È rassicurante sapere che l’Europa, sotto la pressione dei flussi migratori, abbia alfine deciso di occuparsi della questione africana, nell’illusione di aprire una breccia nella fortezza teutonica che usa il resto del continente come una sorta di Lebensraum da sfruttare a proprio piacimento tramite la colpevolizzazione del Debito.
In frangenti completamente diversi, l’ultima volta che gli europei si sono interessati all’Africa è stato un secolo e mezzo fa, quando per ragioni ovviamente umanitarie le potenze occidentali dell’epoca si lanciarono con entusiasmo alla “civilizzazione” del continente, in quella che è conosciuta come “Scramble for Africa”: ovvero la spartizione di territori semisconosciuti e in gran parte inesplorati, popolati nell’immaginario collettivo da selvagge tribù di subumani dediti al cannibalismo.
Tutto nasce il 15 Novembre del 1884, quando il cancelliere tedesco Otto von Bismarck organizza una conferenza a Berlino, proponendosi come mediatore tra gli interessi contrastanti che opponevano i singoli stati nella loro espansione coloniale.
Ufficialmente, la Conferenza di Berlino viene indetta per stabilire diritti commerciali e arginare gli appetiti coloniali con le pretese che il re belga Leopoldo II accampa sull’immenso Congo, considerati assolutamente sovradimensionati rispetto alle possibilità effettive del piccolo Belgio. Officiosamente, il suo scopo è disciplinare l’acquisizione delle terre africane e sancirne la spartizione, segnando l’inizio dell’imperialismo moderno.
Di solito, la spartizione si articolava su tre livelli conseguenti: l’organizzazione di grandi spedizioni esplorative a fini geografici; la fondazione di piccoli avamposti commerciali e missioni religiose per l’evangelizzazione degli indigeni; la richiesta di un intervento diretto da parte della madrepatria, con l’invio di truppe e funzionari per l’acquisizione dei nuovi territori, onde assicurare la sicurezza dei coloni ed il mantenimento dell’ordine pubblico, per preservare le nuove conquiste della civiltà.
A livello economico, le colonie avevano l’indubbio vantaggio di fornire materie prime con manodopera a costo zero, oltre a costituire una soluzione anti-recessiva per le esangui economie europee. A livello sociale, il colonialismo africano costituì anche il laboratorio ideale per ogni aberrazione possibile, con la sperimentazione delle prime forme di eliminazionismo di massa: dai campi di concentramento, alle pratiche genocide, che sarebbero poi state esportate sul continente europeo ed applicate con successo durante la prima metà del XXI secolo.
Hannah Arendt, nella sua opera “Le Origini del Totalitarismo”, individua nell’imperialismo coloniale i prodromi del totalitarismo europeo come espressione di una alienazione di massa a trazione economica.
Secondo tale ottica, l’espansione colonialista, oltre a fornire una alternativa commerciale a mercati ormai saturi, fu una valvola di sfogo per diseredati senza prospettive e finì col determinare una saldatura di interessi tra grande capitale industriale, apparato burocratico statale e nazionalismo esasperato, insieme ad un razzismo biologico ispirato al darwinismo sociale.
Strutturate su un elitarismo a base razziale, incentrate sugli interessi particolari di compagnie private in una economia di rapina, le nuove istituzioni coloniali si fondavano su una eccezione costituzionale che facevano dell’abuso legalizzato e dell’arbitro legislativo la norma, slegate come erano da un effettivo controllo parlamentare con cui entravano sovente in conflitto e contro il quale esercitavano una pressione costante.
Per la Arendt, i possedimenti coloniali in Africa costituirono uno dei più fertili terreni per lo sviluppo di quella che di lì a breve sarebbe diventata la futura elite nazista. E, a sostegno della sua tesi, non erano certamente estranee valutazioni pratiche sull’esperienza del Reich in terra africana…
Forse, è solo un caso che le prime uniformi della SA hitleriane (le famigerate camicie brune) siano state tirate fuori dai fondi di magazzino dei depositi militari; si trattava infatti del vestiario destinato all’esercito coloniale dell’Africa tedesca. Andrebbe inoltre ricordato che Ernst Heinrich Göring, padre del futuro feldmaresciallo del Reich, fu commissario imperiale dell’Africa tedesca del Sud-Ovest (Reichskommissar Deutsch-Südwestafrika), dal 1890-1913, e si distinse per il sistematico sterminio dei Boscimani stanziati lungo la costa meridionale della Namibia.
E infatti il regime nazionalsocialista non mancherà di celebrare alcuni dei più spietati protagonisti del colonialismo teutonico, come eroi popolari della nuova Germania ariana.
Poco conosciuta dal grande pubblico, la penetrazione tedesca dell’Africa sub-equatoriale si sviluppa a partire dalla metà del XIX secolo, soprattutto attraverso le grandi esplorazioni di Gustav Nachtigal ed Heinrich Barth: personaggi straordinari, animati dai più nobili propositi e da fervente spirito umanitario. Viaggiatori instancabili, in distinte spedizioni, Nachtingal e Barth si spinsero all’interno dei territorio dell’Africa sub-sahariana, avventurandosi nelle regioni inesplorate del Ciad e dell’immenso territorio sudanese, esplorando i territori del Camerun e del Togo che costituiranno il nucleo embrionale dell’espansione coloniale germanica.
Tuttavia, è solamente dopo la Conferenza di Berlino del 1884 che la Germania inizia ad interessarsi seriamente alla questione coloniale, in termini di prestigio nazionale (e in chiave anti-francese), spinta in questo soprattutto dai circoli pangermanisti. Fino ad allora, il movimento colonialista tedesco era stata una faccenda di pochi, circoscritta principalmente alle associazioni accademiche (come la Società Geografica o l’Accademia prussiana delle Scienze); nonché ai circoli
mercantili di Amburgo e Brema, interessati alle potenzialità commerciali dei territori africani, peraltro con ambizioni limitate visto che i loro traffici riguardavano soprattutto il commercio di alcolici e di vecchi fucili. Né mancava una certa intraprendenza religiosa da parte degli ambienti missionari, presenti nel sud-ovest africano fin dal 1847. Ma a livello politico suscitava ben scarsi entusiasmi da parte di Bismarck, almeno fino all’inaspettata piroetta del 1884; anno che di fatto segna la nascita dell’Impero coloniale germanico.
«Il 24 Aprile 1884 venne promulgata la Reichsschutz, una misura legislativa che estendeva la protezione del Reich al Luederitz Land, un breve tratto di costa su cui venne fondata l’Africa Sud-Occidentale Tedesca, oggidì appartenente alla Namibia. Il territorio prendeva il nome da Adolf Luederitz, che l’anno precedente aveva ottenuto un patto di amicizia con Giuseppe Federico, re dei Nama, una tribù ottentotta che dominava la regione. Curiosamente, Bethania, il principale insediamento europeo, dove venne peraltro firmato l’accordo, era stato fondato nel 1859 da missionari inglesi, ma, trovandosi questi ultimi a corto di uomini, vi inviarono un pastore tedesco, aprendo la strada alla futura espansione coloniale della Germania la quale, nel 1884, si affermò in maniera tanto imprevedibile quanto fulminea.
Al protettorato tedesco sul Luederitz Land, si aggiunsero quelli sul Togo, il 5 luglio dello stesso anno, e sul Camerun, il 12 luglio. Il 7 agosto venne annesso il territorio circostante ad Angra Pequena, dove Bartolomeo Diaz era approdato nel 1484 e da allora, esattamente per quattro secoli, considerato sotto la zona d’influenza del Portogallo. Attraverso una missione diplomatica del figlio Herbert a Londra, Bismarck aveva però fatto sapere al gabinetto inglese che la Germania non avrebbe riconosciuto precedenti trattati fra la corona britannica e il Portogallo. Limitando quindi sensibilmente le ambizioni di Lisbona in Africa.»“Le colonie germaniche in Africa”
di Matteo SOMMARUGA
Secondo la visione di Bismarck, che non attribuisce alcun valore economico all’espansione coloniale ma ne riconosce il potenziale geopolitico funzionale al prestigio nazionale, le colonie dovrebbero essere amministrate dalle case commerciali e le gilde mercantili operanti in loco, dietro formale mandato governativo e sotto protettorato imperiale, ma senza un impegno diretto per le casse dello Stato.
Nella Conferenza di Berlino, l’onnipotente cancelliere attribuisce lo status giuridico di territorio del Reich a tutti gli insediamenti tedeschi presenti in territorio africano. Inoltre, istituisce il principio dell’Hinterland, secondo il quale ogni potenza coloniale con possedimenti costieri poteva rivendicare d’autorità la propria giurisdizione su tutti i territori dell’entroterra, con una espansione tecnicamente illimitata.

Nell’Autunno del 1894, Carl Peters, allucinato trentenne imbevuto di misticimo protestante e razzismo viscerale (cosa che non gli impedirà di crearsi un harem di concubine africane), per conto della “Società per la colonizzazione tedesca” (Gesellschaft für Deutsche Kolonisation), si avventura con una cinquantina di uomini nei territori dell’Africa Orientale a ridosso del Sultanato di Zanzibar. Per levarselo di torno, il sultano
Khalifah bin Said, autorizza Peters ad instaurare un protettorato tedesco sul distretto di Witu e nei territori swahili dell’interno. Territori che in realtà sono fuori dalla sfera di controllo del sultano ed in aperta ribellione contro Zanzibar. Approfittando dell’occasione, Peters stringe una serie di trattati di eterna amicizia con tutti i capitribù che incontra nella sua avanzata, promettendo la “protezione” della Germania contro i mercanti di schiavi di Zanzibar. In meno di quaranta giorni, Peters stipula una dozzina di questi accordi truffaldini, dove in cambio di qualche regalino, gli indigeni cedono “per contratto” milioni di ettari con l’esautorazione di ogni diritto delle popolazioni locali. Peters si ritrova così proprietario di un territorio potenzialmente immenso dal Tanganica
al Mozambico. Quindi si affretta a tornare in Germania, dove fonda la “Compagnia tedesca per l’Africa Orientale” (Deutsche Ost-Afrika Gesellschaft), di cui ovviamente Peters è presidente, per l’amministrazione dei nuovi territori, chiedendo al governo di ratificare i trattati di acquisizione da lui stipulati, giusto in tempo per la conferenza
internazionale. Qualche anno dopo (1891) Peters troverà il modo di farsi nominare Reichskommissar per la regione del Kilimanjaro, dove si distinguerà per ferocia nelle brutali repressioni ai danni delle popolazioni Chaga, diventando un eroe postumo del nazismo.
La Conferenza berlinese del 1884-1885 si limiterà dunque ad ufficializzare una situazione di fatto, fornendo copertura giuridica ad ogni successiva annessione territoriale.
Il colonialismo tedesco si sviluppa sostanzialmente su due direttive separate: a occidente, con l’annessione dei territori del Togoland e del Camerum e della Namibia a sud-ovest; nell’Africa orientale, con l’espansione negli attuali territori di Tanzania, Burundi e Ruanda, insieme ad un tentativo fallito in Uganda (sempre ad opera del solito Peters).
Contemporaneamente all’acquisizione delle colonie africane, la
Germania si assicura sperduti avamposti in Oceania e Nuova Guinea (Kaiser Wilhelmsland), con l’acquisizione dell’arcipelago delle Isole Bismarck (nel dicembre del
1884), le Isole Marshall (1885). Nel 1898 occupa la baia di KiaoShao (Kiautschou-Bucht) in Cina. L’anno successivo ottiene previa compravendita l’Arcipelago delle Marianne, le Isole Caroline e Palau, insieme al controllo delle Samoa Occidentali che si spartisce con gli USA.
Ovviamente, le annessioni non richiedono certo il consenso dei diretti interessati. Sull’elemento indigeno non c’è da fare affidamento e ovviamente il suo parere è del tutto ininfluente.
A proposito della natura dei negri, il grande filosofo dell’idealismo tedesco, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, così descriveva gli africani durante le sue lezioni universitarie di filosofia della storia nel 1831:
«Il negro rappresenta l’uomo nella sua totale barbarie e sfrenatezza: per comprenderlo, dobbiamo abbandonare tutte le nostre intuizioni europee. Nel suo carattere non si può trovar nulla che abbia il tono dell’umano. Appunto per ciò non ci possiamo immedesimare davvero, col sentimento, nella sua natura, come non possiamo immedesimarci in quella di un cane.
[…] Simile assoluta svalutazione dell’uomo spiega come la schiavitù costituisca in Africa il rapporto basilare del diritto. L’unico rapporto essenziale che i negri hanno avuto, ed hanno, con gli Europei è quello della schiavitù. I negri non vedono in essa nulla che sia sconveniente. In questo senso la schiavitù ha contribuito a risvegliare un maggior senso di umanità presso i negri.»Manlio Dinucci
“Geostoria dell’Africa”
Zanichelli (Bologna, 2000)