Archivio per Folla
La Ricreazione
Posted in Muro del Pianto with tags Carnevale, Costume, Covid-19, Europei di Calcio, Folla, Idioti, Italia, Liberthalia, Plebe, Società, Squallore on 14 luglio 2021 by SendivogiusSorvoliamo sui rituali pecorecci da zobia grassa per scimmie ubriache, con tanto di carro da parata per la sfilata di carnevale ed altre pagliacciate di dubbio gusto.
MASS-ATTACK!
Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags Anatole France, Conservatorismo, Cultura, Democrazia, Elitismo, Filosofia, Folla, Friedrich Nietzsche, Individualismo, Iperdemocrazia, José Ortega y Gasset, La Ribellione delle Masse, Letteratura, Liberalismo, Liberthalia, Martin Heidegger, Massa, Oswald Spengler, Pensiero, Popolo, Società, Sociologia, Stato, Storia, Uomo medio on 6 marzo 2014 by SendivogiusIn un’epoca all’apparenza complicata come la nostra, dove (tra società liquida, post-democrazia, tecnocrazia, mediocrazia, iper-democrazia…) i neologismi si sprecano, per spiegare ciò che nella sua polverizzazione semantica sfugge ad una catalogazione certa, in abbondanza di interpretazioni, forse è il caso di (ri)dare la parola ad un Autore che ‘complicato’ lo fu davvero. Non foss’altro perché nella poliedricità del suo pensiero, le etichettature gli vanno sicuramente strette, con tutta la banale semplificazione che ciò sempre comporta. Il riferimento è allo spagnolo José Ortega y Gasset: sincero liberaldemocratico ed icona del pensiero conservatore; ostensore del primato della ‘tecnica’, ma raffinato umanista e filosofo (che di competenza scientifica non ne aveva alcuna). Elitista e vagheggiante propugnatore di una nuova aristocrazia dello spirito, è un individualista convinto, ma impermeabile ad ogni forma di discriminazione. Intriso di idealismo tedesco, spazia dal razionalismo scientifico alla metafisica (senza dimenticare Cartesio), passando per lo storicismo, per approdare ad una originale sintesi sincretica tra esistenzialismo e vitalismo nietzschiano. Ammiratore del liberalismo anglosassone e avverso ad ogni dispotismo (specialmente se di matrice ‘statalista’), si ispira quanto mai alle opere di un fiero reazionario (ma non razzista) come Oswald Spengler, con la sua statolatria autoritaria, ed alla filosofia dell’ermetico Martin Heidegger, con le sue simpatie naziste ed il sedimentato antisemitismo.
In sommi capi, secondo Ortega y Gasset, per avere una visione quanto più organica possibile della realtà, è necessario mettere insieme e collegare le diverse prospettive individuali, onde delineare i contorni di uno schema concettuale unitario, tanto più completo quanto più ampia è la sommatoria delle diverse prospettive e tutte degne di interesse.
Con ampio anticipo, quello che il filosofo iberico paventa è un’iperdemocrazia ostaggio della superficialità umorale delle masse, consegnate nell’anonimato della loro mediocrità (e ignoranza) alla manipolazione emotiva attraverso stimoli indotti, nella costante riduzione dei problemi ad una estrema semplificazione su base puramente emotiva. E in questo individua subito il vero protagonista dell’età contemporanea…
«C’è un fatto che, bene o male che sia, è il più importante nella vita pubblica europea dell’ora presente. Questo fatto è l’avvento delle masse al pieno potere sociale. E siccome le masse, per definizione, non devono né possono dirigere la propria esistenza, e tanto meno governare la società, vuol dire che l’Europa soffre attualmente la più grave crisi che tocchi di sperimentare a popoli, nazioni, culture. Questa crisi s’è verificata più d’una volta nella storia. La sua fisionomia e le sue conseguenze sono note. Se ne conosce anche il nome. Si chiama la ribellione delle masse.»
José Ortega y Gasset
“La ribellione delle masse”
Il Mulino (1962)
È quella “massa”, intesa come folla anonima e frenetica, che spesso e volentieri viene impropriamente chiamata “popolo” quando invece è plebe, coi suoi istinti elementari e pulsioni primarie. Popolo e plebe sono
i due termini che sovente vengono confusi, nell’incapacità di distinguerne l’intrinseca differenza. E il “popolo” diventa il feticcio ideologico pronto uso, per ogni lestofante che voglia ammantarsi dell’aurea messianica del condottiero di folle, adibite a strumento coreografico e di pressione per i propri personalismi.
«Il concetto di moltitudine è quantitativo e visivo. Traduciamolo, senza alterarlo, nella terminologia sociologica. Allora troviamo l’idea della massa sociale. La società è sempre una unità dinamica di due fattori: minoranze e masse. Le minoranze sono individui o gruppi d’individui particolarmente qualificati. La massa è l’insieme di persone non particolarmente qualificate. Non s’intenda, però, per masse soltanto, né principalmente, “le masse operaie”. Massa è l’uomo medio.»
Nell’impazzimento generale del tempo presente, tra rigurgiti populisti e neo-fascismo di ritorno, tra nuove elite tecnocratiche e oligarchie timocratiche, dove la figura dominante è tornata ad essere il Capo (“politico” o meno che sia) in tutta la sua immanenza tribunizia e decisionista, sia essa la salma inceronata del papi nazionale, o il profilo ridanciano di un Renzi, o il muso barbuto di un Grillo che tra purghe interne e atti di sottomissione grugnisce qualcosa a proposito di “iperdemocrazia e partecipazione diretta” (certificata dal fantomatico Staff), nella sua profondità preveggente, il pensiero di Ortega y Gasset riconquista una freschezza ed una attualità insospettabili.
«Oggi assistiamo al trionfo d’una iperdemocrazia in cui la massa opera direttamente senza legge, per mezzo di pressioni materiali, imponendo le sue aspirazioni e i suoi gusti. È falso interpretare le nuove situazioni come se la massa si fosse stancata della politica e ne devolvesse l’esercizio a persone «speciali». Tutto il contrario. Questo era quello che accadeva nel passato, questo era la democrazia liberale. La massa presumeva che, in ultima analisi, con tutti i loro difetti e le loro magagne, le minoranze dei politici s’intendevano degli affari pubblici un po’ più di essa.
Adesso, invece, la massa ritiene d’avere il diritto d’imporre e dar vigore di legge ai suoi luoghi comuni da caffè [oggi diremmo “da bar” n.d.r.]. Io dubito che ci siano state altre epoche della Storia in cui la moltitudine giungesse; a governare così direttamente come nel nostro tempo. Per questo parlo d’iperdemocrazia.»
Ortega y Gasset parla di “ribellione delle masse” ad ogni forma di coinvolgimento realmente analitico e responsabilizzazione individuale, che vada oltre i colori cangianti degli umori che si agitano sulla superficie delle società massificate.
Ne contesta la pretesa universalistica nelle sue assolutizzazioni ideologiche; la sua aspirazione all’unanimità, che poi è insofferenza verso ogni forma di dissenso o comportamento discrepante dalla volontà della maggioranza. Soprattutto non tollera l’uso che della volgarità le masse (ed i suoi demiurghi) fanno, elevandola a titolo di merito di una semplificazione estrema, rivendicando una sorta di genuinità primigenea nell’arroganza tipica di chi fa dell’esibizione della propria ignoranza un vanto…
«Se gl’individui che affollano la massa si ritenessero particolarmente dotati, avremmo non più che un caso d’errore personale, non già un sovvertimento sociologico. Il fatto caratteristico del momento è che l’anima volgare, riconoscendosi volgare, ha l’audacia d’affermare il diritto della volgarità e lo impone dovunque.
La massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. Chi non sia come “tutto il mondo”, chi non pensi come “tutto il mondo” corre il rischio di essere eliminato. Ed è chiaro che questo “tutto il mondo” non è “tutto il mondo”. “Tutto il mondo” era normalmente l’unità complessa di massa e minoranze discrepanti, speciali.
Adesso “tutto il mondo” è soltanto la massa.»
Ne denuncia il primitivismo e la presunzione di chi, pretendendo di sostituirsi agli ordinamenti vigenti, non è minimamente in grado di garantirne il funzionamento o costruire una valida alternativa…
“L’uomo-massa attuale è, effettivamente, un primitivo, che dalle quinte è scivolato sul palcoscenico della civiltà.”
Ed è curioso che le sue osservazioni sugli eccessi della iperdemocrazia giungano in un periodo in cui l’intera Europa è sconquassata dall’avvento dei totalitarismi, cogliendo nella contraddizione l’intima connessione tra le degenerazioni di una gigionesca ipertrofia democratica, che finisce per essere una parodia della stessa nella distorsione delle forme partecipative, e la sua intrinseca negazione in senso autoritario…
«Noi viviamo sotto il brutale impero delle masse. Esattamente: già abbiamo chiamato due volte “brutale” quest’impero, già abbiamo pagato il nostro tributo al dio dei luoghi comuni; e adesso, con il biglietto alla mano, possiamo allegramente entrare nel tema, osservare di dentro lo spettacolo.»
In questo Ortega y Gasset, con la sua diffidenza verso l’avvento di masse amorfe dalla matrice unidimensionale e facilmente influenzabili, ripercorre il solco già tracciato da autori come Georges Sorel o Gustave Le Bon, ma anche Sigmund Freud e Robert Musil.
Nella sua opera più famosa, “La Ribellione delle masse”, che poi è una raccolta di articoli pubblicati nell’arco del 1929 in piena depressione economica e durante la crisi della Repubblica di Weimar, come una serie di nodi irrisolti, estrapolati dal loro specifico contesto storico e sociale, si potrebbero quasi riconoscere le analogie con la situazione attuale (dall’Europa alla crisi della rappresentanza democratica), tanto numerose sono le affinità a tal punto da non riuscire sempre a distinguere con sicurezza passato e presente.
Nell’ambito prospettico da lui stesso enunciato in merito all’analisi sociale, quella di Ortega y Gasset costituisce dunque una prospettiva di pensiero dal notevolissimo spessore, che merita di essere riproposta come una sorta di variante parodistica ai cicli vichiani. Oppure, per fare il verso a Friedrich Nietzsche (che influenzò non poco il pensiero del filosofo spagnolo), come un ennesimo richiamo alle suggestioni dell’eterno ritorno…
«Nel nostro tempo domina l’uomo-massa; è lui che decide. E non si dica che questo era quello che accadeva già all’epoca della democrazia del suffragio universale. Nel suffragio universale non decidono le masse; ma la loro funzione è consistita nell’aderire alla decisione dell’una o dell’altra minoranza. Ciascuna di queste presentava il suo “programma” vocabolo eccellente. I programmi erano, in realtà, programmi di vita collettiva. In essi si invitava la massa ad accettare un progetto di decisione.
Oggi avviene una cosa assai differente. Se si osserva la vita pubblica dei paesi dove il trionfo delle masse s’è spinto innanzi sono i paesi mediterranei sorprende di notare che in essi sì vive politicamente giorno per giorno. Il fenomeno è oltremodo strano. Il Potere pubblico si trova nelle mani di un rappresentante di masse. E queste sono tanto potenti, che hanno annullato ogni possibile opposizione. Sono padrone del Potere pubblico in forma tanto incontrastabile e assoluta, che sarebbe difficile trovare nella Storia situazioni di governo tanto prepotenti come queste. E tuttavia, il Potere pubblico, il Governo, vive alla giornata; non si presenta come un avvenire franco, non significa un chiaro annunzio del futuro, non appare come l’inizio di qualcosa il cui sviluppo o evoluzione risulti opinabile. Insomma, vive senza programma di vita, senza progetti. Non sa dove va, perché, a rigore, non avanza, non guarda a un cammino prefisso, a una traiettoria segnata in anticipo. Quando questo Potere pubblico cerca di giustificarsi, non allude per nulla al futuro, ma, al contrario, si reclude nel presente e dice con perfetta sincerità: «Sono un modo anormale di governo che è imposto dalle circostanze». Cioè dall’urgenza del presente, non per calcolo del futuro. Da qui il fatto che la sua estrinsecazione si riduca a schivare il conflitto di ogni ora; non a risolverlo, ma ad eluderlo provvisoriamente, impiegando tutti i mezzi, qualunque essi siano, a costo anche di accumulare con il loro ricorso maggiori conflitti sul prossimo avvenire. Così è stato sempre il Potere pubblico, quando lo esercitarono direttamente le masse: onnipotente ed effimero. L’uomo-massa è l’uomo la cui vita manca di programma e corre alla deriva. Per questo non costruisce mai, sebbene le sue possibilità, i suoi poteri, siano enormi.»
È passato quasi un secolo dalla sua stesura originale, ma sembra il ritratto sputato dell’Italia contemporanea con le sue pastoie burocratiche e governi di “larghe intese”.
Con singolare preveggenza, l’elitarismo aristocratico e nostalgico di Ortega y Gasset, la cui visione idealizzata delle elite liberali ottocentesche non è del tutto scevra da spunti più che reazionari, nel denunciare il livellamento dal basso, tiene conto anche della tipologia dominante dell’anti-politico, ritratto nel suo narcisismo auto-referenziale e nell’insipienza della sua mediocrità elevata ad elemento dominante del suo agitarsi ‘movimentista’.
«L’uomo-massa si sente perfetto. Un individuo di selezione, per sentisi perfetto, ha bisogno di essere particolarmente vanitoso, e la pretesa nella sua perfezione non è essenzialmente legata alla sua natura, non è genuina, ma gli deriva dalla sua vanità, e perfino lui stesso serba un carattere fittizio, immaginario e problematico. Per ciò il vanitoso ha bisogno degli altri, cerca in loro la conferma dell’idea che vuole nutrire di se stesso. Sicché nemmeno in questo caso morboso, neppure se “accecato” dalla vanità, l’uomo selezionato riesce a sentirsi veramente completo. Invece, all’uomo mediocre dei nostri giorni, il nuovo Adamo, non capita affatto di dubitare della sua plenitudine.
La propria fiducia in sé è, al pari di Adamo, paradisiaca. L’ermetismo formatosi nella sua anima gl’impedisce d’intuire quella che sarebbe la prima condizione per scoprire la propria insufficienza: paragonarsi ad altri individui. Paragonarsi significherebbe uscire un istante da se stesso e trasferirsi nell’ambito del prossimo. Però l’anima mediocre è incapace di trasmigrazioni – attività suprema.
Noi c’incontriamo, allora, con la stessa differenza che eternamente esiste fra l’ignaro e il perspicace. Quest’ultimo si sorprende sempre a un pelo d’essere ignaro; perciò fa uno sforzo per sfuggire all’imminente ignoranza, e in questo sforzo risiede l’intelligenza. L’ignaro, invece, non si sospetta neanche: si ritiene avvedutissimo, e da qui l’invidiabile tranquillità con cui l’ignaro s’abbandona e si conferma nel suo torpore.
Come quegl’insetti che non si sa come estrarre dal nido dove abitano, non c’è neanche il modo di sloggiare l’ignaro dalla sua insipienza, di portarlo un po’ più in là della sua cecità e obbligarlo a mettere a fuoco la sua torbida visione abituale con altri punti di vista più sottili. L’ignaro lo è a vita e senza respiro. Per questo diceva Anatole France che un imbecille è più funesto d’un malvagio: perché il malvagio qualche volta si riposa, l’imbecille mai.
Ma non si tratta che l’uomo-massa sia ignaro. Al contrario, l’attuale è più pronto, possiede maggiore capacità intellettiva di qualunque altro di altre epoche. Però questa capacità non gli serve a nulla; a rigore, la vaga sensazione di possederla gli serve soltanto per chiudersi di più in se stesso e non usarla. Una volta, per sempre egli consacra dentro la propria coscienza l’assortimento di luoghi comuni, pregiudizi, parvenze d’idee, o, semplicemente, vocaboli vacui che il caso ha ammucchiato nel suo intimo, e, con una audacia che si spiega soltanto con l’ingenuità, li imporrà dovunque.
Questo è ciò che nel primo capitolo indicavamo come caratteristica della nostra epoca: non già che l’uomo volgare creda d’essere eccellente e non volgare, ma è ch’egli stesso proclami e imponga il diritto della volgarità, o la volgarità come un diritto.»José Ortega y Gasset
“La ribellione delle masse”
Il Mulino (1962)
È quasi inquietante notare come la descrizione fenomenologica di Ortega y Gasset sembri calzare alla perfezione sulle deprimenti macchiette nostrane che, lungi dal costituire un unicum nazionale, costituiscono piuttosto un ideal-tipo predominante nei periodi di crisi in tutta la sua funesta evanescenza.
«L’uomo medio si trova con “idee” dentro di sé, però manca della funzione di pensare. Non sospetta neppure qual è l’elemento sottilissimo in cui le idee possono vivere. Vuole opinare, però non vuole accettare le condizioni e i presupposti dello stesso pensare. Da qui procede che le sue idee non siano effettivamente se non appetiti rivestiti di parole […] L’uomo-
massa si sentirebbe perduto se accettasse la discussione, e d’istinto ripudia l’obbligo di rispettare questa istanza suprema che si trova al di fuori di lui. Perciò il “nuovo” è in Europa “finirla con le discussioni”, e si detesta ogni forma di convivenza che per se stessa implichi rispetto di norme oggettive, dalla semplice conversazione fino al Parlamento, passando per il territorio della stessa scienza. Questo vuol dire che si rinunzia alla convivenza della cultura, che è una convivenza al riparo di norme, e si retrocede a una convivenza barbara.
[…] Bisogna ricordare che in ogni tempo, allorché la massa, per questo o quel motivo, ha agito nella vita pubblica, lo ha fatto in forma di “azione diretta”. È stato sempre, invero, il modo di operare naturale alle masse. […] Ogni convivenza umana va precipitando sotto questo nuovo regime in cui si sopprimono le istanze indirette. Nella pratica sociale si sopprime la «buona educazione». La letteratura, come “azione diretta”, si affida all’insulto.
[…] Civiltà vuol dire, anzitutto, volontà di convivenza. Si è incivile e barbaro nella misura con cui ciascuno non senta il rapporto reciproco con gli altri. La “barbarie” è soprattutto tendenza alla dissociazione. E così tutte le epoche barbare hanno costituito sempre una dissipazione umana, un pullulare di gruppi minimi e tra loro separati e ostili.
[…] La massa non desidera la convivenza con ciò che non s’identifica con essa. Odia a morte ciò che non è essa stessa.
[…] Ci sono istituzioni morte, valori e stime che sono pure
sopravvivenza e ormai prive di significato, soluzioni indebitamente complicate, norme che hanno rivelato la loro insufficienza. Tutti questi elementi dell’azione indiretta, della civiltà, richiedono un’epoca di slancio semplificatore. L’abito di gala e lo sparato romantici sollecitano una vendetta per mezzo dell’attuale déshabillé e dello stare “in maniche di camicia”.»
José Ortega y Gasset
“La ribellione delle masse”
Il Mulino (1962)
Sembra quasi di ritrovarsi allo specchio, seppur ritrovato in soffitta tra i cimeli di famiglia…
Mala tempora currunt sed peiora parantur.
Gli Arrabbiati
Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags Beppe Grillo, Caterina Simonsen, Cultura, Facebook, Falliti, Folla, Frustrati, Gente, Ghiogliottina, Ingiurie, Inkazzati, Insulto, Ira, Kasta, Liberthalia, Linciaggio, Livore, Massimo D'Alema, Odio, Offese, Piccoli-borghesi, Pierluigi Bersani, Politici, Popolo, Pubblico, Rabbia, Rancore, Rivoluzione, Sfigati, Società, Umberto Eco, Web, William Hazlitt on 8 gennaio 2014 by Sendivogius
«Non vi è animale più spregevole,
stupido, vile, meschino, egoista,
malevolo, invidioso del Pubblico.
Esso è il più grande dei codardi,
perché ha paura di se stesso.»
William Hazlitt
“On Living to One’s Self”
(1821)
Si innalzino le forche, si ungano le corde, si affilino le lame, si appresti la ghigliottina, che scorra sangue in abbondanza e sotto a chi tocca!
Ogni giorno c’è qualche stronzo che si sveglia rigonfio di bile, come nemmeno dopo un’indigestione notturna di peperonata acida, pronto a vomitare contro tutto e tutti, in crescente guerra col mondo. Poiché la sua vita fa schifo, la colpa è sicuramente di qualcun altro: il “Sistema”, i “Politici”, la “Ka$ta”, il Bilderberg e la Trialateral, i “Rettiliani”, i “vecchi”; ma anche i “massoni”, i “comunisti”, i “froci” e gli “ebrei” (che poi sono tutti la stessa cosa). E ovviamente gli “immigrati”, i “negri”, i “terroni”… e chiunque altro sia a tiro di sputo, che qualcuno da sbertucciare, maledire, ingiuriare si trova sempre.
Sia mai lo sfiori l’idea che il problema potrebbe essere in lui…
Che se il super club dei belli e vincenti, lo schifa dai tempi delle elementari è perché la sua aurea da sfigato cronico funziona come un repellente amplificato.
Che se non lo invitano mai agli ‘eventi’ è perché ha la simpatia di un sorcio morto.
Che se la strafica del gruppo non se lo fila di striscio è perché è brutto quanto la morte con gli ormoni fuori controllo di un mandrillo ingrifato.
Che se in 20 anni di lavoro la sua mansione è sempre ferma alla spugnetta per francobolli, mica gli sovviene il sospetto sia un incompetente ritardato e che non lo licenziano solo perché la sua raccomandazione (quella elemosinata dall’invidiato parente “in politica” per un pugno di voti) ancora tiene.
Sia mai che se non ha combinato un beneamato ca… (ci siamo capiti!) nella propria insignificante esistenza, destinata a consumarsi nell’oblio più totale, è perché magari è solo un povero fallito, come ce ne sono del resto a milioni. Oppure, più semplicemente, che proprio non ha niente di “speciale”, come gli hanno fatto invece credere fin dai tempi dell’asilo.
Un tempo li si incontrava nelle osterie a scaricare vagonate di recriminazioni qualunquiste, mentre l’oste teneva il conto dei cicchetti da pagare. Era l’ubriaco da bar; il grafomane compulsivo, che inondava le redazioni di giornali con lettere di protesta; lo psicotico che parla da solo, seduto nell’ultima fila dell’autobus; il pazzoide che ti lancia gli anatemi in strada; lo stalker notturno delle telefonate anonime…
Oggi la fogna prediletta, e di accesso agevolato per lo sfogo immediato di costipazioni da livore acuto, è indubbiamente la grande latrina di Facebook: che è stato un po’ come mettere una Ferrari, a disposizione di un branco di scimmie eccitate in preda alla dissenteria.
Da questo punto di vista, per una generazione bulimica di disadattati in perenne lotta con i grassi in eccesso, che vive nel terrore di sembrare povera, e passa la maggior parte del tempo sdraiata a postare puttanate on line, Facebook è l’arma finale per la distrazione di massa. È perfetto per raccogliere nel silenzio digitale le urla mute di una massa di invisibili ossessionati dall’apparire, che identificano l’avere con l’essere. E nell’intermezzo insultano. Fabbricano nemici ed augurano la morte, compiacendosi della propria miseria morale e squallore personale.
Ieri Caterina Simonsen, oggi Pierluigi Bersani, domani chissà… Ma un bersaglio vale l’altro: più indifeso è, meglio sarà. Per gli sciacalli virtuali è più divertente.
È il linciaggio organizzato del branco che si fa forte dell’anonimato collettivo; metaforicamente, è stupro di gruppo nella presunzione dell’impunità, mentre il resto del pubblico osserva, chi compiaciuto chi meno, ma senza intervenire. The show must go on! E che si alzi il sipario sul Grand Guignol!
Per dire, Beppe Grillo ha impiegato 24h per fare ciò che gli altri hanno fatto in meno di 24 minuti: augurare la guarigione ad un innocuo Bersani, colpito da aneurisma cerebrale. Nel frattempo, le mute di cani rabbiosi in libera uscita al seguito del Vate® si sono sentite in dovere di scatenarsi, vomitando tutto il peggio che gli avvelena l’anima ed il cervello. Poi ci sono silenzi che valgono più di mille insulti: Massimo D’Alema, uomo di inestinguibili rancori e smisurate ambizioni, che nella miseria della sua superbia ferita non ha speso nemmeno una parola di circostanza.
Infierire sui più deboli, sui malati, sugli sconfitti (e compiacersene pure!), è una pratica vile e meschina. Ma in Italia è diffusissima… Abbiamo persino un termine, caso unico al mondo, per riassumere il concetto in un verbo: “maramaldeggiare”; col paradosso che si ricorda l’infame Maramaldo, ma non il capitano Ferrucci.
Loro malgrado, i social-network sono diventati la vetrina digitale per le frustrazioni represse di piccoli borghesi risentiti e pieni d’odio, esasperati dalla crisi economica e da un vuoto esistenziale, che nessuna “ripresa” potrebbe comunque colmare tanto è profondo l’abisso. E questo dovrebbe sollevare interrogativi non sul mezzo, ma sul Pubblico. Perché per l’appunto di “Pubblico” si tratta: la plebaglia esultante nelle arene gladiatorie; il “popolo” agghindato a festa, che si litiga i posti migliori per assistere alle esecuzioni capitali (le “giustizie” come si chiamavano nella Roma dei papi). E che si eccita alla vista del sangue, correndo a scagliare la prima e mille e più pietre, pur di partecipare alla lapidazione, e dissacrare i corpi quando non c’è altro da seviziare.
Perché sono “arrabbiati”; perché sono “indignati”, perché ci sono migliaia di ottime ragioni per essere “inkazzati”, ma nessuna che giustifichi il furore demenziale di una massa di sociopatici, privi di inibizioni e decenza.
Perché la rabbia è come la lava: esplode ad eruzioni cicliche, infiamma gli animi, distrugge ciò che tocca, ma non lascia niente più che deserto. Ed è inutile se poi non si costruisce nulla, perché non si vuole o non si è in grado di farlo; perché è manifestazione di impotenza nella giustificazione del proprio immobilismo, restando sfogo e nulla più. Per giunta in forme disumane.
«L’ira è un vizio molto curioso. Non poteva non essere classificata tra i peccati capitali, perché adirarsi è male, il volto si stravolge, si perde il controllo razionale, viene la bava alla bocca, e si è propensi a commettere ingiustizia.
[…] Ai giorni nostri l’ira è detta “rabbia” e “rabbia” è una parola che ricorre ormai con troppa frequenza sulla stampa italiana dall’ultimo decennio…. Come mai, di questi tempi, tutti sudano e trasudano rabbia e cioè ira?
È che l’ira è una passione dei momenti di crisi ed è una passione sbagliata, sia nel bene che nel male. I grandi criminali, quelli che ammiriamo almeno per la perfezione del loro crimine, non sono mai degli iracondi. Covano invidia e odio a lungo e con fredda razionalità, colpiscono nell’ombra, ma non si adirano. E non si adirano i grandi moralisti: correggono, criticano, rimproverano, mostrano pudicamente il loro sdegno, talora si danno al sarcasmo. Non sono iracondi i grandi condottieri, gli astuti politici, da Ulisse a Napoleone. Iracondo è Achille e si vede cosa combina.
[…] I grandi rivoluzionari non erano degli iracondi, ma dei freddi analisti che calcolavano gli opposti, il bene e il male, l’odio e l’amore, la speranza e il timore…. Iracondi sono invece i luddisti, i rivoluzionari da strapazzo che spaccano tutto per impreciso amore di giustizia, commettono ingiustizia e diventano vittima delle ingiustizie altrui, e muoiono dopo aver fatto morire.
L’ira e la rabbia sono le più impolitiche delle virtù. Dobbiamo rammaricarci di vivere in un’epoca oscura, quando tutti esprimono rabbia…. passione nevrotica quante altre mai, che non può che portare alla sconfitta, degli amici e dei nemici.
Eppure oggi la stampa celebra la rabbia. E fa male, è un atteggiamento rabbioso. […] Rabbiosi erano i rivoluzionari francesi nell’epoca del Terrore, quando stavano consegnando la rivoluzione nella mani invidiose e pazienti della restaurazione in agguato.
Una società che apprezza l’ira o la rabbia come virtù politica è una società che non ha più fiducia nella ragione e nel calcolo…. E tra tutti i rabbiosi e gli iracondi i più pericolosi non sono né quelli che hanno torto, né quelli che credono (a torto) di aver ragione. Ma sono quelli che hanno veramente ragione. Dio ci salvi dalla loro rabbia, perché è dannosissima, innanzitutto per loro, ed è segno della loro soggezione.»Umberto Eco
“Sette anni di rabbia”
(06/09/1981)
Pubblicato giusto trenta e passa anni fa!
(58) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Alienazione, Andrea Zunino, Animalisti, Anno 2013, Anomia, Arthur Schopenhauer, Beppe Grillo, Carlo Giovanardi, Carlo Sibilia, Caterina Simonsen, Censis, Cialtroni, Costume, Crisi, Danilo Calvani, Davide Vannoni, Dudù, Facebook, Federico Pizzarotti, Folla, Follia, Fruttariani, Gente, Insulto, Italia, Laura Boldrini, Liberthalia, M5S, Massa, Matteo Salvini, MoVimento Cinque Stelle, Offese, Populismo, Psicopatologia, Reiki, Società, Squadrismo, Tribalismo, Vegani, Web on 29 dicembre 2013 by Sendivogius“Classifica DICEMBRE 2013”
Sottratto alla dimensione intimistica della propria sfera privata, e ridotto invece al suo aspetto meramente ‘pubblico’, cosa resterà dell’anno che se ne va?
Speriamo NULLA!
All’ombra delle Laide Intese, tra recessione economica e crisi sociale, regressione culturale e atrofia emotiva, populismi mediatici e fascismi di ritorno… il 2013 è stata una pessima annata, destinata ad essere ricordata come una delle peggiori della storia recente.
Ad occhio, il decantato “Paese reale” (che poi è panza senza sostanza) non è stato capace di superare una sola delle sfide cui pure era chiamato ad affrontare, nella miseria d’animo di una società sempre più marginale come quella italiana, che di “civile” conserva davvero ben poco, ripiegata com’è nei cupi rancori di un tribalismo estremo; incapace di inseguire null’altro che non siano i fragori intestinali del suo ventre più profondo.
A prevalere è un appiattimento “senza più legge né desiderio”, come già nel 2010 ebbe a definirlo il consueto rapporto CENSIS sulla situazione sociale del Paese:
«una società pericolosamente segnata dal vuoto, visto che ad un ciclo storico pieno di interessi e di conflitti sociali, si va sostituendo un ciclo segnato dall’annullamento degli interessi e dei conflitti.»
Nell’ultimo triennio le cose non sono affatto migliorate, tutt’altro! E ciò avviene tramite una costante rincorsa al ribasso di masse amorfe e risucchiate nell’anomia di una folla indistinta e querimoniosa; frazionata in bande, alterna apatia e furore nella logica del branco coi suoi istinti elementari. Soprattutto, non sa andare oltre l’estetica dell’offesa, sempre più becera e volgare, nella “diffusa e inquietante sregolazione pulsionale” che ne contraddistingue l’agire così come l’alienazione.
A volte si ha quasi l’impressione di avere a che fare con una comitiva di bulli virtuali, forte del gruppo e dell’anonimato collettivo, pronta ad attivarsi per input pavloviano, in risposta alle introiezioni dell’arruffapopolo di turno di cui fa propri i deliri per psittacismo.
Ovvio che l’insulto, meglio se in “rete” (che poi è sputo virtuale) e preferibilmente esternato su quel fumante letamaio che è diventato facebook, costituisce il momento cogente di tanto ardire.
Dell’insulto, Marziale fece la sua fortuna epigrammatica; Schopenhauer trasformò la pratica in un’arte, avendone ben chiari i limiti…
«Quando ci si accorge che l’avversario è superiore e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani, cioè si passi dall’oggetto della contesa (dato che lì si ha partita persa) al contendente e si attacchi in qualche modo la sua persona. […] Con quest’ultimo stratagemma si abbandona del tutto l’oggetto e si dirige il proprio attacco contro la persona dell’avversario. Si diventa dunque insolenti, perfidi, oltraggiosi, grossolani. Si tratta di un appello alle forze dello spirito, a quelle del corpo o dell’animalità. Questa regola è molto popolare poiché chiunque è in grado di metterla in pratica, e quindi viene impiegata spesso.»
Arthur Schopenhauer
“L’arte di ottenere ragione”
(Adelphi, 1991)
La novità consiste semmai nell’ammiccamento compiaciuto, nella reiterazione crescente dell’offesa che, nella vaghezza di contenuti e di rivendicazioni, si fa indistinta contro tutto e tutti, ma si alimenta di bersagli simbolici, di capri espiatori da linciare in effige per lo sfogo perverso di qualche pericoloso demente. Ed è grave quando l’esercizio si fa eterodiretto, con tanto di organizzazione ‘scientifica’ di una attitudine già di per sé piuttosto degradante per chi la ostenta.
Attualmente, il giochino in Italia è molto in voga ed è un ottimo aggregatore per chi, con ogni evidenza, non ha nient’altro da proporre in termini di idee e contenuti… La pratica orwelliana dei “due minuti d’odio” costituisce la specialità indiscussa della premiata ditta Grillo-Travaglio: il primo, con rubriche dedicate e gogne mediatiche appositamente organizzate in liste di proscrizione; il secondo, specializzato nel segnalare con editoriali all’olio di ricino il prossimo bersaglio da far bastonare alla banda del Grullo, che subito provvede a dare in pasto alle mute rabbiose dei suoi squadristi da tastiera con attacchi personali. Meglio se di natura sessista.
Il passaggio successivo (e quasi naturale in un clima di impunità nella recidiva) di questa vecchia pratica fascistoide, evoluta in intimidazione paramafiosa, è la minaccia di morte; o più spesso osservazioni sull’inutilità della vita (altrui), alla quale implicitamente si invita a porre fine.
Bisogna dire che in passato non è mai mancato chi, opportunamente incitato, è passato dalla teoria alla pratica…
Ma se il grillismo resta il campione insuperato dello squadrismo a mezzo internet, col suo duce esaltato che, dopo l’appello alle Forze Armate, adesso pretende di parlare alla nazione la sera di Capodanno al posto del Presidente alla Repubblica, che siccome non gli piace va processato per alto tradimento, una menzione speciale meritano pure le sottovalutate squadracce di nazi-animalisti che in queste ore (complice il clima natalizio) hanno riversato tutto il loro amore addosso a Caterina Simonsen, colpevole innanzitutto di essere viva e peggio ancora di essersi curata, invece che comprare pozioni magiche da qualche stregone alternativo.
Tra le infinite forme nelle quali si manifesta il disagio psichico in una società di alienati, nell’ambito del primitivismo ecologista, avevamo ingenuamente considerato le tribù animaliste di Vegani, Fruttariani, Vegetalisti, Crudisti, fino a quelli che camperebbero di sola aria (Breathariani), come uno dei tanti padiglioni per disturbati mentali che popolano la Libera Repubblica di Cazzonia.
Spesso e volentieri, animalisti dell’estremismo anti-specista sono destinati ad incontrarsi con gli sciatori chimici e complottisti fissati con il Signor Aggio, in quanto espressione di diverse patologie mentali per un’unica follia di sconsolanti cazzoni più o meno innocui.
Va da sé poi che certe intelligenze sono un prodotto dello spirito dei tempi che, a quanto pare, non ha niente di meglio da offrire…
Tuttavia, con ogni evidenza, non avevamo preso in debita considerazione il furore integralista degli “animalardi”, nei quali la cronica carenza di proteine si traduce in ben altre e più gravi deficienze.
La spedizione punitiva contro la povera Caterina ne è la dimostrazione più vile e feroce di questi ruminanti ingurgitatori di farro, che con i bovini condividono la dieta e la medesima intelligenza, se non fosse che le mucche sono molto più utili.
Di solito, nei casi più estremi, chi troppo ama gli animali odia per contro l’umanità, o buona parte di essa. Non per niente, SS-Totenkopfverbände ed i boia itineranti degli Einsatzgruppen adoravano i loro cani (come Hitler del resto, notoriamente vegetariano), mentre macellavano milioni di civili inermi.
Figuriamoci cosa accadrà quando questi picchiatori digitali si concentreranno sul fatto che Simonsen è un cognome “ebraico”!
D’altronde, qui abbiamo a che fare con disadattati gravemente disturbati che suddividono l’umanità in “onnivori”, “animalisti” e “specisti”. Assolutamente inadatti al consesso umano, il loro posto ideale sono le fogne dove troveranno in abbondanza quei ratti che tanto adorano.
Buon Anno Nuovo a tutti voi. E speriamo in meglio..!
Hit Parade del mese:

01. BIPOLARISMO
[12 Dic.] «Io sono bipolare»
(Maurizio Gasparri, il Disturbato)
02. CITRULLI A 5 STELLE: Che cos’è la democrazia?
[14 Dic.] «La dittatura è più onesta. Almeno lo sai, invece la democrazia italiana è subdola»
(Carlo Sibilia, Balilla a 5 stelle)
02.bis FAMOLO STRANO
[10 Dic.] «Discutere una legge che dia la possibilità agli omosessuali di contrarre matrimonio (o unioni civili), a sposarsi in più di due persone e la possibilità di contrarre matrimonio (o unioni civili) anche tra specie diverse purché consenzienti»
(Carlo Sibilia, Gangbanger)
02.ter C’È OCSE E OCSA
[01 Dic.] «Nei 24 paesi dell’OCSA siamo in fondo alle statistiche»
(Beppe Grillo, Merdone globale)
02.quater IL GIUDICE KAMIKAZE
[08 Dic.] «Mi chiedo sempre più spesso chi glielo ha fatto fare a Borsellino di farsi saltare in aria in Via D’Amelio»
(Beppe Grillo, Merdonissimo)
02.quinter PRANA-PIRLA
[03 Dic.] «Non credo nella reincarnazione, ma penso che ci siano dei cicli energetici. Piuttosto credo nel karma. Chissà cosa o chi ero prima di questa vita… Io ho pensato di farmi un’ipnosi regressiva per scoprirlo. Magari vieni a sapere che eri un supereroe dei fumetti»
(Federico Pizzarotti, il Sindaco)
03. USATO SICURO
[15 Dic.] «Siamo pronti a disubbidire, la Padania è pronta a disubbidire, abbiamo centinaia di sezioni pronte a essere centri di lotta e di controinformazione. Non ci fermiamo fino all’indipendenza. Chi arresta un nostro sindaco senza motivo deve cominciare ad avere paura. Chi attacca la Lega, chi attacca il Nord, deve cominciare ad avere paura. Possiamo fare la rivoluzione. E se facciamo il boom sarà l’inizio della fine dell’impero. Se stiamo insieme possiamo farcela contro il boia di Bruxelles e di Roma… Giornalisti, siete dei parassiti, andate affanculo!, ci avete ufficialmente rotto i coglioni!»
(Matteo Salvini, Avanzo di nuovo)
04. PERSECUZIONI
[05 Dic.] «Nelson Mandela ha fatto 27 anni di galera. Silvio Berlusconi ha fatto 20 anni di persecuzione. Tutti e due hanno combattuto grandi battaglie di libertà, opponendosi al Regime»
(Daniela Santanchè, l’Indecente)
05. GAYDOG
[07 Dic.] «Dudù è gay. Lo conosco molto bene, è molto effeminato. È un cane affamato di ribalta (…) È gay, sicuro. Poi lecca i piedi a Berlusconi, che è una cosa molto fetish»
(Alfonso Signorini, l’Intellettuale)
06. FORCONI D’ITALIA: le banane del ministro
[10 Dic.] «L’ho detto io, certo, che la ministra Kyenge dev’essere contenta per il lancio delle banane: le noci di cocco fanno male. Una banana non fa male, anzi può servire a molti usi. Le banane hanno il potassio, hanno un sacco di cose che ti danno energia. E possono essere usate in vari modi. Cicciolina ne sa qualcosa»
(Giorgio Masocco, il Forco-leghista)
06.bis FORCONI D’ITALIA: Autostop
[12 Dic.] «Io non ho una Jaguar, non ho proprio l’auto, quella Jaguar non era mia, non ho intestato nulla. E non era il mio autista, solo un amico che mi ha dato un passaggio. Era un camionista»
(Danilo Calvani, Er Jaguaro)
06.ter FORCONI D’ITALIA: Carboni ardenti
[05 Agosto] «Amo il reiki e cammino sui carboni ardenti. Sono il portavoce mistico del movimento dei Forconi»
(Andrea Zunino, il Portavoce)
07. I BUCHI NEL CERVELLO
[15 Dic.] «La cannabis, è scientificamente provato, fa i buchi nel cervello… Ricordate, il proibizionismo ha salvato il mondo!»
(Carlo Giovanardi, Salvator Mundi)
08. ELEVAZIONE AL CUBO
[06 Dic.] «Per il nostro simbolo abbiamo scelto una forma geometrica, il quadrato. Lati e angoli sono uguali. Richiama idea di uguaglianza, di merito… Da oggi il nostro colore è il blu, un colore che dà forza: è la forza del mare, è la bellezza del cielo, è il colore dei sogni di Mirò. È il colore della serenità e il colore di chi ha una grande speranza»
(Angelino Alfano, Vicepremier)
09. CHIARIMENTI
[02 Dic.] «Io non sono fascista. Sono mussoliniano.»
(Lele Mora, Fascista)
10. GARANZIE
[28 Dic.] «Non sono un ciarlatano»
(Davide Vannoni, il Filantropo)
I Fatti d’Opinione
Posted in Kulturkampf with tags Camille Desmoulins, Cultura, Fatti, Folla, Giornalismo, Giovanni Gozzini, Governo, Gustave Le Bon, Informazione, Jacques Hebert, Jean Paul Marat, Liberthalia, Manipolazione, Media, Opinione, Potere, Rivoluzione francese, Storia on 20 dicembre 2013 by Sendivogius“I giornalisti oggi svolgono una funzione pubblica: denunciano, giudicano, assolvono e condannano.”
Camille Desmoulins
Les Révolutions de France et de Brabant
(Nov.1789)
Tempo addietro, un noto polemista italiano, deprecando la “scomparsa dei fatti”, ebbe a scrivere su come in Italia le opinioni abbiano ormai la prevalenza sulla realtà, tramite l’interessata abolizione delle notizie, con una implicita quanto aspra contestazione dei salottini dell’approfondimento mediatico. Lasciamo perdere su come il medesimo abbia costruito la propria carriera giornalistica sulla costante manipolazione dei fatti, in funzione della propria interpretazione promossa a verità imprescindibile, diventando ospite fisso di un noto talk-show televisivo, dove il “fatto” (più che mai nella sua versione cartacea) è sempre speculare all’opinione e mai viceversa.
Il giornalismo politico è in fondo una rielaborazione degli eventi nella parzialità dei giudizi. Non che ci sia qualcosa di male in questo… L’importante è avere l’onestà intellettuale di ammetterlo. Non per niente, il genere si afferma, fino a diventare fenomeno di massa (che mira ad orientare), durante la Rivoluzione francese…
«Questo esercizio diretto di un ruolo politico mette capo ad una tipologia particolare di prodotto giornalistico. Rispetto alla raccolta ‘esterna’ di notizie, prevale nei fogli della rivoluzione francese l’esposizione di contenuti e idee che provengono dall’interno della redazione.»
Giovanni Gozzini
“Storia del giornalismo”
(Mondadori, 2000)
E nel vuoto istituzionale della Francia rivoluzionaria, dove il controllo della piazza si trasforma in potere, colui che è capace di orientare gli umori della folla ed eccitarne l’immaginazione, in fin dei conti, indirizza il corso degli eventi. O si illude di poterlo fare.
In tale ambito, certo giornalismo d’opinione, diventato ‘rivoluzionario’, non racconta più i fatti ma li crea, convinto com’è di esserne l’artefice e quindi di fare la storia. O almeno ciò avviene negli anni euforici dei suoi primordi…
«Nel novembre 1789, Camille Desmoulins, uno dei leader della folla che ha assaltato la Bastiglia, pubblica “Les Révolutions de France et de Brabant”, un settimanale che fin dal titolo esprime la coscienza storica dei mutamenti in atto. Desmoulins lo scrive quasi interamente da solo, forte di una solida cultura classicista che gli ispira una prosa ironica e controllata.
[…] Nel settembre del 1789 nasce un altro dei fogli storici della Rivoluzione: “L’Ami du Peuple” (l’Amico del Popolo). Jean Paul Marat, che lo dirige, è di quasi vent’anni più vecchio del trentenne Desmoulins: ha conosciuto gli Enciclopedisti, è stato seguace di Rousseau, ha scritto saggi filosofici, eppure il suo settimanale di otto pagine è più demagogico e sensazionalistico di quello di Desmoulins. È il classico esempio del nuovo tipo di giornalismo creato dalla Rivoluzione: quasi un volantino di agitazione, pressoché privo di informazioni, il cui scopo principale è fare appello alla mobilitazione contro coloro che di volta in volta sono indicati come i nemici del popolo. “Una lunga litania di invettive”, lo definisce Jeanneney [a sua volta autore di una “Storia dei media” n.d.r]. È la faccia più estrema del nuovo potere incarnato dalla stampa: la cultura della notizia è sostituita dalla propaganda strumentale.
Jacques Hebert invece viene dal popolo. Poco più vecchio di Desmoulins, è figlio di un orafo e ha fatto mille mestieri, anche la maschera in un teatro di varietà. È una lezione che non scorderà. Il periodico che fonda nel gennaio 1791 si chiama infatti “Le Père Duchesne”, e fa riferimento ad un personaggio proverbiale della cultura popolare parigina: una macchietta sempre pronta a scagliarsi contro l’ingiustizia. È un trisettimanale che cerca di mantenere linguaggio e ruolo simboleggiati nella testata. […] Il suo pubblico è principalmente composto da sanculotti, i plebei in pantaloni lunghi, ma la prosa violenta e talvolta sboccata del periodico riscuote successo anche tra i parigini più colti.»
Giovanni Gozzini
“Storia del giornalismo”
(Mondadori, 2000)
È superfluo ricordare che tutti quanti finiranno malissimo, chi sulla ghigliottina, chi assassinato a mollo in una tinozza, divorati impietosamente da quella rivoluzione che avevano creduto di poter cavalcare, schiacciati in “processi politici” che troppo spesso avevano evocato a sproposito. E con buona pace della libertà di stampa, che i governi “rivoluzionari” taglieranno via in fretta, insieme alle loro teste.
In tempi più recenti, la carica di certa “controinformazione” d’assalto si è depotenziata, risucchiata com’è nelle fumisterie degli imbonitori salottieri dei sedicenti programmi di approfondimento, che fluttuano nella vacuità parolaia dei campioni del presenzialismo televisivo, tra l’indifferenza generale ed i facili entusiasmi di un pubblico ristretto.
Sono coloro che, con curioso anticipo sui tempi, già Gustave Le Bon chiamava “meneur” (conduttore); termine che però può essere benissimo tradotto come “agitatore” e liberamente come “duce”.
«I meneurs tendono oggi a sostituirsi progressivamente ai poteri pubblici, nella misura in cui questi ultimi si lasciano indebolire. In virtù della loro tirannia, questi nuovi padroni ottengono dalla folle una docilità molto più completa di quella ottenibile da ogni governo.»
Gustave Le Bon
“Psicologia delle folle”
(1895)
Di solito, in un crescendo chiasmatico di indignazione telecomandata, si distinguono per l’assoluta irresponsabilità in merito agli effetti delle loro intemerate su un corpo sociale, facile all’eccitabilità perché debole nella riflessione, attraverso la continua rincorsa al sensazionalismo di eventi parcellizzati, ma gonfiati per opportunismo ed elevati in fretta a fenomeno ‘paradigmatico’. E nel farlo enfatizzano più che altro delle suggestioni, alle quali si vorrebbe attribuire un valore universale. Il caso dei “Forconi” è eclatante, nell’assoluta inconsistenza di un sedicente “movimento” inghiottito nel vuoto siderale della sua miseria.
Non di rado l’opinione, se ben strutturata su più vasta scala, diventa pressione organizzata. Ed è funzionale al consolidamento di un certo tipo di potere, a tutela di precisi interessi, in un gioco di sponda e di lobbies, in cui l’utile idiota “rivoluzionario” è sempre speculare al mantenimento del preesistente, in un eterno ritorno al sempre uguale, dove l’immobilismo è la migliore garanzia che tutto cambi perché rimanga com’è…
La nascita delle Laide Intese, la rielezione di un’ultraottuagenario alla Presidenza della Repubblica (di cui La Repubblica è il maggior sponsor), e le manovre dei ‘grandi’ quotidiani affinché ciò fosse possibile, ne costituiscono la perfetta riuscita per incisione sulle opinioni. Lo stravolgimento della Carta costituzionale e dello stesso assetto istituzionale, cortocircuitato nella monarchia presidenziale di una democrazia svuotata e sotto protettorato, sono le circonvoluzioni necessarie al mantenimento di uno statu quo che non si cura d’altro che preservare se stesso.
E ciò avviene a dispetto dei teatrini digitali dove si agitano i nuovi Exagérés del travaglismo hebertista, tra folle ringhiose e gli enragés pentastellati che di una simile cristallizzazione del reale, impantanato in un immobilismo chiamato “stabilità”, costituiscono la giustificazione perfetta, la scusa ideale che diversamente mancherebbe.
Per ogni “rivoluzione” fallita, c’è sempre una “restaurazione” perfettamente riuscita…
IL POPOLO DEI QUALUNQUE
Posted in A volte ritornano with tags Antipolitica, Borghesia, Ceti medi, Cultura, Democrazia, Fascismo, Folla, Fronte dell'Uomo Qualunque, Gente, Gino Germani, Guglielmo Giannini, Italia, Liberismo, Liberthalia, Messianismo, Movimenti, Partiti, Politica, Popolo, Populismo, Qualunquismo, Resistenza, Società, Sociologia, Tzvetan Todorov, Uomini politici, upp on 9 ottobre 2013 by SendivogiusAnno 1944, mentre infuria la seconda guerra mondiale, metà della Penisola italiana è ancora
sotto il tallone della dittatura nazifascista, e Benito Mussolini è il duce depotenziato di uno stato fantoccio al servizio di Hitler, nell’Italia liberata c’è già chi tuona contro i neonati partiti ed i “professionisti della politica”…
È un fatto che la libertà ritrovata e la restaurazione delle garanzie di diritto sciolgano sempre la favella agli opportunisti ed agli indignati dell’ultima ora che, con ogni evidenza, in ben altri frangenti non avevano avuto proprio nulla da obiettare o di che lamentarsi.
Sul vento mai sopito dell’antipolitica, l’istrione, il narciso egocentrico, trova sempre l’occasione per gonfiare le vele del malcontento popolare e dell’insoddisfazione diffusa, per trasformarle nell’energia propulsiva di movimenti a fortune variabili, con esistenze brevi e volubili come gli umori popolari dai quali attingono il proprio carburante elettorale. Perché come le mammelle avvizzite di una scrofa esamine, nella stragrande maggioranza dei casi, un “sistema” va bene fintanto che può elargire prebende a tutti, nutrendo la sue numerose ed avide cucciolate fino al prosciugamento. Ma si disprezza e si macella quando esaurisce le elargizioni. Allora, nella sua inutilità, diventa “casta” da rinnegare per generale autoassoluzione.
Nell’Italietta del dopoguerra queste istanze vengono riprese e in certo qual modo fatte proprie da Guglielmo Giannini, personaggio eclettico dalla personalità intraprendente. Di padre partenopeo e madre inglese, Giannini è a suo modo un artista ed un improvvisatore. Impresario, drammaturgo, commediografo, sceneggiatore, regista cinematografico, giornalista, scrittore… sperimenta generi diversi: dalla commedia teatrale, alla canzonetta popolare, passando per il genere poliziesco (proibitissimo sotto il fascismo), ai programmi radiofonici… il tutto reinterpretato in chiave conformista e all’insegna della massima leggerezza nel più totale disimpegno, onde riscuotere i successi di un pubblico di bocca buona e non incorrere in noie con la censura. Al regime fascista, Guglielmo Giannini si allinea per mera convenienza personale, ma con poca o nessuna convinzione ideologica. Cosa che gli permette di lavorare a Radio Tobruk ed ottenere i finanziamenti pubblici del Min.Cul.Pop.
La sua massima aspirazione è che non gli si rompa le scatole. Ne farà un paradigma di vita. Tuttavia, Giannini è destinato a legare il proprio nome ad un groviglio confuso di insofferenze e rivendicazioni astratte, demagogie spicciole e revanchismi protestatari; effimeri ma sempre fortunati, che verranno riassunti in un unico termine: qualunquismo.
Nell’inverno del ’44 nasce l’Uomo Qualunque (UQ): pubblicazione settimanale di satira, vagamente liberaleggiante, che guarda alla piccola borghesia impiegatizia e bottegara (che del fascismo fu l’ossatura) rimasta senza più riferimenti politici; strizza l’occhio ai nostalgici, pur prendendo formalmente le distanze dal regime, e trova nell’invettiva il suo punto di forza. L’Uomo Qualunque, di cui ovviamente Giannini è direttore e fondatore, è la sua creatura personale, l’altoparlante (oggi qualcuno direbbe “megafono”) col quale farsi interprete dei malumori della folla (la gente) e dei timori della borghesia (attualmente declinata come “ceto medio”), entrambe nobilitate per le loro meschinerie opportunistiche, la miseria morale e la pusillanimità attendista. Requisiti assurti a titolo di merito ed esibiti in trionfo, nell’eterna orgia auto-assolutoria che declina ogni responsabilità.
A tal proposito, le giaculatorie che Giannini urla dalle paginette del suo giornalino seguono uno schema preciso e sono sostanzialmente concentrate contro le tasse e il fisco, lo Stato e la Politica ritratta come una massa informe di ladri e voltagabbana. Gli strumenti preferiti della sua prosa, che non disdegna le campagne diffamatorie e gli attacchi personali ai limiti dell’infamia, sono l’insulto ed il dileggio di questo o quel personaggio pubblico, reo di non incorrere nelle simpatie dello strambo Savonarola. Il suo pezzo forte consiste nella sistematica storpiatura dei nomi dei suoi avversari. Si tratta di una pratica di derivazione squisitamente fascistoide, ma destinata ad avere grande successo in certo giornalismo d’assalto, molto in voga nelle attuali redazioni anti-ka$ta.
Ovviamente, il bersaglio preferito di Giannini sono i “politici”, che chiama UPP (uomini politici professionali) e contro i quali spara nel mucchio senza alcuna distinzione, nella vacuità fumosa di un termine onnicomprensivo.
«Che importa a noi dei vari upp più o meno personalmente probi e tutti egualmente e politicamente parassitari? Ciò che noi chiediamo, noi gente, noi Folla, noi enorme maggioranza della Comunità, noi padroni della Comunità e dello Stato, è che nessuno ci rompa i coglioni.»
Guglielmo Giannini
“La folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide”
Editrice Faro
Roma, 1945.
Il 27/12/1944 il direttore firma l’editoriale di apertura dove illustra le sue soluzioni e, senza falsi pudori, reclama un posto di governo per “un buon ragioniere”, sotto un titolo eloquente: IO.
«Questo giornale non è organo di nessun partito. Le vere forze politiche italiane non si sono ancora rivelate, come non si sono ancora rivelate le ben più importanti e decisive forze politiche europee. Non esistono partiti, ma programmi, ed anche abbozzi di programmi sui quali uomini volenterosi operano per formare dei partiti. Quei programmi son tutti affascinanti; le idee dalle quali nascono son tutte indubbiamente nobili; i propositi in cui si affermano e si concretano appariscono tutti indistintamente degni di lode. Libertà, giustizia, prosperità, sono generosamente promesse da tutti; e in teoria, non c’è che l’imbarazzo della scelta del più virtuoso fra tanti partiti tutti egualmente perfetti. In pratica assistiamo all’ignobile spettacolo di arrivismo spudorato, al brulicare d’una verminaia d’ambizioni, ad una rissa feroce per conquistare i posti di comando dai quali poter fare il proprio comodo ed i propri affari. Questa rissa, cui “L’Uomo Qualunque” non partecipa, si svolge tra gli uomini politici professionali che vivono di politica, che non sanno far altro che politica, e che per ragioni di pentola, hanno trasformato la politica in mestiere. Gli uomini politici professionali costituiscono un gruppetto d’una scarsa decina di migliaia di persone che tengono a soqquadro l’Italia litigando intorno a cinquecento posti di deputato, quasi altrettanti di senatore, circa mille altri cadreghini e canonicati diversi, che vanno da quello di primo ministro a quello di sindaco di centro importante, dell’incarico di ambasciatore alla sinecura di commissario più o meno straordinario.»
Giannini lusinga il suo orrido italiano medio, antropologicamente prevalente come i cretini che rappresenta, tramite una costante distorsione dei fatti e della realtà, giocando su un’ambiguità di fondo, che a tratti si fa ignobile quando parla della resistenza contro la dittatura fascista ed i valori del nascente Stato democratico.
«A causa della guerra fra questi diecimila uomini l’Italia non ha pace: perché alcuni di quei professionisti della politica potessero diventar ministri o altro, milioni d’italiani sono morti: ed altri moltissimi dovrebbero ancora morire perché un altro paio di dozzine di politicanti ottenga onori e prebende. La sproporzione è troppo forte. Da una parte 45 milioni di esseri umani, dall’altra 10000 vociatori, scrivitori, sfruttatori,
iettatori. L’enorme massa dei primi non deve più soffrire per colpa ed a causa della infima minoranza dei secondi. […] Il fascismo, che ci ha oppressi per ventidue anni, era una minoranza. Lo abbiamo combattuto con la resistenza passiva e lo abbiamo logorato, tanto che è andato in frantumi al primo colpo serio che gli anglo-americani gli hanno vibrato. L’antifascismo e il fuoriuscitismo hanno fatto enormemente meno. Salvo la modesta aliquota di illusi e di sinceri che non manca mai in nessun movimento politico – non è mancata e non manca nemmeno al fascismo per cui c’è ancora qualcuno che combatte e si fa fucilare – antifascisti e fuoriusciti erano e sono costituiti da “uomini
politici professionali” avversari e nemici degli “uomini politici professionali” che costituivano il fascismo. Dalle prigioni, dai luoghi di confino, dai grandi alberghi o dalle povere soffitte in terra straniera, questa minoranza non ha fatto, contro il fascismo, che una parte infinitesimale di quanto ha voluto e saputo fare l’Uomo Qualunque rimasto sotto il concreto giogo della tirannide fascista. Ritornati alla vita pubblica d’Italia con la vittoria militare anglo-americana come le mosche tornano alla stalla sulle corna dei buoi, antifascismo e fuoriuscitismo pretendono, come il fascismo, il diritto di fare una epurazione, ossia di sopprimere u.p.p. concorrenti e chiunque altro sia d’impaccio o fastidio. Contestiamo rivendicazione e pretesa: il fascismo ha offeso e ferito tutta la massa degli italiani, non soltanto gli antifascisti e i fuoriusciti. Sono i 45 milioni di esseri umani che hanno il diritto di fare giustizia, non una o più numerosa quota parte dei 10.000 politicanti ansiosi di rifarsi delle delusioni subite e delle occasioni mancate.»
Se ci fosse bisogno di dirlo, i “politici” (gli upp) sono la causa assoluta di ogni male passato, presente e futuro. Da questi ci può salvare solo un “ragioniere”, con vincolo di mandato.
«Dal 1898, ossia da quasi mezzo secolo, nel nostro paese si vive una vita d’inferno a causa della gelosia di mestiere fra i politici di professione. Rivolte, attentati, scioperi, agitazioni, inflazione industriale, caro-vita, interventismo, crisi del dopo-guerra, speculazione sulla crisi, fascismo, aventinismo, fuoriuscitismo, dittatura, guerre per consolidare la dittatura, catastrofe per liberarcene, sono, per tutti gli italiani, conseguenze del rabbioso litigio di 10000 pettegoli. Siamo finalmente rovinati: che cos’altro vogliono da noi gli autori di tutti i mali? Che sopportiamo esperimenti, che altri pazzi provino sulle nostre carni le loro teorie per vedere se son buone o cattive come si trattasse di fare una sigaretta con le cicche, ché tanto, in caso di insuccesso, si possono fumare nella pipa? Noi non abbiamo bisogno che d’essere amministrati: e quindi ci occorrono degli amministratori, non dei politici. Ci vogliono strade, mezzi di trasporto, viveri, una moneta modesta ma seria, una politica rispettabile che ci renda sicuri dello scarso bene rimasto, e ci incoraggi a crearne dell’altro liberandoci dal timore di potere esserne spogliati da nuovi brigantaggi di stato-partito. Per fare questo basta un buon ragioniere: non occorrono né Bonomi né Croce né Selvaggi né Nenni né il pio Togliatti né l’accorto De Gasperi. Un buon ragioniere che entri in carica il primo di gennaio, che se ne vada al 31 di dicembre, che non sia rieleggibile per nessuna ragione. Siamo disposti a chiamarlo anche re o imperatore: a patto che cambi ogni anno e che, una volta scaduto dalla carica, non possa ritornarvi almeno per altri cinque.»
Con siffatto editoriale, il primo numero è un successone destinato a ripetersi e crescere ad ogni successiva pubblicazione. In varie città d’Italia iniziano a nascere gruppi che si definiscono “Amici dell’Uomo qualunque”, costituiti in un nascente movimento anti-partiti che ha uno slogan originale:
“né destra né sinistra, ma avanti”
Con simili incoraggianti premesse, dinanzi al “grido di dolore” che si leva alto dalla pancia profonda del Paese, Giannini inizia a pensare di scendere nell’agone politico.
“Basta con i partiti! Riprendiamoci il Paese!
Come vogliamo chiamare il movimento? Partito? Unione? Associazione? Lega? Società civile? In qual modo ci proponiamo di raggiungere l’obiettivo di vivere come ci pare senza che nessuno ci scocci l’anima?”Guglielmo Giannini
“Grido di dolore”
“L’Uomo Qualunque”; Anno II, n.25
(08/08/1945)
In anticipo sui tempi, organizza un suo “Staff” e, non disponendo di un blog, invita i suoi lettori a inviargli per iscritto consigli e suggerimenti per la scrittura di uno statuto. L’iniziativa culminerà nella fondazione del “Fronte dell’Uomo Qualunque” (07/11/1945), contraddistinto da una imbarazzante inconsistenza programmatica, fondata tutta sull’antipolitica, la vacuità delle rivendicazioni e le ambiguità ideologiche, nell’assoluta incapacità di costituire un gruppo dirigenziale. Giannini rasenta l’infantilismo, in un susseguirsi di contraddizioni e demagogia. tuttavia pensa in grande e coi primi successi elettorali si monta subito la testa:
«Il solo vero “partito di massa” esistente in Italia è l’Uomo Qualunque, stufo, stanco, sfiduciato dai politici professionali di qualsiasi colore. La borghesia, unica vittima del politicantismo di professione, che nessun partito difende, che nessun sindacato protegge, che tutti sfruttano, che per tutti paga con la vita e con le tasse, che forma la categoria più vasta e più forte, più intelligente e più ricca di risorse, e di capacità di lavoro, ridotta alla disperazione e messa con le spalle al muro, ha finalmente deciso di non lasciarsi uccidere, e solo schierandosi ha rivelato innanzitutto a se stessa la sua forza.»
G.Giannini
“Il Partito dei senza partito”
U.Q. (15/08/1945)
L’Uomo Qualunque comincia ad attrarre vecchi nostalgici, avanzi assortiti di cetomediume, e opportunisti di ogni risma, pescando voti a man bassa nel sottoproletariato urbano (a Roma e Napoli) e tra gli strati più reazionari della plebe meridionale. Nel Sud, alle elezioni del 1946, raggiunge punte del 20% ed oltre, soprattutto in Sicilia (25% a Palermo) ed in Puglia, per sgonfiarsi ancor più in fretta e scomparire in meno di due anni.
Ma si tratta di un fiume carsico, che si nutre di mille rivoli diversi, pompato da un malcontento spesso indefinito ma sempre persistente nel sottobosco dell’italico provincialismo, geneticamente insofferente ai cambiamenti, appagato com’è della sua intrinseca mediocrità. Si alimenta di insofferenze contestatarie e luoghi comuni, in un miscuglio di istanze dalle matrici ideologiche sempre più diluite ma tutte tendenti al nero. Di tanto in tanto rifluisce all’esterno in pozze più o meno estese, scorrendo in parallelo alla fiumana di quello che già Gino Germani indicava come nazional-populismo: bacino nel quale spesso e volentieri confluisce, per gonfiarsi regolarmente ad ogni periodo di crisi.
Il populismo, comunque lo si declini, gioca sulle sfumature, predilige l’iperbole, e preme sulla sua carica anti-sistema in funzione messianica. E d’altronde il “messianismo” di cui si nutre è una forma primitivizzata e irrazionale di ducismo; dunque costituisce una variante del fascismo.
In proposito, Cvetan Todorov, semiologo francese di origine bulgara, pone l’attenzione su come populismo, ultraliberismo, e messianismo, siano ad oggi i nemici più pericolosi e subdoli (perché interni) che le democrazie occidentali abbiano mai affrontato.
Nella fattispecie, il populismo:
«E’ presente ogni volta che si pretende di trovare soluzioni semplici per problemi complessi, proponendo ricette miracolose all’attenzione distratta di chi non ha tempo per approfondire. Può essere sia di destra sia di sinistra, ma propone sempre soluzioni immediate che non tengono conto delle conseguenze a lungo termine. Preferisce semplificazioni e generalizzazioni, sfrutta la paura e l’insicurezza, fa appello al popolo, cortocircuitando le istituzioni. Ma la democrazia non è un’assemblea permanente né un sondaggio continuo.»
Tzvetan Todorov
“I nemici intimi della democrazia”
Garzanti, 2012.
Nella persistenza sistemica della crisi attuale, questi tre elementi (populismo; ultraliberismo; messianesimo) se non contrastati con fermezza, possono provocare un cortocircuito permanente.
Flussi e Riflussi
Posted in A volte ritornano with tags Anomia, Beppe Grillo, Corruzione, Folla, Gad Lerner, Gustave Le Bon, Italia, Liberthalia, Massa, Plebe, Popolo, Rabbia rassegnata, Seconda Repubblica, Silvio Berlusconi, Società on 15 febbraio 2013 by SendivogiusItalia 1993-2013. La sedicente ‘Seconda Repubblica’ si conclude così com’era cominciata: travolta dagli scandali e dalla corruzione, sulla scia di una nuova crisi economica. Tangenti SAIPEM e Finmeccanica; saccheggio indiscriminato dell’erario pubblico, con la devastazione del Sanità pubblica; i casi abnormi con le malversazioni in Lombardia e Lazio e Sicilia, in una sequela potenzialmente infinita…
La presunta ‘Terza Repubblica’ non sembra promettere auspici migliori.
La raffica di scandali bancari dallo IOR ad MPS, passando per la Banca Popolare di Milano, ricordano per molti aspetti il caso della “Banca Romana” (e siamo nel 1893!), con il crollo di un’intera classe politica e l’instaurazione di una serie di governi autoritari che condussero il Paese in disastrose avventure coloniali ed alla macelleria della Prima Guerra Mondiale, seminando i germi per l’ascesa del fascismo.
In tempi attuali, la fine del Ventennio berlusconiano si trascina agonizzante nel peggiore dei modi, senza risparmiarci l’imbarazzo degli ultimi sussulti prima della dipartita, col suo principale protagonista ridotto a mascherone funebre di se stesso. Non poteva mancare certo il testamento politico di questo gangster recidivo, che si reinventò “statista” e si impose come un vecchio sudicione. A imperitura memoria del suo operato, ci lascia un surreale elogio della corruzione, con istigazione a delinquere.
Nata sulla scia di “Tangentopoli”, la seconda Repubblica non ha debellato la corruzione, esplosa piuttosto a livelli mai visti. A cambiare è stata la percezione della medesima, nel frattempo diventata sfrontata nella certezza dell’impunità e nell’esibizione sguaiata del bottino, da parte di una oligarchia di parvenu al potere, senza altro titolo di merito se non l’arroganza e l’accumulazione compulsiva della “robba”.
A saltare sono stati i freni inibitori, gli anticorpi sociali, di un Paese invecchiato e immiserito moralmente da una mutazione antropologica regressiva. In questo, se l’Italia sembra imprigionata senza soluzione di continuità, in una sorta di loop temporale dall’eterno ritorno al sempre uguale, ad essere cambiati sembrano essere invece gli italiani (e non in meglio): incattiviti e soprattutto incarogniti; essendo passati troppi in fretta dallo sghignazzo al pianto, ma sempre inclini alla lagna.
Capita così di assistere al passaggio di consegne da un venditore di sogni ad un mercante di incubi, che lucra sulle ansie e le paure di un popolo allo sbando, blaterando di guerre mondiali e complotti.
Adesso, in merito alla situazione generale, si fa un gran parlare di “miscela esplosiva”, di “polveriera sociale”, e di altre pirotecniche metafore per descrivere una condizione ed una serie di sentimenti diffusi ma inespressi.
Con grande lucidità, Gad Lerner (29/01/13) ha parlato in proposito di “rabbia rassegnata”, come fenomeno introspettivo di vuoto permanente, nell’incapacità di uno sbocco propositivo e compartecipato:
«Nessuna pulsione rivoluzionaria. Manca fra noi l’orizzonte del rovesciamento delle gerarchie, dei dogmi classisti e tanto meno dei rapporti di produzione. La furia si ripiega su se stessa, fino a bruciare l’anima in cui s’è accesa.»
Ed è una “furia” senza sbocchi apparenti, circoscritta com’è ad una mera sommatoria di recriminazioni individuali e frustrazioni egoistiche di piccoli borghesi insoddisfatti e ancor più terrorizzati di retrocedere nella graduatoria sociale: il metro privilegiato con cui sembrano misurare le proprie azioni.
Tali sentimenti “delineano una rabbia debole che sembra ovattata. Rabbia di lamento e di protesta; rabbia gracile…. Un malessere sordo, difficilmente esprimibile in senso di comunità”.
Più modestamente, a noi sembra un rimestaggio di vecchi umori e pulsioni irrazionali, tipico di ogni momento di crisi in tempi di transizione. Non c’è niente di nuovo in una plebe, che sembra incapace di elevare lo sguardo al di sopra del proprio ombelico. Non v’è alcunché di ‘rivoluzionario’ in una “massa” che, lungi dall’essere critica, è più che altro sovrapposizione caotica di rancori, espressi nell’anonimato collettivo, e che per farsi coraggio diventa “folla” indistinta (la famosa gggente che non ce la fa più). Da sedurre e manipolare. La procedura, a livello psicologico, era già nota a personaggi del calibro di Gustave Le Bon (ne avevamo parlato QUI). Da allora non molto è cambiato.
In definitiva, il prodotto pare costante nel tempo, riproponendosi immutato con gli stessi meccanismi a cadenza ciclica, secondo schemi collaudati dalla consuetudine e da elementi peculiari che sembrano resistere intatti.
In una prospettiva diametralmente opposta, per fare un esempio, ci hanno ironizzato sopra con sarcasmo polemisti della caratura di un Curzio Malaparte [QUI] o Antonio Gramsci [QUI], abituati a confrontarsi con le piccole meschinità di un popolino più avvezzo alle piazze che alla coscienza di sé, alle rappresentazioni teatrali da avanspettacolo [QUI] piuttosto che alla drammaturgia corale.
Oggi la non-mobilitazione può contare sull’illusione di farsi coscienza e “partecipazione” nell’anomia diffusa di rassicuranti limbi virtuali, tanto accattivanti quanto fittizi, che pongono seri limiti ed un monito a chi cerca di convogliarne le potenzialità verso una prospettiva più ampia di coinvolgimento…
«Sul web ciascuno può scrivere la sua invettiva e provare la falsa ebbrezza di far parte di una collettività, riunita da migliaia di ‘mi piace’ o anche solo dalla cancellazione del nemico. Galvanizzata dalla capacità di leader virtuali che sublimano in decibel privi di sonoro il disagio, la protesta, la denuncia. Ma vuoi mettere la soddisfazione di avergliele cantate – col nickname che preserva il tuo anonimato – al bersaglio del momento? Fin troppo ovvio è riconoscere in Beppe Grillo il re di queste innocue maledizioni, portavoce di una rabbia tradotta in grossolani calembour o sotto forma di invettiva scurrile. Capita a tutti noi di provare ammirazione per la creatività in rete, senza accorgerci di come essa ci imprigioni in una solitudine, per l’appunto, rabbiosa.
(…) Recitare l’indignazione è l’ultima specialità di troppi conduttori televisivi benestanti, ma è anche il nuovo business dei falsi portavoce del popolo. Basti pensare a Beppe Grillo (…) Lui è il capoccia degli arrabbiati. Non esprime l’ira di Dio né una aspirazione di giustizia sociale, ma solo la miseria di un cattivo sentimento deprivato della speranza.»
Anatomia 5 Stelle
Posted in Muro del Pianto with tags Beppe Grillo, Casaleggio Associati, Casta, Democrazia, Enrico Sassoon, Fascismo, Folla, George Orwell, Gian Roberto Casaleggio, Giorgio Napolitano, Libertà, Liberthalia, M5S, MoVimento 5 stelle, Partecipazione, Partiti, Plebe, Popolo, Presidente della Repubblica, Setta on 17 agosto 2012 by SendivogiusParlare del M5S è inutile. Innanzitutto, perché il MoVimento non esiste; in quanto si tratta di un marchio ad uso esclusivo e protetto dal diritto di copyright,
“abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo,
unico titolare dei diritti d’uso dello stesso”
Non è un’associazione, non ha una sede definita, non ha un vero statuto fondativo, non ha una reale base di valori condivisi, non ha un coordinamento policentrico, non prevede organi di rappresentanza condivisi, né reali assemblee di partecipazione democratica e consigli di autogestione orizzontale.
«Il “MoVimento 5 Stelle” è una “non Associazione”. Rappresenta una piattaforma ed un veicolo di confronto e di consultazione che trae origine e trova il suo epicentro nel blog http://www.beppegrillo.it.
La “Sede” del “MoVimento 5 Stelle” coincide con l’indirizzo web http://www.beppegrillo.it.
I contatti con il MoVimento sono assicurati esclusivamente attraverso posta elettronica all’indirizzo MoVimento5stelle@beppegrillo.it.»
Dunque, il M5S è una proprietà ed in quanto tale appartiene a Beppe Grillo.
Essendo una entità di natura privatistica a carattere individuale, non prevede regolamenti certi né norme predefinite sulle modalità di adesione. Strutturata come un social network, risponde più che altro a policy di ammissione piuttosto vaghe. E soprattutto non deve rendere conto delle espulsioni, concepite come un annullamento dell’account di registrazione.
“La partecipazione al MoVimento è individuale e personale e dura fino alla cancellazione dell’utente che potrà intervenire per volontà dello stesso o per mancanza o perdita dei requisiti di ammissione.”
Ora, questo non sarebbe certo un problema se il M5S, nell’ambito del blog del suo patrono e padrone (e dunque Grillo), non pretendesse di essere:
“lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promosse da Beppe Grillo così come le proposte e le idee condivise nell’ambito del blog http://www.beppegrillo.it, in occasione delle elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica o per i Consigli Regionali e Comunali.”
Nella fattispecie, questa idea di democrazia lineare, a partecipazione diretta su piattaforma virtuale, si traduce, forse per i limiti intrinseci al narcisismo del personaggio, in una vetrina autoreferenziale (effetto quasi inevitabile per un blog) per le frustrazioni ossessive ed i fermenti populistici del (presunto) Autore, nella formula prevalente del monologo proteso in assolo.
Più che “un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico”, esiste una sola Opinione: quella di Beppe, insindacabile e imprescindibile; l’unica che conti veramente.
Speculare alla psicologia, ed al livello culturale, del vecchio guitto genovese, nel suo insieme il blog risulta essere un imbarazzante accozzaglia di incongruenze e luoghi comuni, oramai strutturate in un’incredibile fucina di castronerie a getto continuo, dove alla coerenza narrativa si predilige il turpiloquio reiterato in un martellante livore “anti-casta”, in cui ogni cosa viene semplificata.. sminuzzata.. e ridotta in una poltiglia qualunquista. Il tutto speculare ad una formazione scolastica di base, dove il titolo di studio prevalente è il diploma di perito tecnico. Il ché non vuol essere certo un insulto, ma un modo per sottolineare come l’assenza di un approccio umanistico ai problemi, analizzati nella loro complessità sociale, sia una carenza evidente aggravata da una notevole insipienza culturale.
La rete è piena di esempi simili… Non ci spenderemmo sopra nemmeno due righe, se questo non fosse il ‘meglio’ che in Italia la società (in)civile sia riuscita a produrre, in risposta al berlusconismo ed alla crisi dei partiti, nel meteorismo congenito di ventri troppo gonfi e teste irrimediabilmente vuote. Il sonno della ragione genera mostri, ma l’ignoranza è la loro levatrice.
Una Non-Democrazia
Lungi dall’essere uno strumento aperto di democrazia partecipata, la struttura assomiglia a quella di una setta: c’è un guru (Beppe Grillo); un mentore spirituale (GianRoberto Casaleggio); una folla anonima ed entusiasta di adepti fanatizzati dal verbo del profeta.
Va da sé che l’unico canale d’informazione consentito è il blog medesimo ed i link eventualmente consigliati dallo stesso. Ogni altra eterodossia non è ammessa, né ai grillini interessa più di tanto.
A cadenze regolari, la diarchia celeste Grillo-Casaleggio sceglie il target del giorno, meglio se si tratta di qualcuno con rilevanza pubblica, che ha osato criticare il MoVimento o pronunciare il nome di Grillo invano. Additato il bersaglio alla furia popolare, i neofiti della setta si scagliano nel linciaggio virtuale dell’eretico, in un crescendo di insulti e grevità oscene ai limiti della paranoia, in una sorta di catarsi collettiva.
C’è qualcosa di orwelliano in un simile meccanismo, che a tratti ricorda il “Programma dei Due Minuti d’Odio”:
«La cosa orribile dei Due Minuti d’Odio era che nessuno veniva obbligato a recitare. Evitare di farsi coinvolgere era infatti impossibile. Un’estasi orrenda, indotta da un misto di paura e di sordo rancore, un desiderio di uccidere, di torturare, di spaccare facce a martellate, sembrava attraversare come una corrente elettrica tutte le persone lì raccolte, trasformando il singolo individuo, anche contro la sua volontà, in un folle urlante, il volto alterato da smorfie. E tuttavia, la rabbia che ognuno provava costituiva un’emozione astratta, indiretta, che era possibile spostare da un oggetto all’altro come una fiamma ossidrica. Così, un istante dopo, l’odio di Winston non era più rivolto contro Goldstein, ma contro il Grande Fratello, il Partito e la Psicopolizia. In momenti simili il suo affetto andava a quel solitario e deriso eretico sullo schermo, difensore unico della verità e della sanità mentale in un mondo di menzogne. Passava un altro istante, e Winston si ritrovava in perfetta sintonia con quelli intorno a lui e tutto ciò che si diceva di Goldstein gli sembrava vero. Allora l’intimo disgusto che avvertiva nei confronti del Grande Fratello si mutava in adorazione e il Grande Fratello pareva sollevarsi ad altezze vertiginose, protettore invincibile e impavido, immoto come una roccia davanti alle orde dell’Asia, e Goldstein, a dispetto del suo isolamento, della sua impotenza e dei dubbi che avvolgevano la sua stessa esistenza, appariva come un sinistro incantatore, capace di abbattere l’edificio della civiltà con la sola forza della sua voce. In qualche momento era perfino possibile dirigere il proprio odio da una parte all’altra, assecondando un atto libero della volontà.»
George Orwell, “1984”
Mondadori; 2002
Di tanto in tanto, il post del giorno viene arricchito con annunci del tipo:
“Tizio non ha mai fatto parte del M5S”;
“Si diffida Sempronio dall’usare il contrassegno”;
“Da oggi Caio è fuori dal MoVimento”.
Senza che mai venga fornito uno straccio di motivazione all’espulsione, un cenno su chi siano e cosa mai abbiano fatto di così grave Tizio e Caio e Sempronio.
Beppe Grillo lancia l’anatema; gli adepti provvedono ad eseguire la fatwa, apponendo la lettera scarlatta sul petto del proscritto.
Non è prevista alcuna difesa, né possibilità di appello, tanto meno una qualche forma di consultazione collettiva: congressi, assemblee, collegi, sono roba vecchia da partiti, rigurgiti di “casta”. Il MoVimento ne è immune: uno vale uno e Beppe decide per tutti.
Nel corso della Storia, persino gli autocrati peggiori si sono sentiti in dovere di fornire una giustificazione (seppur falsa) alle loro sentenze di epurazione. Grillo invece no, non corre di questi problemi. È la nuova democrazia 2.0.
Ho visto la luce!
Nel mondo semplice ed elementare dei grillini, la risoluzione dei problemi è rimessa alle aspettative messianiche del MoVimento, che come tutte le sette promette la salvezza eterna ai suoi adepti: affidatevi a noi, dateci la maggioranza, e tutti i problemi svaniranno per divina intercessione. Non chiedeteci come, perché gli altri sono peggio. Se non ci votate allora meritate ogni male e i malanni che si abbatteranno sull’Italia saranno la giusta punizione per voi miscredenti.
E in una sorta di presunzione auto-assolutoria ci si illude possa esistere una cesura morale tra elettori ed eletti, nella distinzione tutta fittizia tra “popolo” e “casta” come se in una democrazia elettorale le due categorie non fossero strettamente interconnesse e speculari l’una con l’altra. Secondo un vecchio aforisma, il 30% dei parlamentari sono peggiori dei loro elettori, un altro 10% è migliore, il 60% è perfettamente uguale a chi li elegge. Il flusso delle percentuali può cambiare, ma la sostanza rimane immutata.
La visione politica del M5S invece è totalmente manichea, in una separazione netta tra buoni e cattivi, salvati e dannati, contrapposti nella logica del “chi non è con me è contro di me”.
Da questo punto di vista, Grillo ha una visione totalitaria della società: se non piace a Lui, se non rende conto al MoVimento (cioè a Lui medesimo), è indissolubilmente un Nemico. Nell’antitesi non sono previste eccezioni.
In un’orgia compiaciuta, avendo ben poco da proporre, è contro tutti e tutto: i ‘Politici’, i ‘Partiti’, i ‘Sindacati’, ‘l’Agenzia delle Entrate’ e le ‘tasse’, i ‘Giornalisti’ e i ‘Media’ (e persino le Olimpiadi), il ‘Presidente della Repubblica’…
A quest’ultimo proposito, la virulenta campagna imbastita contro Giorgio Napolitano dal duetto al ribasso di Beppe Grillo e Antonio Di Pietro (il quale evidentemente ignora che non c’è posto per due prime donne sullo stesso palco) è semplicemente VOMITEVOLE, per modalità, allusioni, e contenuti.
Su queste pagine non sono mancate critiche al presidente Napolitano, ma mai ci si era compiaciuti nelle forme che rasentano il villipendio.
Una delle vette più alte viene raggiunta da Grillo il 09/08/2012, in occasione del sondaggio sul “peggior Presidente della Repubblica”. La maggior parte dei votanti non va più indietro della presidenza Ciampi, fino a toccare percentuali irrisorie nel caso delle tre ‘presidenze moderate’: Gronchi. Segni, e Saragat. Evidentemente, i citrulli analfabeti raggrumati attorno al tribuno ligure non hanno la più pallida idea su chi siano.
“Per diventare presidente della Repubblica è necessario disporre di alcuni requisiti: avere una certa età, meglio se alle soglie della senescenza, essere di sesso maschile, disporre di una laurea (obbligatorio!), aver fatto militanza politica in un partito e aver vissuto di stipendi pubblici per quasi tutta la vita”
Per scadere sullo stesso piano, si potrebbe obiettare a Grillo quando mai lui abbia lavorato in tutta la sua vita…
Ma qui emerge un altro elemento speculare del M5S: il totale disprezzo per chiunque lavori nella Pubblica Amministrazione, negando ogni dignità professionale alla categoria. Secondo molti adepti del MoVimento, la soluzione consiste nel tagliare e chiudere più enti e strutture pubbliche possibili, licenziare tutti i dipendenti. Pensano che senza fondi, senza strutture e senza personale, il servizio funzioni da sé, per divina provvidenza e risparmio assicurato.
Naturalmente, il lavoro superfluo, inutile, parassitario, è sempre quello degli altri… I nostri eroi stellati rispondono invece a rigorosi principi meritocratici, che li autorizzano a stilare pagelline di valutazione su chiunque altro.
“La laurea in giurisprudenza è la più ricorrente, gli ultimi cinque presidenti si sono laureati in questa disciplina. Ingegneri, fisici, matematici e, in genere chiunque abbia conseguito un titolo scientifico, sono esclusi dalla competizione presidenziale.”
Fino a prova contraria, il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione, presiede il Consiglio Superiore della Magistratura, firma le leggi e vaglia l’attività normativa della Camera…
È OVVIO che debba essere laureato, possibilmente (se non obbligatoriamente) in Giurisprudenza. Qualcuno farebbe mai costruire ponti ad un avvocato? Affiderebbe ad un giurisperito la realizzazione di un reattore nucleare?!?
Epperò, come prossimo presidente, facciamo in modo che venga eletto un ragioniere. Meglio se di Genova…!
Evidentemente, in un delirio di onnipotenza, Grillo crede che il mondo giri attorno a lui.
Altrimenti, impiegherebbe le pagine del suo blog per avanzare proposte e soprattutto per illustrare le attività, le iniziative, e gli eccezionali risultati dei sindaci e dei rappresentanti 5 stelle là dove sono stati eletti. Invece, a corto di risultati da esibire, preferisce scatenare roboanti offensive alla ricerca di sempre nuovi nemici, in un emblematico vuoto programmatico e di riscontri.
In fondo, e lo scrive anche l’amico Casaleggio, “Siamo in guerra”. In altri tempi, qualcuno formulò un approccio simile alla politica e lo chiamò “Mein Kampf”.
Il Mondo di Domani
Sostanzialmente, l’impianto in apparenza liquido di un presunto esperimento di democrazia lineare (in realtà non è l’uno né l’altro) è opera della sapiente organizzazione dei Casaleggio: il lato oscuro della forza di Beppe Grillo.
È difficile prendere sul serio i proclami del Grillo; non si capisce mai bene se sia davvero farina del suo sacco o frutto della regia della Casaleggio Associati….
Su Gianroberto Casaleggio gira in rete un incredibile bolo di panzane cospirazioniste, che non è nemmeno il caso di riportare tanto sono idiote… Grande scalpore ha suscitato nel sottobosco complottista il fatto che uno dei principali soci di Casaleggio, il manager Enrico Sassoon, guidi la Camera di Commercio USA (noto covo di rettiliani in missione segreta), ovvero l’equivalente della nostra Confcommercio.
Si tratta di una cosa davvero inaudita per un professionista esperto in studi economici, che lavora in un’azienda con importanti partecipazioni nel mercato statunitense.
Invece, a Gianroberto Casaleggio si rimprovera sostanzialmente di essere un uomo di cultura, di leggere Chrétien de Troyes, con una predilezione per i romanzi del Ciclo Bretone. I soliti idioti hanno speculato su chissà quale legame occulto con questo o quel movimento esoterico…
In realtà, Casaleggio è un creativo. E, come tutti i grandi innovatori, è soprattutto un visionario. Il problema consiste nel fatto che tende un tantino ad esagerare, travestito da tecno-santone. Pensoso scrittore sui destini del web, nel tempo libero Casaleggio si atteggia a veggente, realizzando filmini indimenticabili:
La versione originale la trovate QUI.
Le teorie del buon GianRoberto sembrano un incrocio fantasy tra le opere di Aldous Huxley ed “I Cieli di Escaflowne”, per un ombroso bambinone mai cresciuto abbastanza.
Tra le tante invenzioni dell’intraprendente Casaleggio Associati, c’è pure la famosa “Mappa del Potere”:
Lo scoppiettante GianRoberto, oramai sempre più impegnato a costruire la propria “leggenda nera” in chiave mitopoietica, gioca coi paradossi, fornendo ai complottisti le prove farlocche per le loro farneticazioni cospirazioniste. E ne alimenta ad arte le ossessioni di un millenarismo apocalittico. Sono cortine fumogene di un caos apparente di cui GianRoberto è convinto di avere le chiavi ed il controllo, mentre dispone le sue pedine su di una scacchiera virtuale atteggiandosi a demiurgo del nuovo Ordine. Immaginiamo che si diverta un mondo…
A volte si ha la sensazione che si tratti di un enorme scherzo e che il gioco finirà, quando verrà a noia del geniale GianRoberto conquistato ad altri passatempi.
Diversamente fascista
Poi, è chiaro, ognuno deve gestire la materia prima che si ritrova tra le mani…
I cosiddetti “portavoce” di un movimento completamente privo di coordinamento, con cellule scalcinate alla ventura dell’improvvisizione, sono solo una proiezione olografica del Grillo-pensiero: fanno quasi tenerezza nelle loro continue profferte di fedeltà al Capo, coi loro incerti passetti eterodiretti dai consulting della Casaleggio. A vederli schierati in campagna elettorale, sorridenti e imbambolati, sopra il palco e alle spalle del Profeta invasato, sembrava di assistere ad una rassegna di marionette nel teatro dei pupi, in attesa che il Mangiafuoco ligure ravvivasse le sue creature tirandone i fili.
Quando agiscono motu proprio, la confusione regna sovrana…
Nel gran calderone del M5S, si ritrova un po’ di tutto: radicali in libera uscita, leghisti in fuga, orfanelli berlusconiani e dipietristi delusi, ex piddini in crisi di rigetto e sinistrati variamente assortiti. È collettore di frustrazioni prima ancora che di idee.
Tutti si riempiono la bocca con la parola “popolo”, surrogato in una massa informe di umori condivisi, ma il substrato prevalente è di tipo fascistoide.
«Il fascismo è una mentalità speciale di inquietudini, di insofferenze, di audacie, di misoneismi, anche avventurosi, che guarda poco al passato e si serve del presente come di una pedana di slancio verso l’avvenire. I melanconici, i maniaci, i bigotti di tutte le chiese, i mistici arrabbiati degli ideali, i politicanti astuti, gli apostoli che fanno i dispensieri della felicità umana, tutti costoro non possono comprendere quel rifugio di tutti gli eretici, quella chiesa di tutte le eresie che è il fascismo. È naturale, quindi, che al fascismo convergano i giovani che non hanno ancora un’esperienza politica e i vecchi che ne hanno troppa e sentono il bisogno di rituffarsi in un’atmosfera di freschezza e di disinteresse.»
(“Verso l’azione” in Il Popolo d’Italia – 13/10/1919)
Si ravvisa nella maggior parte dei commenti presenti sul blog la stessa insofferenza viscerale contro la Cultura e il disprezzo profondo che ogni fascista verace ha per l’intellettuale.
C’è la stessa carica anti-sistema, rigettato nella sua totalità, e semplificato nella crociata radicale contro la “casta” che, all’atto pratico, si traduce in un mero riepilogo contabile dei costi, contro i quali si concentrano le invettive che non vanno oltre l’offesa personale, gli isterismi condivisi tramite un esasperato squadrismo verbale, e nulla più.
Una componente tipicamente fascista risiede nella retorica giovanilistica, che nel caso del grillismo si alimenta con una esasperata contrapposizione tra ‘giovani’ e ‘vecchi’; l’insistenza con cui si ricorre alle metafore necrofile: gli zombie, la putrefazione, la decomposizione… ad evocazione di un marciume orrido e contaminante in cui nulla può salvarsi.
C’è poi il ricorso estenuante alla definizione di un Nemico da combattere ad oltranza… È ricorrente la sindrome del complotto… i richiami ad un vittimismo esasperato…
«Da mesi, con un ritmo sfiancante, i quotidiani, e le testate on line che vivono di notizie “copia e incolla” e rimbalzano le falsità, insultano, diffamano, spargono menzogne, inventano fatti, creano dissidi inesistenti, diffondono odio su di me e sul MoVimento 5 Stelle.»
(15/08/2012)
Sembra di leggere uno dei soliti deliri persecutori, coi quali il Papi della Patria ci tediato in quasi venti anni di potere incontrastato. Invece l’autore del piagnisteo è Beppe Grillo, in un processo di identificazione oramai irreversibile col suo omologo ceronato.
In passato, analizzando i meccanismi del consenso attraverso la lettura della “Psicologia delle folle” di Gustave Le Bon [QUI], ne avevamo fatto (sbagliando) quasi una prerogativa contemporanea del berlusconismo. L’analisi è perfettamente sovrapponibile al fenomeno Grillo, a dimostrazione che i populismi in fin dei conti rispondono tutti alle stesse dinamiche. E d’altronde non mancano i richiami allo pseudo-buonsenso familista da provincialismo strapaesano: il Papi si consultava con le zie suore; Antonio Di Pietro chiede sempre consiglio alla sorella Concetta; Beppe Grillo si fa spiegare la politica estera dal suocero, un ex militare del regime degli Scià di Persia.
In quanto agli insulti, Grillo deve essere convinto si tratti di una prerogativa che spetta a lui solo e, come nei suoi monologhi, non prevede diritto di replica…
Anno 1998. Con la presunzione tipica degli ignoranti, Grillo straparla di temi sui quali non sa nulla. Dopo aver sponsorizzato la cura dei fratelli Di Bella per il cancro, il guru genovese scopre il problema dell’AIDS: «Veltroni va là e scopre i malati di AIDS. Arriva qui e ci ha la soluzione: dice cazzo, l’Aids, bisogna mettere a tutti il preservativo! E lo dice uno che è dieci anni che il preservativo ce l’ha sulla testa e non se ne accorge. Allora, lui non dice che sull’Aids ci sono dei seri sospetti che sia una bufala»
Anno 2001. Riferendosi al premio Nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini, la omaggia con un: “Vecchia puttana”
In tempi recenti (anno 2012), c’è stato il neo-sindaco di Milano ribatezzato “Pisapippa”. Non mancano le offese alla solita Rosi Bindi, con pesanti allusioni al suo aspetto fisico ed alla sua vita sentimentale, proprio come un Berlusconi qualunque… E, prima di convertirsi ai diritti di gay ed ergersi a protettore delle coppie di fatto, Grillo aveva già avuto modo di esprimere la sua sensibilità sull’argomento: “Vendola è un buco senza ciambella” (02/03/2011).
Del resto, l’attenzione del MoVimento ai temi civili resta proverbiale:
31/03/2011. Bolzano, Claudio Vedovelli, consigliere 5 stelle, abbandona l’aula consiliare in segno di protesta, insieme ai rappresentanti delle destre, in seguito al rifiuto di iscrivere Casa Pound nell’albo delle ‘associazioni culturali’: «escludere un gruppo di ragazzi che non solo hanno le carte in regola ma anche , fino ad ora, organizzato serate su temi diversi e interessanti, senza segni di apologia, solo perché si ritiene siano in contatto con gruppi neo o nuovi fascisti, ci pare sbagliato oltreché rischioso.»
Naturalmente, la scelta è stata fatta nella consapevolezza del “pericolo che ogni forma di fascismo (anche quello contro l’ambiente) può rappresentare”.
Fascismo contro l’ambiente?!? Grillo ma dove cazzo li vai a trovare tipi così?!?
29/04/2012. Arese (MI), Laura Antimiani, candidata 5 stelle al Comune, reputa “discriminante” l’introduzione di un registro delle coppie di fatto.
06/02/2012. Legnano (MI), Daniele Berti, candidato 5 stelle al Comune, trova che la mancata integrazione dei rom sia essenzialmente un problema genetico insito nel loro DNA.
06/02/2012. Rimini, i rappresentanti del M5S in Consiglio comunale si astengono insieme ai repubblichini del PDL, contro la mozione che nega la concessione della piazza ai fascisti di Forza Nuova. Straordinaria la motivazione: “Probabilmente dovrebbero essere dichiarati illegali, ma non spettano alla politica le forzature”. Nella manifestazione è previsto il pubblico rogo del libro “Piccolo Uovo”, opera di Francesca Pardi, illustrata da Altan, dove si osa parlare di coppie gay.
Antologia a 5 Stelle
Ma questi sono argomenti capziosi; il MoVimento infatti non si perde in chiacchiere, composto com’è di gente del fare. Si occupa di tutto e decide in fretta…
Modi e tempi di svolgimento dell’assemblea dei Meet-up del M5S:
5 minuti per i relatori dei tavoli. Al massimo un minuto ciascuno per domande, contributi e suggerimenti dei partecipanti sugli interventi dei relatori appena ascoltati. Ci si prenota, presso i coordinatori dell’assemblea, entro la fine degli interventi dei relatori, indicando il tavolo di lavoro rispetto al quale si pone l’intervento.
5 minuti ciascuno di replica generale per i relatori dei tavoli. Un quarto d’ora per la relazione finale (si fredda la cena!).
«Il Fascismo è anti-accademico. Non è politicante. Non ha statuti, né regolamenti. Ha adottato una tessera per la necessità del riconoscimento personale, ma potendo ne avrebbe volentieri fatto a meno. Non è un vivaio per le ambizioni elettorali. Non ammette e non tollera i lunghi discorsi. Va al concreto delle questioni.»
(“Il fascismo” in Il Popolo d’Italia – 03/07/1919)
Il MoVimento 5 stelle non è di destra né di sinistra… non ha statuti e soprattutto non è un partito…
«È un po’ difficile definire i fascisti. Essi non sono repubblicani, socialisti, democratici, conservatori, nazionalisti. Essi rappresentano una sintesi di tutte le negazioni e di tutte le affermazioni. Nei fasci si danno convegno spontaneamente tutti coloro che soffrono il disagio delle vecchie categorie, delle vecchie mentalità. Il fascismo mentre rinnega tutti i partiti, li completa. Nel fascismo che non ha statuti, che non ha programmi trascendenti, c’è quel di più di libertà e di autonomia che manca nelle organizzazioni rigidamente inquadrate e tesserate.»
(“La prima adunata fascista” in Il Popolo d’Italia – 06/10/1919)