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SYRIANA (II)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 marzo 2015 by Sendivogius

ISIS

A suo tempo (era il 22/01/14), con una di quelle infelici metafore a sfondo sportivo che piacciono tanto ai politicanti quando vogliono galvanizzare l’elettorato, Barack Obama definì i tagliatori di teste dell’ISIS come la “riserva giovanile” di Al-Qaeda: una squadretta di alcun conto, composta da scartine facilmente contenibili.
Osama Eliminato Osama bin-Laden, ospitato in tutta tranquillità a casa dall’Amico pakistano, sotto la munifica protezione dell’ISI, il buon Obama aveva davvero creduto (pessimamente consigliato) che, tagliata la testa del drago, avrebbe debellato per sempre la bestia del terrorismo islamico. Evidentemente, non aveva mai sentito parlare del mito dell’Idra di Lerna, altrimenti avrebbe compreso che certe ferite vanno immediatamente cauterizzate, onde prevenire il sopraggiungere di mali peggiori.
Hydra Bay WallPaper by leewonkaD’altronde, in nome della realpolitik, per lungo tempo si è sottovalutata la minaccia del fondamentalismo neo-salafita, paradossalmente nato come movimento riformista nel solco della tradizione. In realtà, il “salafismo”, nelle sue forme integraliste più estreme, non è spuntato fuori un ventennio fa, ma è attivo da almeno una dozzina di lustri, prima di diventare un problema più che tangibile…
isisSi era pensato (a torto) che il fervore religioso della rinascita salafita, opportunamente indirizzata, potesse essere utilizzata come strumento di contenimento dell’Iran degli ayatollah, convogliandone le azioni di disturbo contro l’Hezbollah libanese e, all’occorrenza, impiegata come forza destabilizzante nei confronti del (nazional)socialismo dei partiti Baath.
Hezbollah Nazi SaluteNella logica dei blocchi contrapposti, i mujahiddin vennero visti dallo schieramento ‘atlantista’ come potenziali truppe pronto La Guerra di Charlie Wilsonimpiego, sui fronti orientali della guerra fredda: una manovalanza a buon mercato di utili idioti, da usare come carne da cannone senza alcun rimpianto, nella convinzione del tutto errata che il fenomeno si sarebbe estinto da sé una volta esaurita la sua funzione d’uso.
mujahideen call of dutyNonostante i danni prodotti da un madornale errore di valutazione di cui oggi si pagano le conseguenze, si è inizialmente pensato di perseverare nella pratica, applicando la stessa strategia alla Siria.
Rambo 3Infatti, l’antico giochino sembrava riproponibile anche nel caso del Bashar al-Assadconflitto siriano, per abbattere il regime di Bashar al-Assad, con il duplice obiettivo di galvanizzare le monarchie sunnite in funzione anti-sciita e soprattutto rafforzare la supremazia israeliana, scardinando ogni influenza russa o cinese in Medio Oriente tramite l’eliminazione del loro principale alleato. Il brillante risultato è stato quello di destabilizzare l’intera regione in una crisi di proporzioni mai viste.
reagan_taliban_1985Sennonché, la presenza di oltre 250 formazioni armate (potete farvene un’idea QUI con l’elenco al gran completo), a schiacciante preponderanza jihadista, censite dal Dipartimento di Stato sulle informative della CIA, ha indotto l’Amministrazione USA a ben più miti consigli e ad una doverosa prudenza che è sempre mancata in passato, specialmente se si pensa ai disastri prodotti in Iraq. Ma ormai il vaso di Pandora era stato già bello che scoperchiato…
Broken Trinity - Pandora's BoxFu così che la salafiyya, da movimento marginale dell’immensa galassia musulmana, è finito col diventare preponderante, innaffiato com’è dai petrodollari delle monarchie del Golfo.
In fondo, il sedicente Califfato è solo un’estensione dilatata a dimensione internazionale del wahabismo saudita, perché a ben vedere tutte le strade del terrorismo islamico portano a Riyad e dintorni…
WahabismeDa questo punto di vista, le orde nere dell’ISIS non hanno inventato proprio nulla. Niente che non sia già stato sperimentato con successo in Arabia Saudita.
Saudi-Executioner  La furia iconoclasta con la distruzione di monumenti e luoghi di culto, la persecuzione delle minoranze religiose all’insegna del più cupo oscurantismo fondamentalista, il corollario di decapitazioni, mutilazioni, lapidazioni, ed altri orrori medioevali, passando per gli effettacci gore da Coltello lungo cazzo piccoloporn-horror, coi quali il Dawla Islamiya ama deliziarci in concomitanza con l’apertura sensazionalistica dei notiziari, costituiscono da sempre parte integrante del panorama urbano e del brodo ‘culturale’ in cui la Casa degli al-Saud prepara la sua ricetta da esportazione. E ciò avviene secondo una strategia fin troppo collaudata, nel silenzio complice di un “Occidente” agganciato alle pompe di benzina.
BushfaceL’aspirante Califfato di Iraq e Levante mira all’introduzione della Sharia, secondo la più rigida applicazione coranica, nell’interpretazione letterale dei testi e degli hadith del Profeta.
Sri Lanka Saudi MaidIn Arabia Saudita è legge dello stato. E la pia autocrazia, con il suo record di esecuzioni capitali, può vantare l’applicazione della pena di morte (mediante decapitazione o lapidazione) per reati gravissimi quali l’omosessualità, l’adulterio, la blasfemia, l’apostasia (murtad), e ovviamente la stregoneria. Ma anche il possesso di libri proibiti (tipo la Bibbia), o l’apposizione di un “like-it” su una pubblicazione on line non ortodossa, può comportare una buona dose di scudisciate educative e, in caso di recidiva, conseguenze ben peggiori, come sta avendo modo di imparare Raif Badawi.
Ovviamente, tutti i procedimenti penali in questione non richiedono la presenza di alcuna forma di tutela legale; quanto meno non nel senso che noi siamo abituati a conferire al concetto.
saudi justiceAl confronto, l’ISIS è solo un allievo zelante che mira a scalzare il vecchio maestro, da cui ha appreso tutto e attinto le sue risorse. Semplicemente, le bande nere del califfato reputano inutile la presenza della dinastia saudita al potere, ma in sostanza la ricetta che propongono è la stessa; senza i costi ed i privilegi di una casa regnante, considerata (a buona ragione) irrimediabilmente corrotta nella sua presunzione di “purezza”.
frustaNel corso di mezzo secolo, le monarchie assolute della penisola arabica (Arabia Saudita, ma anche Kuwait, Bahrein e soprattutto Qatar) hanno sostenuto, foraggiato e protetto, ogni movimento Re-Animatorintegralista radicale disponibile sulla piazza mondiale. L’ISIS è soltanto l’ennesimo mostro di Frankenstein, l’ultimo prodotto di una lunga serie, sfuggito al controllo occhiuto degli al-Saud e dei loro apprendisti stregoni…
Di solito funziona così: si finanziano e si costruiscono ovunque sia possibile moschee ed “istituti culturali” di ispirazione wahabita, per creare un retroterra religioso che sia favorevole alla penetrazione radicale, da sovrapporre (e soppiantare) alle comunità musulmane autoctone giudicate troppo secolarizzate o non abbastanza ‘devote’. Quindi si esportano imam e soprattutto predicatori itineranti, formatisi alla scuola hanbalita, trasformando le sale di preghiera così infiltrate in centri di propaganda e di reclutamento, le iniziative dei quali in genere hanno facile presa facendo leva sui bisogni degli strati più disagiati della popolazione. A tutti gli effetti è un esercizio di pressione politica, che agisce direttamente sulla società islamica livellata nelle sua diversità e ricchezza culturale, secondo un preciso progetto egemonico di pura miscela arabica.
House of Al-SaudNon è un caso che le ventate di recrudescenza integralista coincidano spesso e volentieri con l’attività di proselitismo della predicazione salafita su impostazione wahabita. I finanziamenti sauditi giungono quasi sempre attraverso il paravento di associazioni filantropiche o enti di beneficenza islamici, meglio se riuniti in charity trust, che funzionano come paravento indiretto per la copertura di transazioni non proprio limpide.
Bloody hand È per esempio il caso della Al Haramain, che fu molto attiva in Indonesia e per tutto il Sud-Est asiatico tra il 2001 ed il 2002, provvedendo a rifornire di fondi gli stragisti della Jemaah Islamiyah, che guadagnò la ribalta nelle cronache internazionali con l’ecatombe di Bali del 12/10/2002. E ciò avveniva in parallelo con le attività terroristiche di Laskar Jihad che si era inserita negli scontri etnici Indonesia e Molucchenell’Arcipelago delle Molucche, conferendovi una dimensione tutta religiosa culminata nelle stragi di Giava e Timor Est. Se Laskar Jihad culturalmente si forma nelle madrasse pakistane di osservanza Deobandi, è tra gli ulema hanbaliti del Golfo che trova la giustificazione ‘morale’ per le sue azioni. Sarà Jafar Umar Thalibutile ricordare che Jafar Umar Thalib, fondatore della Laskar Jihad, si sia formato alla “Lipia” (succursale indonesiana della “Muhammad ibn Saud Islamic University” di Riyad, specializzata nella formazione di imam) ed abbia potuto continuare i suoi ‘studi’ in Pakistan grazie ad una borsa di studio del governo saudita.
MujahidinIn Nigeria, per passare a faccende più attuali, il famigerato gruppo di Boko Haram prima di darsi alla clandestinità armata ha ricevuto per anni aiuti e sostegno economico da Al Muntada Al Islami, un’associazione caritatevole saudita con sede a Londra.
Ansar DineMa finanziamenti copiosi sono giunti anche al FIS algerino ai TIMBUKTUtempi della guerra civile, ai salafiti di Ansar Dine e del MUJAO che tanto si sono distinti nella devastazione di Timbuctù in Mali, nonché alle “Corti Islamiche” degli shabaab della Somalia, dove ci si è premuniti di fornire macchinette per la corretta amputazione delle mani…
taglio della manoPerché il lupo perde il pelo ma non il vizio.
Saudi ArabiaStoricamente, il dominio della casa regnante saudita si fonda su un patto, stipulato intorno alla metà del XVIII°secolo, tra Muhammad ibn Saud, emiro di Diriyah, e Muhammad ibn Abd al-Wahhab: un chierico hanbalita, profondamente ispirato dal pensiero di Ibn Taymiyya.
Ibn Taymiyya (Taqī al-Dīn Abū al-Abbās Aḥmad), nato in Siria ad Harran nel 1263, era sostanzialmente avverso ad ogni innovazione che esulasse dall’interpretazione letterale del Corano; propugnava la rigida applicazione della sharia ed il ritorno all’ortodossia delle origini (VII secolo). I suoi insegnamenti vertevano sulla elaborazione dottrinale della tradizione islamica, ripulita da ogni incrostazione moderna e ripristinata nella sua purezza originaria (salaf). Soprattutto, predicava la ribellione contro “l’autorità ingiusta”, qualora questa non fosse conforme ai principi della legge coranica, che secondo il teologo non deve ammettere deroghe, né interpretazioni metaforiche.
JannahIbn Taymiyya è considerato inoltre il teologo della guerra santa, peraltro all’epoca più che giustificata visto che il mondo Hulegu Khanmusulmano si trovava ad affrontare le orde mongole di Hulagu Khan ad Est e le invasioni crociate ad Ovest. Al contempo, Taymiyya sosteneva una dura politica di intolleranza nei confronti di ebrei e cristiani, rifiutando l’idea di una possibile convivenza, se non sotto stretta sottomissione in cambio di protezione. Rifuggiva dal culto dei santi e rifiutava aspramente l’idea che le tombe dei maestri sufi potessero essere oggetto di devozione e di pellegrinaggio, essendo ritenuta la pratica in questione una forma di politeismo (shirk).
MongoliLe idee estreme, con la sua visione drasticamente conservatrice e chiusa della società islamica, non ebbero mai troppo successo, ed Ibn Taymiyya fu per questo duramente avversato dai suoi stessi contemporanei, che non ne condividevano affatto la rigidità di pensiero e soprattutto mal sopportavano la sua messa in discussione del principio di autorità.
La sua strenua opposizione al culto dei morti ed alla venerazione dei santi, considerate un’eresia da estirpare, viene condivisa appieno dal suo discepolo Ibn Qayyim al-Jawziyyah, che ne estremizza il concetto, predicando la completa distruzione dei “luoghi dello shirk” e di tutti gli “idoli”.
cult of destructionLa fatwa di Ibn Qayyim è la più citata e amata dai distruttori di monumenti dell’ISIS e dagli imam radicali del Golfo, secondo i quali ogni luogo che anche lontanamente sia collegabile a culti diversi dall’Islam andrebbe raso al suolo (a partire dalle piramidi d’Egitto), insieme alla completa distruzione di ogni arte figurativa. Arte che per il pio musulmano non dovrebbe avere alcun valore, in quanto costituisce un’offesa alla vera fede, nella pretesa di volersi sostituire all’opera creatrice di Allah.
ISIS destroys 6000-year-old artifactsIbn Taymiyya ed il suo discepolo Qayyim si formano entrambi nell’ambito della scuola hanbalita, fondata nel IX°secolo a Baghdad dal tradizionalista Ahmad ben Muhammad ibn Hanbal. Alla base della reazione tradizionalistica, gli Hanbaliti rappresentano una delle principali cinque scuole teologiche sull’interpretazione (non necessariamente ortodossa) del testo coranico. Ossessionati dal ritorno alla tradizione, possibilmente incarnata dai primi califfi, e dal ripristino di una purezza primigenea ritenuta perduta, i seguaci di Ahmad ibn Hanbal si affidano ad una interpretazione assolutamente letterale del messaggio coranico, supportata da migliaia di hadith fondati sulla parola dei primi compagni (saḥāba) del profeta. Pertanto rigettano ogni indagine personale, che sia basata sulla deduzione analogica o intellettuale dei testi i quali non vanno interpretati ma applicati. In tale prospettiva, condannano ogni tipo di innovazione culturale o forma di modernità (bid’a) considerate eresie perniciose da estirpare. Con l’avvento dell’Impero Ottomano, per il suo estremismo ascetico e rigorista, la scuola hanbalita viene costretta a posizioni sempre più marginali e minoritarie, sopravvivendo (ça va sans dire!) nelle zone orientali e interne della penisola arabica, dalle quali scaturirà in tempi più recente il movimento di Muhammad ibn Abd al-Wahhab (1703-1787d.C.), sul quale avremo modo di tornare in seguito con la pubblicazione di una monografia appositamente dedicata…
najadCiò che in Occidente viene chiamato “wahabismo”, i teologi islamici lo definiscono “Muwahiddun”, ovvero “Unitaristi”, in quanto unici rappresentati della pura ortodossia sunnita. Gli insegnamenti di Abd al-Wahhab, che era un giurista della scuola hanbalita, sono raccolti nel Kitab al-Tawhid (“Libro dell’Unicità”).

«L’atteggiamento generale del teologo è la decisa opposizione contro ogni innovazione posteriore al III°secolo dell’Egira. Vanno respinti il culto dei santi ed i pellegrinaggi. Sono falsi tutti gli oggetti di adorazione, salvo Allah, e tutti gli altri che prestano culto ad altri sono degni di morte. La massa del genere umano non è monoteistica, perché è costituita da uomini che tentano di assicurarsi i favori divini, visitando le tombe dei santi.
[…] Costituisce incredulità professare una conoscenza non fondata sul Corano o sulla Sunna. Costituisce incredulità ed eresia il negare la divina predeterminazione di tutti gli atti, o adottare l’interpretazione allegorica del Corano. Il movimento divenne una vera e propria setta, che si distinse dagli hanbaliti

Alfonso Di Nola
“L’Islam”
Newton Compton
(Roma, 2001)

Sono questi i pilastri istituzionali sui quali a tutt’oggi si fonda il ‘moderno’ regno saudita e che permea gran parte dell’immaginario religioso, dal quale attingono gli psicopatici dell’ISIS (e non solo..) per dare un rivestimento teologico ai loro deliri sanguinari.
Perpetrata nell’indifferenza generale, l’Arabia Saudita ha fatto della demolizione dei monumenti e delle stessa vestigia islamiche una pratica scientifica.

Jannat al-Baqi - prima e dopoMoschea e cimitero di Jannat al-Baqi  – prima e dopo l’arrivo dei sauditi

Non sono scampate al fervore iconoclasta dei wahabiti sauditi i mausolei ed i siti archeologici della prima propagazione islamica, che pure s’erano conservati intatti fino ad oggi, nel terrore potessero divenire meta di pellegrinaggi e oggetto di culto devozionale.

Jannat al-Mu'alla (Mausoleo di Khadija) - prima e dopoJannat al-Mu’alla (Mausoleo di Khadija) – prima e dopo

Sono state spianate moschee ed interi cimiteri in cui erano sepolti i primi seguaci di Maometto. Alla devastazione non si è sottratta nemmeno la sepoltura e la casa di Khadija, la prima moglie del profeta. Per dire, da anni si discute se demolire o meno il sepolcro in cui sono sepolte le spoglie del Profeta Mohammad..!
E ci si meraviglia se poi le bande dei barbari della jihad permanente distruggono le tombe dei marabutti in Africa o devastano le testimonianze delle antiche civiltà mesopotamiche.
HatraA sua volta, nel XX° secolo, il pensiero di Ibn Taymiyya ha ispirato gran parte del corpo ideologico degli attuali gruppi salafiti e soprattutto la potente organizzazione dei “Fratelli musulmani” degli intellettuali egiziani Hansan al-Banna e Sayyid Qutb. Entrambi sono stati avversati dai tradizionalisti più ortodossi, perché considerati troppo modernisti, per una serie di motivi che hanno fatto inorridire i chierici wahabiti: l’assoluta condanna della schiavitù, la tolleranza per le minoranze religiose, la proposta di ridistribuire le ricchezze ed introdurre forme di giustizia sociale all’interno della società islamica.
Sayyid QutbSe al-Banna aveva una spiccata simpatia per Adolf Hitler, il sofisticato Sayyid Qutb era un sessuofobo convintamente antisemita, ossessionato dall’estetica del martirio e teorico della jihad offensiva. Le idee di Sayyd Qutb non si estinguono con la sua esecuzione nel 1966 per una presunta cospirazione contro il presidente egiziano Nasser, ma vengono riprese e sviluppate da suo fratello minore Muhammad Qutb che, dopo aver trovato asilo e rifugio in Arabia Saudita, diventa professore di studi islamici presso Al Qaedal’Università di Gedda. Tra i suoi allievi, si distinguono un certo Osama bin-Laden ed il medico egiziano Ayman al-Zawahiri (attuale capo di al-Qaeda).
In soldoni, il pensiero “qutbista” si può riassumere così…
Convinto di vivere nella Jahiliyya, l’era del peccato dell’uomo che vive nell’ignoranza di Allah, il vero fedele musulmano deve intraprendere una lotta senza quartiere (jihad), terroristpossibilmente affidata ad avanguardie di spiriti puri, per la diffusione ed il trionfo dell’islam in tutto il mondo. Si intenda che la lotta in questione non è un concetto metaforico su astrazione intellettuale, ma una concreta mobilitazione armata per una guerra offensiva di conquista, per l’instaurazione globale della sharia (intesa come il massimo delle libertà) e rivolta contro tutti gli infedeli (takfir). Nelle forzatura estrema che ne traggono i salafiti, rientrano nella definizione di infedeli ed apostati, tutti coloro che non rispettano le leggi della sharia. JihadMassimamente vi rientrano i musulmani che non riconoscono l’autorità del califfo e non rispettano scrupolosamente i doveri religiosi, tra i quali la “guerra santa” e la predicazione costituiscono una priorità, cosa che comporta l’accusa di empietà (Takfir wa l-Hijra). Da qui l’inclinazione a colpire indiscriminatamente, senza fare distinzioni tra civili ed inermi, musulmani e non, a puro scopo punitivo: sono tutti peccatori.
isisSnake-terrorTuttavia, quando si parla dell’anomalia arabica e delle pericolose perversioni dell’ideologia salafita, per le dinoccolate democrazie occidentali il massimo scandalo sembra essere costituito dal divieto alle donne saudite di guidare il suv.

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La Nevrosi del Convertito

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 ottobre 2014 by Sendivogius

Irshad Manji

Per quanto il fenomeno rientri tra gli effetti collaterali di ogni proselitismo religioso, lo zelo esibito e fanatico del neofita, integralizzato nei fondamenti assoluti della sua nuova fede, da solo non basta a spiegare i fatti di Ottawa, o gli exploit fai-da-te del monomaniaco lobotomizzato a colpi di tecno-jihad.
Explain the DifferenceIn realtà, la religione (qualunque essa sia) non costituisce mai un fine, ma è sempre il mezzo col quale gli psicotici danno libero sfogo alle loro Gli Isl'Amici e la Democraziafrustrazioni. Che poi sia una certa interpretazione dell’Islam, degenerato in perversione della mente, ad alimentare le turbe ossessive del momento, questa rappresenta soltanto un riflesso del degrado dei tempi. E ciò avviene soprattutto dinanzi al proliferare di disadattati sociali, variamente disturbati, neo-convertiti alla religione della pace: a mal vedere, l’unica che fa della guerra santa un atto fondante del proprio culto, inserendola nei doveri religiosi del ‘vero’ credente.

islamic-radicalsSobria manifestazione di Isl’Amici, perfettamente integrati nei paesi europei cha hanno l’indubbio piacere di ospitarne la presenza

Nei casi patologicamente più aggravati, sono quelli che per dimostrare quant’è profondo il rapporto coi “fratelli” acquisiti in Allah rinnegano ogni Gli Isl'Amici e la Democrazia (1)legame con la propria vita precedente, rigettata come “impura”. E che magari si sentono in dovere di immolarsi pubblicamente in azioni suicide, in modo da entrare nell’agognato mondo dei morti della Janna e poter così giacere ogni notte con dozzine di compiacenti fanciulle dagli occhi neri (le Urì), che riacquisiscono la verginità al termine di ogni amplesso, per tornare ad essere nuovamente deflorate (un tormento!) dall’ingrifato mujaheddin trapassato a miglior vita.

Life after Beth

E per questo smaniano per aggregarsi alle orde barbute dell’Isis, ed essere ricordati come martire del giorno tra gli isl’amici, reputando un preciso atto di devozione schiavizzare le donne dei nemici abbattuti, brutalizzare le popolazioni asservite, lapidare le adultere o scannare i prigionieri, per piacere a dio.
Siria - Vita quotidiana a RaqqaPer descrivere lo stato di dissonanza cognitiva, che contraddistingue un simile stato di alterazione compulsiva, in una delle sue opere più famose (pubblicata nel 1998), Naipaul parlava di “nevrosi primaria del convertito”.

Fedeli a Oltranza  «L’Islam è originariamente una religione araba; tutti i musulmani non arabi sono convertiti.
L’Islam non è solamente una questione di coscienza o di fede personale: ha aspirazioni imperialistiche. Il convertito cambia la sua visione del mondo, perché i luoghi santi sono in terra araba, perché la lingua sacra è l’arabo. Cambia pure la sua idea della storia: il convertito rinuncia alla propria e diventa, che gli piaccia o no, parte della storia araba. Quindi deve voltare le spalle a tutto ciò che gli è proprio. Lo sconvolgimento sociale che ne deriva è enorme e può protrarsi anche per mille anni, mentre l’atto di “voltare le spalle” deve essere ripetuto in continuazione. Di conseguenza gli uomini si creano immagini fantasiose di chi sono e cosa sono e nell’Islam dei paesi convertiti si insinua un elemento di nevrosi e di nichilismo. Da qui la facilità di tali paesi a infiammarsi.
[…] Può anche darsi che le grandi conversioni, delle nazioni o delle culture…. avvengano quando gli uomini non hanno più un’idea di sé, e non hanno i mezzi per capire e recuperare il passato. La crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo – gli arabi, il popolo originario del Profeta – di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze alla terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se è mai possibile una cosa simile): Islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo

  V.S. Naipaul
FEDELI A OLTRANZA.
  Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam
Adelphi (Milano, 2001)

Naipaul Sir Vidiadhar Surajprasad Naipaul (questo il suo nome per intero!), “baronetto” di sua Maestà britannica (1990), Premio Nobel per la letteratura nel 2001, e un carattere impossibile, rientra a pieno titoli negli scrittori che si apprezzano per le proprie Luttwakopere (a noi capita la stesso con E.N.Luttwak), ma che mai si vorrebbero frequentare di persona.
Arrogante, indisponente, provocatoriamente altezzoso, sessista, insopportabile misantropo e rabbioso misogino, ma anche scrittore raffinatissimo e personaggio sofisticato, Naipaul è quanto di più prossimo alle parole che il regista Giuseppe Tornatore fa pronunciare ad Onoff/Depardieu, in uno dei suoi film più riusciti:

Una pura formalità«Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli. Rischi di scoprire che le grandi opere che ti hanno fatto sognare tanto le hanno pensate stando seduti sul cesso, aspettando una scarica di diarrea

“Una pura formalità”
(1994)

Nonostante i difetti, Naipaul è una sorta di anemometro del vento fondamentalista, che ha saputo misurare con ampio anticipo, cogliendone la pressione laddove le correnti erano più forti ed il fenomeno meno investigato, nel sostanziale disinteresse di un Occidente, che evidentemente si reputava immune alla perturbazione integralista.
Gli Isl'Amici e la Democrazia (2)L’opera si struttura in quattro parti: Indonesia; Iran; Pakistan; Malesia. A suo modo, e con piglio quasi etnografico, Naipaul è tra i primi a mettere in luce il fuoco interiore che sembrano contraddistinguere società diverse, dalla struttura ancora feudale e frammentata nelle sue divisioni tribali. Tutte sono unite dalla comune ossessione per un ideale sempre più distorto e ancestrale di “purezza religiosa”, in una persistente nevrosi culturale e identitaria. A questa si accompagna un’incapacità cronica nel gestire le complessità della modernità, concepita dagli interessati più che altro come una crosta superficiale, a retaggio della colonizzazione britannica.
Oggi si tende, con una certa facilità, a liquidare il sedicente Stato islamico di Iraq e Levante come qualcosa di completamente estraneo alla tradizione musulmana, in quanto aberrazione della medesima. E se pessime sono le criminalizzazioni nella semplificazione generalizzata, nemmeno giovano le assoluzioni a priori, nella rimozione di peculiarità che, prima ancora che negate, andrebbero meglio confutate, onde prevenire i rischi.
I confini ideali del CaliffatoIn concomitanza con l’avvento dell’ISIS, vale la pena rileggere le pagine che Naipaul dedica al suo viaggio nel sub-condinente indiano e soprattutto al Pakistan (la Terra dei puri), che l’Autore dichiara evocativamente “fuori dalla mappa della storia”, e cogliere le differenze con l’ibrido mediorientale attualmente in fieri

British_soldiers_looting_Qaisar_Bagh_Lucknow«Il periodo britannico fu un periodo di rinascenza indù. Gli indù, soprattutto in Bengala, accolsero con favore la nuova scienza di stampo europeo e le istituzioni introdotte dai britannici. I musulmani, feriti dalla perdita del potere e in obbedienza a vecchi scrupoli religiosi, rimasero a guardare. Fra le due comunità si venne così a creare un divario intellettuale, che con l’indipendenza non ha fatto che approfondirsi. Ed è questo, ancor più della religione, che oggi, alla fine del ventesimo secolo, fa dell’India e del Pakistan due paesi decisamente diversi. L’India, con una classe intellettuale che cresce a passi da gigante, si espande in tutte le direzioni. Il Pakistan, che non fa altro che proclamare la fede e soltanto la fede, si ripiega sempre di più su se stesso.
hinduFu dall’insicurezza dei musulmani che nacque l’istanza di creare il Pakistan. E anche da un’idea della gloria passata, dall’immagine degli invasori che avevano fatto irruzione da nord-ovest, saccheggiando i templi dell’Indostan e imponendo la fede agli infedeli. Questa fantasia è tuttora viva, e per il musulmano convertito del subcontinente è l’origine della sua nevrosi, perché in tale fantasia dimentica ciò che è e diventa tutt’uno con l’invasore e il profanatore.
Riferendosi a un altro continente, è come se le popolazioni indigene del Messico e del Perù si schierassero con Cortés e Pizarro e gli spagnoli, in quanto portatori della vera fede.
Islamic invasion of indostan[…] Il nuovo Stato era nato in fretta e furia e non aveva un vero programma. Non poteva diventare la patria di tutti i musulmani del subcontinente; sarebbe stato impossibile. Di fatto, i musulmani destinati a rimanere in India erano più numerosi di quelli che avrebbero fatto parte del nuovo Stato islamico. Pareva piuttosto che, al di là e al di sopra di qualunque finalità politica, il nuovo Stato dovesse rappresentare il trionfo della fede, un paletto conficcato nel cuore del vecchio Indostan

 V.S. Naipaul
Fedeli a oltranza. Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam
Adelphi (Milano, 2001)

Per devoti e fanatici, unicamente preoccupati di non sembrare mai abbastanza “puri” e non compiacere a dovere l’iddio onninvadente, l’organizzazione delle strutture amministrative nella nuova entità religiosamente conforme è da sempre l’ultimo dei problemi…

«Nessuno aveva mai riflettuto davvero su cosa significasse amministrare il nuovo paese. Ci si aspettava che tutto discendesse naturalmente dal trionfo della fede.
[…] Le leggi procedurali ereditate dagli inglesi, i principali legislatori del subcontinente, furono modificate senza convinzione e con scarso senso pratico. Vennero aggiunte alcune appendici islamiche che spesso gli avvocati non riuscivano ad applicare in maniera coerente; e il sistema legale, già manipolato dai politici, diventò ancor più caotico. I diritti delle donne non furono più garantiti. L’adulterio divenne un delitto. Ciò significava che un uomo poteva sbarazzarsi della moglie accusandola di adulterio e mandandola in prigione.
[…] Sullo sfondo c’erano sempre i fondamentalisti che, nutriti prima dall’estasi della creazione del Pakistan e in seguito dalla parziale islamizzazione delle leggi, volevano riportare il paese sempre più indietro, al settimo secolo, al tempo del Profeta. La realizzazione di questo sogno era affidata a un programma fumoso quanto quello della creazione del Pakistan: soltanto una vaga visione di preghiere regolari e di punizioni coraniche, il taglio delle mani e dei piedi, l’imposizione del velo alle donne e, di fatto, la loro reclusione, la concessione agli uomini di diritti padronali su quattro donne alla volta, da usare e gettare a proprio piacimento. E in un modo o nell’altro, si credeva che, attraverso tutto questo, attraverso una società chiusa e devota in cui, secondo i dettami religiosi, avrebbero spadroneggiato uomini privi di istruzione, lo Stato si sarebbe legittimato e il potere si sarebbe affermato, come si era affermato agli albori dell’Islam.
Gli Isl'Amici e la Democrazia (3)La causa del Pakistan era stata sostenuta seriamente per la prima volta nel 1930 da un poeta, Muhammad Iqbal, in un discorso tenuto al convegno della Lega musulmana prima della divisione. Il tono del discorso è più civile e in apparenza più razionale degli slogan di strada del 1947, ma gli impulsi sono gli stessi. Iqbal apparteneva a una famiglia indù convertita di recente; e forse solo un neofita poteva esprimersi in quel modo.
L’Islam non è come il cristianesimo, afferma Iqbal. Non è una religione che coinvolge solo la coscienza individuale e la condotta privata. L’Islam comporta certi “princìpi legali” che, come tali, hanno “rilevanza civica” e creano un certo tipo di ordine sociale. L’«ideale religioso» non può essere disgiunto dall’ordine sociale. “Per un musulmano è impensabile la costituzione di un’entità politica su basi nazionali che comporti l’esclusione del principio islamico della solidarietà”. Nel 1930 un’entità politica nazionale significava uno Stato in tutto e per tutto indiano.
Muhammad Iqbal E’ stupefacente che un uomo dotato di ragione abbia fatto un discorso del genere nel Novecento. Ciò che Iqbal sostiene in maniera involuta è che i musulmani possono vivere soltanto insieme ad altri musulmani. A voler prendere alla lettera le sue parole, ciò implicherebbe che il mondo ideale, quello a cui bisogna aspirare, è un mondo puramente tribale, precisamente ripartito, con ciascuna tribù al suo posto. Un’idea del genere sarebbe stata giudicata stravagante

 V.S. Naipaul
“Fedeli a oltranza. Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam”
 Adelphi (Milano, 2001)

Come si può vedere, gli Isl’amici del Califfato levantino, e le loro intraprendenti matricole occidentali, folgorate sulla via di Raqqa, non hanno inventato proprio nulla.

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