“Classifica LUGLIO 2013″
Se il sedicente “governissimo” è una scelta più subita che perseguita, nonostante le recriminazioni e i distinguo, sono in molti a volere le “larghe intese”…
Indubbiamente, piacciono a Mario Monti, quello che spergiurava di non volersi candidare (Lui infatti governa solo su divina investitura del “mercato”); quello la cui rilevanza rappresentativa è inconsistente: per contenere tutto il suo elettorato, basterebbe il salotto della casa con vista Colosseo regalata al conte Patroni Griffi, ex ministro e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
L’Uomo di Berlino, dopo aver schiantato il tessuto sociale e produttivo di un intero Paese, devastato i conti dell’INPS, introdotte a dismisura forme di tassazione indiretta in aperto contrasto con l’Art.53 della Costituzione, era stato gentilmente accompagnato all’uscita salvo rientrare dalla porta principale del governo. E si trova nella formidabile condizione di influire sull’attuale esecutivo, in modo assolutamente non proporzionale al proprio peso effettivo. In prospettiva, il Governo Letta costituisce la continuazione ottimale di politiche economiche e finanziarie già poste in essere, con l’ulteriore svendita all’ingrosso del patrimonio pubblico, insieme all’auspicato “taglio delle ali alle estreme” e, una volta insediato, con l’opportuna “messa al riparo da ogni processo elettorale”, in ossequio alle direttive impartite dalle elite oligarchiche delle tecnoburocrazie brussellesi. Ce lo chiede l’Europa!
A maggior ragione, le Larghe Intese piacciono ai “mercati” e ancor di più agli “speculatori senza volto” (fin troppo noti: QUI). Costituiscono infatti una situazione straordinaria per disgregare e ridisegnare la Società, in funzione del nuovo mercantilismo neo-monetarista, assurto a ideologia dominante, scardinando le ultime resistenze e scaricare i costi della crisi finanziaria su terzi, al riparo da ogni regola e responsabilità etica.
Ed i principali “operatori” del credito strutturato, che di tale shock economico sono causa e sostanza, hanno le idee chiarissime su quali siano gli ostacoli da eliminare dietro il mantra delle “riforme”… Perciò, quando non inviano i loro revisori o ex amministratori delegati ad occupare posti chiave nei governi e cassare le istituzioni democratiche, le grandi banche d’affari stilano direttamente i loro rapporti riservati, con l’elenco delle cose da fare, ad ostensione del nuovo Credo universale. È il caso degli ideologhi della JP Morgan, nella consacrazione del culto liberista:
«Le Costituzioni e i sistemi politici della periferia meridionale dell’Europa, sorti in seguito alla caduta del fascismo, hanno caratteristiche non adatte al processo di integrazione economica […] Queste Costituzioni mostrano una forte influenza socialista, riflesso della forza politica che le sinistre conquistarono dopo la sconfitta del fascismo. Perciò questi sistemi politici periferici hanno, tipicamente, caratteristiche come: governi deboli rispetto ai parlamenti, stati centrali deboli rispetto alle regioni, tutela costituzionale del diritto del lavoro, diritto di protestare contro ogni cambiamento. […] Test essenziale sarà l’Italia, dove il nuovo governo può chiaramente impegnarsi in importanti riforme politiche.»
Rapporto del 28/05/13
Il problema sono dunque: la fine delle dittature; l’anti-fascismo; le tutele del lavoro; i diritti delle minoranze; l’equilibrio dei poteri… e quindi le Costituzioni che garantiscono contro l’arbitrio dei governi (preferibilmente “tecnici” e non eletti). Probabilmente, lo scopo principale è la creazione delle condizioni ottimali per il recupero crediti, con la garanzia delle relative condizioni a strozzo [QUI].
Dal Feticismo delle merci al Capitalismo come religione, dove il verbo della finanza si incarna nel corpo vivo dei popoli per l’espiazione del Debito attraverso la passione del Rigore:
«In primo luogo, il capitalismo è una religione basata interamente sul culto; forse la più estrema che sia mai esistita prima. Non riconosce alcun dogma particolare, nessuna teologia. Da questo punto di vista, l’opportunismo prevale sulla sua colorazione religiosa.
A questa concezione del culto si ricollega un secondo aspetto del capitalismo: la durata permanente del culto. Il capitalismo è la celebrazione di un culto senza tregua né pietà, in cui non è previsto un solo giorno alla settimana, che non sia un giorno di ‘festa’ (nel senso terribile dello sviluppo di tutta la pompa sacrale) che costituirà lo sforzo più evidente dei suoi adoratori.
Tale culto è, in terzo luogo, colpevolizzante. Probabilmente, il capitalismo è il primo caso di culto fondato sulla colpa, piuttosto che sulla remissione. Questo sistema religioso viene risucchiato da una corrente gigantesca. Un monumentale senso di colpa che non conosce redenzione e si trasforma in culto, non per espiare in questo la sua colpa, ma per renderla universale, forzarla a introdurla nella coscienza e, soprattutto, coinvolgere Dio stesso nella colpa affinché si interessi all’espiazione.»Walter Benjamin
“Gesammelte Schriften”
Vol.6 – Frammento 74 (1921)
Di conseguenza, il principale problema del Governo Letta non è l’immediata approvazione di una nuova legge elettorale, che ponga termine all’anomalia della grosse koalition all’italiana, garantendo l’alternativa democratica su programmi certi e definiti, bensì la riscrittura della Carta costituzionale evidentemente non confacente alle richieste del ‘mercato’ ed al nuovo corso unipolare. È interessante notare che il 31 Luglio, scade il termine ultimo che l’esecutivo presieduto dal nullatenente Enrico Letta si era prefissato per cambiare la nota legge porcata.
Altresì, le ‘Larghe Intese’ piacciono fuor di dubbio al Pornocrate di Arcore, che del governo di Letta nipote è il massimo beneficiario, detenendo con un pacchetto di azioni minoritario la golden share della maggioranza più immonda che ‘strana’. Alla ricerca di un possibile salvacondotto dalle sue condanne, si trova nella situazione unica e irripetibile di essere governo e opposizione allo stesso tempo: condizione e paralizza l’azione di governo, incassando i dividendi e logorando i suoi nemici, incredibilmente diventati “alleati” incapaci di orientare alcunché ma pronti a subire tutto.
Tuttavia, le Larghe Intese piacciono pure ai nazisti della padania, che in tal modo possono dare libero sfogo ai loro istinti animali, dedicandosi senza intoppi istituzionali alla caccia al negro ed alla “lobby sodomita”, senza oneri di governo e senza doversi preoccupare di fare opposizione, in attesa di rientrare dalla finestra.
Soprattutto piace al Capo-Grullo ed ai miracolati della sua setta nazi-maoista, che la nascita del famigerato “governissimo” avevano auspicato e propiziato fin dal primo istante, per poter giocare felici ai montagnardi, senza correre il rischio di assumersi alcuna responsabilità decisionale, ma correndo ad occupare ogni scranno disponibile, salvo trincerarsi nel limbo incontaminato della anime belle, quanto mai immacolate dalle tentazioni della Ka$ta, alternando esibizioni circensi davanti Piazza Montecitorio e maratone notturne a Parlamento vuoto. Risultati ottenuti: ZERO.
L’unico che sembra subire passivamente le Larghe Intese è invece il sempre più imbarazzante partito bestemmia, che delle intese allargate rischia di diventare l’agnello sacrificale. Immolato sull’altare del falso mito della “governabilità”: moloch totemico al quale tutto è sacrificabile, negoziabile, dilazionabile… Il Partito Democratico pare non rendersi conto di essere diventato un compiacente ostaggio dei papiminkia, collaborativo a tal punto da rasentare la Sindrome di Stoccolma. Perennemente alla ricerca di una Sintesi al suo interno, lasciando indefinite sia la Tesi che l’Antitesi, il PD rischia la scissione (e sarebbe una liberazione!), diviso com’è in tre partiti a loro volta pervasi da dozzine di sotto-correnti: ex-DC (margheriti, popolari, fioroniani, lettiani…); ex DS, sostanzialmente dalemiani di osservanza migliorista ai quali aggiungere i “diversamente dalemiani” (giovani turchi, bersaniani..); tutti contro Matteo Renzi. E nel frattempo imbastiscono un teatrino miserabile secondo un copione collaudato: ad ogni proposta indecente, di solito sotto forma di emendamento dall’altra metà della maggioranza (PdL), che con cadenza quasi giornaliera giunge al e dal Governo Letta, nel PD si aprono le cataratte con un profluvio scrosciante di dichiarazioni l’una in contraddizione con l’altra, in totale disaccordo cacofonico, tra le quali si contraddistinguono le abbondanti minzioni di quel pattuglione osceno di diversamente dalemiani che si fanno chiamare “Giovani Turchi” (un po’ come se i socialisti francesi scegliessero come nome “Gioventù hitleriana”). Solitamente, le divisioni vengono ricomposte al momento del voto parlamentare, dove qualsiasi rospo viene ingollato per “senso di responsabilità” in nome della “governabilità”: il sacro feticcio a cui tutto sacrificare. In caso contrario, immancabile e fulmineo arriva il vibrante monito del Colle. A quel punto, tutte le divergenze, i distinguo, le fronde rientrano prima di subito, con l’eccezione di qualche dissidente di bandiera (sono ‘democratici’) tipo un Pippo Civati, una Laura Puppato, e magari un Felice Casson, che oltre l’astensione non si spingono. E il provvedimento, anche il più infame, passa. Il governo è salvo. Evviva la pacificazione!
È un processo meccanico che ogni volta si ripete immutato su trazione automatica.
E che si ripeterà intatto qualora la condanna di Silvio Berlusconi dovesse essere confermata in Cassazione. Perché un partito non si sputtana salvando l’Angelino Alfano ministro, per dilazionare la caduta dell’Esecutivo di soli dieci giorni, votando poi la decadenza del senatore Berlusconi per manifesta incompatibilità. In nome della “governabilità”, animato dalla sua inestirpabile vocazione suicida, non è da escludere che il partito bestemmia opti: per la dilazione del voto; libertà di coscienza; astensione. In ogni caso, decreterebbe la sua fine.
“Il pelato automatico”
di Alessandra Daniele
(14/07/13)«Ogni mattina una sentenza si sveglia, e sa di dover correre più della prescrizione se vuole beccare Berlusconi. Ogni mattina una prescrizione si sveglia, e sa di dover correre più della sentenza se vuole salvare Berlusconi. Ogni mattina Enrico Letta si sveglia, sbadiglia, e si riaddormenta tranquillo: niente di quello che succede in Italia può davvero influenzare il suo governo, perché il suo governo non è stato deciso in Italia.
Interdire Berlusconi dai pubblici uffici adesso è come chiudere la stalla dopo che i buoi, anzi i maiali, siano scappati tutti.
Vent’anni dopo.
Nel caso però, ci toccherà comunque vedere starnazzare furiosamente interi stormi di santanchè come se la sentenza stroncasse una nobile carriera sul nascere, mentre tutti i miracolati della corte berlusconiana si produrranno in pittoresche e melodrammatiche difese d’ufficio del boss, specialmente quelli che più aspettano e sperano di potergli finalmente fare le scarpe.
Quasi certamente però il governo Letta non cadrà, e se cadrà sarà presto sostituito da un altro drone identico. “Abbiamo il pilota automatico”, parola di Mario Draghi.
Da vent’anni abbiamo anche il Pelato automatico. Dal suo appuntamento del 30 luglio m’aspetto esattamente quello che m’aspetto dall’ultima stagione di Dexter: che finalmente riescano a beccarlo. Una sentenza però non basterà a liberarcene, e farà spazio a chi aspira a rilevarne la nicchia di mercato: Alfano, Santanchè, Matteo Renzi, il cast d’un film dei Vanzina. Ognuno a suo modo, tutti figli del berlusconismo, e la ghianda non cade mai lontano dall’albero, né dal maiale.
Intanto colui che finora ha avuto più successo nel recuperare voti berlusconiani, cioè Grillo, sostiene d’essere ormai l’unico baluardo contro l’insurrezione violenta. Per la verità è un po’ difficile immaginare che qualcuno intenzionato a darsi alla lotta armata possa farsi dissuadere dalle proposte del M5S:
– Lo Stato si abbatte, non si cambia!
– Restituiamogli i nostri stipendi!
Le allusioni di Grillo somigliano più ad avvertimenti del genere “se non ci fossimo noi a proteggere il tuo negozio, qualcuno potrebbe dargli fuoco”. Anche così però sono poco credibili, ancora meno delle minacce di secessione armata leghista.
La distanza fra la violenza verbale del M5S e le sue azioni concrete è abissale.
– Il governo è uno zombie golpista mutante ninja, il paese è sull’orlo della catastrofe economica e della guerra civile, ci vuole un’iniziativa di protesta veramente forte!
– Togliamoci la cravatta!
Il M5S avrebbe potuto scegliere la via del compromesso, e cercare d’impedire il secondo governo PD-PdL. Oppure la via dell’intransigenza, e cercare di far saltare il parlamento come Guy Fawkes. Ha scelto la Via di Mezzo, una strada molto trafficata e piena di vetrine illuminate, che non porta da nessuna parte.
Dopo essersi sistematicamente lavato le mani dalle responsabilità assegnategli dagli elettori – come un Pilato automatico – ora Grillo s’affanna inutilmente cercando di dimostrare di contare ancora qualcosa. In realtà, in quest’Italia post-democratica telepilotata dalla BCE, ormai conta più o meno quanto gli altri leader nazionali, cioè un cazzo.
Non è casuale che l’unico leader contento dell’attuale situazione sia Pierferdinando Casini, il suo antico sogno s’è alla fine avverato, anche se in modo beffardo: invece d’essere lui ad assurgere al livello di potere degli altri, sono stati gli altri a precipitare al suo livello d’irrilevanza.»