL sa perfettamente che l’export tedesco dipende per il 60% dall’Europa. Se l’Europa si ferma rischia, appena i partners del Vecchio Continente ripiglieranno fiato, di vedersi sorpassare dalle altre economie. Per questo la Merkel ha bisogno di tempo, per iniziare a importare di più dai Paesi extra Ue a prezzi più bassi e sganciarsi dalla dipendenza economica europea.
[…] QUINDI la Germania ha tutto l’ interesse a frenare queste economie, a finanziare il suo debito a tassi di guadagno, a non creare un’unità economica dell’Europa ma solo a una unità fiscale che imbavaglia le altre economie.»

  Marilena Palazzo
(23/05/2012)

In pratica la Germania sta rastrellando i capitali in fuga dagli altri paesi europei, in seguito alla crisi del sistema creditizio, indotta anche dalle politiche di ricapitalizzazione bancaria richieste da Francoforte, e soprattutto dall’implosione dei debiti sovrani generata dalla speculazione finanziaria e dalle politiche recessive imposte dalla Merkel e la Bundesbank al resto dei partners europei.
 In questo modo la Germania sta rifinanziando il proprio debito pubblico a costo zero, ma a scapito del resto della UE, drenando capitali per lo sviluppo dei paesi che più avrebbero bisogno di rilanciare gli investimenti, bloccati però in nome del “fiscal compact” (che impedisce ogni spesa pubblica fuori bilancio). Un’altra trovata teutonica. Al contempo, boicotta o lascia cadere ogni piano di rilancio economico, concentrando tutte le sue politiche nell’imposizione del rigore fiscale e rifiutandosi di ripartire gli oneri. Di fatto è una politica volta a distruggere i potenziali rivali commerciali. Questa, sotto la maschera del rigorismo, assomiglia molto ad una forma di neo-colonialismo.

«Eppure la Germania non può chiamarsi fuori, affermando che spetta ad ogni paese risolvere i problemi che esso stesso si è creato. Non può – non potrebbe, non dovrebbe – perché la moneta unica, se comporta vantaggi, comporta anche oneri. E la Germania dei primi ha usufruito e usufruisce.
La Germania è stata certamente la “prima della classe”. Dopo l’introduzione dell’euro ha ristrutturato la sua industria (lì, al contrario che da noi, i capitalisti investono); con le riforme a più riprese della commissione Hartz ha ridotto le spese del welfare; soprattutto, ha imposto la moderazione salariale, tenendo per molti anni il tasso di disoccupazione sopra la media europea. In questo modo ha messo a segno forti guadagni di competitività, collocandosi così nel Gotha dei grandi esportatori mondiali, insieme alla Cina e addirittura davanti al Giappone. Attenzione, però: l’aumento del suo export è avvenuto soprattutto all’interno dell’area euro, mentre al di fuori ha addirittura perso qualche posizione. Ha cioè sfruttato la sua virtù a scapito dei paesi meno capaci di seguire un analogo sentiero di aumento della competitività.
Ha potuto farlo, però, anche perché c’era l’euro. In passato – e noi italiani lo sappiamo bene – i paesi che perdevano competitività erano costretti, ad un certo punto, a svalutare la loro moneta. Il che, per il paese interessato, non era certo una soluzione ottimale, perché anche quella ha dei costi, ma da una parte impediva l’avvitamento dell’economia, dall’altra riequilibrava gli scambi con l’estero. In altre parole, in uno scenario del genere, la Germania non sarebbe riuscita a mantenere quell’alto livello di esportazioni verso i paesi dell’area.
C’è un altro aspetto almeno altrettanto importante. E’ stata appena diffusa la notizia che la Germania ha collocato 4,5 miliardi di titoli a due anni al fantastico tasso di rendimento dello 0,07%. Fantastico, perché significa che il rendimento reale è negativo, essendo l’inflazione intorno al 3%. In altre parole, gli investitori pagano la Germania perché custodisca i loro soldi, come se affittassero una cassetta di sicurezza. Pagano anche per i titoli a lungo termine, visto che i Bund decennali viaggiano a circa l’1,5%.
Perché accade questo? Perché in una situazione di grande incertezza, come quella attuale, il denaro cerca porti sicuri, e la Germania indubbiamente lo è. Logico quindi che attiri capitali.
Ma se non ci fosse l’euro questo provocherebbe un apprezzamento della valuta, con ovvie conseguenze negative sull’andamento delle esportazioni. Invece c’è l’euro, la stessa moneta che hanno anche gli altri paesi europei in difficoltà, che quindi ne tirano al ribasso la quotazione. E dunque la Germania può beneficiare di un afflusso di capitali – con cui si finanzia a costo sottozero – senza doverne subire contraccolpi

  Carlo Clericetti
  Repubblica.it – 23/05/2012

È chiaro anche che l’economia tedesca non può espandersi all’infinito, come è evidente che il suo punto di forza è fondato soprattutto sulle esportazioni, che ormai si concentrano quasi tutte in Europa, potendo contare su una moneta unica, sull’assenza di tassi di cambio e di dazi doganali, sulla libera circolazione delle merci ed una normativa condivisa.

«L’Europa è, per la nazione della signora Merkel, una specie di Pozzo di San Patrizio, da cui trae buona parte della sua ricchezza odierna. Basti pensare che il 75,7 per cento del surplus commerciale del 2011, pari a 158 miliardi di euro, proviene dalla Ue. A questo vantaggio derivante dal mercato unico, si aggiunge quello che proviene dalla moneta unica. Non bisogna infatti dimenticare che l’introduzione della moneta unica non è stata solo il frutto di un innamoramento collettivo verso un nuovo traguardo del processo di integrazione europea, né una semplice logica conseguenza del mercato unico, bensì anche uno strumento di convenienza economica per il commercio intracomunitario. Il vantaggio economico derivante dalla moneta unica è presto quantificabile. Le aziende che esportavano verso gli altri paesi comunitari oggi parte dell’Eurozona, anche in assenza di dogane, affrontavano due tipi di costo, derivanti dalla presenza di valute diverse. Un primo costo consisteva nella commissione di cambio, che gli operatori economici, al pari delle persone che si recano all’estero per vacanza o affari, devono pagare alle banche per trasformare la valuta estera nella propria moneta. Questo costo è in genere non inferiore al 2-3% del valore della transazione. Vi è poi un ulteriore costo, che è dovuto alla copertura dei rischi di cambio, ossia al rischio che il tasso di cambio esistente al momento della sottoscrizione del contratto di vendita, risulti poi diverso da quello in vigore al momento del pagamento, possibilità esistente anche nel precedente sistema dello Sme (Sistema Monetario Europeo), in cui le oscillazioni previste potevano raggiungere la soglia massima del 4,5% (+/-2,25% rispetto all’Ecu). In sostanza, il rischio di cambio poteva costituire un costo pari a 2-3 punti percentuali del valore dell’esportazione. In altre parole, l’introduzione dell’euro ha consentito di risparmiare almeno il 5% sul valore degli scambi intracomunitari tra i paesi dell’Uem (Unione economica e monetaria). Nel caso della Germania, applicando quel 5% ai 3.645 miliardi di euro di prodotti venduti negli altri 16 paesi dell’Eurozona negli ultimi 10 anni, si ottiene il non trascurabile importo di 182 miliardi di euro, che costituisce poco meno di quanto la Germania ha dato (211 miliardi) al fondo salva stati (Efsf). In sostanza, la Germania si è impegnata (senza però spendere) per un importo di poco inferiore al risparmio effettivo già ottenuto dalle sue imprese grazie all’euro. Un vantaggio che si aggiunge a quello derivante dall’avanzo commerciale, dovuto all’esistenza di un mercato unico.»

 Adriano Bonafede e Massimiliano Di Pace
“Berlino conta i dividendi dell’euro 1300 miliardi di surplus in dieci anni”
Affari e Finanza (18/06/2012)

Si tratta di una situazione ideale che, ovviamente, non è destinata ad essere eterna.

I TEDESCHI PAGANO SEMPRE I LORO DEBITI
 Da ciò scaturirebbe l’intransigenza e l’inflessibile severità dimostrata nei confronti dei greci e dei paesi UE in difficoltà con la quadratura dei conti pubblici.
Peccato che proprio i rigorosi tedeschi siano usciti dai loro momenti di maggior difficoltà economica NON pagando mai i propri debiti…
Nel corso della sua storia recente, l’Austria (quella che ci viene a fare i conti in tasca) ha dichiarato bancarotta per ben 6 volte, impiegando anni a rifondere parzialmente il default:
Anno 1802
 Anno 1868
 Anno 1914
 Anno 1932
 Anno 1938
 Anno 1940

La virtuosa Germania è andata in bancarotta per motivi bellici (aveva attaccato e invaso mezza Europa) nel 1932 e nel 1939.
Superfluo dire che la Germania non ha mai estinto il debito, glissando sulle riparazioni, e spalmando i pagamenti (poi sospesi) su scala pluridecennale.
Con la Conferenza di Londra del 1953 fu deciso che il debito tedesco della prima metà del ventesimo secolo avrebbe goduto di straordinarie agevolazioni che si risolsero, in realtà, nella sostanziale cancellazione.

«Il London debt agreement del 1953 divise l’esposizione tedesca globale in due capitoli. Il primo precisava che il debito accumulato fino al 1933 andava pagato subito, ma a condizioni di straordinario vantaggio, con interessi così bassi da determinare uno sconto che alcuni hanno fissato nella metà, circa, del totale dovuto. Il secondo, quello su debito e riparazione dei danni dell’epoca nazista e della guerra, era messo in correlazione con la riunificazione tedesca»

Albrecht Ritschl, tedesco, docente di storia dell’economia alla London School of Economics

All’epoca, ad opporsi agli accordi di Londra furono propri i greci, appena affrancatisi dalla brutale occupazione nazista…

«Gli Usa non volevano commettere gli stessi errori emersi dopo il primo conflitto e per questo imposero ad Atene di abbassare la voce. La Grecia non era favorevole e cercò di opporsi alle condizioni del London debt agreement. Prevalse la tesi americana e dei maggiori alleati che non volevano zavorrare Berlino con un debito asfissiante. Quanto? Secondo calcoli approssimativi un anno di Pil, ovvero 90 miliardi di marchi nazisti del 1944. Il cambio alla valuta di oggi è impossibile. Per questo si potrebbe parlare di un debito semplicemente pari a un anno di Pil». Oggi siamo a circa 3.600 miliardi di dollari (nominale).
Non è a oggi che si deve guardare, ma al 1990 (all’epoca era 1.500 miliardi di dollari), quando il debito, invece, di essere saldato con l’atto di riunificazione in ottemperanza agli accordi di Londra, sparì del tutto. “Atene contestò un’altra volta quell’intesa – ricorda Ritschl – ma il passaggio giuridico era inoppugnabile. Nei documenti finali sulla riunificazione delle due Germanie non si fa alcun riferimento agli impegni del London agreement e tanto basta per considerare nullo il debito pregresso”. Una dimenticanza, piuttosto costosa se fosse una dimenticanza che, ovviamente, non fu. Il cancelliere Helmut Kohl lo disse chiaramente: una richiesta del genere non era sostenibile dalle casse di Berlino e ribadì, in cambio, il forte impegno economico tedesco nello sviluppo del progetto europeo»

  Leonardo Maisano
  “Il Sole 24 Ore” – 03/04/2012

Nell’Accordo sui debiti germanici, concluso il 23/02/1953 a Londra, si può leggere:

“I Governi degli Stati Uniti d’America, del Belgio, del Canada, di Ceylon, della Danimarca, della Spagna, della Repubblica Francese, del Regno Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord, della Grecia, dell’Iran, dell’Irlanda, dell’Italia, del Liechtenstein, del Lussemburgo, della Norvegia, del Pakistan, della Svezia, della Svizzera, dell’Unione Sudafricana e della Jugoslavia, da una parte animati dal desiderio di rimuovere gli ostacoli che impediscono di stabilire relazioni economiche normali tra la Repubblica federale di Germania e gli altri paesi e di contribuire in tal modo allo sviluppo di una comunità prospera di nazioni; considerando che da circa vent’anni i pagamenti relativi ai debiti esterni germanici non sono in generale più stati eseguiti conformemente alle stipulazioni dei contratti; che dal 1939 al 1945 lo stato di guerra ha impedito qualsiasi pagamento a conto di un gran numero di questi debiti; che dal 1945 siffatti pagamenti sono stati in generale sospesi e che la Repubblica federale di Germania desidera mettere fine a questa situazione: considerando che gli Stati Uniti d’America, la Francia e il Regno Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord hanno prestato alla Germania, dopo l’8 maggio 1945, un’assistenza economica che ha notevolmente contribuito alla ricostruzione dell’economica germanica, favorendo una ripresa dei pagamenti a conto dei debiti esterni germanici […] detta Commissione ha comunicato ai rappresentanti del Governo della Repubblica federale di Germania che i Governi degli Stati Uniti d’America, della Repubblica Francese e del Regno Unito della Gran Bretagna e dell’Irlanda del Nord erano disposti a consentire notevoli concessioni circa la priorità dei loro crediti concernenti l’assistenza economica del dopoguerra rispetto a tutti gli altri crediti verso la Germania e i suoi cittadini nonchè l’importo totale di tali crediti, alla condizione che fossero regolati in modo equo e soddisfacente i debiti esterni d’anteguerra della Germania.”

Oggi, in virtù della generosa lungimiranza di allora, veniamo ripagati con la favoletta rigorista da raccontare, alla luce di algidi neon, mentre un pupazzo meccanico si accinge ad asportare pezzi carne viva da offrire al dio dei mercati, prescrivendo i compitini da fare al riottoso donatore legato sulla tavola operatoria. È ovvio che l’aspetto punitivo serva ad insegnare il valore della sopravvivenza attraverso la sofferenza, secondo una riedizione estrema dell’etica protestante nello spirito del capitalismo.
A tal proposito, l’insufflata seriale di NEIN! che Angelona Merkel continua ad inzaccherare di fila, ad ogni proposta o tentativo di porre un argine all’avanzata della spirale recessiva, ricordano la parodia di altri ‘bastardi’ più o meno senza gloria…

Con le economie europee strettamente interconnesse attraverso il sistema della moneta unica, non esistono paesi immuni al contagio della crisi. Ma questo i tedeschi fanno finta di non saperlo, trincerati come sono nel loro ricostituito Reich che prospera sulle disgrazie altrui, esternalizzando i danni collaterali della ritrovata supremazia tedesca, ripetendo il mantra della “stabilità di bilancio”. E quella che si è rivelata una circostanza favorita da una serie di condizioni fortunate è diventata una condizione ideale da imporre al resto della UE in tempi strettissimi, tali (come sta avvenendo) da stroncare ogni economia in difficoltà. C’è da chiedersi se la cosa non sia intenzionale…

Homepage

Il Ritorno del ‘Monnezza’

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , , , on 23 ottobre 2010 by Sendivogius

Se la “munnizza” pare destinata a diventare una componente ordinaria del paesaggio partenopeo, ci sono rifiuti altamente tossici dal difficile smaltimento, destinati a ritornare sempre a galla in tutta la loro ingombrante presenza che non conosce imbarazzo di sorta.
Tra le scorie più perniciose, particolarmente coriaceo sembra essere l’incontenibile Guido Bertolaso: proconsole generale alle emergenze nazionali e prefetto del pretorio dell’Impero berlusconiano. Parliamo di un raro condensato di presunzione e ottusità, che deambula da un’emergenza all’altra coi poteri straordinari di un generalissimo sudamericano. Corazzato nella sua boriosa spocchia da hidalgo e rassicurato dalla semplificazione militaresca dei problemi, trasuda arroganza da tutti i pori.
Dispensa consigli all’ONU sulla gestione della crisi haitiana, bacchetta gli statunitensi, e si auto-propone come coordinatore generale; batte cassa presso la UE ma insulta i commissari europei che hanno osato criticare il suo ineccepibile piano-rifiuti. Si tratta dello stesso “piano” dai mefitici effluvi, i cui effetti si possono apprezzare a Terzigno e dintorni, con grande entusiasmo popolare, mentre la spazzatura trabocca dalle discariche abusive, regolarizzate per decreto da Guido l’Infallibile, spandendo miasmi e veleni per le campagne vesuviane.

Invischiato in affari (e sollazzi) con la famigerata cricca degli Anemone e soci, inquilino privilegiato nelle case di Propaganda Fide, previo finanziamento pubblico dell’ente immobiliare vaticano, Bertolaso è quanto di meglio (o di peggio) il governo ha da offrire per la risoluzione dei problemi che, con prepotenza, riemergono dai palinsesti narcotizzati della TV felicemente imbavagliata nella propria compiacenza censoria.
Dismessa la tutina della Protezione civile (avrà finalmente fatto il bucato?) eccolo ripresentarsi sul luogo del delitto, vestito a festa, con l’incredibile faccia da tolla che contraddistingue il recidivo incallito.
Un posto in discarica non dovrebbe negarglielo nessuno…
Altri hanno già confezionato per lui la cornice ideale:

 L’IMPUNITO OMEOPATICO
 di Francesco Merlo 
 La Repubblica
 (23/10/2010)

«Anziché una squadra di incorruttibili, armati di codice e protetti da una intelligenza anche militare, Silvio Berlusconi ha mandato a Napoli Guido Bertolaso, l’impunito.
Propone, dunque, un trattamento omeopatico: cura la malattia con la malattia stessa. L’emergenza spazzatura  –  è la sola certezza che tutti, a sinistra come a destra, ormai abbiamo  –  nasce infatti da una grande corruzione, non solo economica e morale, ma anche politica e intellettuale. È insomma uno scandalo nazionale, una malattia della democrazia italiana, che ha coinvolto anche il centrosinistra, ed è giusto ricordare che fummo noi a chiedere, per primi e con forza, le dimissioni dell’allora governatore della Campania, Antonio Bassolino. Ma solo Berlusconi poteva arrivare alla sfrontatezza di contrastare la corruzione con un presunto corrotto. Tanto più che Bertolaso è indagato per la più odiosa delle corruzioni: la sciacallaggine che specula sulla sofferenza e sulle disgrazie, trasforma i disastri in affari, ingrassa nella monnezza.
Ma fosse pure innocente, come noi ancora ci auguriamo, questo sottosegretario, che agli italiani aveva promesso di dimettersi entro l’anno, non ha più nessuna credibilità. La sua immagine è irrimediabilmente sporcata, anche fisicamente. E in lui c’è pure qualcosa di comico, di quella comicità grottesca che a volte accompagna le cose terribili. Una volta quando lo vedevano con quei suoi giubbottini, con gli scarponcini, i pulloverini, i cappellini da baseball, i caschetti di plastica dura, gli italiani pensavano agli abiti da lavoro, alla muta dell’operaio di Jünger, alla divisa del milite della fatica. Ma, dopo che lo hanno scoperto al centro di una cricca di arrembanti, vedono nei suoi abiti la tenuta da fuga, l’abbigliamento pratico di chi è pronto a scappare non perché inseguito dalla lava, da una frana o dagli energumeni della spazzatura, ma dalla finanza e dai carabinieri.
Come si vede, anche nelle situazioni da pianto si può trovare qualcosa da ridere. Non si è mai visto infatti in nessun paese del mondo un ministro della Sanità che va in giro con il camice bianco e i sabot, o della Funzione Pubblica in mezze maniche ed elastico al braccio, o della Pubblica Istruzione vestito da studente. Solo il ministro della Difesa La Russa, imitando Bertolaso, è arrivato a indossare la tuta mimetica e l’elmetto da carrista per farsi ammirare nella sua Paternò.
E anche quel corpo magro e scattante di Bertolaso non fa più pensare alla ginnastica da lavoro, ma alle massaggiatrici del Salaria Sport Village e agli ozi della casa a sbafo di via Giulia. Cosa penseranno vedendolo arrivare a Napoli, non solo le persone per bene che, con ragione, protestano, ma i plebei rivoltosi che bruciano la spazzatura e ora si armano pure di molotov? Probabilmente cercheranno i suoi cari attorno a lui, la sua famiglia allargata, il cognato, la moglie, i parenti che ha favorito e gli imprenditori della cricca pronti a sguazzare nella sofferenza. Insomma Bertolaso a Napoli è una provocazione, anche perché questi sono i luoghi del mondo dove si cerca sempre, e si trova anche quando non c’è, il rapporto stretto tra i profeti apocalittici e l’apocalisse, tra gli annunciatori della disgrazia e la disgrazia, tra gli imprenditori della monnezza e la monnezza. Ma ci spingiamo ancora più in là: a Napoli sono sempre speculari gli affaristi della disgrazia e gli energumeni della disgrazia.
Solo in tempi meno drammatici la capitale della cultura apotropaica avrebbe reagito all’arrivo di Bertolaso con lo sberleffo e con lo scongiuro, rumoreggiando e toccandosi. Ma qui c’è la prima prova generale di una orribile sommossa plebea. E si sa che, vili e ottusi, gli ossessi e gli invasati mai attaccano la miseria dentro la quale sono finiti, ma sempre colpiscono le persone migliori, scelgono gli obiettivi più innocenti e indifesi e, come insegna la storia partenopea, trovano sempre una Eleonora Pimentel Fonseca con cui prendersela. Mai contro quelli che, dall’altra parte, hanno affinità con loro, la stessa affinità che avevano i monatti con la peste.
Dunque Berlusconi ha mandato a Napoli il presunto capo dei monatti. Ha negato l’emergenza per la quale il Capo dello Stato prova invece “pena e allarme”, ha promesso di spazzare la Campania “in dieci giorni”, e “non è eversione”, e  “i disordini sono solo un fenomeno locale”. Forse perché la sola emergenza nazionale che conosce e combatte con tutte le sue forze si chiama Santoro, Berlusconi non ha ascoltato neppure Umberto Bossi che, sia pure senza alcuna grazia e parlando con lo stomaco, ha avvertito la gravità del pericolo e l’irresponsabilità del governo: “Bisogna intervenire, non possiamo aspettare che ci scappi il morto”.
Ovviamente neppure Bossi capisce che, anche senza morto, in una delle nostre più grandi regioni e in una delle più belle città del mondo la spazzatura sta seppellendo la democrazia. E che non si può parlare di lotta alla camorra, di rinascita, di sogno meridionale e di impegno contro la criminalità organizzata mandando a Napoli lo sfacciato Bertolaso.
Mai come nella conferenza stampa di ieri si era vista così forte e chiara la somiglianza tra Berlusconi e Bertolaso. Abbiamo assistito ad un tristissimo siparietto nel quale trionfava non solo l’impunità ma anche la “combriccolaggine”, l’appartenenza alla stessa antropologia. È infatti Berlusconi che in Italia ha buttato il Codice nella spazzatura e ora dalla spazzatura riemerge Bertolaso che della spazzatura è il codice.»

 Homepage

I PADRONI DELLE FERRIERE

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 agosto 2010 by Sendivogius

In tempi difficili di depressione economica, drammaticamente proiettati verso il concreto rischio di stagflazione, la cosa forse più insopportabile sono quei rampanti fighetti, che giocano a fare i grandi imprenditori con la fabbrichetta ereditata da papà. Quindi, dall’alto delle loro carriere artificiali,  ci vengono a parlare di sacrifici inderogabili e necessità contingenti, concionando di costi del lavoro e di salari, durante i cocktail party, tra una tartina ed una gita in yacht,  stretti nei loro gessati di sartoria da 5000 euro. È quella nefasta genia di quarantenni, che scambia il privilegio per merito e la cooptazione clanica per confronto.
 Nel familismo d’impresa, si sentiva davvero la mancanza del fondamentale contributo del vicentino Filippo Pavan Bernacchi (classe 1966), occupato in pianta stabile nella concessionaria di famiglia e presidente di
FEDERAUTO: l’associazione che riunisce i concessionari italiani.
Certa imprenditoria è piena di gente che concepisce gli affari come una guerra e dunque legge Clausewitz e Sun Tzu, pensando di applicarli all’economia. Un’altro esempio illustre del genere era
Antonio D’Amato (presidente di Confindustria dal 2000 al 2004): il pastasciuttaro napoletano che si credeva Napoleone, e sicuramente per l’altezza gli assomigliava.
Pavan Bernacchi, ex ufficiale degli Alpini, affronta la crisi dell’auto con cipiglio tutto militare, levando alto il suo verbo direttamente dalle pagine de La Repubblica.
E siccome a noi non piacciono i monologhi, ci permettiamo di aggiungere in calce qualche piccola  osservazione, riportando parte del testo della missiva, che per intero trovate QUI

In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi.

Però nell’Europa occidentale conviene vendere, giacché le ricariche rispetto ai costi di produzione, ed i conseguenti margini di profitto, sono enormemente più elevati.

I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c’è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell’Europa dell’Est, o della ex-Jugoslavia, c’è un abisso.”

Infatti, il costo della vita e dei prodotti al consumo è nettamente più basso, per venire incontro a salari da fame, ai limiti della sussistenza. Ne consegue che nessuno o quasi degli operai che producono vetture in Serbia, Cina, India… potrebbe mai permettersi di comprare le auto che costruisce. L’abisso c’è soprattutto nella capacità di acquisto, che viene compensata dal mercato occidentale: l’unico davvero in grado di assorbire le merci in vendita.

Poi c’è l’aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l’anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci.

Il famoso “dopoguerra” era caratterizzato da una forte crescita economica, con retribuzioni in continua espansione e non indicizzati al costante ribasso come invece avviene attualmente. Ciò detto, uno stipendio medio in Italia si aggira attorno ai 900 euro (scarsi), con un’incidenza sui costi di produzione inferiore al 9%. Se vi sembrano cifre insostenibili…

Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l’azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente… è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all’azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l’estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto.”

Circa il 45% dell’attuale forza lavoro viene assunta a tempo con contratti “atipici”, ed individualizzati, che già prevedono garanzie minime e nessuna forza contrattuale. La sottoscrizione di tali contratti implica retribuzioni al minimo sindacale, piani orari non negoziabili, iper-flessibilità coatta dei lavoratori precari e parasubordinati, ricorso esasperato agli straordinari, generale esclusione dai cosiddetti ammortizzatori sociali e, nei casi più estremi, assenza di liquidazione per i lavoratori “in uscita”. Da ricordare che, nell’Italia del presunto lavoro blindato e ultra-tutelato, esistono ben 31 tipologie contrattuali flessibili, senza contare i nuovi schiavi impiegati nella gran parte delle pseudo cooperative di servizi. E in questo caso, le buste paga (oltre ad essere erogate con intollerabile irregolarità) difficilmente superano i 500 euro mensili, con retribuzioni per 1h/lavoro di 3,75 euro. 

D’altronde questo è il Paese dei falsi invalidi.”

E soprattutto del capitalismo straccione ed assistito dei capitani senza capitali. Delle truffe sui crediti IVA; dei falsi rimborsi comunitari e del falso in bilancio depenalizzato; delle bancarotte fraudolente; del lavoro nero e dell’evasione fiscale, strutturalizzata in prassi ordinaria di impresa. Ma è anche il Paese dei consigli di amministrazione milionari e degli amministratori delegati da 500 mila euro all’anno, con liquidazioni stratosferiche a prescindere dal rendimento aziendale.
È pure il Paese dove il divario tra lo stipendio di un management (spesso incapace quanto e più dei suoi subordinati) e lavoratori ordinari può raggiungere il 320%.
Naturalmente, se il taglio delle retribuzioni delle maestranze sembra essere diventato un imperativo categorico, resta rigorosamente tabù ogni ipotesi di porre un freno alle mega-retribuzioni dei manager, che invece sono protese verso un costante rialzo.
E sulla questione troverete agguerrite legioni di economisti, politici, editorialisti prezzolati, che incensando la magnifica perfezione di un siffatto Mercato, vi parleranno di ottimizzazione dei costi e di flessibilità, spiegandovi quanto sia ‘moderno’ e ‘coraggioso’ cancellare tutte le conquiste sociali degli ultimi 50 anni, in nome di una non meglio precisata “meritocrazia”.
La situazione in oggetto può essere riassunta con un detto scurrile ma efficace, piuttosto in voga a Roma: è facile fare il frocio col culo degli altri.

Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l’inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi – che poi fanno salire i prezzi dei prodotti – oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose.

I dividenti degli azionisti di maggioranza sono sacri. Tutto il resto è relativo. Ne consegue che tutto ciò che può abbattere i costi, incrementando i profitti, è lecito: smaltimento clandestino di rifiuti tossici; sfruttamento del lavoro minorile; totale assenza di sicurezza sul posto di lavoro; discriminazione dei lavoratori; assoluta mancanza di tutele e diritti.
Secondo questo punto di vista, anche il lavoro servile risulterebbe troppo costoso poiché, se è vero che uno schiavo lavora a salario zero, costituisce comunque un investimento che per essere sfruttato al meglio richiede vestiario, vitto, alloggio, ed un minimo di cure mediche.
Paradossalmente, la ricetta considerata vincente dai nostri pasciuti padroni (ad ogni cosa il suo nome), che non resisterebbero mezz’ora in una linea di montaggio, è il ripristino delle condizioni lavorative della Seconda Rivoluzione industriale, con il ritorno a quelle realtà di degrado umano e di pauperismo dilagante, che molti di noi hanno imparato a conoscere leggendo i romanzi di Charles Dickens.
Invece di minacciare licenziamenti di massa, e scappare col malloppo degli aiuti di Stato, mentre si fanno tintinnare le catene sotto il naso dei lavoratori, c’è da chiedersi a cosa Pavan Bernacchi ed i suoi voraci soci in affari siano mai disposti a rinunciare…

Io continuo ad avere la mia macchina, il mio autista, il mio elicottero e la mia villa…tutto uguale e loro non ce l’hanno un lavoro…punto…questa è la storia

Antonangelo Liori, manager di Agile, parlando dei lavoratori di Eutelia gettati sul lastrico.

Homepage

IL TRAVESTIMENTO

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , on 2 Maggio 2010 by Sendivogius


Da qualche tempo, per parlare al popolo suddito, lo Zelig di governo ha ricominciato ad inviare in giro dei video pre-registrati come Bin Laden: stesse cazzate in libertà, con tanto di tendone per rendere irriconoscibile il luogo di registrazione.

Ultimamente, al nostro sultano brianzolo però piace travestirsi da ‘Presidente della Repubblica’ e, in attesa di strabordare a reti unificate, incide nastri da trasmettere in differita per spiegarci come la nostra Costituzione repubblicana sia vecchia, obsoleta, superata, inadeguata ai tempi
In tutto questo, non si capisce bene perché, con 62 anni splendidamente portati, dovremmo buttare via la Costituzione e tenerci invece un Berlusconi dai 74 anni suonati.

In attesa di sciogliere l’annoso dilemma, sono già cominciate le stesure di bozza per i nuovi articoli fondamentali…

LA NUOVA LEGGE DEL CAPO
 1) Il Capo non comanda, dispone.
 2) Il Capo non fa mai gaffe, viene semplicemente travisato dai giornalisti.
 3) Il Capo non obbliga nessuno a ubbidire ai suoi ordini, lo mette semplicemente al corrente di quello che gli capiterà se non lo fa immediatamente.
 4) Il Capo non viene incriminato per corruzione, viene perseguitato dai pm della sinistra.
 5) Il Capo non fa approvare le leggi ad personam per evitare i processi, mette il governo scelto dal popolo sovrano al riparo da indebite interferenze di dipendenti pubblici.
 6) Il Capo non destituisce alte cariche dello Stato che osano contraddirlo, le esorta a dimettersi affinché siano più libere di esprimere il loro pensiero.
 7) Il Capo non caccia i dissidenti, li informa che per esigenze di spazio devono lasciare libere le loro stanze entro il pomeriggio.
 8) Il Capo non odia, ama diversamente.

  Sebastiano Messina,
  La Repubblica
  24/04/2010

 Homepage

UOMINI E NO

Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 luglio 2009 by Sendivogius

apartheid_sign

 “E’ assolutamente sbagliato proiettare la nostra anima intrepida con i suoi sentimenti profondi, la nostra gentilezza, il nostro idealismo su popoli alieni …
Un principio deve essere assoluto per una SS: dobbiamo essere onesti, corretti, leali e camerateschi con nostri consanguinei e con nessun altro. Quello che accade ai Russi, quello che accade ai Cechi, mi è assolutamente indifferente.
(…) Che gli altri popoli vivano confortevolmente o muoiano di fame mi interessa solo nella misura in cui ne abbiamo bisogno come schiavi per la nostra cultura; a parte ciò, il loro destino non mi interessa affatto.”
     [Heinrich Himmler –  Poznan, 4 Ottobre 1943]

 “Non esiste un’emergenza sicurezza. C’è solo un’emergenza immigrazione clandestina (…)
Per contrastare l’immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti ma cattivi, determinati, per affermare il rigore della legge
     [Roberto Maroni – 3 febbraio 2009]

KKK wants you Compiacersi alla vista dei propri escrementi, rimestare con piacere il materiale fecale, è una perversione che lasciamo ai coprofili di governo. Come il nuovo decreto governativo anti-immigrati garantirà maggiore integrazione è un mistero, chiaro soltanto alle menti dei suoi raffinati promotori. Del resto, sembra evidente che sicurezza, accoglienza, integrazione, non rientrino tra le priorità del Governo e men che mai tra le preoccupazioni del ministro Maroni, palesemente mosso da ben altre finalità. Noi, nel nostro piccolo, ci eravamo già preoccupati del DDL in tema di sicurezza, fin dalla sua stesura, e ne avevamo parlato qui.
Siccome tra papponi, mignotte e menestrelli, che gozzovigliano nelle stanze del potere non manca lo spirito comico, il decreto prevede pure la reintroduzione del “reato di offesa a pubblico ufficiale” con una condanna a tre anni di reclusione. Un reato che Roberto Maroni, attuale Ministro di Polizia, dovrebbe conoscere bene, per esperienza diretta… Per chi volesse rinfrescarsi la memoria, proponiamo una lettura pedagogica (qui).
Paradossalmente, è più conveniente violentare e massacrare di botte una ragazza mentre sei strafatto di acidi, piuttosto che mandare affanculo un poliziotto. Almeno questo è ciò che deve aver pensato l’italianissimo stupratore di capodanno a Roma. Ciccate qui per credere.
In aggiunta, potremmo dire che questo ennesimo decreto sancisce una sorta di ‘status criminale’, impostato su base razziale, contro lo straniero in senso lato, perseguibile a prescindere. Lungi dal garantire “maggiore sicurezza”, questa mostruosità giuridica rischia di trasformarsi piuttosto in  grave rischio per l’incolumità personale dei singoli… Recludere lo straniero incensurato, purché extracomunitario, per 6 mesi in una sorta di lager pudicamente chiamato CIE, anche in assenza di imputazione di reati o per mancato rinnovo del permesso di soggiorno, è infatti il miglior invito a delinquere che si possa immaginare. Chi mai penserebbe che una persecuzione scientifica, condotta “con cattiveria” e a norma di legge, contro lo straniero ed il povero, possa innescare reazioni brutali e violente da parte degli interessati, in quanto conseguenza perversa di un atteggiamento vissuto come vessatorio e discriminante?!?
Tuttavia, ciò che vogliamo davvero proporvi è la lettura di un brillante articolo di Adriano Sofri, pubblicato su La Repubblica del 3 Luglio, che vale più di ogni nostra altra parola…

  Ora l’italia è più cattiva

 Variando Pietro Nenni (“Da oggi siamo tutti più liberi”) il governo ieri ci ha dichiarati tutti più sicuri. Da ieri, siamo tutti più insicuri, più ipocriti e più cattivi. Più insicuri e ipocriti, perché viviamo di rendita sulla fatica umile e spesso umiliata degli altri. Infermieri e domestiche e badanti di vecchi e bambini, quello che abbiamo di più prezioso (e di prostitute, addette ad altre cure corporali), e lavoratori primatisti di morti bianche, e li chiamiamo delinquenti e li additiamo alla paura.
Ci sono centinaia di migliaia di persone che aspettano la regolarizzazione secondo il capriccio dei decreti flussi, e intanto sul loro lavoro si regge la nostra vita quotidiana, e basta consultare le loro pratiche di questura per saperne tutto, nome cognome luogo di impiego e residenza, nome e indirizzo di chi li impiega. La legge, vi obietterà qualcuno, vuole colpire gli ingressi, non chi c’è già: non è vero. La legge vuole e può colpire nel mucchio. È una legge incostituzionale, non solo contro la Costituzione italiana, ma contro ogni concezione dei diritti umani, e punisce una condizione di nascita – l’essere straniero – invece che la commissione di un reato. Dichiara reato quella condizione anagrafica. Ci si può sentire più sicuri quando si condanna a spaventarsi e nascondersi una parte così ingente e innocente di nostri coabitanti? Quando persone di nascita straniera temano a presentarsi a un ospedale, a far registrare una nascita, a frequentare un servizio sociale, o anche a rivolgersi, le vittime della tratta, ad associazioni volontarie e istituzionali (forze di polizia comprese) impegnate a offrir loro un sostegno. Quando gli stranieri temano, come avviene già, mi racconta una benemerita visitatrice di carceri, Rita Bernardini, di andare al colloquio con un famigliare detenuto, per paura di essere denunciato? Lo strappo che gli obblighi della legge e i suoi compiaciuti effetti psicologici e propagandistici provoca nella trama della vita quotidiana non farà che accrescere la clandestinità, questa sì lucrosa e criminale, di tutti i rapporti sociali delle persone straniere. È anche una legge razzista?
Si gioca troppo con le parole, mentre i fatti corrono. Le razze non esistono, i razzisti sì. Questa legge prende a pretesto i matrimoni di convenienza per ostacolare fino alla persecuzione i matrimoni misti, ostacola maniacalmente l’unità delle famiglie, fissa per gli stranieri senza permesso di soggiorno una pena pecuniaria grottesca per la sua irrealtà – da 5 a 10 mila euro, e giù risate – e in capo al paradosso si affaccia, come sempre, il carcere. Carcere fino a tre anni per chi affitti una stanza a un irregolare: be’, dovremo vedere grandiose retate. Galera ripristinata – bazzecole, tre anni – a chi oltraggi un pubblico ufficiale: la più tipicamente fascista e arbitraria delle imputazioni. Quanto alle galere per chi non abbia commesso alcun reato, salvo metter piede sul suolo italiano, ora che si chiamano deliziosamente Centri di identificazione e di espulsione, ci si può restare sei mesi! Sei mesi, per aver messo piede.
Delle ronde, si è detto fin troppo: e dopo aver detto tanto, sono tornate tali e quali come nella primitiva ambizione, squadre aperte a ogni futuro, salvo il provvisorio pudore di negar loro non la gagliarda partecipazione di ammiratori del nazismo, ma la divisa e i distintivi.
Tutto questo è successo. Ogni dettaglio di questo furore repressivo è stato sconfessato e accantonato nei mesi scorsi, spesso per impulso di gruppi e personalità della stessa maggioranza, e gli articoli di legge sono stati ripetutamente battuti nello stesso attuale Parlamento introvabile. È bastato aspettare, rimettere insieme tutto, e nelle versioni più oltranziste, imporre il voto di fiducia – una sequela frenetica di voti di fiducia – e trionfare. Un tripudio di cravatte verdi, ministeriali e no, con l’aggiunta di qualche ex fascista berlusconizzato. (Perché non è vero che il berlusconismo si sia andato fascistizzando: è vero che il fascismo si è andato berlusconizzando). La morale politica è chiara. Il governo Berlusconi era già messo sotto dalla Lega (“doganato”: si può dire così? Doganato dalla Lega). Ora un presidente del Consiglio provato da notti bianche e cene domestiche è un mero ratificatore del programma leghista. Ma la Chiesa cattolica, si obietterà, ha ripetuto ancora ieri il suo ripudio scandalizzato del reato di clandestinità e la sua diffidenza per le ronde e in genere lo spirito brutale che anima una tal idea della sicurezza. Appunto. Berlusconi è politicamente ricattabile, ma non da tutti allo stesso modo. Dalla Lega sì, dalle commissioni pontificie no, perlomeno non da quelle che si ricordano che il cristiano è uno straniero.
Un ultimo dettaglio: le carceri. Mai nella storia del nostro Stato si era sfiorato il numero attuale di detenuti: 64 mila. Dormono per terra, da svegli stanno ammucchiati. La legge riempirà a dismisura i loro cubicoli. Gli esperti hanno levato invano la loro voce: “Le carceri scoppiano, c’è da temere il ritorno della violenza, un’estate di rivolte”. Può darsi. Ma non dovrebbe essere lo spauracchio delle rivolte, che non vengono, perché nemmeno di rivolte l’umanità schiacciata delle galere è oggi capace, a far allarmare e vergognare: bensì la domanda su quel loro giacere gli uni sugli altri, stranieri gli uni agli altri. La domanda è se questi siano uomini.

 

ITALIAN TRASH

Posted in Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 giugno 2009 by Sendivogius

“Pizza, Spaghetti, Mandolino
  …e Berlusconi!”

Silvio e Apicella Agli italiani Silvio Berlusconi piace. Ci si riconoscono come in uno specchio, nel quale vedono la loro immagine riflessa. E se ne compiacciono. Berlusconi è l’uomo che parla alla pancia della nazione. È l’eroe popolare dell’italiano medio nel Paese del qualunque. È colui che ne blandisce i desideri, esaltando gli istinti innominabili.
Gli italiani ne applaudono le velleità, perché in esse scorgono le loro piccole meschinerie finalmente riabilitate. Ne apprezzano l’ambizione. Ne tollerano le magagne, i limiti, perché con essi vedono assolte le proprie mediocrità, elevate a motivo di orgoglio e di pubblico vanto. Popolo di accattoni politici, vivono delle elemosina del sovrano. Attendono la sportula quotidiana, assiepati attorno alla greppia dei potenti, rassicurati dal volto farsesco del potere. Perchè i presunti ‘comunisti’ fanno paura, ma i fascisti reali al governo non destano scandalo alcuno.
Forte nel suo consenso, l’Imperatore si accinge a celebrare in pompa magna il G-8 aquilano all’ombra di una città deserta, chiuso coi suoi ospiti in un recinto militarizzato, mentre gli sfollati assistono in lontananza alla sfilata dei ‘Grandi’. Silenti restano accampati ormai da due mesi nelle tendopoli, come profughi in zona di guerra, in mezzo al fango, stretti dalla morsa dell’afa durante il giorno ed il gelo delle notti abruzzesi.
Intanto alla corte del Re si affollano i cicisbei (così come le cortigiane popolano la sua domaine babylonien). L’ultima arrivata, Daniela Santanché, si è subito allineata ai corifei di regime, rilasciando una goffa intervista a ‘Libero’, il quotidiano padronale, per ridimensionare le intemperanze erotiche del Sultano brianzolo e controbilanciarne le “relazioni pericolose”: Veronica Lario ha un’amante! Si tratterebbe del capo della sicurezza di Villa Macherio; la relazione con la ormai ex consorte di Berlusconi andava avanti da anni. Come la Santanché sia venuta a conoscenza dell’amore galeotto, resta un assoluto mistero. Ciò che conta davvero è che Lui, l’irresistibile seduttore, è in realtà un povero cornuto.
All’estero, Berlusconi scivola via tra l’imbarazzo ed il disgusto del mondo intero. Ed i giornali lo mettono per iscritto, da destra a sinistra, esternando il proprio stupore costernato:
Le Monde e Libération in Francia;
Le Temps e 24 Heures in Svizzera;
El Pais e La Vanguardia in Spagna;
The Irish Times in Irlanda;
NRC Handelsblad e l’Algemeen Dagblad in Olanda.
Il nuovo duce è oggetto di attenzione pure in Germania, dal progressista Tagesspiegel alla Seuddeutsche Zeitung. Lo storico Joachim Fischer ha scritto sul Frankfurter Allgemeine: “In Italia è scoppiato il caos. A Silvio Berlusconi non basta presentarsi come un principe rinascimentale. Ora si prende a modello le divinità dell’antichità. Ad esempio il padre degli dei: Giove. Costui non era conosciuto solo per i fulmini e le saette, ma anche per le sue visite audaci presso le donne”.
Si scandalizzano The Guardian e praticamente tutta la stampa anglosassone: dai conservatori Daily Telegraph e The Times al The Economist ed il Mail on Sunday.
Ne parlano per tutti i continenti: The Sidney Morning Herald in Australia; El Clarin in Argentina; Bharat Chronicle in India…
Berlusconi sbarca negli editoriali degli statunitensi New York Times, Washington Post e Financial Times… e conquista le pagine dell’ambitissimo TIME, che ormai chiama l’Italia: Berlusconistan”.
Per tutti, la parola data è sacra. La menzogna non tollerabile. Nel Belpaese (una volta forse) è una merce ritrattabile, negoziabile, perché la bugia è da sempre l’arma dei cialtroni.
Ma gli italiani lo amano. Sostengono la marcia trionfale del grande ammaliatore, che li guida per mano verso la frontiera dell’amenità. Il trionfo dell’Apparire sull’Essere.
Abbiamo già parlato dell’attenzione che i media stranieri dedicano al nostro Joker nazionale
Ma mai si era assistito ad un simile trionfo come in quest’ultima settimana. Per l’occasione, Liberthalia vi offre una piccola rassegna stampa, offrendovi la sua (non sempre eccelsa) traduzione, affinché possiate rendervi conto personalmente di quale prestigio goda l’Imperatore e quale sia l’opinione che il resto del mondo si è fatta di questa strana Terra dei Cachi…
Se la traduzione non vi convince, per ogni articolo è disponibile il link col testo originale e la fonte di provenienza. Soprattutto, date un’occhiata all’ultimo articolo: un devastante editoriale al vetriolo pubblicato il 2 Giugno sul britannico “Mail on Sunday”. Qualcosa di impensabile da queste parti!

EL PAIS

eL pAIS

ATTRICETTE E BALLERINE SUI VOLI DI STATO
L’Opposizione italiana chiede a Berlusconi di spiegare in Parlamento se portò a bordo dell’aereo presidenziale i suoi invitati alle feste private in Sardegna

 di MIGUEL MORA – 01/06/2009

Silvio Berlusconi utilizza gli aerei ufficiali dello Stato italiano per portare in Sardegna le attrici, le ballerine e le veline che partecipano alle feste di Villa Certosa? Ha fatto un uso improprio dei beni dello Stato? Queste due domande sono state presentate in Parlamento dal Partito Democratico e dall’Italia dei Valori. È l’ultima conseguenza del Noemigate, che ha trasformato l’Italia in un manicomio (il seguito di Berlusconi tira in ballo persino un coinvolgimento della CIA), anche se ha soltanto rivelato un segreto già noto: l’abituale mescolanza di pubblico e privato, affari e politica, da parte di Berlusconi, e la sua abitudine a organizzare feste con amici e amiche della televisione.
Antonello Zappadu, fotografo sardo, è l’ultimo protagonista del caso. Entra in gioco nel 2007, appostandosi con i suoi teleobiettivi su una collina vicino alla lussuosa dimora del primo ministro. In tutto questo tempo, ha scattato “migliaia di foto”, spiega per telefono da Cagliari. Il suo ultimo reportage risale a Gennaio, dopo di ché è stato in Colombia per un servizio sul narcotraffico. Tornato da poco, ha visto il suo archivio sequestrato dalla polizia a seguito di una denuncia di Berlusconi.
Si tratta di “13 reportage per un totale di 250 fotografie”, spiega. Alcune sono piccanti, altre innocenti. Ci sono giovani in bikini, in topless, o coperte con abiti quasi inesistenti, che si bagnano in piscina o scherzano con il Cavaliere; altre ragazze, che a Zappadu sono sembrate “minorenni” (riprese sia nell’estate del 2008 che nelle vacanze dello scorso capodanno); una serie mostra le ragazze vestite per la festa e tra di loro Zappadu crede di vedere Noemi Letizia. E ha un’immagine nella quale si vede un signore nudo che il fotografo non conosce e che risultò essere, perché così ha rivelato Berlusconi, l’ex primo ministro ceco Mirek Topolanek.
Le foto che adesso hanno il maggior valore informativo sono quelle più ordinarie. Sono le fotografie che Zappadu ha scattato all’aeroporto di Olbia. In quelle, afferma il fotografo, si vedono giovani bellezze salire e prendere posto sull’aereo presidenziale. “Gli sbarchi sono continui, si verificano praticamente ogni fine settimana”, afferma Zappadu. “Atterrano il venerdì notte, o il sabato mattina, e ripartono la domenica notte o il lunedì mattina. All’inizio venivano col Falcon privato di Berlusconi, però da quando è primo ministro arrivano coi voli di Stato. Se ne sono sicuro? Sugli aerei è scritto a lettere grandi Repubblica Italiana”.
Zappadu ha immortalato Mariano Apicella, il cantante napoletano che ha inciso due dischi con Berlusconi come autore di alcuni testi delle sue canzoni, sbarcare dall’aereo presidenziale. “Quel nome lo ha reso particolarmente nervoso”, afferma Zappadu “Sicuramente perché lì aveva appuntamento con Noemi Letizia, quando dico che cantava le sue canzoni con Berlusconi”.
Zappadu giura che possiede le foto, però dice che non può mostrarle perché sono state sequestrate. “Oggi (30 Maggio) sono entrati i Carabinieri nella redazione di E-Polis di Cagliari e si sono portati via i miei schedari, oltre ai miei materiali d’archivio e quelli del periodico. Non so perché. Le foto sono state fatte in luoghi pubblici e ovviamente non possono essere tutelata dal diritto alla privacy. Questo dimostra che stiamo di fronte ad una caccia alle streghe”. Afferma.
La storia è emersa la scorsa settimana. La rivista Panorama, che forma parte dell’impero editoriale del Cavaliere, diede appuntamento a Zappadu per negoziare sulle sue foto. Questi portò una selezione di 40 immagini, chiedendo un milione e mezzo di euro per la serie. Il direttore di Panorama, Maurizio Belpietro, si mise in contatto con Miti Simonetto, la responsabile per l’immagine di Silvio Berlusconi. Alcune ore dopo, Berlusconi si rivolgeva al Garante per la Privacy chiedendogli di bloccare la pubblicazione, giacché ledeva la sua intimità. Al rifiuto del Garante, il suo avvocato ha denunciato Zappadu per tentata truffa, e la magistratura romana ha ordinato il sequestro del materiale.
Negli ultimi dieci anni, la villa ha visto un andare e venire di giovani bellezze, politici nazionali e internazionali, invitati VIP. Pertanto costituisce una miniera per i fotografi, anche se questa è considerata zona soggetta a segreto di Stato da almeno quattro anni. Aznar, Putin, Blair e molti altri leaders hanno visitato Villa Certosa. L’ex primo ministro ceco, Mirek Topolanek è stato ospitato, secondo Berlusconi, con i suoi figlioli.
In questi giorni, le foto sono circolate per le redazioni italiane. Secondo L’Unità, le più piccanti mostrano il premier su un dondolo, attorniato da varie veline seminude, e ne ha un’altra nella quale B. con la mano fruga dentro una camicetta. Il Corriere della Sera parla di Berlusconi sorridente, abbracciato a due donne alle quali chiede di togliergli il singhiozzo. Una di loro è vestita con uno striminzito abito nero.
Berlusconi ha dichiarato che le immagini “non valgono nemmeno 10.000 euro”, e che attentano al diritto alla riservatezza. “Con questa intromissione nella vita privata di una persona si è toccato il fondo”. Ha detto.

(L’articolo con il testo in lingua originale lo potete leggere qui)

Indipendent THE INDIPENDENT
Saramago contro Silvio: il premio Nobel attacca dopo che gli editori italiani hanno boicottato la pubblicazione del suo libro

 di Elizabeth Nash – 31/05/09

Jose Saramago ha lanciato un attacco al vetriolo contro Silvio Berlusconi, la cui casa editrice ha rinunciato alla pubblicazione dell’ultimo libro del premio nobel portoghese, poiché descrive il primo ministro italiano come un “delinquente”.
La casa editrice Einaudi, che è parte dell’impero Mondadori, in 20 anni ha pubblicato in Italia tutte le opere di Saramago, ma ha rinunciato a publicare El Cuaderno (Il Quaderno), che raccoglie gli interventi nel blog di Saramago, perché contiene “accuse che verrebbero condannate in qualsiasi tribunale”.
In uno dei passaggi incriminati si legge: “Nella terra della Mafia e la Camorra, quanto incide la prova provata che il primo ministro sia un delinquente?”
Saramago che ha vinto il premio per la Letteratura nel 1998, ha detto ieri (30 Maggio) che non intende contribuire oltre alle fortune di Berlusconi.
L’86enne scrittore sbotta: “Trovo strano che un uomo come lui, che usa i metodi peggiori e ottiene milioni di voti, non abbia prodotto un movimento sociale di repulsione, come protesta per il semplice fatto che ha rovinato il prestigio del suo Paese”, ha detto ad El Pais. “Per quanto ancora dovremo sopportarlo?”
Saramago, per molto tempo una spina nel fianco dell’establishment, si è trasferito in Spagna nel 1991, dopo che le autorità portoghesi hanno provato a censurare le sue opere.
El Cuaderno, che è già stato pubblicato in Portogallo e in Spagna, sferza George W. Bush, Tony Blair, Il Papa, Israele e Wall Street.
Un altro editore italiano ha già comprato l’opera.

(L’articolo originale lo trovate qui)

Financial Times logo FINANCIAL TIMES
Berlusconi: L’onda del gossip lascia cattive notizie sulla sua scia.

 di GUY DINMORE – 01/06/09

Lo stillicidio di rivelazioni piccanti che riguardano Berlusconi e giovani bellezze ha ravvivato una campagna elettorale altrimenti di routine, con il primo ministro italiano che attizza da sé i fuochi dello scandalo.

(L’articolo completo, in lingua originale, lo potete leggere qui)

TheTimes

 THE TIMES – 01/06/09
CADE LA MASCHERA DEL CLOWN
Berlusconi deve rispondere alle accuse di donnaiolo e alle domande sulla sua condotta inappropriata. La qualità del governo non è una questione privata.

berlusconi_6L’aspetto più sconcertante nel comportamento di Berlusconi non è il fatto che egli sia un buffone sciovinista. Né che corra appresso a donne di 50 anni più giovani di lui, abusando della sua posizione per offrire loro posti come modelle, assistenti personali o anche, assurdamente, candidature al Parlamento europeo. Ciò che è più scioccante è il totale disprezzo col quale tratta l’opinione pubblica italiana.
L’attempato libertino può trovare divertente, persino spavaldo, agire da playboy vantandosi delle sue conquiste, umiliando sua moglie, e facendo commenti che per molte donne risultano grottescamente inappropriati. Egli non è il primo né l’unico che abbia un comportamento privo di dignità, inappropriato al suo incarico. Ma quando vengono fatte domande legittime su frequentazioni che sfiorano lo scandalo e i giornali lo sfidano a spiegare legami che, come minimo, lasciano perplessi, la maschera del clown cade. Egli minaccia quei giornali e i canali televisivi che controlla; invoca la legge per proteggere la sua privacy, rilascia dichiarazioni evasive e contraddittorie e poi, melodrammaticamente, promette di dimettersi se si scoprisse che mente.
La vita privata di Berlusconi è sicuramente privata. Ma, come ebbe modo di scoprire il presidente Clinton, lo scandalo non si addice alle alte cariche. Ai suoi critici Berlusconi replica che gode ancora di una alto indice di popolarità e soprattutto che è ancora saldamente al governo e non si lascerà intimidire da quelle che chiama calunnie dell’opposizione. Molti potrebbero dire che l’Italia non è l’America. Che l’etica puritana che detta gli standard in USA non ha mai dominato la vita pubblica italiana e che pochi italiani si scandalizzano per gli eccessi dei donnaioli. Questa è una assurdità ai limiti del favoreggiamento. Gli italiani comprendono quanto gli americani cosa è accettabile e cosa invece non lo è. E come gli americani, considerano spregevole l’insabbiamento.
In Italia sono pochi i media che possono fare simili rilievi senza paura di ritorsioni. Ma a suo credito La Repubblica ha sollevato in continuazione la questione sulle relazioni del primo ministro con la 18enne Noemi Letizia. A molte di queste domande, sulle labbra di ogni stupefatto elettore italiano, non ci sono state risposte soddisfacenti. Quando e come ha conosciuto la famiglia della ragazza? Berlusconi ha richiesto le fotografie ad una agenzia di modelle e ha intrapreso i contatti con la signorina Letizia? Cosa c’è di vero nelle voci che parlano di dozzine di ragazze invitate alle sue feste nella villa sarda?
Berlusconi ha promesso di spiegare ogni cosa in Parlamento. Ma egli potrà rassicurare a fatica i suoi critici, dopo l’ingiunzione di questo fine settimana con la quale ha bloccato la pubblicazione di circa 700 fotografie, che avrebbero potuto mostrare quanto accadeva in queste feste. Né gli è stato d’aiuto il suo sfortunato ministro degli esteri, che cercando di difendere il suo capo ha sottolineato che l’età per il consenso sia fissata a 14 anni, come se ciò fosse rilevante.
La faccenda è tutta qui? Alcuni italiani pensano di no. Altri diranno che non sono questioni che riguardano gli stranieri. Ma gli elettori italiani, allo scoccare delle elezioni europee, dovrebbero riflettere su come sia guidato il loro governo, interrogarsi sulla adeguatezza dei loro candidati a Strasburgo e sul livello di sincerità del loro primo ministro in un periodo di inquietudine economica e politica.
Ciò riguarda anche gli altri. L’Italia quest’anno ospita il G-8. In tale incontro ci saranno discussioni importanti, dove i governi dell’Occidente saranno pressati per una maggiore cooperazione nella lotta contro il terrorismo e la criminalità internazionale. Berlusconi reputa sé stesso un amico di Vladimir Putin. Il suo paese è un importante membro della NATO, nonché parte dell’Euro-zona, che è stato provato dalla crisi della finanza globale. Non c’è un solo elettore italiano che si domandi come andrà a finire. Cosa che invece fanno gli imbarazzati alleati dell’Italia.

(L’originale lo potete leggere qui)

The_Mail_on_Sunday MAIL ON SUNDAY
Padrino dello squallore: Westmister potrebbe implodere ma i nostri deputati sono degli angeli se comparati al leader dell’Italia.

 di TOBIAS JONES – 02/06/09

C’è stato molto di cui lagnarsi e indignarsi nelle ultime settimane, a proposito delle assurde richieste di rimborso dei nostri parlamentari. Ma se credete che le cose vadano così male in questo Paese, soffermatevi a riflettere sugli italiani.
Loro hanno un primo ministro al cui confronto i nostri politicanti sembrano angioletti.
Lunedì, un tribunale italiano ha pubblicato le motivazioni della sentenza di condanna contro David Mills, marito di Tessa Jowell ministro del governo laburista.
Mills è stato giudicato colpevole per soppressione di prove di reato e il tribunale ritiene che lo abbia fatto come cortesia in cambio di una mazzetta da 600.000 sterline.
Chi è l’uomo che ha pagato la mazzetta? Nessun altro che Silvio Berlusconi. Egli è stato condannato a quattro anni e mezzo, in attesa del processo di appello, ma Berlusconi non vuole dimettersi né vuole trascorrere un solo minuto dietro le sbarre. Questo perché, essendo primo ministro, si è fatto votare una legge che gli garantisce l’impunità.
Come se ciò non bastasse, Berlusconi è invischiato in uno scandalo sessuale che lo sta facendo apparire un pò meno come sedicente statista e più come un vecchio sporcaccione.

N & S L’immagine riportata è l’originale presente nell’articolo.

Ricapitolando, poche settimane fa, Berlusconi (72 anni), si è presentato al compleanno di una graziosa ragazza bionda di nome Noemi Letizia, donandole una collana d’oro e diamanti dal valore stimato attorno alle 6.000 sterline.
“Come l’ha conosciuta?” Chiedono i curiosi giornalisti. “Oh!” Ha sogghignato Berlusconi “Suo padre era l’autista di Craxi”.
Bettino Craxi è stato primo ministro italiano negli anni ’80 e uno dei migliori amici di Berlusconi. Un amico talmente buono, che Berlusconi una volta gli ha pagato una tangente colossale e, tra le altre cose, in questo periodo ha ottenuto la concessione per tre canali televisivi. Ma questa è un’altra storia.
Per quanto riguarda il presunto autista, il figlio di Craxi si fa avanti e dice che loro non hanno mai sentito parlare della ragazza o del padre di lei. Berlusconi, e non è la prima volta, è stato colto mentre mentiva in pubblico.
E piuttosto semplicemente, nessuno potrebbe comprendere come uno degli uomini più ricchi e potenti d’Europa abbia incontrato questa graziosa ma anonima ragazzina, o come, con una agenda piena di impegni, possa trovare il tempo per partecipare alla festa di una adolescente.
Alcuni hanno insinuato che Berlusconi forse è il padre di Noemi.
Ma questa settimana, la sordida verità ha cominciato ad emergere. Emilio Fede, conduttore su uno dei tre canali televisivi di Berlusconi, stava cercando una nuova “meteorina”.
Le ragazze delle previsioni del tempo scelte da Fede sono sempre giovani, dal seno prosperoso, e carine. Fede andò nella villa di Berlusconi con un album delle potenziali ragazze fornite dalle agenzie di modelle. Fede lasciò l’album nella villa, per farci fantasticare Berlusconi sopra.
Un attimo dopo, Berlusconi ha già fatto la sua scelta dopo averci rimuginato sopra: “Voglio questa!” dice. E fa l’ordinazione come si trattasse di una consumazione a portar via.
E ciò che Berlusconi vuole, Berlusconi ottiene. Specialmente quando si tratta di giovani donne.
Così cerca un modo per conquistarsi l’affetto di Noemi. Cosa che potrebbe essere comica, se non fosse vergognosa per il leader di una nazione che – fatemi ricordare – si suppone sia tra le più importanti nella conduzione delle politiche europee.
Berlusconi ha predisposto l’assedio intorno alla ragazzina. L’ha chiamata, l’ha ricevuta per cerimonie ufficiali e cene informali. L’ha anche convocata per la sua festa di Capodanno in Sardegna, insieme ad altre ragazzine.
Soltanto ieri, il settimanale L’Espresso ha pubblicato in sei pagine la storia intitolata: “L’Harem di Berlusconi”, fornendo dettagli su altre feste simili nella villa del premier durante il 2007.
 (…) Ciò che più lascia attoniti riguardo all’episodio, non è tanto che il premier italiano se ne vada, come minimo, a caccia di gonnelle. È il fatto che ogni volta sembra un personaggio di Walter Mitty, dicendo una bugia appresso all’altra, anche quando tutti sanno ciò che ha fatto.
Dice che ha visto la ragazza solo in presenza dei genitori. Falso.
Dice che il padre è stato l’autista di Craxi. Falso.
(…) Berlusconi mente così tanto, da essere realmente convinto che il nero sia bianco, e il bianco sia nero. Ha nominato un ministro per le Pari Opportunità (sì, ci avete azzeccato: è una ex modella in topless) che non crede alle pari opportunità.
Quando sua moglie ha chiesto il divorzio, a causa delle sue scappatelle, lui si è sentito offeso: “Dovrebbe vergognarsi di se stessa”.
Quando è stato giudicato colpevole in tribunale, si è lamentato per il comportamento “scandaloso” dei giudici.
Con una certa ironia, ha chiamato il suo nuovo partito politico “Popolo delle Libertà”, anche se Freedom House ha declassato l’Italia da paese ‘libero’ a paese ‘parzialmente-libero’.
(…) Per anni la gente ha guardato Berlusconi meramente come una barzelletta. Ha pensato che fosse solo un buffone latino, piccolo di modi e di statura, ma non una minaccia per qualcuno.
Il fatto che sia un plurimiliardario dimostra appunto, come Bob Hope diceva scherzando su J.F.Kennedy, che un uomo ricco ha più chance di chiunque altro.
Tuttavia, la gente ha realizzato in fretta che Berlusconi è una minaccia molto reale, non solo per l’Italia, ma per la tenuta complessiva della democrazia in Europa.
(…) Ha fatto parte della loggia massonica P2: un’organizzazione segreta neo-fascista che si proponeva di sovvertire la democrazia in Italia, tra gli anni ’70 e ’80.
In seguito lui stesso si è alleato con i partiti di estrema destra che ancora credono al manganello e al braccio teso. berlusconi_salutoBerlusconi ha dissolto ogni dubbio nel 2001, durante il summit del G-8 a Genova, dove ha lasciato mano libera alla brutalità poliziesca, come non si vedeva dai tempi  delle camicie nere di Mussolini. Egli ha difeso tale brutalità in ogni occasione.
Il suo istinto è sempre quello di intimidire.
In una recente conferenza stampa, ha risposto ad una domanda che non gli piaceva, puntando il dito contro la giornalista e facendo finta di premere il grilletto.
Poche settimane fa, Berlusconi ha annunciato allegramente che il suo indice di gradimento è il più alto di qualsiasi altro leader democratico. Egli non coglie l’ironia delle sue dichiarazioni: se i tuoi indici di gradimento si avvicinano a quelli di Stalin, evidentemente non sei affatto un leader democratico.
Se possiedi tre canali televisivi (così come i maggiori gruppi editoriali del Paese, un colosso assicurativo, società di produzione e distribuzione cinematografica, una agenzia publicitaria con posizione dominante, e la squadra del Milan) tu non sei eletto tramite votazione, tu sei eletto dalla televisione. Poi c’è l’aspetto inquietante del regime berlusconiano, che è chiamato il “soffio della Mafia”. Non è una coincidenza che dal 2001 vinca il 100% dei seggi disponibili in Sicilia.
I commentatori da tempo sostengono che non si possono vincere 61 collegi su 61 in Sicilia, senza una potente organizzazione di supporto nell’isola. E se scavate nel passato di Berlusconi, avrete modo di vedere modelli scellerati.
Negli anni ’70, ha assunto come stalliere un notorio mafioso di nome Vittorio Mangano, in seguito condannato per traffico di droga, estorsione e omicidio. Molti sospettano che Mangano fosse il tramite tra l’impero affaristico di Berlusconi e Cosa Nostra. L’uomo che ha tenuto i contatti, Marcello Dell’Utri, il miglior amico di Berlusconi, è stato condannato di recente per associazione mafiosa. In attesa di appello, Dell’Utri siede nel Senato italiano insieme ad altri accusati dei suoi stessi reati. La prossimità con il crimine organizzato è stato dimostrata peraltro da uno dei suoi ministri, Pietro Lunardi, ministro per le Infrastrutture e i Trasporti, che senza fronzoli dichiarò come fosse necessario “convivere con la Mafia”. Non sorprende quindi che una delle più grandi ambizioni di Berlusconi sia quella di costruire un ponte sullo Stretto di Messina, che colleghi la Sicilia con l’Italia continentale. Si vorrebbe coinvolgere Roma e Bruxelles a inviare miliardi di euro per l’impresa, mentre qualche galantuomo siciliano si starà già fregando le mani con gioia per la prospettiva.
Tutto ciò è una tragedia per l’Italia ed i suoi alleati.
Invece di un leader che rifletta tutto ciò che di meglio c’è nel Paese (intelligenza, creatività, generosità, bellezza), gli italiani hanno leaders che riflettono quanto di più veniale, corrotto e vergognoso ci sia nel passato della loro nazione.
Ogni volta che Berlusconi va all’estero, gli italiani si accucciano e si chiedono quale idiozia combinerà stavolta.
(…) Berlusconi ha paragonato se stesso a Gesù ed a Mosè, tali sono (dice) le sue sofferenze ed i suoi sacrifici. Come tutte le persone con troppo potere, sta diventando incredibilmente paranoico, vede comunisti e cospirazioni dappertutto.
(…) Il guaio è che ha disperatamente bisogno di qualcuno che “osi dire la verità al potere”. Avrebbe bisogno di uno di quelli che tradizionalmente rivestivano il ruolo di buffone di corte, di sposa amorevole, di sacerdote devoto.
Ma è Berlusconi stesso ad interpretare il buffone, la sua seconda moglie gli è sempre stata alla larga, e la Chiesa Cattolica sembra non avere influenza nella sua corte. S.Berlusconi  MdCIn altre parole, non c’è nessuno che gli dica la dura verità: come il fatto che i banchi del Parlamento non sono il posto migliore per applicare i make-up che solitamente porta, o tutti quei trapianti di capelli e trattamenti abbronzanti, quegli interventi di chirurgia plastica e quella stupida bandana, che rendono il suo aspetto tanto naturale quanto lo è una figura di cera di Madame Tussauds.
Inoltre, è circondato da sicofanti che ridono alle sue barzellette oscene e gli attribuiscono ridicoli poteri. Umberto Scapagnini, il medico personale di Berlusconi, dice spesso che ha il fisico di un uomo di mezza età e che “tecnicamente è immortale”.
Per questo suo responso scientifico, il dottore è stato ricompensato con un seggio in Parlamento, dove siede tra i banchi della maggioranza al fianco di altre vecchie pecore, ragazze affascinanti, e criminali. Silvio Berlusconi è al suo terzo mandato. Se porterà a termine la legislatura, sarà stato al potere 12 anni sugli ultimi 19. Nessuno ha dominato la scena politica italiana come lui dai tempi di… Benito Mussolini.
Molti sospettano che abbia ambizioni ancora più grandi.
Sostiene di frequente che vuole riformare il ruolo del Presidente della Repubblica, cambiandolo da ruolo cerimoniale a ruolo attivo con una potere simile a quello del presidente USA o francese.
Suggerimenti su chi debba ricoprire l’incarico? Avete indovinato: l’immortale Silvio Berlusconi.
È difficile credere che un uomo così inadeguato guidi l’Italia, che uno così sgradevole sia tra le maggiori forze politiche europee.
Non ha dignità, non ha grazia, non ha stile e, nonostante tutto il suo presunto potere, non ha coglioni. Più a lungo resterà al potere, più in fretta l’Italia diverrà una Repubblica delle Banane. Il cambiamento è già in atto.
Questa non è una commedia, è una tragedia.

(Il testo completo lo trovate qui)