Tra le notizie immancabili in una settimana di avvenimenti convulsi, rischiavamo di perderci le fondamentali dimissioni di
Andrea Marcolongo: la giovane story-teller livornese, ingaggiata per revisionare e caricare il nastro coi discorsi del Bambino Matteo. Se il valore di uno statista si misura in base al registro dei suoi interventi, certamente il Telemaco fiorentino non passerà alla storia.
Possiamo solo immaginare gli sforzi della povera Marcolongo, classicista con una solida formazione umanistica, per rendere più presentabili i tentativi di accreditamento internazionale del
presidente del consiglio per caso. E quanto abbia cercato invano di elevare il livello culturale di questo porcinesco provincialotto: rasoterra, come un missile GGM sparato a tutta velocità e caricato a mortaretti. Salvo vedersi stravolgere sistematicamente le citazioni colte e le metafore ardite, da questa ennesima caricatura di premier che riesce a rendersi ridicolo in ogni passaggio della sua narrazione preconfezionata, reinterpretando in farsa il copione e improvvisando a soggetto, con risultati non sempre felicissimi…
Perché la Marcolongo è donna troppo colta e professionale, per aver davvero dato corpo alla forma ultima ed esibita delle incredibili corbellerie che il tronfio Signor Cretinetti va sbrodolando in giro, tra un selfie ed un tweet.
Quello del ghost-writer è un lavoro ingrato ed anonimo, che spesso e volentieri mette la categoria in contatto con personaggi orripilanti, o quanto meno imbarazzanti nell’abissale ignoranza da correggere in fretta, con limature e pillole di cultura condensata in formato Bignami.
Se poi non si viene nemmeno retribuiti per il disturbo, la dipartita è inevitabile giacché la frequentazione di certe compagnie è tollerabile soltanto ad un prezzo congruo.
Bisogna superare l’orrore, e camuffare l’ilarità, dinanzi alla copiosa produzione ‘letteraria’ dell’ambizioso analfabeta posto sotto tutela intellettuale, che come tutti gli ignoranti nutre uno smisurato senso del sé, aggravato da velleità editoriali dai risvolti tragicomici…
È una realtà che i ghost-writers dovrebbero conoscere bene, non foss’altro perché la sperimentano sulla propria persona:
«Tutti i bei libri sono diversi tra loro, quelli brutti sono tutti uguali. Lo so per certo perché con il lavoro che faccio, leggo un sacco di libracci così brutti da non essere nemmeno pubblicati. Che non è cosa da poco, considerando ciò che comunque viene pubblicato.
Siano romanzi o opere di memorialistica, questi libri bruttissimi hanno una cosa in comune: suonano falsi. Con questo non voglio dire che un buon libro debba avere necessariamente il crisma della veridicità, ma mentre viene letto deve dare questa impressione. Un mio amico che lavora nell’editoria ha coniato a questo proposito l’espressione “Prova dell’idrovolante”, dopo aver visto un film sulla gente della City londinese che si apriva con la scena del protagonista che va al lavoro a bordo di un idrovolante che si posa sul Tamigi. Da quel punto in poi, mi disse non era più il caso di guardare il film.
Le memorie di Adam Lang* non superavano la prova dell’idrovolante. Non perché i fatti riportati fossero necessariamente inesatti – allora non ero ancora in grado di valutarlo – ma era il lavoro nel suo insieme che dava una certa impressione di falso, come se al suo centro vi fosse un vuoto.
Consisteva di sedici capitoli in ordine cronologico: “I primi anni”, “In politica”, “Sfida per la leadership”, “Cambiare il partito”, “Vittoria alle urne”, “Riforma del governo”, “Europa”…. “La sfida al terrorismo”, “la guerra al terrorismo”, “Mantenere la rotta”, “Mai arrendersi”, “L’ora di andarsene”, “Un futuro di speranza”.
Ogni capitolo era lungo tra le dieci e le ventimila parole e, più che un lavoro di scrittura vera e propria, era il frutto di una specie di copia e incolla di discorsi, protocolli ufficiali, comunicati, promemoria, trascrizioni di colloqui, diari d’ufficio, documenti di partito e articoli giornalistici. Di tanto in tanto, Lang si permetteva qualche emozione privata (“non vi dico la felicità che ho provato per la nascita del mio terzo figlio”), o qualche osservazione personale (“il presidente americano era molto più alto di quanto pensassi”).
[…] Una “pallosissima stronzata” l’aveva chiamata Rick. Ma era una definizione riduttiva, perché la merda almeno ha una sua integrità, per citare Gore Vidal. Quello invece era un pallosissimo nulla.»Robert Harris
“Il Ghostwriter”
Mondadori, 2007