Archivio per Giappone
BATTLE ROYALE
Posted in Kulturkampf with tags Battle Royale, Cinema, Cultura, Exploitation, Fashizumu, Giappone, Hideo Yamamoto, Ichi the Killer, Kinji Fukusaku, Koroshiya Ichi, Koushun Takami, Liberthalia, Manga, Masayuki Taguchi, Psicologia, Romanzi, Sociologia, Sol Levante, Takashi Miike, Takeshi Kitano on 6 ottobre 2012 by SendivogiusAvete odiato ferocemente i vostri compagni di scuola? Possedete i modi gentili di un Ted Bundy, ma siete convinti di essere la reincarnazione di Onoprijenko? Vi piacciono le cacce all’uomo/donna, con combattimenti all’ultimo sangue?!? Allora “Battle Royale” è la storia che fa per voi. Dal Sol Levante con dolore.
Non è che l’Autore si sforzi troppo per spiegarlo. E quindi ogni interpretazione è valida.
SOCIETY
Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags Capitale, Commercio, Compagnie commerciali, Debito, Economia, Finanza, Giappone, Holding, Imprese, Inghilterra, John Blunt, Liberthalia, Mercato, Mitsui, Oppio, Robert Harley, Servizi pubblici, Società per Azioni, South Sea Company, Stato, Storia, Zaibatsu on 28 luglio 2012 by SendivogiusLo ‘Stato’ completamente disinteressato al benessere dei propri cittadini, che esplica i suoi poteri unicamente come detentore del monopolio della forza e come mero collettore d’imposte, per il finanziamento dei suoi strumenti repressivi, ha ragione d’essere?
Lo ‘Stato’ che non garantisce i servizi essenziali per l’emancipazione civile, e per la promozione sociale della propria cittadinanza, ha senso?
Cosa impedisce ad uno ‘Stato’, incentrato esclusivamente sull’interesse privato e sulla prevalenza del particolare economico, dall’agire come un’impresa in regime di monopolio, dove i cittadini sono ‘azionisti’ con diritti proporzionali alla quota capitale investita?
Soprattutto, nella cooptazione politica e finanziaria di elite tecnocratiche, cosa impedisce ad una società di capitali di farsi essa stessa ‘Stato’ e di sostituire l’amministrazione pubblica con una holding di servizi privati su concessione?
In una entità ‘societaria’ in cui la partecipazione democratica viene sostituita dalla partecipazione azionaria, frazionata nell’anonimato di pacchetti a responsabilità limitata, è chiaro che l’unico “scopo sociale” sia il profitto tramite la massimizzazione degli utili. In tale prospettiva, ogni attività è lecita se funzionale all’incremento dei ricavi…
Pertanto, se il ‘mercato’ è propizio, un’Impresa-Stato può trovare vantaggioso la tratta degli schiavi o il commercio della droga, curando la produzione e lo spaccio all’ingrosso delle sostanze stupefacenti, come fossero una remunerativa diversificazione delle proprie attività commerciali, giacché non deve rispondere ad altra logica se non a quella del profitto e all’incremento dei dividenti da distribuire ai propri azionisti, nell’ambito dell’unica “società” che riesce a concepire: la società di capitali a scopo di lucro.
In fondo è già accaduto; esistono precedenti illustri: ad esempio, le due Guerre dell’Oppio, in virtù del sacrosanto diritto di spacciare droga ai cinesi da parte della Compagnia delle Indie Orientali, in nome della libertà di commercio. Dimostrazione pratica di come per molte aziende il consumatore ideale sia un tossico.
La “Compagnia delle Indie” costituisce uno dei casi più eclatanti, in cui una società anonima per capitali si creò un esercito privato e fondò un Impero militare, appaltandolo alla Corona britannica per la difesa dei propri interessi commerciali.
E, del resto, proprio la storia inglese ci insegna che uno dei modi migliori per controllare uno Stato, dettandone le politiche (e le leggi), consiste nel gestirne il debito, con tutta la fantasia della finanza creativa…
«A cavallo del XVII e XVIII secolo, gli agenti di Borsa londinesi, noti come ‘jobbers’, si aggiravano nei malfamati caffé di Exchange Alley …in cerca di investitori sprovveduti ai quali vendere azioni di società fantasma. Società che fiorivano velocemente alimentate dalla speculazione, per poi fallire altrettanto rapidamente. Delle 93 società attive tra il 1690 e il 1695, nel 1698 ne rimanevano attive soltanto venti.
[…] Nel 1720 il Parlamento inglese, di fronte al proliferare di corporation truffaldine che infestavano Exchange Alley, aveva dichiarato l’istituzione illegale (seppure con alcune eccezioni). A indurlo all’azione fu il famigerato tracollo della South Sea Company.
Costituita nel 1710 per condurre traffici commerciali in esclusiva con le colonie spagnole del Sud America, ivi compreso il commercio degli schiavi, la South Sea Company nacque subito come un grande imbroglio. I suoi amministratori, tra gli esponenti più illustri della società politica dell’epoca, conoscevano ben poco del Sud America, avevano rapporti assai limitati con quel continente (a quanto risulta, il cugino di uno degli amministratori risiedeva a Buenos Aires), e dovevano per forza di cose essere a conoscenza che il re di Spagna non avrebbe concesso loro l’autorizzazione necessaria ad operare nelle colonie sudamericane. Come ammise uno degli amministratori: “A meno che gli Spagnoli non siano totalmente privi di buon senso… e decidano di abbandonare i propri commerci, gettando al vento l’unica fonte di guadagni rimasta loro al mondo e, in breve, ponendo le basi della loro rovina”, non si disferanno mai dell’esclusiva possibilità di commerciare con le loro colonie. Ciò nonostante, gli amministratori della South Sea Company promettevano ai potenziali investitori “profitti favolosi” e montagne d’oro e d’argento attraverso l’esportazione di comuni prodotti britannici come il formaggio del Cheshire, la ceralacca e i sottaceti. Gli investitori accorsero in massa per accaparrarsi le azioni della compagnia, che schizzarono incredibilmente verso l’alto, aumentando di ben sei volte il loro valore in un anno per poi crollare velocemente quando gli azionisti, resisi conto che il titolo era diventato cartastraccia, rivendettero tutto in preda al panico […] La South Sea Company fallì. Intere fortune si volatilizzarono, vite umane furono rovinate, uno degli amministratori della compagnia, John Blunt, venne colpito con arma da fuoco da un azionista incollerito, una folla tumultuosa assediò Westminster e il re dovette tornare precipitosamente a Londra dalla sua residenza di campagna per affrontare la crisi.»Joel Bakan
“The Corporation”
Fandango Libri, 2004
Al principio del XVIII secolo, i vari Stati europei si ritrovano a dover gestire un gigantesco debito pubblico, ereditato da quasi un secolo di guerre su scala continentale. La trovata geniale dei governi dell’epoca risiede nella privatizzazione del debito, attraverso la costituzione di società anonime che ne rilevino la gestione, in cambio di una serie di agevolazioni e del monopolio dei commerci sui nuovi mercati coloniali, con diritti esclusivi di sfruttamento.
Nella fattispecie, nel 1719 il debito pubblico della Gran Bretagna ammontava ad oltre 50 milioni di sterline, 18 milioni dei quali ripartiti in tre grandi gruppi privati:
3,5 milioni alla Banca d’Inghilterra;
3,2 milioni alla Compagnia delle Indie Orientali;
11,7 milioni alla South Sea Company.
In tale ottica, la ‘South Sea Company’, ovvero la Compagnia dei Mari del Sud, nasce con uno scopo preciso: ripagare i debiti della Corona britannica, convertiti in azioni della Compagnia. In cambio della sottoscrizione delle quote sociali, il Governo pagava agli azionisti un tasso fisso del 6%, garantendo alla Compagnia finanziamenti e fondi patrimoniali per dieci milioni di sterline, in cambio di una tariffa sui beni di importazione.
La South Sea Company nasce nel maggio del 1711 da un’idea dell’immaginifico ministro delle finanze, e conte di Oxford, Robert Harley, il quale aveva già provato a rifinanziare il debito dello Stato, attraverso l’istituzione della Lotteria nazionale, gestita in proprio dalla società finanziaria di John Blunt che sarebbe poi diventato uno dei principali amministratori della nuova compagnia.
La South Sea Company in realtà ha un mercato ed un raggio d’azione quasi inesistente: i suoi commerci si limitano ad un solo viaggio all’anno per un unico naviglio nelle colonie spagnole (le autorità iberiche ne boicottano in ogni modo l’attività) e fonda il grosso dei commerci sulla tratta degli
schiavi africani (peraltro sub-appaltata a mercanti olandesi). Deve inoltre affrontare l’alta mortalità del ‘carico’. Peraltro, la South Sea Co. gestisce una quota minima dell’infame commercio, appannaggio quasi esclusivo della Royal African Company che monopolizza i traffici, garantendo la ‘fornitura’ annuale di 4.800 schiavi (secondo le clausole del Trattato di Utrecht del 1713) ai quali aggiunge la manodopera servile smerciata in Giamaica. Inoltre, possiede uffici commerciali in tutti i principali porti dell’America meridionale (Buenos Aires, Cartagena, Caracas), con basi all’Havana e Panama.
Nata per vendere debiti camuffati da azioni al portatore, la Compagnia dei Mari del Sud ha un business puramente aleatorio. Ciò non impedisce però alla compagnia di piazzare in massa i suoi titoli a rendimenti sempre più vertiginosi, innescando una bolla speculativa gonfiata sul nulla che però attrae sempre più investitori. Tutti evidentemente molto entusiasti della solidità finanziaria della Compagnia ed i concreti riscontri nell’economia reale. Gli stessi dirigenti alimentano una speculazione costante sui titoli della Compagnia, fino all’inevitabile esplosione della bolla finanziaria che, insieme alla surreale “Bolla dei Tulipani” in Olanda, ed i crolli pressoché contemporanei delle Compagnie francesi, ingenereranno una delle prime e più gravi crisi economiche della storia europea.

Ma, a tutt’altra latitudine, non andrebbe nemmeno sottovalutata la proficua esperienza nipponica delle Zaibatsu…
«In Giappone, dopo la Restaurazione Meiji del 1868, si sviluppò una forma di capitalismo finanziario che, a tutt’oggi influenza fortemente le società per azioni in questo paese. Paragonabili alle società finanziarie, si formarono delle gigantesche concentrazioni industriali, dette zaibatsu, che divennero la forma dominante nell’organizzazione industriale del settore capitalistico avanzato giapponese. Zaibatsu si può tradurre come “elite finanziaria”: si trattava di società finanziarie che possedevano fondi di investimento in diverse industrie, organizzate sotto il controllo di una famiglia per assicurare la cooperazione tra aziende con interessi potenzialmente divergenti.
[…] Nel novero delle società controllate da ogni zaibatsu, era sempre presente una banca, la quale forniva il capitale per tutto il gruppo. Al vertice della zaibatsu c’era una società finanziaria famigliare che possedeva tutto il capitale e che controllava un gruppo di imprese, nominandone i direttori ed i dirigenti.»Larry Allen
Il Sistema finanziario globale (1750-2000)
Mondadori, 2002.
Il termine zaibatsu, in sommi capi, è traducibile come “gruppo economico”, ma anche “cricca finanziaria”, ed indica una concentrazione di ricchezza gestita su base clanica: zai (ricchezza) e batsu (congrega familiare). Fedeli incarnazioni della società giapponese, le zaibatsu ne ricalcano la struttura verticale, fortemente gerarchizzata. Nati originariamente come gilde mercantili su base famigliare, sono gruppi fondati su di un ordinamento piramidale; strutturate in holding finanziarie, operano in ogni ambito commerciale e industriale. Hanno ramificazioni in tutti i settori dell’economia nazionale, tramite il controllo dei pacchetti azionari di maggioranza e con partecipazioni incrociate, da parte di un ristretto numero di clan familiari, coagulati attorno ad una famiglia dominante alla quale sono sottomessi da vincoli di fedeltà e vassallaggio. Si tratta di un retaggio feudale, che nella sua impostazione clanica presenta non poche analogie col sistema mafioso.
In cambio dello sviluppo economico e militare del Paese, alle zaibatsu vengono accordate esenzioni fiscali e agevolazioni commerciali. Col tempo, finiscono col cumulare in pochissime mani un potere enorme, costituendo un vero e proprio stato parallelo (e riconosciuto) all’interno dello Stato ufficiale. Ne condizionano le scelte economiche e ne determinano la stessa conduzione politica, prosperando con le commesse militari e lo sfruttamento selvaggio dei territori occupati in Corea ed in Cina. Il governo nipponico arriverà ad affidare alle zaibatsu la raccolta delle tasse, gli approvvigionamenti per l’Esercito, e l’intera gestione del commercio estero.
Durante gli anni ‘30, tramite le loro banche, arrivano a controllare l’intero sistema creditizio del Giappone. Sempre alle zaibatsu sono ricollegabili i sei maggiori istituti bancari del Paese. Attraverso le loro sussidiarie e le proprie fiduciarie, monopolizzano il risparmio privato (oltre il 70% dei depositi bancari a tasso fisso), grazie al quale possono gestire a proprio piacimento la leva finanziaria, rafforzando i vincoli di interdipendenza e la creazione di nuovi cartelli economici. Naturalmente, all’alba della Grande Depressione del 1929, approfittano della recessione economica con speculazioni ribassiste sul valore della moneta.
Alla fine del decennio, la quasi totalità dell’apparato industriale (e militare) del Giappone è sotto il dominio economico (e politico) di quattro potentati (le shidai zaibatsu): Mitsui, Mitsubishi, Sumitomo, Yasuda.
A queste, si affianca un secondo livello, che ricomprende altre mega-corporazioni chiamate shinko zaibatsu tra le quali vale la pena di ricordare: la Nissan; la Nakajima Hikoki, industria aeronautica che si divideva le commesse dell’aviazione militare insieme alla Mitsubishi; la Nomura, specializzata in servizi finanziari e consulting, è l’omonima banca d’affari che nel 2008 ha rilevato la Lehman Brothers dopo il fallimento;
Al principio degli anni ’40, le shidai zaibatsu hanno il controllo diretto di oltre il 30% dell’industria mineraria, chimica e metallurgica, il 60% degli scambi commerciali con l’estero, con partecipazioni consistenti nella flotta mercantile.
La più antica e la più potente è la Mitsui, con un impero commerciale che spazia dalla distribuzione alimentare all’industria manifatturiera, dalle compagnie assicurative alle società armatoriali, dalle assicurazioni navali contro gli incendi alla raffinazione del petrolio, dal commercio del cotone a quello del latte condensato, dalla macinazione del grano alla vendita di apparecchiature elettriche… con le sue società controllate arriverà, da sola, a detenere il 15% della ricchezza nazionale del Giappone.
Il gruppo Mitsui è gestito da 11 famiglie imparentate col fondatore originario della compagnia: Mitsui Takatoshi, un commerciante di tessuti che aveva integrato i proventi della vendita di kimono con la creazione di una catena di cambia-valute per la raccolta fiscale. Agli inizi del XX secolo, l’originario negozio della famiglia Mitsui si è trasformato in uno dei principali gruppi finanziari di tutto il Giappone, fondato su sei grandi società principali ed un corollario di sussidiarie: la Banca Mitsui (la prima banca nella storia giapponese); la Toshin depositi e gestione risparmi; la Fiduciaria Mitsui; la Assicurazioni Mitsui, specializzata in polizze sulla vita; la Mineraria Mitsui e la Mitsui Bassan. Quest’ultima è in pratica la holding del gruppo per il controllo delle imprese consociate: 46 imprese principali e 143 collegate.
Con la preveggenza che ne contraddistingue i dirigenti, la Mitsui decide di diversificare il business puntando su un’idea di successo… Tra le trovate più geniali, attraverso le sue sussidiare per la lavorazione tabacchi su territorio cinese, crea una produzione speciale per fumatori stranieri, sfruttando il nome di una popolare marca di sigarette giapponesi: “Golden Bat” (il pipistrello d’oro). La variante è destinata esclusivamente alla vendita estera (in prevalenza in Cina e Manciuria) e assolutamente vietata sul mercato giapponese. Nel filtro della sigarette viene infatti iniettata in gran segreto una piccola percentuale di oppio ed eroina, per aumentare la dipendenza nei consumatori e aumentare così i profitti. In pratica, la Mitsui ha anticipato la creazione del crack. Lo spaccio del nuovo prodotto viene interamente affidato ai militari nipponici, in cambio di lucrose provvigioni…
Insomma, tornando all’attualità presente, a volte si ha la sensazione di avere a che fare con dei pericolosi psicopatici, dall’indefessa coazione a delinquere. Se questi sono (e sono stati) gli “operatori del mercato” e gli “investitori”, ai quali stiamo rimettendo la valutazione dei nostri bilanci, le nostre politiche fiscali, il nostro futuro e finanche la nostra stessa sopravvivenza, c’è da chiedersi chi sia più folle.
La leggenda dei leader straordinari
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La balzana idea è frutto della fantasia ‘perversa’ (sono giapponesi!) del mangaka Owada Hideki
che, con una trovata a dir poco originale, reinterpreta ruoli e personaggi della politica nipponica e internazionale con esiti grotteschi in una sorta di crossover fantapolitico, per una storia con buoni spunti ma alla lunga ripetitiva, dall’impronta demenzial-nazionalistica con l’ex premier giapponese, Junichiro Koizumi, elevato a protagonista assoluto di una saga a dir poco demenziale.
Stiamo parlando di “The Legend of Koizumi”.
In ‘Occidente’, il cotonato figurino è ricordato soprattutto per il suo assurdo taglio di capelli: l’unico premier con la permanente. Meglio non parlare invece di certi nostrani pornonani dalla pelata catramata!
Koizumi, che pur con tutta la fantasia proprio non ha un aspetto tra i più marziali, per le improbabili alchimie del disegno, viene ritratto così..! Con l’espressione volitiva e cazzuta dei culturisti anabolizzati, che popolano le lande desertificate di “Hokuto no Ken”: la saga cult di Ken il Guerriero.

In Giappone, “La Leggenda di Koizumi” è conosciuta col titolo di Mudazumo Naki Kaikaku, che può essere tradotto grossomodo come “Riforma senza tiri sprecati”, in allusione al lancio dei dadi nel gioco del mahjong.
Soprattutto, è una parodia per allitterazione del nome dato al progetto di riforma ultra-liberista (e fallimentare), portato avanti durante il Governo Koizumi (2001-2006). Parliamo del Seiiki Naki Kaikaku, un pacchetto di privatizzazioni estreme, che tante speranze aveva suscitato nei giovani liberali della destra nipponica.
È difficile comprendere la carica di entusiasmo e di aspettative che un personaggio come Junichiro Koizumi è stato capace di suscitare, soprattutto presso la gioventù giapponese, tanto da venirgli dedicati interi manga: i celebri e diffusissimi albetti del fumetto nipponico.
Infatti, Koizumi aveva già fatto la sua comparsa in AKUMETSU (di cui avevamo accennato QUI), nei panni di un premier idealista quanto imbelle, schiacciato dalle correnti di partito…
Intendiamoci! Paragonato al manga di Owada, “Akumetsu” in confronto è un trattato di satira politica, dalla raffinata critica sociale… ed è tutto dire!
Maliziosamente, ci sarebbe da pensare che si tratti di atti di piaggeria nei confronti di Taro Aso: esponente ultraconservatore del Partito Liberaldemocratico, già ministro degli esteri nel Governo Fukuda (2007-2008), e premier lui stesso (2008-2009) in uno dei governi più catastrofici della storia giapponese recente, ma con una grandissima passione per i manga…
Pare che, tra le sue letture preferite, ci siano le gesta della bionda Sailor Moon e delle sue amichette in costume: le paladine vestite alla marinaretta. Ignoriamo se prediliga la versione hentai.
A proposito di Taro Aso, resta comunque insuperabile il suo invito rivolto ai giovani giapponesi per incrementare la produzione di manga e di anime, al fine di combattere la disoccupazione e rilanciare l’economia giapponese superando la crisi.
Inutile dire che The Legend of Koizumi (o Mudazumo Naki Kaikaku, che dir si voglia) è stato un seccesso. Se si accetta il presupposto fondamentale che la supremazia mondiale si conquista su un tavolo da gioco, con astuzie per nulla sportive, mosse segrete ed abilità speciali che hanno
conseguenze fisiche sui personaggi (tutta roba già vista da Yu-gi-oh! a Yū Yū Hakusho), allora potete accettare pure che, invece delle solite creature demoniache, a sfidare i super-presidenti ci siano niente meno che i nazisti del Quarto Reich, trasmigati in massa sulla Luna alla fine della II° Guerra Mondiale a bordo dei leggendari Haunebu.
Trasformato il satellite in una colonia nazista, i nuovi nazi-seleniti lanciano la loro sfida alla Terra, organizzando uno speciale torneo di mahjong in cui si sfideranno i ‘campioni’ dei due schieramenti.
Sotto il segno della svastica, si alternano personaggi storicamente vissuti e nomi meno noti della macchina da guerra nazista, insieme al solito corollario di shōjo ninfette, in uniforme da SS.
Tuttavia, in questa distopia del nazi-moe è assolutamente inutile cercare le incongruenze e le discronie, altrimenti sarebbe assai difficile spiegare come possano comparire, tra i tanti, personaggi del calibro di Otto Skorzeny (l’uomo che fece il blitz sul Gran Sasso per liberare il duce); generali come Erwin Rommel ed Hans Speidel (che peraltro avevano simpatie anti-naziste e appoggiarono il complotto per uccidere Hitler nel ’44); Hans Ulrich-Rudel, l’asso della Luftwaffe; insieme a personaggi spregevoli come Hermann Göring, Heinrich Himmler, il dott. Josef Mengele e Reinhard Heydrich meglio conosciuto come il “boia di Praga”. Tutti in perfetta forma e addirittura ringiovaniti. Non mancano Rudolf Hess e lo stesso Adolf Hitler, insieme ad una impossibile discendenza di Joseph Goebbels.
L’élite dei nazi-seleniti ha una peculiarità: possono trasformarsi in Super-Aryan (!) schimmiottando in una parodia estrema i Super-Saiyan, già visti nella serie “Dragon Ball”.
L’aspetto più gustoso della storia è però la sfilata caricaturale dei cosiddetti ‘grandi’ del pianeta e comprimari minori. La squadra per l’Alleanza per la Terra ha un cast d’eccezione, quanto pessimamente assortito…
Naturalmente, c’è Junichiro Koizumi, titanico e indistruttibile oltre i limiti del grottesco.

Né poteva mancare, come riuscitissima spalla, il ministro Taro Aso: tiratore infallibile (è atleta olimpionico), rappresentato come una specie di Bugsy Siegel in stile yakuza.

C’è poi la famiglia Bush al gran completo: Papà Bush e suo figlio Junior, quest’ultimo rappresentato nella finzione come nella realtà nei panni di un idiota, che tenta disperatamente di emulare il padre, ma con ispirati tratti di eroismo (e questi esistono solo nella finzione!).
Papà Bush, al disegnatore della storia piace quasi quanto Koizumi, e si vede..!
Raffigurato come un gigante muscoloso in stile Hokuto, il vecchio Bush senior sembra quasi un ibrido tra ‘Raoul’ (il fratello incazzoso di Kenshiro) e ‘Vegeta’ (Dragon Ball).

È ovvio che, come in ogni storia che si rispetti, deve esserci una eroina femminile per il cui ruolo viene scelta una improbabile Yulia Timoshenko, la zarina ucraina con la treccia posta a mo’ di corona.

Affarista senza scrupoli, letale, spietata. Per la temibile Yulia ogni occasione costituisce una potenziale opportunità di profitto.
È una vera dark lady capitalista; immortalata su carta in tutte le espressioni possibili e nelle infinite varianti, che il disegno può offrire…
E sempre pronta a trasformarsi nella teppistella della scuola, qualora se ne presenti la possibilità…

C’è anche (né poteva essere diversamente) il glaciale Vladimir Putin, zar di tutte le Russie… Inquietante e sinistro, come si conviene ad un ex comandante del KGB. E con un aurea demoniaca che non guasta mai per un ex funzionario della polizia politica, travestito da “democratico” e notorio amico del nostro papi nazionale.
A fargli da comprimario c’è un povero Dmitrij Medvedev, eccessivamente imbolsito.
Il granitico Putin è al contrario troppo magro (più alto) e ringiovanito di almeno vent’anni nel suo aspetto robotico da man in black…
Tuttavia, la sorpresa assoluta, e sicuramente più gradita, è la partecipazione straordinaria di un incredibile papa Ratzinger…!!

Unico e insuperabile, con quella sua deliziosa espressione di perfidia dai tratti quasi luciferini… Proprio come si addice ad un (finto) cattivone doc, ma in realtà col cuore d’oro!
Semplicemente maestoso mentre fluttua nell’etere o avanza col cipiglio sicuro di un terminator in abiti pontificali.
Meravigliosa la sintesi, in un’unica tavola della sua elezione a pontefice, dopo il trionfo sugli altri cardinali al conclave.

Attraverso piccoli cammei, nella storia compare pure Nursultan Abishuly Nazarbayev: padrone assoluto, autocrate asiatico e khan del Kazakistan,
giustamente ridicolizzato come un insignificante satrapo di provincia. Ma c’è spazio anche per l’ex segretario statunitense alla difesa: Colin Powell.
E la vecchia Margaret Thatcher: l’arruginita “Lady di ferro” britannica.

Con simili e demenziali presupposti, la pubblicazione di The Legend of Koizumi in Giappone è stata… un successo..! Tant’è che ne è stata realizzata anche una mini serie OAV in tre episodi. E c’è da dire che non è nemmeno troppo male.
Ispirata ai primi albi della serie, l’animazione è interamente dedicata ai “vicini di casa” del Giappone…
C’è un ottimo Kim Jong-il (“General Kim”), il caro leader nordcoreano, ispirato vagamente ai malvagi Mister X di James Bond…

Nella serie animata, il Caro Leader (altro noto pervertito) compare insieme al figlio deficiente, designato alla successione: Kim Jong-… difficile dire se Jong-chul o il fratello minore Jong-un..! Si accettano scommesse.

E naturalmente non poteva mancare il poderoso vicino cinese, nell’accoppiata abbastanza riuscita di Hu Jin Tao e Wen Ja Bao…
Anche se il vero protagonista è un resuscitato Mao Zedong in versione Frankenstein.
Non manca un breve siparietto con i leaders europei del G-8 i quali, esattamente come avviene nella realtà, non contano nulla e scompaiono quasi subito dal corso della storia.

Una premonizione?
ATOMIC ITALY
Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags Alessandra Daniele, Centrali nucleari, Claudio Scajola, Fukushima, Giappone, Incidente atomico, Italia, Liberthalia, Minaccia atomica, Nucleare, Stefania Prestigiacomo, Stefano Saglia on 17 marzo 2011 by Sendivogius
Il disastro nucleare di Fukushima dovrebbe insegnare agli irriducibili amanti dell’atomo che in caso di incidente atomico, le conseguenze sono incontrollabili e soprattutto irreversibili.
Così, mentre il resto del mondo si interroga sulle conseguenze devastanti della catastrofe nipponica, ponendo una seria ipoteca sull’opzione nucleare, da noi si continua a marce forzate verso una scelta imposta manu militari alla popolazione, come un treno piombato lanciato a tutta velocità verso l’abisso.
Del resto, il ritorno al nucleare in Italia non è una libera scelta, ma un’imposizione fortissimamente voluta da quel Claudio Scajola, il Velociraptor Atomico specializzato in grandi appalti, assolutamente impermeabile alle pressioni delle cricche affaristiche e delle lobbies industriali. Notoriamente, Scajola è uomo di specchiata onestà e attento controllore, capace di farsi regalare interi appartamenti a sua insaputa.
Si parla di Energia, ma è un eufemismo per parlare di Affari (privatissimi): il viatico apocalittico da versare alla voracità amorale di un capitalismo cannibale, in cambio di tanti nuovi “posti di lavoro”: salari da fame, precarietà, disastri ambientali, e scorie nucleari…
Eh sì! Perché gli impianti atomici producono rifiuti tossici radioattivi impossibili da smaltire. Ne sa qualcosa l’Italia ancora indecisa su dove stoccare le scorie residue [QUI] delle sue vecchie centrali nucleari mai entrate in funzione, che però di rifiuti ne hanno prodotti eccome!
Un Paese che non riesce nemmeno a smaltire i propri scarti solidi urbani (la monnezza domestica), va in crisi per l’ordinario filtraggio del percolato, pretende però di eliminare i fusti radioattivi con le scorie nucleari dei futuri impianti, guardandosi bene dallo specificare come.
Tuttavia, “le centrali di III generazione sono sicure” (non lo sono affatto!)
Ce lo dice la bionda Magdalena da Siracusa, l’evanescente ministra all’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che scarmigliata e dolente piagnucola con tonalità robotica le vacue rassicurazioni governative, per una futura Italietta nuclearizzata.
Parliamo infatti di centrali nucleari talmente sicure da non essere mai state realizzate prima. Al mondo non esistono impianti già collaudati. La potenza dei futuri reattori è enormemente superiore a quelli già in funzione, ma gli effetti di un possibile incidente sono sconosciuti.
L’Italia sarà la prima a verificarne l’efficienza, e la sicurezza, finora tutta teorica.
Rassicuranti legioni di esperti a contratto si affrettano a spiegarci che le ipotesi di incidente sono rarissime. Ma quando questo avviene per motivi del tutto straordinari, però possibili, gli effetti sono evidenti sotto gli occhi di tutti… Un terreno contaminato non è qualcosa di bonificabile; non si riduce a pochi ettari circoscritti; il danno non rientra nel tempo.. non è qualcosa di sostenibile né una opzione accettabile… Una zona radioattiva si può estendere per centinaia di kmq: è una dead zone, persa per sempre.
D’altra parte, vista la caratura della nostra classe dirigente, l’acume e l’indiscussa competenza dei nostri sobri esponenti di governo, dall’alto del loro prestigio istituzionale, come dubitare sulla garanzia dei controlli e sull’efficienza delle future centrali…
Dinanzi all’irreversibilità della catastrofe epocale in atto a Fukushima, adesso che la scelta nucleare non è più un tema spendibile a livello elettorale, nell’imminenza delle elezioni amministrative in Italia, fioccano i distinguo nella sgangherata maggioranza di governo che, tra un bunga-bunga e la distruzione capillare del sistema giudiziario per l’impunità dell’Unico, aveva fatto dell’atomo un feticcio.
Persino agli sgherri prezzolati di “Libero” e “Il Giornale” (che fino a due giorni fa parlavano di sciacallaggio mediatico) si è seccata la lingua. Infatti sono tornati ad occuparsi della compravendita della casa di Montecarlo, nella presunta disponibilità del fratello della compagna di Fini: tema di scottante attualità e di fondamentale interesse pubblico.
Quella repellente diarrea verde che va sotto il nome di Lega, ci fa sapere che al nucleare è favorevolissima purché non sia nelle “sue” regioni della Padania.
Il sottosegretario alle Attività produttive, Stefano Saglia, si affretta a dire che gli impianti nucleari verranno realizzati solo nelle ‘regioni favorevoli’.
Ne sa qualcosa il governatore della Puglia, che si è visto respingere il ricorso contro la costruzione di centrali nucleari nel territorio pugliese, giacché la contrarietà delle Regioni interessate “non è vincolante” e la decisione finale spetta al Governo nazionale, a suo insindacabile giudizio. Alla faccia dell’autonomia decisionale regionale.
E comunque non c’è nulla di cui preoccuparsi; del resto noi siamo in Italia, mica in Giappone…
APOCALYPSE NANO
di Alessandra Daniele
Le centrali nucleari italiane saranno sicurissime.
Noi italiani siamo precisi e organizzati, non casinisti come i giapponesi. Come sempre, i nostri appalti saranno limpidi come il cristallo, i nostri cantieri totalmente in regola, le nostre assunzioni basate sul più rigido criterio meritocratico, i nostri controlli rigorosi ed imparziali. Costruiremo centrali tecnicamente all’avanguardia, nel rispetto dell’ambiente e del territorio. Le scorie saranno smaltite in modo corretto e tempestivo, com’è sempre accaduto per ogni tipo di rifiuto urbano.
E poi l’Italia non è zona sismica.
Quello dell’Aquila è stato un attentato islamico. Quello di Foligno un cedimento strutturale. Quello in Irpinia non è mai esistito, fu solo un complotto dei magistrati per diffamare la classe politica locale. I morti del Friuli furono vittime della feroce repressione comunista statalista, perché chiedevano il Federalismo. Le loro case vennero distrutte per rappresaglia, e per cancellare il Sole delle Alpi dipinto su ogni facciata. Il Belice non è in Italia. E’ nel maghreb, e fu devastato dalle lotte fra le tribù locali.
Nessun reale terremoto, o frana, o inondazione, o bradisismo, sono mai stati registrati in Italia. L’eruzione del Vesuvio che si credeva avesse seppellito Pompei fu in realtà solo frutto dell’immaginazione d’uno scrittore di fantascienza dell’epoca, tale Plinio il Cazzaro, che l’attribuì a un tentativo d’invasione aliena.
A un’attenta ispezione del ministro Bondi le presunte mummie di Pompei si sono rivelate falsi made in China per abbindolare i turisti. Il governo ne ha quindi ordinato la rimozione, insieme a tutte le altre rovine locali. In quel sito sorgerà presto una nuova discarica, assolutamente sicura ed ecologica quanto una centrale nucleare.
Da decenni la propaganda comunista cerca di spaventarci, di farci credere che massicce dosi di radiazioni potrebbero danneggiare la nostra salute, mentre tutti i più recenti e imparziali studi medici dimostrano il contrario. Le radiazioni facilitano la diuresi, e aiutano la naturale regolarità, eliminando il senso di gonfiore. Rinforzano la radice del capello, e con le loro micoparticelle di uranio riparano lo smalto dando sollievo ai denti sensibili.
Purtroppo molti italiani sono ancora vittime della disinformazione comunista, e in particolare della bufala di Chernobyl, organizzata con l’aiuto del regime sovietico, che arrivò a distruggere un’intera città russa al solo scopo di falsare il risultato del referendum italiano sul nucleare, e ottenne anche di danneggiare la nostra economia, bloccando il commercio di verdure a foglia larga.
Non lasciatevi spaventare dai proclami apocalittici dei comunisti antimoderni che vorrebbero costringervi a tornare all’età della pietra, quando per accendere la Tv si dovevano sfregare a lungo due pietre di selce. Le notizie che vengono dal Giappone sono rassicuranti e credibili: inviati da Obama col teletrasporto, Jack Shephard e Desmond Hume stanno tappando le due centrali nucleari danneggiate, e tutta la zona circostante ha già smesso di viaggiare nel tempo.
L’Italia non subirà nessuna conseguenza, le ondate di profughi giapponesi verranno respinte in Libia, e viceversa.
Questa certezza ci tranquillizzi, insieme al pensiero che, nella remotissima ipotesi che un disastro naturale si verifichi nel nostro paese, potremo sempre contare sulla Protezione Civile migliore del mondo.