L’opera di Henri Pirenne si è sempre prestata a tutte le opinioni e tutte le contestazioni, prima di cadere nell’oblio e ridursi a letture antologiche in estratti per svogliatissimi studenti liceali che non saprebbero distinguere un tordo da una quaglia.
Approssimativo, superato, inesatto. Acuto, innovativo, brillante. Pirenne è un autore che va letto, non foss’altro per la sua prosa semplice e scorrevolissima. Fa sempre la sua bella figura nella vostra più o meno copiosa biblioteca domestica. Ed è comunque un ottimo regalo di natale, al posto di ben altri orrori letterari che infestano le librerie.
In un’epoca confusa e ipocrita come la nostra, in cui le guerre si combattono ma si passa il tempo a negarne l’esistenza, riscoprire le pagine del dimenticato Pirenne (a ottanta anni dalla sua scomparsa) potrebbe costituire un’interessante sorpresa. In fondo, con più di qualche forzatura, è una storia di immigrazione, scontri e integrazioni culturali… Nel delineare gli aspetti dell’espansione islamica nel Mediterraneo e le trasformazioni più o meno conseguenti dell’Europa carolingia, lo storico belga forse è uno dei pochi studiosi ad infrangere, si potrebbe dire a sua insaputa, un certo cliché consolidato (a cui si oppongono altrettanti stereotipi contrari) e costruito attorno alla favoletta buona di un islam delle origini, tanto aperto quanto e tollerante (ma certamente non pacifico), in contrapposizione alle cupezze di un medioevo oscuro e barbarico di un Europa sprofondata nei secoli bui. Attraverso una prosa agevole e accattivante, Pirenne intuisce l’essenza di tanta “tolleranza”, cogliendone forse la natura più prossima al vero, liquidata in poche e significative righe:
«Per comprendere l’espansione dell’Islam nel VII secolo niente è più suggestivo che confrontarla, nel suo impatto sull’Impero romano, con le invasioni germaniche….. Quando l’Impero, con le sue frontiere in frantumi, abbandona la lotta, i suoi invasori si lasciano subito assorbire da esso e, per quanto possibile, ne continuano la civiltà entrando nella comunità su cui essa si fonda.
[…] Il problema che si pone è capire perché gli Arabi, che non erano certamente più numerosi dei Germani, non furono come questi assorbiti dalle popolazioni dei paesi di civiltà superiore di cui si impadronirono. Il nocciolo della questione è tutto qui. C’è solo una possibile risposta ed è di ordine morale. Mentre i Germani non avevano niente da opporre al cristianesimo dell’Impero, gli Arabi erano esaltati da una nuova fede. Fu questo e questo soltanto che li rese inassimilabili. Per il resto infatti non avevano maggiori prevenzioni dei Germani contro la civiltà dei popoli che avevano conquistato. Anzi, l’assimilarono con sorprendente rapidità: nelle scienze si misero alla scuola dei Greci, in arte a quella dei Greci e dei Persiani. Non erano neanche fanatici, almeno all’inizio, e non avevano intenzione di convertire i loro sudditi. Ma volevano che obbedissero al dio unico, Allah, e al suo profeta Maometto, e poiché costui era arabo all’Arabia. La loro religione universale era al tempo stesso nazionale. Erano i servitori di dio.
Islam significava rassegnazione o sottomissione a Dio e musulmano significa sottomesso. Allah è uno ed è logico quindi che tutti i suoi servitori abbiano l’obbligo di imporlo ai miscredenti, agli infedeli. Quello che essi si propongono non è, come abbiamo detto, la loro conversione ma il loro assoggettamento. Sono questi i principi che essi portano con sé. Dopo la conquista non chiedono di meglio che prendere come bottino la scienza e l’arte degli infedeli: le coltiveranno in nome di Allah. Si impadroniranno anche delle istituzioni, nella misura in cui saranno loro utili. Per dominare l’impero che hanno fondato non possono più basarsi sulle proprie istituizioni tribali, così come i Germani non poterono imporre le loro all’Impero romano. La differenza è che, ovunque si trovino, dominano. I vinti sono loro sudditi ed essi soli pagano l’imposta, perché sono fuori dalla comunità dei credenti. La barriera è insormontabile: non può esserci alcuna fusione tra le popolazioni conquistate ed i musulmani….. Presso i Germani il vincitore andrà spontaneamente al vinto. Con gli Arabi è il contrario: il vinto andrà al vincitore e potrà farlo solo servendo, come lui, leggendo come lui il Corano, imparando dunque la lingua araba che è la lingua santa e al contempo la lingua stessa dei dominatori.
Nessun proselitismo e neppure alcuna pressione religiosa, come invece era avvenuto per i cristiani col trionfo della Chiesa. “Se Dio avesse voluto”, dice il Corano, “avrebbe fatto di tutti gli uomini un solo popolo”, e condanna testualmente la violenza contro l’errore. Esige solo obbedienza ad Allah, obbedienza esteriore di esseri inferiori, degradati, spregevoli, che sono tollerati ma vivono nell’abiezione. E ciò è insopportabile e demoralizzante per l’infedele. La sua fede non viene combattuta, ma ignorata. E questo è il mezzo più efficace per distaccarlo e condurlo ad Allah il quale, restituendogli la sua dignità, gli aprirà al tempo stesso le porte della città musulmana. E poiché la sua religione obbliga il mussulmano a trattare l’infedele come soggetto, l’infedele va a lui e così facendo spezza i legami con la sua patria ed il suo popolo. Il Germano si romanizza dal momento in cui penetra nella “Romania”, il Romano invece si arabizza dal momento in cui viene conquistato dall’Islam, e poco importa che, ancora in pieno ‘medioevo’, sopravvivano in mezzo ai musulmani piccole comunità di copti, nestoriani, e soprattutto Ebrei. Questo non impedisce una profonda trasformazione di tutto l’ambiente. Avviene una rottura, un taglio netto con il
passato. Il nuovo signore non permette più che nell’ambito in cui esercita il proprio dominio una qualche influenza possa sfuggire al rigido controllo di Allah. Il suo diritto, la cui principale fonte è costituita dal Corano, si sostituisce al diritto romano, la sua lingua al greco ed al latino.
Cristianizzandosi, l’Impero aveva per così dire cambiato anima; islamizzandosi cambia a un tempo anima e corpo. La società civile non è meno trasformata della società religiosa. Con l’Islam un nuovo mondo irrompe su quelle coste del Mediterraneo dove Roma aveva diffuso il sincretismo della sua civiltà. Si produce una lacerazione che durerà fino ai giorni nostri.»