“La Fine del Secolo Americano”
Qualunque sarà il risultato delle prossime elezioni americane, l’Era Bush si avvia finalmente alla sua naturale conclusione per consunzione interna. Nelle fantasie intellettuali dei Neo-Con e dei teorici della supremazia USA, l’avvento di George W. Bush avrebbe dovuto segnare l’alba di un nuovo secolo americano, destinato a plasmare in profondità i rapporti geopolitici a vantaggio di un unico vincitore globale: l’America.
Nel 2001 fece scalpore la divulgazione di un rapporto privato (“Ricostruire le Difese dell’America”) a cura di un’associazione lobbista: PNAC, Project for a New American Century (http://www.newamericancentury.org), alla quale aderivano molti esponenti di rilievo dell’amministrazione Bush. Quanto segue è una bozza di recensione e di analisi, basata su quel rapporto in riferimento soprattutto alla prima amministrazione Bush. Perché ricordare e conoscere certi nomi a volte può essere utile…
L’eredità di una tale visione consiste in cataste di cadaveri, due guerre perse ancorché non concluse (Iraq e Afghanistan), un mondo più insicuro e un pericoloso vulnus nel rispetto dei diritti umani. Il miraggio si è definitivamente dissolto col crollo dei mercati finanziari e la recessione economica, nella più grave crisi dai tempi della “Grande Depressione”.

Nel panorama politico statunitense, non costituisce certo una novità la presenza di club, fondazioni e associazioni, legate a forme di partecipazione attiva ma elitaria, tanto cara a certa tradizione anglosassone, al fine di creare clientele, raccogliere fondi e coordinare i sostegni in campagna elettorale. Ciò non deve stupire e, nonostante le perplessità morali del lettore più idealista, è bene ricordare che una simile concezione dell’interazione politica, oltre ad essere legale, è perfettamente riconosciuta e percepita come legittima.
Secondo tale prospettiva, il PNAC (Project for a New American Century) è una delle numerose organizzazioni di carattere privato, le quali affondano le loro radici in quel sottobosco, oramai consolidato dalla consuetudine, dove interessi particolaristici si intrecciano con potentati economici, facendo da sponda a gruppi di pressione organizzati. In questo magma convulso e ribollente di idee, così strettamente collegato ai gangli nevralgici dell’Amministrazione di Stato, il PNAC raccoglie alcune delle personalità più eminenti del pensiero conservatore americano, coagulate attorno al perseguimento di un progetto comune, e capaci di trovare orecchie sensibili nelle stanze presidenziali. La nascita del “Progetto per il Nuovo Secolo Americano” risale alla primavera del 1997, per opera di Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Sede dell’organizzazione è un immobile di Washington DC, messo a disposizione dal magnate dell’editoria Rupert Murdoch, noto per le sue posizioni conservatrici. Il presidente è William Kristol (editorialista e corrispondente di FOX News). Secondo la stessa dichiarazione d’intenti dei suoi partecipanti, il “Project” è una associazione di carattere informativo e di ricerca, senza alcun fine di lucro, “il cui scopo è promuovere la leadership globale americana”. Infatti, se ancora non vi fosse ben chiaro, “il Progetto è stato concepito in risposta al declino del potenziale bellico e di difesa statunitense, nonché ai problemi che ciò potrebbe creare nell’esercizio della leadership americana sul pianeta”. Del resto, e continuo a citare testuale, “La storia del secolo scorso dovrebbe averci insegnato ad abbracciare la causa della supremazia dell’America” e poiché “al momento gli Stati Uniti non hanno rivali a livello mondiale, la grande strategia americana dovrebbe mirare a preservare ed estendere questa vantaggiosa posizione quanto più possibile lontano nel futuro.” Senza soffermarci sulla solita retorica sciovinista, che infarcisce la prosa e le menti dei fondatori, il PNAC non è solamente uno studio di settore per l’allocazione di risorse, riconducibile al mondo sotterraneo della gestione di appalti per le commesse militari. Il Progetto si sforza di tracciare le linee guida per una nuova configurazione del potere, in grado di rivoluzionare le relazioni internazionali (difficile dire se in meglio), con esplicite finalità politiche ed ambizioni concrete. Pertanto, la formulazione e la promozione di nuove prospettive strategiche si colloca in una dimensione unitaria, volta a condizionare “dall’interno” la politica statunitense, secondo una visione organica d’insieme. Del resto, l’impianto programmatico dell’organizzazione è impostato sulla strategia di difesa elucubrata nel “Defense Policy Guide”. Il documento fu redatto nel 1992 da Dick Cheney, all’epoca segretario alla Difesa e oggi vicepresidente USA, per conto di Bush senior e subito cestinato dall’Amministrazione Clinton, nonostante i suoi estensori avessero bussato più volte alla porta dello studio ovale del presidente (evidentemente in altre faccende affaccendato). La “Guida alla Politica di Difesa” di Cheney “forniva un piano per mantenere la supremazia degli U.S.A. impedendo la crescita del potere di altre potenze rivali, e modellando l’ordine di sicurezza internazionale sulla linea dei principi e interessi americani.” Ripescando nel cassetto quell’antico prospetto analitico, aggiornandolo a quelle che dovrebbero essere le esigenze attuali, gli aderenti al PNAC se ne fanno promotori, tanto da diventare gli alfieri del presunto cambiamento presso la nuova Amministrazione di Bush junior.
Intendiamoci: l’elaborazione di scenari geopolitici su scala globale, con particolare attenzione agli assetti regionali emergenti nell’era del post Guerra Fredda, si innesta su una lunga e gloriosa tradizione che vanta illustri predecessori: da Karl Haushofer (le cui elaborazioni teoriche si rivelarono funzionali alla dottrina nazionalsocialista); ad Alfred Thayer Mahan, ovvero al Rimland di Spykman, conformi al modello bipolare.
Quello che invece preoccupa è una certa tendenza parecchio in voga nei ranghi delle nuove leve neo-conservatrici, le quali partendo da un approccio di tipo “umanistico” ai problemi di politica e relazioni internazionali, approdano attraverso forzature e letture storiche mal digerite ad una visione semplicistica e sconcertante. Sorvolando sulle libere interpretazioni di R. Kagan che, analizzando la Guerra Peloponnesiaca (431-404 a.C.) perviene all’ipotesi di una Europa “ateniese” e della superpotenza USA come “nuova Sparta”, è bene riflettere su una vocazione “imperiale” e “romana” che, secondo i suoi propugnatori, dovrebbe condizionare le scelte USA per il prossimo secolo a venire.
Un simile approccio teorico ai problemi di difesa strategica e dislocazione delle forze belliche non è affatto ignoto ai consulenti ed agli esperti militari, tanto da costituire una costante ed un termine di paragone quasi obbligato tra gli specialisti del genere. In tal senso, un’opera evocativa è sicuramente “La Grande Strategia dell’Impero Romano”, edita da Rizzoli. In questo formidabile saggio di Edward N. Luttwak, l’apparato militare inteso come forza di dissuasione viene dilatato a dimensione imperiale, tramite una economia di forze che non pregiudichi le risorse dello Stato e l’adesione territoriale ai “valori” dell’Impero. Ai facili, e inquietanti, entusiasmi imperiali che sembrano pervadere i manipoli intellettuali della Nuova Destra americana, con il relativo corollario di istanze manichee, valutazioni etiche e sorti progressive degli USA, Luttwak antepone il rapporto tra i costi ed i benefici di un determinato apparato difensivo. Nell’analisi di Luttwak un sistema di difesa va considerato sempre in termini relativi, in relazione agli effetti militari ed a seconda del tipo di intensità del pericolo profilato. Funzionale ad un “Impero egemonico”, con un minimo dispendio di truppe di pronto intervento, dislocate in settori regionali strategici, è l’esistenza di una “zona di controllo diretto”, delimitata da una “fascia interna di controllo diplomatico” ed una ulteriore “sfera di influenza esterna”. La concezione imperiale dei teorici del PNAC prevede invece una proiezione esponenziale di uomini e mezzi, l’occupazione diretta della fascia di sicurezza, l’esautorazione di ogni autonomia decisionale esterna, secondo i criteri della “difesa di sbarramento” e della “difesa avanzata”, più consoni alla nuova realtà imperiale.
1. CONTINUA