Sono molti gli Autori che leggiamo, più o meno volentieri, ma pochi (per i nostri gusti) posseggono l’incisività e la capacità proiettiva di un Curzio Maltese, capace di incidere là dove la carne si incista nel marcio della cancrena:
«Ma perché questi ragazzi non si ribellano? A chi serve andare avanti così? Essere giovani in Italia significa ormai rinunciare alla dignità di vivere. Il lavoro, quando c’è, fa schifo, è precario e sottopagato. Ma sempre più spesso non c’è. Gli hanno raccontato che con la flessibilità non vi sarebbe stata disoccupazione e se la sono bevuta, incredibilmente, hanno condiviso il finto liberismo dei padroni e sono diventati schiavi. Il risultato è che un giovane su tre è disoccupato. Comunque anche i fortunati, si fa per dire, con lo stipendio non riescono a mantenersi e devono pescare nella borsetta di mammà, come cantava Carosone. Ora si berranno pure la favola che la colpa di tutto è dei lavoratori più anziani, dei loro diritti acquisiti. Ma quei diritti le generazioni precedenti se li sono conquistati al prezzo di lotte durissime, mica abboccando alle balle dei presidenti di Confindustria o dei miliardari prestati alla politica.
L’Italia è un Paese di vecchi che odiano i giovani e le donne. Ma giovani e donne votano per una classe dirigente di uomini vecchi e quindi il cerchio si chiude. Il progressivo rimbecillimento della nazione si compie senza conflitti generazionali.
Da giovane detestavo chi parlava di “giovani”, senza distinguere, perché i “giovani” naturalmente non esistono come categoria. Eppure quanto avviene da noi nel rapporto tra generazioni merita attenzione, perché non accade altrove. Non esiste un Paese europeo dove il governo passa tagliare fondi all’istruzione senza provocare rivolte di piazza. I giovani europei sanno benissimo che l’unica speranza di avere un futuro nel mondo globalizzato consiste nel ricevere una buona formazione in scuole e università di eccellenza. Ora da noi le scuole pubbliche non hanno i soldi per la carta nei cessi e le università se la battono nella classifiche internazionali con l’Africa. Ebbene il governo demolisce quel poco che rimane e studenti stanno zitti e buoni. Ad aspettare che cosa? Un lavoretto per l’estate ed un altro per l’autunno? A prendersela con gli immigrati? In Italia non esiste sostegno ai giovani disoccupati; non esiste una politica della casa per le giovani coppie. Tutto è delegato a mamma e papà. Vi sta bene? Si fa davvero fatica a capirvi. Certo tutta quella televisione assunta fin dalla prima infanzia deve aver fatto parecchio male.
Ma, insomma, ragazzi svegliatevi, non fidatevi di delegare a qualche furbastro la protesta, scendete in piazza, fate qualcosa, arrangiatevi. Oppure smettetela di arrangiarvi. Che cosa avete da perdere?»Curzio Maltese
(02/07/2010)
L’Italia è soprattutto un Paese di finti ricchi che vivono nel terrore di sembrare poveri.
Di conseguenza, i diretti interessati fanno di tutto per nasconderlo. Ogni loro sforzo è concentrato nell’allinearsi al conformismo al ribasso dell’informe “gruppo dei pari”, attraverso le illusioni di una grande mistificazione. Questo è il Paese dove il precario con contratto a progetto si definisce consulente. La telefonista dei call center, costretta ad aprirsi la partita IVA, si fa chiamare libera professionista. Il piazzista porta-a-porta è agente monomandatario e la stagista addetta alle fotocopie sogna di diventare assistant.
Salvo rare eccezioni, si tratta di persone occupate in lavori a scadenza che detestano; che percepiscono paghe pessime, insufficienti a pagare gli affitti o i mutui dei loculi in cui vivono. Per questo, appena possono, corrono nel centro commerciale più vicino per fare incetta di stronzate inutili, magari acquistate a rate. Sono i feticci da esibire durante i tristissimi rituali crepuscolari dello spritz: la variante cool dell’antico cicchetto del nonno.
L’importante è che siano trendy, hi-tech…
Perché nel non-essere collettivo l’importante è apparire, omogenei alla massa dove la forma è sostanza.
È questo il Paese dove il “potere” va coccolato, vezzeggiato, assecondato, non disturbato e mai contestato, giacché il padrone di oggi può diventare il patrono di domani, nel ciclo di clientele che preludono all’eterno ritorno al sempre uguale.
Forse è per questo che nelle nostre scuole il romanticismo stucchevole di Alessandro Manzoni è elevato a caposaldo della letteratura italiana, con la sua visione accomodante e soprattutto innocua. Perché la Storia deve soprattutto rassicurare ed essere confermata nella sua immutabilità. Va servita secondo tradizione e col ‘sugo’ ribollito fino ad essere indigesto:
“Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. – Ho imparato, – diceva, – a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possa nascere -. E cent’altre cose.
(…) Insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.”Alessandro Manzoni
“I promessi sposi”
Cap. XXXVIII