Archivio per Job Act

INDIGNITAS

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , on 3 luglio 2018 by Sendivogius

Interpellato sulle politiche del lavoro e di contrasto al precariato non più crescente, ma dilagante, così parlò il Conte Paolo Gentiloni Silveri, nobile di Filottrano, Cingoli e Macerata, alias il Churchill del “centrosinistra italiano” (notare l’ossimoro) nelle faide del post-renzismo:

“Il Decreto Dignità?! Lasciamo perdere…”

Ecco, bravo ciccino, lascia perdere che è meglio. Ritorna pure a sgranocchiare le tartine al tartufo nei buffet di Cernobbio, prima che si irrancidiscano, insieme agli amichetti di Confindustria: veri ghost-writers di quel capolavoro di tutele e diritti (crescenti nell’azzeramento dei presistenti), chiamato “jobs-act”.

Il cosiddetto “Decreto Dignità” ha, almeno nelle intenzioni, il pregio di reintrodurre un minimo di equità, dopo la liberalizzazione selvaggia del mercato del lavoro e la cancellazione di ogni garanzia occupazionale.
Il minidecreto non è nemmeno originalissimo, perché in realtà recepisce parte dell’allora “pacchetto lavoro” presentato a suo tempo da Cesare Damiano per limitare, almeno in parte, le storture del “job act” e subito bocciato dalla sua stessa maggioranza, secondo il rotato giochino del “poliziotto buono vs poliziotto cattivo” a cui ci ha abituato la minoranza piddì ai tempi allegri della rottamazione, gettando fumo negli occhi del suo stesso elettorato, tramite una recita condivisa.
Un tempo i provvedimenti contenuti nel decreto pomposamente (e con troppo ottimismo) chiamato “dignità”, si sarebbero definiti di natura socialista, e neppure dei più rivoluzionari. O forse, più semplicemente, di buonsenso. Adesso l’iniziativa è stata invece bollata come “demagogica”, “boomerang per i precari” (?) “incostituzionale” (??), “peronista”, e (figuriamoci se poteva mancare) “cannonata populista”, provocando una crisi di nervi tra quell’avanguardia proletaria di professorini bocconiani e sacerdoti del turbocapitalismo, improvvisamente preoccupatissimi per le sorti dei lavoratori, dopo aver contribuito a cancellare un secolo di conquiste sociali in nome della TINA, in parallelo con la riduzione dei costi attraverso la contrazione dei salari e dei diritti. Per loro, il modello ideale per la crescita competitiva probabilmente sarebbe stata la reintroduzione dello schiavismo, ma per il momento si sono dovuti accontentare…
In concreto, il decreto pone una stretta sul ricorso dei contratti a termine, introducendo una serie di clausole di salvaguardia, che pongano un limite al lavoro precario e soprattutto rendano più stabile e sicuro quello a tempo determinato, spostando di un minimo la bilancia a favore dei lavoratori ingiustamente licenziati.

I contratti a termine non possono durare più di 24 mesi e dopo i primi 12 devono essere giustificati dalle causali temporanee e oggettive o per esigenze sostitutive, connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria per picchi e attività stagionali.. Il limite massimo si riduce quindi da 36 a 24 mesi, non sarà più possibile effettuare 5 proroghe, ma si scende a 4 ed ad ogni rinnovo il costo dei contributi da versare da parte dei datori di lavoro sale dello 0,5%.
L’indennizzo per il licenziamento senza giusta causa passa da un minimo di 6 mensilità a un massimo di 36 mensilità. In caso di licenziamento illegittimo, l’indennizzo per il lavoratore viene aumentato del 50%.

“Fatti salvi i vincoli derivanti dai trattati internazionali, le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi ai fini dell’attribuzione del beneficio decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso ovvero un’attività analoga o una loro parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all’Unione Europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata. In caso di decadenza si applica anche una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito.
Le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato che prevede l’effettuazione di investimenti produttivi specificamente localizzati ai fini dell’attribuzione di un beneficio, decadono dal beneficio medesimo qualora l’attività economica interessata dallo stesso ovvero un’attività analoga o una loro parte venga delocalizzata dal sito incentivato in favore di unità produttive situate al di fuori dell’ambito territoriale del predetto sito, in ambito sia nazionale sia europeo, entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa o del completamento dell’investimento agevolato.
L’importo del beneficio da restituire per effetto della decadenza è, comunque, maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.”

“Le imprese italiane ed estere che beneficiano di misure di aiuto di Stato operanti nel territorio nazionale che prevedono la valutazione dell’impatto occupazionale qualora, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riducano i livelli occupazionali degli addetti all’unità produttiva o all’attività interessata dal beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell’investimento decadono dal beneficio in presenza di una riduzione superiore al 10%; la decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è comunque totale in caso di riduzione superiore al 50%.”

Non cambierà nulla?
Probabile. Però intanto ci si prova. E comunque è sempre meglio di niente.
Si poteva fare di piu?
Certo!
Si poteva fare di meglio?
Sicuro! Ma si poteva (come è stato fatto) realizzare anche di molto peggio. E infatti lo si è visto.
I latrati della casta padronale sono forse la miglior riprova che, tutto sommato, si tratta di un buon provvedimento, se non verrà stravolto (come avverrà) in fase di conversione. Alla lagna si è subito unito ciò che resta del partito bestemmia (ci sarebbe da dire in ottima compagnia, con la destra berlusconiana ed i Fascisti d’Italia della sora Giorgia), dimostrando di essere a tutt’oggi il principale partito degli interessi del padronato.
Eppoi uno si chiede perché la “sinistra” (sì, insomma, quella roba che si fa chiamare così, ammesso il PD ne abbia mai fatto parte) è scomparsa dai radar della politica italiana, rischiando di restarci fuori per un bel pezzo se questa è l’opposizione al grilloleghismo.

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Job-Land in Act

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , on 20 dicembre 2016 by Sendivogius

culatelle

Caro Ministro Poletti,
Le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano.
giuliano-polettiSiamo quelli per cui il Novecento è anche un patrimonio cinematografico invidiabile, che non inseguiva necessariamente i botteghini della distribuzione di massa, e lì imparammo che le parole sono importanti, e lei non parla bene.
Non da oggi.
A mia memoria da quando il 29 novembre 2014 iniziò a dare i numeri sul mercato del lavoro, dimenticandosi tutti quei licenziamenti che i lavoratori italiani, giovani e non, portavano a casa la sera.
licenziamentiContinuò a parlare male quando in un dibattito in cui ci trovammo allo stesso tavolo dichiarò di essere “il ministro del lavoro per le imprese”, era il 18 aprile del 2016.
futuro-ritorno-lavoro-1a Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più, non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci.
Parlo dei voucher, Ministro.
E poi, sa, anche tra di noi che ce ne siamo andati, qualcuno meno fortunato esiste. Si chiamava Giulio Regeni, e lui era uno dei migliori. L’hanno ammazzato in Egitto perché studiava la repressione contro i sindacalisti e il movimento operaio. L’ha ammazzato quel regime con cui il governo di cui lei fa parte stringe accordi commerciali, lo stesso governo che sulla morte di Giulio Regeni non ha mai battuto i pugni sul tavolo, perché Giulio in fin dei conti cos’era di fronte ai contratti miliardari?
Intanto, proprio ieri l’Inps ha reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando lei è ministro, ne sono stati venduti 265.255.222: duecentosessantacinquemilioniduecentocinquantacinquemiladuecentoventidue.
Non erano pistole, è sfruttamento.
Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa. È un ragazzo di ventuno anni, non ha diritto alla malattia, a niente, perché faceva il saldatore a voucher. Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata. Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere competitivi.
contratti-di-lavoro-2015Quelli che sono rimasti sono coloro che per colpa delle politiche del suo governo e di quelli precedenti si sono trovati in pochi anni da generazione 1000 euro al mese a generazione a 5000 euro l’anno.
Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che molti se ne sono andati proprio per questo.
Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con orari lunghissimi e salari da fame.
babbo-natale-sciopero-polizia-precario-il-manifestoQuelli che fanno i facchini per la logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché chiedevano diritti contro lo sfruttamento. Sono quelli che un lavoro non l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”.
Sono gli stessi che non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più spesso ci ritornano, perché il suo governo come altri che lo hanno preceduto, invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi e prima ancora di approvare il piano casa.
È lo stesso governo che spende lo zero percento del Pil per il diritto all’abitare.
È lo stesso governo che si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che garantisca a tutti dignità.
contratti-netti-a-tempo-determinato-nel-primo-semestre-2016Ma badi bene, non sono una “redditista”, solo che a fronte di 17 milioni di italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta, mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà.
Ma vorrei essere chiara, il diritto al reddito non è sostituibile al diritto alla casa, sono diritti imprescindibili entrambi.
E le vorrei sottolineare che non è colpa dei nostri genitori se stiamo messi così, è colpa vostra che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci.
art-18-italia-investitori-esteri1I colpevoli siete voi che pensate si possano spostare quasi 20 miliardi dai salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio (tanto ci sono i voucher) e poi un anno dopo approvate anche la riduzione delle tasse sui profitti. Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di lamentarci perché, mal che vada, avremo un tirocinio con Garanzia Giovani.
picsartI colpevoli siete voi che non credete nell’istruzione e nella cultura, che avete tagliato i fondi a scuola e università, che avete approvato la buona scuola e ora imponete agli studenti di andare a lavorare da McDonald e Zara.
Sa, molti di quei centomila che sono emigrati lavorano da McDonald o Zara, anche loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa vita fa schifo. Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo governo, questi giovani all’estero sono pagati.
alternanza-scuola-lavoroMa il problema non è neppure questo, o quanto meno non il principale.
Il problema, ministro Poletti, è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis.
A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti. E lo fa nel preciso istante in cui lei dichiara che dovreste “offrire loro l’opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”.
renzi-che-lavoraLa cosa assurda è che non è chiaro cosa significhi per lei capacità, competenze e saper fare.
Perché io vedo milioni di giovani che ogni mattina si svegliano, si mettono sul un bus, un tram, una macchina e provano ad esprimere capacità, competenze, saper fare. Molti altri fanno la stessa cosa ma esprimono una gran voglia di fare pure se sono imbranati. Fin qui però io non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri.
redditoNon è chiaro, Ministro Poletti, cosa sia per lei un’opportunità se non questa cosa qui che rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza. Eppure la cosa che mi indigna di più è il pensiero che l’opportunità va data solo a chi ha le competenze e il saper fare.
Lei, ma direi il governo di cui fa parte tutto, non fate altro che innescare e sostenere diseguaglianze su tutti i fronti: dalla scuola al lavoro, dalla casa alla cultura, e sì perché questo succede quando si mette davanti il merito che è un concetto classista e si denigra la giustizia sociale.
Perché forse non glielo hanno mai spiegato o non ha letto abbastanza i rapporti sulla condizione sociale del paese, ma in Italia studia chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara. E sono sempre di più, Ministro Poletti.
Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto. Molti di questi genitori poi con la crisi sono stati licenziati e finita la disoccupazione potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa a loro perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno.
Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi e abbiamo votato No contro un sistema istituzionale che avrebbe normalizzato la supremazia del mercato e degli interessi dei pochi a discapito di noi molti.
Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la buona scuola, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di partecipazione.
E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.
Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro.
E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia.
Se nel frattempo vuole sapere quali sono le nostre proposte per il mondo del lavoro, ci chiami pure. Se vi interessasse, chissà mai, ascoltare.

marta-fanaMarta Fana
(Ricercatrice italiana a Parigi)

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Bastardi in pappagorgia

Posted in Business is Business, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , on 28 dicembre 2014 by Sendivogius

Inglorious Bastards

Il cavalier Benito Mussolini, che conosceva bene i suoi gonzi, era solito lasciar accesa la luce del suo studio a Piazza Venezia per tutta la notte, dando ad intendere di non riposarsi mai, salvo intrattenersi ai piani superiori con le proprie amanti.
Il solito coglionazzo Parecchie spanne più sotto e svariati emuli dopo, la caricatura in camicia bianca di Peppa Pig ha invece bisogno di presentare le sue scatole vuote in un’aula più supina che sorda e buia, nel cuore della notte o alla Vigilia di Natale, per incassare deleghe in bianco da un simulacro di parlamento che vota unicamente su fiducia, senza nemmeno conoscere i contenuti dei decreti-legge che è chiamato ad approvare in menù blindati à la table d’hôte.
Per il twittatore compulsivo l’importante è portare a casa il risultato a qualsiasi costo e qualunque esso sia. Poco importa se poi per riempire il carniere si ricorra a bocconi avvelenati e carogne immangiabili. Ciò che conta è “impressionare”, decantare la merce senza mostrarla, agitare la cesta celando il contenuto. Nell’assoluta estraneità di tematiche e problematiche che sono a lui profondamente aliene, tanto restano incomprensibili al suo vissuto Il Cieco di Sorrentopersonale, quella del Telemaco fiorentino, d’intesa coi Proci delle laide intese e l’Ulisse in ferma ai servizi sociali, è in fondo un’operazione di picking politico, interamente concentrato sul confezionamento del prodotto: pesca un po’ dove capita, secondo convenienza ma senza convinzione, per uno che non sa più dove buttare le reti.
ContaballeIl risultato finale è credibile come uno che va in giro a dicembre con le maniche di camicia arrotolate, annunciando provvedimenti epocali contro la corruzione. E infatti nel solito pacco non è assolutamente contemplata la revisione del reato di “concussione”, che opportunamente spacchettata consente la sterilizzazione della norma, ma in compenso contiene la non punibilità di tutti quei reati di natura tributaria, dall’autoriciclaggio alla truffa, che vengono derubricati a “reati lievi”, mentre per i recidivi è previsto l’ennesimo condono col rientro scudato dei capitali illeciti ad un tasso inferiore alle aliquote minime.
Maurizio Sacconi, ex "Ministro del Lavoro" del Governo BerlusconiMa questa è solo uno dei tanti contorcimenti che precedono la “rivoluzione copernicana” della parabola renzista, il cui piatto forte resta sicuramente il vecchio statuto dei lavori di Maurizio Sacconi, il pasdaran craxiano-berlusconiano folgorato dinanzi alla mangiatoia del Bambino Matteo, convertito in testo blindato su stretta dettatura confindustriale, e opportunamente inglesizzato in “Jobs Act” per essere meglio inteso da fräulein Merkel e dal FMI (i committenti occulti del decreto).
Matteo RenziÈ rassicurante constatare come la stesura dell’intera controriforma sia così rimessa ad un grumo di mangia ad ufo professionisti ed azzimati bambocci di sagrestia, che stanno al ‘lavoro’ così come lo stupro sta ad un atto d’amore, capitanati da un bolso ex portaborse di Rutelli (in arte Er Cicoria) che si crede “imprenditore” ed al massimo ha fatto il prestanome come ‘dirigente’ per l’aziendina fallita del papà bancarottiere, in comunanza ideale con la categoria a cui si sente più prossimo: la razza padrona (e predona).

 “Cazzari di un futuro passato”
  di Alessandra Daniele
(02/11/2014)

Maschera di Berlusconi  «Non c’è assolutamente niente di moderno nel marchesino Matteo e nella sua corte di petulanti puffi arrampicatori, e boccolute Barbie Leopolda.
Non c’è niente di moderno nei pescecani che lo finanziano, nei manganelli che schiera contro gli operai, nel suo governo di incapaci, marpioni, e marpioni incapaci.
La modernità non è una questione d’anagrafe né di calendario.
Esiste una forma d’involuzione reazionaria che cronologicamente segue le conquiste sociali, e mira a cancellarle retroattivamente: si chiama “Restaurazione”.
Da anni il mondo del lavoro non fa che regredire. Affrontarlo non è come cercare d’infilare un gettone in un iphone, è come cercare d’infilare un gettone in culo a un piccione viaggiatore.
L’obiettivo che le classi padronali perseguono è riportare indietro d’un secolo i diritti dei lavoratori, spacciando per progresso un ritorno a livelli di sfruttamento premoderni assimilabili allo schiavismo.
Matteo Renzi non è che l’attuale gommosa maschera di questo progetto.
???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????La vacua Gioventù Renziana è solo una schiera di ballerini di fila, una coreografica chorus line di facciata che sculetta al ritmo di stucchevoli slogan da televendita, marchi e neologismi stolidamente ripetuti come parole magiche in grado di evocare il futuro con il loro semplice suono: selfie, iphone, twitter, USB.
Così come Benigni e Troisi, bloccati a Fritole nel 1492 di “Non ci resta che piangere”, ripetevano “autobus, ascensore, semaforo” nella vana speranza che una litania di termini moderni avesse il potere di riportarli al loro presente.
E restavano a Fritole nel 1492.
Quando l’Italia s’è trovata al bivio dell’evoluzione, ha imboccato decisa la strada sbagliata.
Finendo nell’attuale realtà da incubo in cui, come nell’ucronia di “Ritorno al Futuro II”, sono i pescecani alla Biff Tannen i padroni del paese.
Biff TannenProseguendo su questa linea temporale e politica le cose possono solo peggiorare.
Per raddrizzare la rotta dobbiamo tornare a quando si era capaci di lottare tutti insieme per ottenere diritti comuni, e per cambiare davvero le cose, ai giorni in cui tutte le conquiste sociali adesso sotto attacco sono state compiute.
Dobbiamo tornare sui nostri passi e stavolta ‘girare a sinistra’.
Solo da lì potremo ritornare al futuro, quello autentico.
Chi oggi ci trascina ancora avanti sulla strada sbagliata non ci porta nel futuro.
Ci porta al macello

gufiA questo punto, è fin troppo facile comprendere quale sia la filosofia ispiratrice del sedicente “jobs act”, con l’ideologia che sottende lo spirito della legge, giacché la massima preoccupazione dell’atto non è come tutelare il lavoro esistente e crearne di nuovo, ma come estendere i licenziamenti cancellando diritti. Tutti gli sforzi del provvedimento sono infatti volti a dimettere personale piuttosto che assumerne di nuovo. Coerentemente, la massima preoccupazione degli ostensori della legge è l’allargamento della platea dei licenziati anche al pubblico impiego, finora risparmiato dalla falcidia di posti. Nelle sue applicazioni pratiche, la grande Filippo Taddei“rivoluzione copernicana” di cui vanno concionando in giro i Renzi Boys azzera le tutele agli Anni ’50 e tra le sostanziali novità introduce i licenziamenti collettivi, che di certo non estendono le opportunità di lavoro, ma costituiscono un ottimo strumento di ricatto in caso di rinnovi contrattuali e rivendicazioni salariali, rendendo inutile ogni trattativa sindacale. Altresì, monetarizza i licenziamenti discriminatori ed illegittimi, con indennizzi ridicoli e la cacciata dei refrattari ad umilianti elemosine per giunta forfettarie. Ed è facile immaginare quali saranno gli effetti immediati per tutte quelle aziende che hanno necessità di sbarazzarsi dei propri lavoratori, in fretta e senza oneri, per delocalizzare all’estero. Così come si può intuire l’uso che della legge verrà fatto in caso di vertenze come quelle dei metalmeccanici di Mirafiori, gli operai delle acciaierie di Terni e dell’Ilva di Taranto, gli operatori di Meridiana… per citare solo i casi più noti.
Giuliano PolettiNella pratica, il “Job Act” esonera le aziende da ogni responsabilità anche lontanamente ‘sociale’, sollevandole dall’onere di presentare eventuali piani di riconversione e ricollocamento. Distribuisce premi a pioggia, svincolati da ogni obbligo di garanzia, rendendo il licenziamento l’opzione più conveniente ed immediata in caso di crisi.
Giancarlo Lande - Amministratore di EUTELIAIn compenso, gli espulsi senza giusta causa avranno un “vaucher” da spendere in una qualche agenzia interinale in attesa di ipotetici ricollocamenti. Ovviamente, la selva oscura dei contratti atipici rimarrà nella sua sostanza intonsa. Quindi, poco o nulla cambierà per i lavoratori parasubordinati, mentre peggiorerà per le partite IVA (e massimamente per quelle fittizie) che non vedranno alcun beneficio concreto.
Sancita l’assoluta libertà di licenziamento per i lavoratori dipendenti con contratto a “tempo indeterminato”, che in realtà non potrà più definirsi tale, lungi dall’estendere garanzie e tutele, il “Jobs Act” le cancella introducendo un girone infernale fatto di assunzioni triennali, convertite in licenziamenti alla scadenza dei vantaggi e delle defiscalizzazioni incassate a prescindere dalla stabilizzazione dei neo-assunti. Lungi dall’estendere le tutele, il pacco di governo riduce anche gli indennizzi previsti dalla precedente legislazione sul lavoro, che per i lavoratori a tempo indeterminato si regge sulla vecchia CIG (Cassa Integrazione Guadagni). A conti fatti, tra Naspi ed Asdi (nomi diversi per la stessa fuffa), la durata delle erogazioni non supera i 36 mesi, ma gli importi rischiano di essere inferiori perfino rispetto ai vecchi “ammortizzatori sociali” previsti dalla legislazione ancora vigente. Il tutto con un aggravio di spesa per i conti pubblici (e le casse dell’INPS) non da poco: la totale decontribuzione per le imprese, rimette l’onore dei versamenti previdenziali (che saranno figurativi) a carico dello Stato, che si troverà a compensare tanto l’assenza dei contributi quanto la corresponsione dei sussidi di disoccupazione (che sono calcolati proprio in base ai contributi versati). Sulle coperture fiscali per una manovra di spesa, che difetta drammaticamente in fondo strutturali, in attesa di una prossima manovra congiunturale a tamponamento di una raffazzonatissima “legge di stabilità”, il funambolico esecutivo del Signor Cretinetti da Firenze ha già chiarissimo su dove e come reperirà i fondi necessari [QUI], dispensando qualche banconota da 80 euro a scadenza elettorale.
80 euriPertanto, non resta che augurarvi buon lavoro a tutti.
Se nel 2015 ce l’avrete ancora…

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