Archivio per Finanza Creativa

Finanza Creativa (V)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 luglio 2012 by Sendivogius

Neanche una settimana!
Tanto è durata l’euforia dei cosiddetti ‘mercati’, dinanzi all’effimera “svolta epocale” del già dimenticato vertice di Bruxelles (29/06/12)… quello che doveva rivoluzionare la stessa architettura politica della UE e spuntare gli artigli della speculazione con un grande piano di rilancio economico. Ovvero, l’eurosummit che avrebbe dovuto sancire la difesa della moneta unica; realizzare un cordone sanitario volto al contenimento degli interessi sui titoli di Stato; mettere in sicurezza il sistema bancario, onde evitare che la crisi del credito iberico inneschi un devastante effetto a catena su scala continentale.
Infatti, coerentemente con quanto avevamo già scritto QUI, il valore dell’euro è ai suoi minimi storici (1,24 sul dollaro), mentre il differenziale tra i BTP italiani e Bund tedeschi è schizzato a quota 470, con un onere del debito da pagare per interessi superiore al 6%. Il risultato peggiore di sempre, alla faccia delle strombazzate controriforme del Governo Monti.
Eppoi c’è il bel venerdì nero, con tutte le Borse in picchiata libera.
I rendimenti decennali dei titoli spagnoli sono invece schizzati al 7%, con l’aggravante che le banche iberiche non potranno beneficiare del fantomatico piano di salvataggio e di ricapitalizzazione previsto dal nuovo fondo salva-stati (ESM), che non sarà operativo prima della metà del 2013 o altra data da rinviarsi. In assenza dei necessari organismi di vigilanza, nulla di fatto anche per lo scudo anti-spread: il grande trionfo di Montinator (e delle sue intelligenze aliene), destinato a rimanere nel limbo dei trofei di latta (ma ben lucidati) dei quali il professorone ama fregiarsi.

«Mario Monti è stato il protagonista numero uno […] quello che è riuscito a impedire un finale generico e senza risultati come molti prevedevano sarebbe avvenuto, è stato Monti. È andata esattamente così. Il nostro premier ha portato a casa quanto aveva promesso, non soltanto per far fronte alle necessità impellenti del nostro Paese ma anche per rafforzare l’Europa modificandone il quadro generale e le prospettive di fondo.»

  Eugenio Scalfari
  (01/07/2012)

Poi, si sa, mentre nonno Eugenio continua a sognare il suo Principe in nutrita compagnia, la notte porta (cattivo) consiglio…

L’inconfondibile Angela Merkel si è rimangiata tutte le promesse, rinnegando gli impegni presi neanche 48h prima. Si tratta di una costante tedesca, secondo la più classica “Teoria dei Giochi”. Quindi, fedele ad un copione ormai collaudato, ha scatenato le sue Schutztruppe di complemento (Olanda e Finlandia), senza esporsi direttamente ma boicottando nella sostanza l’accordo brussellese.
Al contempo, il prof. Monti ha trascorso metà della settimana a rassicurare Angelona, che mai avrebbe richiesto l’applicazione dei provvedimenti anti-spread, quasi a scusarsi dei risultati ottenuti al vertice. O, più probabilmente, per non rendere palese l’aleatorietà delle decisioni (non) prese.
Nel frattempo, a complicare ulteriormente le cose, si è ‘scoperto’ pure che le banche di Sua Maestà britannica taroccavano allegramente i tassi del Libor, aprendo un nuovo fronte nella crisi del Credito… E tutto il fragile castello di carte è venuto giù alla prima raffica di vento, travolto dall’ennesima onda lunga della recessione USA, a dimostrazione di quanto fragile sia l’intera costruzione, e inutile il vertice con le sue intese scritte nella sabbia, nella medesima inconcludenza decisionale che accomuna le due sponde dell’Atlantico.
Intanto, per non parlare dell’esercito dei sottoccupati, in Italia, la disoccupazione giovanile ha toccato vette del 36%. La Recessione (ormai prossima ad evolversi in Depressione), dopo l’eurozona, ha ormai raggiunto la Gran Bretagna e la sua sterlina; blocca le aspirazioni della ripresa USA e le ambizioni alla rielezione di Obama (vai a casa pure te, bello!); investe in pieno i Brics: i nuovi giganti (d’argilla) dell’economia globale…

Coerentemente, Banca Centrale Europea (BCE), Federal Reserve statunitense (FED), insieme alle banche centrali britannica e cinese, si sono messe a tagliare i tassi di interessi a tutto spiano nell’illusione di rianimare i propri sistemi creditizi in funzione anti-recessiva, senza ottenere alcun sollievo tangibile. In compenso, rischiano di innescare gli effetti irreversibili (e devastanti) di un’enorme Trappola della Liquidità su scala globale.
Sul ‘fronte interno’ invece, la Guerra del Credito va persino peggio… In pratica il debito privato delle banche (non solo spagnole), sovresposte e a rischio insolvenza, viene appoggiato al Tesoro nazionale e rifinanziato dall’erogazione del FMI e BCE, che però accolla il debito alle casse pubbliche dello Stato e non agli istituti che beneficiano del prestito. Lo Stato poi rigira i fondi agli istituti bancari, con interessi minimi, facendosi garante del debito e iscrivendo il medesimo nei propri registri di bilancio. In tal modo, si incide sui livelli (fittizi) di indebitamento pubblico e si determina l’aumento dei tassi di interessi sui nuovi titoli emessi per rifinanziare il “debito sovrano” (in realtà il debito bancario garantito dal Pubblico). Finora, non si sono viste né l’apertura di nuove linee di credito, né la concessione di prestiti d’impresa (e tanto meno una dilazione dei pagamenti per i debitori in difficoltà), né la concessione di mutui o condizioni meno onerose per i clienti. Gli istituti di credito si limitano, come contropartita per l’aiuto ricevuto, ad acquistare i titoli del debito pubblico lucrando sugli spread e speculando sul rialzo dei rendimenti.
È un circolo vizioso che, una volta innestato, è in grado di portare al tracollo qualsiasi economia, anche nel Paese più virtuoso (e non parliamo certo dell’Italia!)… Perché un valido governo può anche avere una buona gestione di spesa, garantendo servizi pubblici efficienti, ma in totale assenza di regole non può controllare il sistema bancario con i suoi flussi di denaro internazionali, né intervenire per impedire le operazioni di credito più spregiudicate, salvo poi far fronte alle eventuali perdite con i soldi dei cittadini. Un debito collaterale (per svariati miliardi di euro!), indotto per salvare le banche, e in nome del quale si spazzano via 50 anni di conquiste sociali, improvvisamente diventate “troppo onerose”…
Ancora una volta, privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite. Solitamente, non manca mai in tali frangenti l’utile idiota matricolato che straparla di “meritocrazia”, rotea il ditino ammonitore al cielo dicendoci che “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità” e predica “l’austerità”, mentre i CEO della finanza assistita si spartiscono i finanziamenti pubblici e si aumentano il bonus di fine anno, a dispetto di prestazioni miserrime.
Tanto per dire, la Barclays bank di Londra, specializzata in operazioni su derivati, è stata appena alleggerita di 450 milioni di dollari di multa per aver manipolato i tassi che regolano le transazioni interbancarie sui mercati internazionali (sterlina-dollaro), condizionando indirettamente le oscillazioni di 360 trilioni di dollari in obbligazioni, con l’immissione di dati falsi. Ciò non ha impedito a Bob Diamond, dimissionario chief executive officer della Barclays, cacciato a furor di popolo, di portarsi a casa nel 2011 oltre 20 milioni di dollari di stipendio (con un incremento dell’11%) a fronte di perdite in borsa (per la banca) del 21,6% nell’anno 2011. A queste si aggiunge l’attuale 32,7% di perdite di valore, dopo l’esplosione dello scandalo.
E non meglio se la passa la JPMorgan che, grazie al suo trader più spregiudicato, l’anglo-francese Bruno Iksil, soprannominato “Lo Squalo” ma meglio conosciuto nella City londinese come “Voldemort”, è riuscita a cumulare un passivo di 9 miliardi di euro facendo incetta di CDS e scommettendo compulsivamente sul default di Spagna e Italia e Grecia.
È bene sapere per pagare chi stiamo facendo i famosi “sacrifici” e perché le nostre tutele sociali vengono smantellate.

Poi, certo, una trattazione a parte meriterebbero i raiders della turbo-finanza… gli Oscuri Signori degli hedge funds, specialisti in “derivati” e prodotti finanziari… Ovvero, i famosi “speculatori senza volto” dei quali, a volerli cercare (e a riprova di un’idiozia diffusa come l’ignoranza), si conosce praticamente tutto:
Carl Icahn, signore e padrone della omonima Icahn Associates con un pacchetto da guerra di quasi 10 miliardi di dollari a disposizione per speculazioni selvagge, lo scorso anno ha guadagnato qualcosa come 2,5 miliardi di dollari, giocando coi CDS e scommettendo sul tracollo dell’euro.
James H. Simons, esperto matematico (meglio di Ricucci!) e fondatore della Renaissance Technology: 2,1 miliardi di dollari di ricavi personali.
Poi ci sono i mostri sacri della BRIDGEWATER che, con un portafoglio in assets per 122 miliardi di dollari, dispone di una potenza di fuoco praticamente illimitata.

«E non muoiono di fame neanche Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Pure Apha (1,9 miliardi l’incasso personale 2011 e 72 miliardi di dollari il patrimonio gestito dalla sua società) e Stephen Schwarzman, il chief executive di Blackstone che si è messo in tasca 1,6 miliardi. Un po’ in sordina nell’anno scorso il mitico John Paulson, l’uomo che guadagnò 3,5 miliardi secchi speculando al ribasso con il suo Advantage Fund sui Cdo costruiti con i subprime all’inizio del 2008 (e 4,9 miliardi nel 2010 “ritagliandosi” profitti stavolta sulla ripresa statunitense), oppure il “filantropo” George Soros, l’uomo che sbancò la Bank of England (e la Banca d’Italia) nel 1992, settima persona più ricca d’America con 36 miliardi di fortuna personale. Soros si è preso una specie di anno sabbatico limitandosi a fare il guru sull’eurozona in pagatissime conferenze in giro per il mondo, senza trascurare naturalmente di sovrintendere alla gestione del suo Quantum Endowment Fund forte di 31,2 miliardi di dollari di asset under management al 31 dicembre 2011. Benvenuti nell’iperuranio degli hedge fund. Se siete scandalizzati per gli stipendi dei banchieri, qui entrate in un’altra dimensione. E’ vero che non ci sono azionisti di minoranza da tutelare, regole Sec o Consob da rispettare, codici morali e parametri etici cui attenersi, ma certo qui saltano tutti gli standard, tutti i paragoni con noi poveri stipendiati, qualunque riferimento al “capitale lavoro” o simile. In questo mondo ingovernabile si annidano gli speculatori che mandano sull’ottovolante i titoli europei: proprio il redivivo Paulson ha gelato tutti annunciando senza falsi pudori che stava giocando al ribasso sui titoli di Stato tedeschi nelle ore del vertice europeo di Bruxelles, giovedì notte, quando è emerso che la Merkel stava facendo qualche concessione. I tentativi di mettere ordine in questo funambolico settore sono sempre stati vani e poco significativi.»

 Eugenio Occorsio
 Affari e Finanza – (02/06/2012)
 Articolo completo QUI.

Sono questi gli scogli contro cui si infrangono i ruttini del fiscal compact e della spending review, con gli statarelli europei in ordine sparso e senza coordinamento, ed i nein della Germania che per il solo fatto di essere stata finora graziata dagli squali della finanza  si illude di condurre i giochi e scampare all’ecatombe, imponendo sacrifici umani al Minotauro della finanza nel labirinto osceno dei “mercati”…

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Finanza Creativa (IV)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 giugno 2012 by Sendivogius

TODO MODO

In una Europa sempre più impotente, avvitata in una spirale recessiva senza soluzione, ci mancava davvero l’inutile strigliata di Barack Obama, the President of United States, che in evidente amnesia dissociativa vorrebbe attribuire tutte le responsabilità della crisi economica alle inerzie del vecchio continente, ignorando che le ristrettezze dell’attuale congiuntura europea sono l’effetto e non la causa di un contagio esploso in ben altre latitudini a lui più familiari…
Il sopravvalutatissimo Obama è infatti alle prese con la propria rielezione presidenziale, sulla quale pesa l’ipoteca di un rilancio occupazionale ben al di sotto delle aspettative e di una ripresa che non decolla. Così, con ampio ritardo, si è accorto che il tracollo monetario dell’Unione e l’eventuale contrazione depressiva delle economie europee non giova certo al rilancio della crescita e meno che mai alle esportazioni statunitensi. Ora che l’incendio innescato da Wall Street nelle province europee (dove è stato alimentato impunemente da una finanza incontrollata) minaccia direttamente il centro dell’Impero, Mr President è alla disperata ricerca di un comodo capro espiatorio, il più lontano possibile, da additare all’intelligenza bovina di masse elettorali irretite dalla propaganda integralista dei Tea-Party. E, per la bisogna, cosa c’è di meglio se non la “Vecchia Europa”?!?
Evidentemente, O’Banana deve essere un altro dei tanti che a colazione mangia pane e volpe nella convinzione di diventare più furbo…
Nonostante le belle (o balle?) promesse degli esordi, con tutta l’ipocrisia di un politicante consumato, si tiene gli onori e declina gli oneri che una grande responsabilità comporta. Non che la UE ed i suoi governanti non abbiano le loro enormi magagne… tutt’altro! Ma le colpe non sono affatto esclusive di un’unica parte.
Barack Obama finge di non sapere che l’attuale febbre globale si diffonde nei primi mesi del 2007 con l’esplosione della bolla immobiliare USA e la crisi dei famigerati mutui subprime, con l’immissione di milioni di “titoli tossici” confezionati in CDO (tuttora in circolazione), e la cascata di fallimenti bancari a catena. Tali simpatici eventi (frettolosamente rimossi) hanno svelato al mondo dei profani le alchimie creative della “finanza derivata” che ingrassa le speculazioni degli squali di Wall Street, secondo un giochino diffuso che abbiamo in parte analizzato QUI e che rasenta gli estremi della truffa [QUI].
Di conseguenza, le grandi banche d’affari, coinvolte nel gigantesco crack a catena da loro stesse innescato, vengono prese in carico dalle casse statali che rimpinguano i caveau con la bellezza di 4.500 miliardi di euro. Per intenderci, ne sarebbero bastati meno di 300 per salvare la Grecia.
Al contempo, data l’inerzia statunitense (quando non tracima in netta opposizione), ogni proposta anche in ambito europeo di regolamentazione dei mercati finanziari rimane lettera morta su carta. Nulla viene fatto per porre un freno alle operazioni OTC. Ancor meno viene fatto per responsabilizzare i mercati finanziari, regolamentando l’immissione di prodotti derivati.
Per esempio, non vengono vietate (se non per periodi limitati) le cosiddette vendite allo scoperto, che permettono di speculare sul rendimento dei titoli borsistici, senza detenerne il possesso e soprattutto senza rischiare un solo centesimo.
Non viene messa al bando l’immissione di quell’autentica bomba ad orologeria che sono i CDS: vere scommesse speculative a tempo sulla bancarotta degli Stati, eventualmente sostenute dalle operazioni di short selling.
Viene inoltre bocciata ogni ipotesi di introduzione di una “Tobin Tax”, escludendo categoricamente qualsiasi tassazione, anche nelle sue forme più blande, sulle grandi transazioni finanziarie.
Capita l’antifona, le banche d’investimento utilizzano i finanziamenti pubblici ricevuti per continuare come e peggio di prima le loro attività speculative, distribuendo mastodontici bonus alla loro dirigenza di predatori in gessato. Naturale che questi trovino molto più conveniente speculare sulla tenuta dei ‘debiti sovrani’, piuttosto che finanziare l’economia reale.
Di converso, le banche di risparmio sono alle prese con la loro disperata ricapitalizzazione, dopo essere state folgorate dalle scosse incontrollate della schock economy, chiudendo i rubinetti dei prestiti alle imprese, con le immediate ripercussioni che la contrazione del Credito ha su occupazione e sviluppo.
In sostanza, secondo Mr President, la soluzione consisterebbe nel finanziare a fondo perduto (o quasi) gli istituti di credito coinvolti nella crisi, abbassando i tassi di interesse (già sotto l’1%). Evidentemente ignora i rischi impliciti di cadere nella “Trappola della liquidità”; mentre l’Europa egemonizzata dalla Germania di Merkel rischia di far precipitare il continente in uno scenario simile alla Seconda Recessione del 1937.
Altresì, O’Banana finge di ignorare che dietro le grandi manovre speculative, finalizzate al tracollo dell’euro ed al collasso dei titoli del tesoro europei, c’è l’intero mondo finanziario anglosassone (e specificatamente statunitense), lasciato sostanzialmente intonso da ogni ristrutturazione di sistema.
Ci sono le famigerate agenzie di ratings, Moody’s, S&P, Fitch, che si passano la staffetta con le loro valutazioni al ribasso e aprono la strada al cannoneggiamento degli speculatori finanziari.
Ovvero gli hedge funds, i grandi fondi di investimento, prevalentemente USA, tra i quali troneggia l’onnipotente BLACKROCK che, insieme al suo alter ego BLACKSTONE, si spartisce il controllo del private equity e dei servizi finanziari globali, in un intreccio di partecipazioni azionarie, controlli societari, gestione patrimoni e risparmio bancario, nel più gigantesco conflitto di interessi di tutti i tempi. Naturalmente, la Blackrock Inc (insieme al Vanguard Group ed al Capital World Investment) è tra i principali azionisti dei succitati “Signori del Rating”, che pertanto vengono pagati e controllati dalle medesime società per le quali stilano pagelle di valutazione.
E statunitensi sono pure le Fabulous Big Four Banks: Bank of America; Citigroup; Wells Fargo, JPMorgan. A queste andrebbero aggiunte inoltre quella specie di Soprano’s della finanza organizzata, come la Morgan Stanley e l’onnipresente Goldman Sachs: specializzate nello spaccio mondiale di ‘derivati’ e ‘titoli tossici’.

 LA SCIABOLETTA DI OBAMA. Quanto a Obama, dopo aver avvicinato il più possibile la politica a Wall Street, dopo avere affidato l’economia agli uomini di fiducia della grande finanza, dopo non aver portato alla sbarra neppure uno dei finanzieri colpevoli di ampie scorrettezze e di veri reati, adesso agita qualche sciaboletta di cartone contro le degenerazioni della finanza e fa il cavaliere dei deboli. Nella speranza che un numero sufficiente di americani, turbati dalle rodomontate repubblicane, voti per lui. Agli americani, nel frattempo, la verità la raccontano assai meglio vari giornalisti e qualche economista (una netta minoranza nella professione, ma comunque sufficienti) che non un presidente troppo furbo per essere credibile.

  Mario Margiocco
(24/01/2012)

Tuttavia, i prodromi della Grande Crisi erano già impliciti nella revisione degli accordi di Bretton Woods, sotto la presidenza di Bill Clinton, con la nefasta abolizione della separazione tra banche d’affari e banche commerciali, culminata nell’abrogazione in USA del Glass-Steagall Act. Si tratta della legge del 1933 nata in risposta alla crisi del 1929 a regolamentazione dell’attività bancaria, con l’istituzione di depositi di garanzia e rigidi controlli sulla solvibilità bancaria. La legge istituiva una netta divisione tra le operazioni d’investimento e le attività tradizionali di credito e deposito risparmi. L’abrogazione della Glass-Steagall è coincisa, guarda caso, con la sovraesposizione dei crediti bancari e l’invenzione di nuovi strumenti di speculazione finanziaria, alla base del flusso dei derivati e dell’attuale crisi economica. Dimostrazione provata (se ancora ce ne fosse bisogno) che i “Mercati”, se lasciati completamente liberi, si comportano come uno psicopatico incapace di controllare le proprie pulsioni distruttive.
Inoltre, con una certa malizia, ci sarebbe da aggiungere che certi ‘autorevoli’ punzecchiamenti richiederebbero piuttosto una buona dose di prudenza…
Nel Nov.2011 il debito degli Stati Uniti ha toccato la mostruosa cifra di 15.033 miliardi di dollari, equivalente al 99% del PIL. I dati sono stati forniti dal Dipartimento del Tesoro, ma si tratta di cifre per difetto dal momento che gli USA hanno un vero e proprio debito nascosto, legato alla copertura dei titoli spazzatura emessi da un sistema bancario marcio fino al midollo, scorporato dalla contabilità del bilancio federale, al quale andrebbero aggiunti i disavanzi dei singoli Stati dell’Unione. Non male per un paese dal welfare quasi inconsistente ed una spesa pubblica per politiche sociali praticamente inesistente.

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ORO ALLE BANCHE

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 marzo 2012 by Sendivogius

In una nostra precedente pubblicazione sulla creatività finanziaria [QUI: “La ricetta perfetta”], all’origine dell’attuale crisi economica, ci chiedevamo se lo spauracchio del default greco applicato alla situazione italiana non fosse in realtà un sofisticato diversivo tattico che, partendo da un problema oggettivo, rispondeva in realtà a ben altre esigenze, seguendo un preciso disegno ideologico sotto mentite spoglie “tecniche”…
Soprattutto, ci chiedevamo perché, nonostante la raffica di pesanti manovre correttive, il cosiddetto spread continuasse a viaggiare su livelli pur sempre sostenuti. E constatavamo come una fetta consistente del debito pubblico italiano fosse una diretta conseguenza delle allegre speculazioni sui titoli tossici della finanza derivata; nonché un’eredità degli artifici contabili dell’era Tremonti-Berlusconi (sull’origine storica del Debito, e sui principali responsabili del suo incremento costante, ci eravamo già soffermati QUI).

Dunque avanzavamo l’ipotesi che la diffidenza dei famosi “investitori” fosse dovuta innanzitutto alla mancata liquidazione dei debiti cumulati dall’Italia, tramite una disastrosa serie di operazioni sul mercato dei derivati, con una sovraesposizione nei confronti delle grandi banche d’affari statunitensi, aggravata da un’opacità contabile sull’esatta definizione del debito contratto e del relativo calcolo degli interessi da pagare.
Sottolineavamo come il problema fosse stato sollevato a suo tempo da analisi, pubblicate sul NYT e dall’agenzia Bloomberg, volte a evidenziare le enormi responsabilità delle investment bank nell’esplosione dei “debiti sovrani”. E illustravamo come la presunta opera di risanamento non fosse altro che un operazione di recupero crediti su vasta scala verso i debitori più esposti. Una operazione di rientro gestita da commissari liquidatori di fiducia (i “tecnici”) e premiata ad ogni tranche di pagamento, con un decremento degli spread ed una pagellina positiva rilasciata dagli interessati signori del rating organizzato.
Oggi, leggendo la pagina economica del quotidiano La Repubblica, abbiamo avuto una ennesima riprova di tali supposizioni, a dimostrazione di come il piano di “riforme strutturali” non sia tanto funzionale al Paese, bensì al ripianamento dei crediti dei grandi speculatori internazionali:

DERIVATI, SPECULAZIONE FALLITA
ORA L’ITALIA PAGA 3,4 MILIARDI
Assegno a Morgan Stanley per chiudere i contratti del ‘94

 «L’italia e i derivati. Nel giorno in cui lo spread sfiora quota 275, il minimo da agosto e proprio quando il Tesoro lancia il BTP Italia, il primo indicizzato all’inflazione e sottoscrivibile on line, s’apprende che il Paese ha pagato 3,4 miliardi di dollari a Morgan Stanley per uscire da una scommessa sui tassi d’interesse. Per questo, la banca d’affari ha annunciato di aver tagliato la sua “esposizione netta” verso il Tesoro nazionale dello stesso importo.
L’agenzia Bloomberg, nel dare la notizia, spiega che il Paese, il secondo più indebitato della UE, ha pagato questa somma per svincolarsi da contratti derivati che risalivano agli anni ’90. Motivo: era diventato meno oneroso cancellarli che rinnovarli. In base ai dati raccolti l’Italia, già gravata da un debito-monstre, avrebbe perso sui derivati più di 31 miliardi di dollari agli attuali valori di marcato. La cifra pagata a Morgan Stanley equivale a circa la metà della somma che il governo conta di incassare quest’anno dall’aumento dell’IVA. E, soprattutto, evidenzia i rischi posti dai derivati che i paesi usano per abbassare i costi di indebitamento e ripararsi dall’altalena dei mercati.
Secondo la ricostruzione di Bloomberg, quando i debiti contratti dall’Italia hanno sfondato i mille miliardi di euro a metà anni ’90, il Paese ha iniziato ad utilizzare gli swap sui tassi d’interesse e le cosiddette swaptions (opzioni per entrare in uno swap) per tagliare i costi del servizio del debito. Molti bond all’epoca avevano scadenze a 5 o 10 anni, alcuni pagavano cedole fino al 10%: l’Italia ha usato gli swap per spalmarli su un arco di 30 anni e oltre e ha ridotto i suoi costi per gli interessi, emettendo swap-options. Le entrate incassate dalla vendita dei derivati sono servite per pagare i debiti. Quando i tassi degli swap, che seguono i rendimenti dei bond tedeschi, sono iniziati a crollare dopo il 2008 e la volatilità delle opzione ad aumentare, l’Italia si è trovata a dover pagare alle banche soldi sui derivati.
Silenzio degli interessati sull’intera vicenda. Fonti italiane tuttavia fanno sapere che i contratti con Morgan Stanley sono un accordo-quadro del 1994 dove c’è la clausola rescissoria in favore dell’istituto USA. L’operazione in questione è però unica nel suo genere e l’accordo è stato chiuso proprio perché la banca ha fatto valere questa clausola, su pressione delle autorità americane. A inizio anno, la Morgan Stanley ha comunicato alla SEC, l’organo statunitense di controllo della Borsa, di aver “effettuato alcune ristrutturazioni sui derivati chiuse il 3 gennaio 2012” e di aver ridotto l’esposizione verso l’Italia di 3,4 miliardi di dollari. Nel quarto trimestre l’istituto bancario ha registrato profitti per 600 milioni, anche grazie alla risoluzione dei contratti italiani.
I cinque principali operatori di swap USA sono: oltre alla Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e JpMorgan Chase. Complessivamente hanno una esposizione netta sui derivati con l’Italia di 19,5 miliardi di dollari. Cifra che, sommata agli importi relativi delle banche europee rese note nel corso degli stress test condotti dall’European Banking Authority (EBA), porta l’ammontare a 31 miliardi di dollari. Lo spread italiano ha chiuso a quota 281. Il Btp Italia avrà un tasso minimo garantito del 2,25%»

  La Repubblica – 17/03/2012

 È da notare l’opacità nell’intera gestione dell’operazione finanziaria, attraverso le anomalie contrattuali e la sottoscrizione di clausole capestro, la sottovalutazione dei rischi e la sovraesposizione del Tesoro italiano alle perdite, insieme alla sostanziale segretezza con la quale la catastrofica transazione è stata gestita, salvo condividere ora i costi in perdita con un intera nazione. Infatti, non c’è niente di meglio che accollare il pagamento degli interessi alla massa dei lavoratori salariati da 1.000 euro mensili, che avrebbero generato il debito vivendo ben al di sopra delle proprie possibilità.

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Finanza Creativa (III)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 febbraio 2012 by Sendivogius

LA RICETTA PERFETTA

Prendete l’8^ potenza economica globale, ma con la più indecente classe ‘dirigente’ del mondo occidentale; un elevato (ma non enorme) debito pubblico, speculare ad un altissimo livello di evasione fiscale, insieme ad una corruzione pressoché strutturale. Considerate uno dei Paesi più prosperi del pianeta, ma con un’estesa sperequazione nella distribuzione della ricchezza, un fortissimo immobilismo sociale, all’ombra di un insanabile familismo amorale, e radicate sacche di neo-corporativismo.
Lasciate frollare il tutto per almeno una ventina d’anni, spargendo un po’ di aromi profumati là dove più forte si avverte l’odore della putrefazione. Speziate il resto con ingredienti coloriti, meglio se presi dal folklore locale.
Poi, aggiungete un pugno di economisti cresciuto alla scuola dei supply-siders e convertito alle formule politiche del “riformismo” consociativo. Appesantite il tutto con un indebitamento esponenziale verso le principali banche d’affari, senza tralasciare una crisi recessiva lasciata montare come una maionese impazzita. A questo punto, spruzzate ampie manciate di professori d’economia ed “esperti” (meglio se laureati alla Bocconi), che di quelle banche hanno fatto parte a vario titolo, certificandone strategie speculative ed investimenti finanziari.
Aggiungete ancora una troi(k)a di inflessibili creditori franco-tedeschi, pronti però a sottoscrivere nuove cambiali in cambio dell’acquisto di armamenti. Aggiungete infine gli immancabili sciacalli del Fondo Monetario Internazionale per il prestito a strozzo di ultima istanza: privatizzazioni selvagge, smantellamento delle politiche sociali, contrazione salariale e cancellazione delle tutele sul lavoro, alti tassi di interesse sul credito erogato. Naturalmente, non dimenticate i condimenti classici del liberismo neo-monetarista, all’origine della grande recessione.
Avvolgete il tutto con la rassicurante sfoglia di un “governo tecnico”. Quindi immergete il preparato in una abbondante salsa greca e agitate per bene prima dei tagli.
Avrete lo sformato Grecia applicato all’Italia; ovvero: come parlare ad Atene perché Roma intenda.
Ciò che non funziona in periodi normali, può risultare efficace in frangenti straordinari…
Terrorizzate un intero Paese, sventolategli sotto il naso l’incubo del default, paragonandolo ad una piccola nazione alle propaggini meridionali della penisola balcanica. Prendete un commissario europeo e un nugolo di banchieri interessati al recupero crediti; fate loro scrivere una letterina minatoria all’abominevole governo in carica, con una serie di condizioni non negoziabili, in nome di interessi privati travestiti da “richieste europee”. Scatenate con opportune imbeccate gli speculari finanziari, che di quegli istituti di credito detengono titoli e consultano i ratings di agenzie ad essi collegate. Costringete il suddetto governo alle dimissioni e insediate un nuovo esecutivo “tecnico” con gli stessi autori dell’ultimatum elevato a programma. Avrete il governo del prof. Mario Monti.
Perché poi il famigerato spread (divenuto ormai il termometro dei governi), ovvero il differenziale dei titoli di Stato con i buoni del tesoro tedesco, continui a viaggiare sostenuto, dopo le spaventose impennate dell’ultimo trimestre 2011, e nonostante una raffica di manovre correttive, è un piccolo ‘mistero’ che richiede comode bugie…
In tempo di crisi, quando dinanzi ad un paziente pieno di metastasi il chirurgo non sa bene dove incidere, la soluzione può risiedere nella creazione di diversivi verso i quali stornare l’attenzione.
In Italia, la principale questione che affligge il Governo Monti sembra essere l’estensione della libertà di licenziamento, a totale discrezione dei padroni assistiti delle nuove ferriere.
Si comprende bene che il problema non è la recessione economica.. non il ritorno dell’inflazione.. non l’esplosione del prezzo dei carburanti (e dei beni al consumo), grazie all’aumento delle accise voluto dai professoroni.. non una disoccupazione record.. non l’impressionante impoverimento dei lavoratori dipendenti (che pagano le tasse)… non la scandalosa persistenza di cartelli assicurativi e bancari… non l’intollerabile stretta creditizia ai danni del tessuto produttivo… non gli sprechi insopportabili di una Pubblica Amministrazione sempre più inefficiente…
Infatti, i diritti di chi lavora pare siano diventati la fucina estrema da cui scaturisce ogni male.
Annichilita l’opposizione e tutto il resto del Parlamento, raggrumato nella nuova adunanza dell’ABC (Alfano-Bersani-Casini), allineati i media dell’editoria assistita in unico peana prezzolato, per paradosso, sembra quasi di assistere ad una nuova “lotta di classe”, stavolta attraverso la dichiarazione di guerra unilaterale dei ricchi e potenti, contro la parte più debole e maggioritaria della nazione.
Eppure, a preoccupare quelli che qualcuno ha chiamato “speculatori senza volto” (in realtà notissimi: QUI nella seconda parte del commento), suscitando in particolar modo le ansie della finanza anglosassone, non è tanto il bistrattato Art.18, ma la sovraesposizione creditizia di alcune importanti banche d’affari statunitensi nei confronti di Stati a rischio solvibilità.
Gli istituti di credito in questione sono l’immancabile Goldman Sachs insieme alla JPMorgan Chase. Le due investment bank sono infatti al centro di accorate disamine da parte della stampa statunitense che, al contrario del rivoltante “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch, hanno ben chiaro dove risiede il fulcro del problema.
Utilizzando in sostanza lo stesso modello dei mutui subprime che ha portato all’esplosione della bolla speculativa, Goldman e JPMorgan hanno esteso il sistema al debito sovrano degli Stati, erogando crediti per svariati miliardi di dollari a Paesi con un altissimo deficit pubblico e scarsa solvibilità, tramite il massiccio acquisto di prodotti strutturati della finanza derivata.
In pratica, le due banche hanno erogato cospicui crediti, in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, e Italia, appioppando loro una massa di obbligazioni a garanzia dei debiti collaterali (CDO). Si tratta di uno strumento finanziario che solitamente racchiude in un unico pacchetto i crediti inesigibili, a carico di debitori individuali considerati insolventi o ad altissimo rischio di mancato pagamento. Sostanzialmente, sono compresi nel gruppo i titoli tossici rimasti nella pancia delle banche dopo la crisi dei sub-prime.
L’apertura di queste speciali linee di credito bancario veniva sottoscritto tramite la stipulazione di swap; nella fattispecie, si tratta di interest-rate-swap e currency-swap: scambio di flussi di cassa e di obbligazioni creditorie, con riporto valutario in euro-dollaro, a garanzia degli interessi sul capitale in prestito.
Il problema insito nel rilascio di questo tipo di crediti è che costituiscono un indebitamento costante per gli Stati, esponenziale nel tempo, che non viene però messo a registro nei bilanci. In pratica, non risultando registrati come nuovi debiti, è impossibile avere una panoramica certa dell’ammontare dell’asse debitorio (e degli interessi da pagare sul nuovo debito contratto), generando incertezza ed apprensione tra gli investitori che, nel dubbio, evitano di sottoscrivere i titoli degli Stati coinvolti nella transazione.
La questione è stata sollevata in tempi recenti da broker trading come “Bloomberg”, con informative dal titolo assai evocativo:

JPMorgan si unisce alla Goldman Sachs per tenere all’oscuro gli investitori sui rischi dei derivati italiani.

  di Christine Harper & Michael J. Moore
  (16/11/2011)

JPMorgan Chase & Co. e Goldman Sachs Group Inc, tra i principali operatori al mondo di prodotti derivati al credito, hanno comunicato agli azionisti di aver venduto garanzie su più di 5 miliardi di dollari a copertura del debito su scala globale.
Ma non chiedete loro come gran parte di queste siano state emesse a copertura dei debiti di Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, e Spagna, conosciuti come PIIGS.
Riguardo alla possibilità che questi Paesi potrebbero non essere in grado di onorare i crediti erogati, gli investitori sono stati tenuti all’oscuro in merito al rischio che le banche statunitensi siano esposte ad un possibile default. Gli istituti come la Goldman Sachs e la JPMorgan non forniscono un quadro completo sulle perdite potenziali ed i profitti di un simile scenario, dando solo cifre nette o escludendo del tutto alcuni derivati.

L’articolo integrale, ed in lingua inglese, lo trovate QUI.

Per tutelarsi dall’eventuale mancato pagamento dei debiti, a loro volta gli istituti coinvolti emettono a garanzia dei loro crediti inevasi i famigerati CDS (credit default swap); in pratica, si vendono ai potenziali investitori dei contratti di assicurazione sull’eventuale fallimento dei debitori (in questo caso gli Stati), ad altissimo rendimento, incrementando di fatto la speculazione sui debiti sovrani e sulle possibilità di bancarotta di un intero paese.
Sul ruolo della Goldman Sachs nella crisi europea e nell’esplosione del caso Grecia, è opportuno riscoprire un lungo reportage, pubblicato sul New York Times il 13/02/2010 [QUI], dove si solleva il sospetto (neppure troppo velato) che l’Italia, come la Grecia, possa aver truccato lo stato delle proprie finanze…
Se vi fidate della traduzione:

WALL STREET AIUTÒ A MASCHERARE IL DEBITO, ALIMENTANDO LA CRISI EUROPEA

  di LOUISE STORY, LANDON THOMAS Jr. & NELSON D. SCHWARTZ

«I guai della Grecia scuotono i mercati mondiali, documenti ed interviste dimostrano che con l’aiuto di Wall Street, il paese ellenico intraprese uno sforzo decennale per aggirare le disposizioni europee sul controllo del debito. Si tratta di un’operazione messa in atto dalla Goldman Sachs, che ha aiutato ad occultare miliardi di debito dal controllo degli ispettori di bilancio di Bruxelles.
Nel momento in cui la crisi si stava avvicinando al suo punto critico, le banche si misero a cercare il modo per aiutare la Grecia ad evitare la resa dei conti. Ai primi di Novembre (tre mesi prima che Atene diventasse l’epicentro delle ansie della finanza globale), in base a quanto riferito da due persone che furono presenti alla riunione, una squadra della Goldman Sachs giunse nell’antica città con una proposta molto moderna per un governo che fatica a far quadrare i bilanci.
I banchieri, guidati dal presidente della Goldman, Gary D. Cohn, tirarono fuori uno strumento di finanziamento che avrebbe spinto lontano nel futuro il ripianamento del debito greco, allo stesso mondo con cui i proprietari insolventi di un’abitazione accendono una seconda ipoteca, pensando di poterla estinguere con le loro carte di credito.
L’opera era già cominciata in precedenza. Nel 2001, subito dopo l’ammissione della Grecia nell’unione monetaria europea, come ci è stato riferito da persone informate sulla transazione, la Goldman aiutò segretamente il governo greco a prendere in prestito svariati miliardi.
L’operazione finanziaria, nascosta all’attenzione pubblica perché gestita come un commercio di valuta piuttosto che come un prestito, aiutò Atene a venire incontro alle regole sul deficit imposte dall’Europa, mentre continuava a spendere oltre le proprie possibilità.
Atene non seguì fino in fondo il piano di rientro della Goldman, ma in seguito allo scricchiolamento della Grecia sotto il peso dei suoi debiti e con i suoi ricchi vicini impegnati a correre in suo aiuto, le operazioni intercorse negli ultimi dieci anni hanno sollevato domande sul ruolo di Wall Street nell’ultimo dramma della finanza mondiale.
Così come è avvenuto per la crisi americana dei subprime e per l’implosione dell’American Internationl Group, i prodotti della finanza derivata hanno giocato un ruolo nell’incremento del debito greco. Gli strumenti finanziari sviluppati dalla Goldman Sachs, JPMorgan Chase e da un nutrito gruppo di altre banche hanno aiutato i politici a mascherare l’ulteriore indebitamento di Grecia, Italia, e probabilmente di qualche altro Paese.
In dozzine di accordi stipulati per tutto il continente, le banche hanno provveduto a fornire finanziamenti anticipati in cambio di pagamenti pubblici per il futuro, senza che le passività venissero messe a registro.
La Grecia, per esempio, ha ceduto i diritti di riscossione delle tasse aeroportuali e gli introiti delle lotterie per gli anni a venire.
I critici sostengono che simili accordi, proprio perché non sono registrati come prestiti, traggono in inganno gli investitori e le autorità di controllo in merito all’entità dei passivi di bilancio degli Stati.
Ad alcuni dei prodotti finanziari ellenici è stato dato il nome dei personaggi della mitologia. Uno di questi, per esempio, è stato chiamato Eolo, il dio dei venti.
La crisi greca costituisce la sfida più significativa alla moneta unica europea, l’euro, e all’obiettivo di una unità economica del continente. Il paese è, nel gergo bancario, troppo grande per fallire. La Grecia deve al mondo 300 miliardi di dollari e molti dei più importanti istituti di credito si trovano sulle spine per quel debito. Un eventuale default avrebbe ripercussioni in tutto il mondo.
Una portavoce del Ministero delle Finanze ellenico ha detto che il governo si è incontrato con diverse banche negli ultimi mesi e non ha sottoscritto alcuna delle loro offerte. L’intero debito finanziario “è stato gestito nella massima trasparenza”, ha riferito. Goldman e JPMorgan hanno evitato di commentare.
Mentre l’opera svolta da Wall Street in Europa ha ricevuto poche attenzioni su questa sponda dell’Atlantico, tale operato è stato criticato aspramente in Grecia e da riviste come Der Spiegel in Germania.
“I politici vogliono calciare la palla in avanti, e se un banchiere può mostrare loro il modo con cui rimandare il problema in futuro, essi ci cadranno”. Così dice Gikas A. Hardouvelis un economista ed ex funzionario governativo che ha aiutato a scrivere il recente rapporto sullo stato delle politiche finanziarie delle Grecia.
Wall Street non ha creato il problema del debito europeo. Ma i banchieri hanno fatto in modo che la Grecia, insieme ad altri paesi, si indebitasse stipulando prestiti oltre la propria portata, tramite una serie di operazioni perfettamente legali. Poche regole stabiliscono come le nazioni possano chiedere soldi in prestito per finanziare le spese militari ed il sistema sanitario. Il mercato dei debiti sovrani (il termine con cui la Borsa definisce i prestiti ai governi) è tanto vasto quanto libero da vincoli.
“Se un governo vuole truccare i conti, può farlo”, dice Gerry Schinasi, un veterano dell’unità di controllo dei mercati finanziari del Fondo Monetario Internazionale.
Le banche hanno sfruttato avidamente quella che per loro era una simbiosi ad altissimo profitto con la libertà di spesa dei governi. Mentre la Grecia non riceveva alcun vantaggio dall’offerta della Goldman Sachs nel Novembre 2009, versava in ogni caso alla banca una parcella di circa 300 milioni di dollari per mettere in ordine i propri saldi contabili del 2001, secondo quanto riferito da alcuni banchieri che hanno avuto a che fare con l’operazione.
Tali derivati, che non vengono apertamente documentati o resi pubblici, aggiungono ulteriore incertezza su quanto siano profondi i guai della Grecia e su quali altri governi possano aver utilizzato simili artifici contabili fuori bilancio.
L’ondata di panico adesso sta travolgendo anche altri paesi in difficoltà economica alla periferia dell’Europa, rendendo molto costoso per Italia, Spagna e Portogallo, contrarre nuovi prestiti.
Nonostante tutti i vantaggi di unire l’Europa con un’unica moneta, la nascita dell’euro sconta un peccato originale: paesi come l’Italia e la Grecia sono entrati nell’unione monetaria con un debito molto più grande di quanto fosse loro consentito dal trattato di adesione alla moneta unica. Tuttavia, piuttosto che aumentare le tasse o ridurre la spesa, questi governi hanno ridotto artificialmente i loro debiti ricorrendo alla finanza derivata.
I prodotti derivati non sono necessariamente negativi. Le transazioni del 2001 hanno visto l’utilizzo di un derivato conosciuto come swap. Uno di questi strumenti, conosciuto come interest-rate swap (scambio del tasso d’interesse), può aiutare imprese e stati a fronteggiare le variazioni del costo del debito, tramite lo scambio di pagamenti a tasso fisso con pagamenti a tasso variabile, o viceversa. Un altro tipo, il currency swap (scambio di titoli in valute differenti), può minimizzare l’impatto dei tassi di cambio per valute estere particolarmente volatili.
Ma con l’aiuto della JPMorgan, l’Italia è stata capace di fare molto di più. Malgrado la persistenza di un alto debito pubblico, nel 1996 i prodotti della finanza derivata hanno aiutato l’Italia a portare il bilancio in linea, tramite uno scambio di valuta con la JPMorgan ad un tasso di cambio favorevole che in effetti ha messo nelle mani del governo un bel po’ di denaro.
In cambio, l’Italia si è impegnata per futuri pagamenti che non sono stati contabilizzati come passività.
“I derivati sono strumenti molto utili”, ha detto Gustavo Piga, un professore di economia che ha stilato un rapporto per il Council on Foreign Relations sullo stato dei conti pubblici italiani. “I derivati diventano un male se usati come una vetrina per far apparire i conti migliori di quanto non siano”.
In Grecia, le magie finanziarie sono andate anche oltre. In quella che ormai assomiglia ad una svendita di oggetti usati su scala nazionale, i funzionari greci hanno in sostanza ipotecato gli aeroporti nazionale e le autostrade nel disperato tentativo di racimolare soldi.
Eolo, un titolo legale creato nel 2001, ha aiutato i greci a ridurre il debito di bilancio sui saldi dell’anno corrente
Come parte dell’operazione finanziaria, i greci hanno ottenuto contanti, impegnando come garanzia gli introiti futuri delle tasse aeroportuali.
Nel 2000, un’operazione simile chiamata Arianna, ha divorato le entrate che il governo ellenico aveva raccolto attraverso la lotteria nazionale. Tuttavia, i greci classificano queste transazioni come vendite e non come prestiti [con relativi interessi da pagare in futuro, N.d.T.], nonostante i dubbi di molti critici. Questo genere di operazioni commerciali hanno suscitato parecchie controversie all’interno dello stesso governo per anni. Già nel 2000, i ministri delle finanze di vari paesi europei hanno dibattuto ferocemente se gli strumenti derivati, utilizzati nella finanza creativa, debbano essere registrati in bilancio oppure no.
La risposta è stata NO. Ma nel 2002 è stata richiesta una verifica contabile su molti prodotti come Eolo e Arianna, che non appaiano nei bilanci nazionali, costringendo i governi a registrare tali operazioni come prestiti piuttosto che come vendite.
In tempi più recente, nel 2008, l’Eurostat, l’agenzia statistica europea, ha riportato che “in diversi casi, le operazioni di cartolarizzazione prese in esame sembrano essere state gestite in modo tale da garantire un gettito immediato, senza tenere conto del valore economico dell’operazione”.
Simili artifici contabili possono portare benefici nel breve periodo, ma sul lungo periodo possono comportare effetti disastrosi.
George Alogoskoufis, che è diventato ministro delle finanze dopo il patto con la Goldman, ha criticato l’accordo in Parlamento nel 2005. L’operazione, ha argomentato Alogoskoufis, avrebbe gravato il governo greco con pesanti pagamenti da versare alla Goldman fino al 2019…»

È interessante notare che, nel periodo interessato, a gestire la divisione europea per la Goldman Sachs era l’allora vicepresidente Mario Draghi e attuale governatore della BCE. È un’altro di quei salvator patriae giunti a portarci fuori dal guado di una crisi da loro stessi innescata!

Sull’argomento potere anche leggere:

Finanza Creativa (I) – Canis edit canem
Finanza Creativa (II) – Lo schema di Ponzi

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Lo Stato dei Farabutti

Posted in Business is Business, Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 settembre 2009 by Sendivogius

Giulio TremontiTHE MIRACLE MAN
 Veni. Vidi. Vici. È Super-Giulio (Tremonti, non Cesare): l’uomo che aveva previsto la Crisi; l’anti-economista che ha sconfitto la Seconda Grande Recessione; il Tesoriere del Re nel florido paese di Latte&Miele; il Genio finanziario e Nume tutelare dell’Italia che ruba.
Da tempo, l’immaginifico ministro ci ha abituato ai suoi artifici di “finanza creativa” in un mondo fantastico, il suo, dove la scienza si confonde nelle visioni velleitarie della fantascienza.
Dice il poeta (G.Leopardi) che una fervida immaginazione è il primo requisito per essere felici. E di certo non si può dire che l’imbronciato Tremonti manchi di fantasia, per di più condita da un irresistibile contorno di ironia. Difficile dire se volontaria o meno…

LA LEGGENDA DEGLI UOMINI STRAORDINARI
Nel Sultanato di Berlusconistan, tutte le gesta del Re assumono dimensioni epocali, per essere dilatate ad eventi di ‘portata storica’ dagli agiografi di regime. Di questi risultati straordinari sono piene le cronache del regno: l’ultimo della serie è l’indimenticabile G-8 aquilano, con i ‘Grandi della Terra’ fermati in caserma.
THE TIMESCome tutti sapranno, in tale circostanza la delegazione italiana si è distinta proponendo la stesura di regole condivise, per il controllo dei mercati internazionali in funzione antispeculativa. Con raro sprezzo del ridicolo, l’ineffabile Tremonti ha teorizzato l’introduzione dei GLS (Global Legal Standards) che dovrebbero prevedere:
– Trasparenza dei bilanci
– Tutela dei diritti dei consumatori
– Condanna della corruzione
– Lotta al riciclaggio e contro l’evasione fiscale
– Allineamento degli interessi dei manager a quelli dell’azienda
– Trasparenza nei rapporti tra economia e politica
– Supervisione della BCE sui sistemi bancari nazionali
E altre utopiche amenità messe in scena dal teatrino della politica, ma prive di conseguenze pratiche. Infatti, stiamo parlando del medesimo governo che ha depenalizzato il falso in bilancio; ha svuotato di significato e di effetti la class action. Quel governo e quei ministri che, con sacro furore iconoclasta, hanno cancellato le norme anti-evasione che prevedevano la tracciabilità dei pagamenti e la tenuta dell’elenco clienti-fornitori. Parliamo dello stesso ministro, esperto in sanatorie e condoni tombali: proprio quel Tremonti che, dopo aver varato ben due piani di “scudo fiscale” per il rientro dei capitali illecitamente esportati all’estero, si prepara alla terza edizione del famigerato ‘Scudo’.
Una risata aiuta a digerire. Dopo i pranzi cerimoniali e le grandi abbuffate che da sempre sono il tratto distintivo dei grandi vertici internazionali, la battuta dell’irresistibile Giulio è stata provvidenziale. Un vero rutto liberatorio! Anche se la platea era già stata scaldata in precedenza dalle gag dell’insuperabile papi nazionale, dal ritrovato spirito comunitario:

L’Italia potrebbe ricorrere a un nuovo scudo fiscale solo se la misura venisse decisa dall’Unione Europea
 (S.Berlusconi – 20 Marzo 2009)

Non è necessario varare lo scudo fiscale. È una cosa non chiesta da noi, ma da richieste esterne all’Italia
 (S.Berlusconi – 13 Maggio 2009)

Ma se proprio insistete nella richiesta…

Soltanto a Luglio, il ministro Tremonti, a chi insinuava che stesse preparando un nuovo piano fiscale di recupero pro-evasori, rispondeva piccato: È totalmente falso(12/07/09).
Conclusa brillantemente la recita, il maitre cousinier prestato al Tesoro è ritornato all’ultima specialità della Casa: la “Finanziaria Light”, la ricetta più alla moda nell’Italietta domestica della crisi che non c’è.
Ricordate le formidabili misure di sostegno al reddito, per non parlare della mitica social card?
Se avete gradito la Finanziaria 2009 composta da soli quattro articoli, quest’anno super-Giulio rilancia ancora: un fabbisogno di 3 miliardi di euro per 3 articoli ancora tutti da scrivere. Infatti, l’intero impianto della Finanziaria 2010 si regge sull’adesione allo Scudo Fiscale III°.
In pratica, la prossima programmazione di bilancio, e quindi la politica fiscale del governo, è rimessa unicamente agli introiti dell’ennesimo mega-condono: una previsione di gettito ipotetico e non sostanziale.
Dalle magnifiche entrate progressive della super-amnistia per ladroni di tutte le taglie dipendono i finanziamenti a:
– Università e Ricerca
– Missioni di ‘pace’ (Afghanistan in primis)
– Ammortizzatori sociali e sostegno al reddito
– Ricostruzione dell’Abruzzo
– Rinnovo dei contratti nella Pubblica Amministrazione
– Aumento di risorse per le Forze dell’Ordine
E chi più ne ha ne metta! Il mitico Calderone dell’Abbondanza che sazia tutte le pance e riempie le tasche senza tasse. Liberthalia - Finanziaria Light

NELLA TERRA DEI LADRI
Il 9 Sett. 2009, le Commissioni riunite di Bilancio e Finanze hanno avviato la “Conversione in legge del DL 103 (03/08/09), recante disposizioni correttive del decreto-legge anticrisi n. 78 del 2009”. Come ampiamente annunciato, il piatto forte del testo in esame è lo scudo fiscale: una maxi sanatoria con effetto retroattivo per tutti quegli evasori che hanno esportato illegalmente capitali all’estero, mai dichiarati al Fisco. L’incredibile condono si applica non solo alle persone fisiche, ma persino a quelle giuridiche (società; imprese commerciali; holding) in un orgia criminogena che prevede la garanzia di assoluto anonimato per quanti aderiranno, oltre all’esclusione di punibilità:

Il rimpatrio ovvero la regolarizzazione si perfezionano con il pagamento dell’imposta e non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria, in via autonoma o addizionale.

L’imposta in questione ammonta alla sbalorditiva addizionale del 5% sul capitale rientrato.
La tua azienda fattura al nero milioni di euro, dichiarandosi perennemente in passivo e magari usufruendo degli aiuto di Stato per le imprese in difficoltà. Le perdite sono riportate nei libri contabili, opportunamente falsificati insieme alle fatture che riportano spese mai sostenute. Hai esportato all’estero i tuoi capitali mai denunciati, presso banche compiacenti, per sfuggire ad eventuali accertamenti? Hai bisogno di liquidità e non sai come giustificare la movimentazione delle somme occultate? Niente paura! Da oggi puoi farli rientrare in Italia, versando un simbolico 5%. In pratica si versano 5.000 euro per ogni 100.000 euro sottratti, grazie ai benefici del riciclaggio di Stato. Per contro, un lavoratore dipendente con stipendio da mille euro mensili paga un aliquota IRPEF del 23%.
Le somme condonate possono essere i proventi delle tue consulenze di libero professionista da 500 € ad ora, specializzato in ‘ristrutturazioni aziendali’ (licenziamenti di massa); delle tue ‘transazioni d’affari’ (speculazione)… Ma potrebbero benissimo essere frutto di provenienza illecita come lo spaccio di droga, lo sfruttamento della prostituzione, lo strozzinaggio o l’estorsione organizzata…
Nel loro complesso, si tratta di capitali ampiamente reinvistiti, una volta sanati, nel mercato immobiliare, nella speculazione sulle locazioni e  sui prezzi alla vendita artificiosamente accresciuti da un eccesso di liquidità ed una domanda gonfiata. Ciò è ampiamente accaduto nei precedenti ‘scudi’ del 2001-2002, a detrimento di milioni di cittaini che si vedono tagliati fuori dalla prospettiva di un alloggio decente. Ma al Governo Berlusconi ed al ministro Tremonti tutto questo non interessa, giacché l’importante è fare cassa. Pecunia non olet.
Infatti ogni indagine in merito è preclusa e l’anonimato assicurato.
Del resto, la Banda delle Impunità ha pensato proprio a tutto…
oro alla patriaBasta un certificato di adesione per bloccare qualsiasi accertamento futuro, inerente il periodo 2004-2008. Gli anni precedenti erano già stati amnistiati col lo ‘scudo’ 2001-2002, con il ‘concordato fiscale’ e con l’onnicomprensivo ‘condono tombale’ del biennio 2002-2003.
Liti potenziali. Omessi versamenti. Liti pendenti. Scritture contabili. Imposte indirette… Le sanatorie in Italia sono come gli zombies: credi di averli seppelliti per sempre, ma prima o poi riescono dalla tomba.
Ritornando invece al nuovo (e non ultimo) scudo tremontiano, il rimpatrio dei capitali avverrà con dichiarazione riservata, tramite intermediari privati: Banche; consulenti finanziari; studi commercialisti; agenti di cambio…
Un altro regalo agli amici di sempre: i poteri deboli dell’Italia che lavora (e soprattutto fotte!)
Naturalmente, è esclusa la punibilità per reati tributari come l’omessa dichiarazione dei redditi; la dichiarazione fraudolenta; l’emissione di fatture false. I relatori però non hanno tralasciato nulla, estendendo l’impunità anche ai reati societari come il falso in bilancio e la falsificazione dei registri contabili; manovre fraudolente su titoli, valutazione esagerata di conferimenti ed acquisti.
A dire il vero, coerentemente con la probità dei suoi promotori, il testo originale prevedeva l’estensione dello ‘scudo fiscale’ anche ai reati di ricettazione, riciclaggio, e bancarotta fraudolenta, allargando la copertura ai procedimenti penali in corso e l’impossibilità da parte della magistratura di poter utilizzare i documenti contabili come prova di reato.
È questa evidentemente l’Italia di merda che piace tanto al bilioso Renato Brunetta a caccia di parassiti.

COSÌ FAN TUTTI?!?
Le modifiche, rispetto all’abominevole bozza originale, non scaturivano certo da un ripensamento tardivo o da un ritorno di pudore legalitario, bensì dalle obiezioni del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che minacciava di negare la sua firma.
Calmate le acque durante la pausa estiva, gli Amici degli Amici sono subito ritornati alla carica…
Nella serata del 15 settembre, il sen. Salvo Fleres (ex-PRI in quota PdL), d’accordo col relatore del provvedimento Antonio Gentile (PdL), ci riprova e presenta un emendamento che prevede il ripristino del salvacondotto anche per i procedimenti penali in corso. L’emendamento allarga nuovamente le maglie dell’impunità alla dichiarazione fraudolenta, al falso in bilancio, e all’occultamento di documenti contabili, come previsto in origine. Evviva l’Italia!
Tale emendamento, di fatto, copre anche la bancarotta fraudolenta. Si tratta cioè del reato preferito da quei simpaticoni che, truffando azionisti e risparmiatori attraverso la falsificazione di titoli e bilanci, provocano il tracollo delle aziende (e la perdita di lavoro per i dipendenti) dopo aver opportunamente stornato i denari in appositi fondi neri.
Com’è ovvio, l’emendamento Fleres è stato prontamente accolto dalle commissioni con qualche modifica rispetto alla formulazione iniziale:

“Accesso negato per i procedimenti penali e per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, vale a dire il 5 agosto, ma applicabilità ai reati connessi al falso in bilancio e di carattere societario e tributario. Approvato anche il restringimento della finestra per il rimpatrio dei capitali: il termine è stato spostato dal 15 aprile 2010 al 15 dicembre 2009” 

L’ordine di scuderia emanato ai pretoriani del PdL è sostenere ad oltranza che lo ‘Scudo Fiscale’ è in vigore anche negli altri paesi europei e che ovunque funziona così.
Ma sarà vero?!?
In effetti, piani fiscali per il recupero dei capitali espatriati esistono in Europa da circa 10 anni, ma le condizioni di rientro e le penali sono molto diverse… A tal proposito, riportiamo in un breve riepilogo la percentuale da versare sul rientro e l’anno in cui lo ‘scudo’ è stato promulgato.
Giudicate voi stessi:
GRAN BRETAGNA: 01/09/2009-12/03/2010; è previsto il versamento del 10% sul capitale unitario, più il pagamento di tutte le tasse arretrate e di tutte le imposte evase, compresi gli interessi di mora. Nessun anonimato.
FRANCIA: Pagamento delle imposte evase, interessi di mora, sanzioni amministrative e pubblicazione dei nomi dei contribuenti che hanno commesso gli illeciti più gravi.
GERMANIA: doppia aliquota del 25% nel 2004 e del 35% nel 2005.
BELGIO: 9%  (2004)
RUSSIA: 13% (2006)
ITALIA: 2,5% (2001-2002)
Per trovare qualcosa di simili, eppur sempre migliore, di quanto proposto (e riproposto dalle nostre parti) bisogna guardare alle ‘cenerentole’ d’Europa…
GRECIA: 3% (2004)
PORTOGALLO: 2,5% ma solo per il denaro investito in titoli fiscali e pagamento del 5% per tutto il resto (anno 2005).

Il 1° Ottobre del 1893, in concomitanza con lo scandalo della Banca Romana, L’Asino pubblicava una sarcastica parodia del “Re Travicello” di Giuseppe Giusti:

Al Re Travicello piovuto ai ranocchi leviamo il cappello e diamo baiocchi,
lo predico anch’io che costa un fottio ma è comodo e bello un re travicello:
ei bada a mangiare e lascia rubare.
È un re travicello che calza a pennello
(…) Da tutto il pantano si sente gridare:
Evviva il sovrano che lascia rubare!

Non molto è cambiato da allora.

Finanza Creativa (II)

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 marzo 2009 by Sendivogius

 

 “The Italian Job

 

ponzi1 Immaginate una sala scommesse, dove allibratori senza scrupoli vendono pacchetti differenziati a giocata multipla garantendo vincite sicure, ad alto rendimento, in cambio di puntate relativamente modeste purché continue.

Immaginate che le quote siano co-finanziate dagli stessi allibratori con la concessione di prestiti non garantiti che, attraverso un afflusso costante di nuovi scommettitori, spingono al rialzo il valore delle eventuali vincite.

Immaginate una sacca speculativa che, con nuovi azzardi e l’estensione condivisa del rischio, si autoalimenta tramite iniezioni fittizie di denaro, incrementa il debito, dilazionando il pagamento dei crediti. E la bolla continua a gonfiarsi, finché non giunge il momento di rifondere il prestito originario, spacchettato a sua volta in obbligazioni creditizie negoziabili, piazzate ad ignari portatori-investitori. Il loro valore solvibile è molto simile a quei bigliettini chiamati “pagherò”, che gli incalliti giocatori di poker sottoscrivono, pur nella consapevolezza di non essere nella condizione di saldare.

Il meccanismo, che per la sua creatività finanziaria è (impropriamente) ricollegabile alle cause dell’attuale crisi economica, continua ad essere riproposto con perversità ciclica nei mercati senza regole della finanza globalizzata.

Le modalità di applicazione rispondono, o quantomeno si ispirano, ad uno “schema” consolidato che dal suo ‘misconosciuto’ creatore, Charles Ponzi, prende il nome.

 

IL RE DELLA TRUFFA

Quando Carlo Ponzi sbarcò a Boston, nel novembre del 1903, era solo l’ennesimo emigrato italiano, di belle speranze e pochi spiccioli, venuto a cercar fortuna in America.

charles-ponziOriginario di Lugo di Romagna (dove era nato il 3 marzo 1882), il giovane Ponzi aveva lasciato presto il suo impiego alle Poste, per inventarsi studente universitario a Roma e sperperare tutti risparmi in gozzoviglie e divertimenti, giocando alla bella vita. A corto di quattrini, decide di riparare negli Stati Uniti e durante la traversata perde gli ultimi denari in scommesse e gioco d’azzardo. Il ragazzo ragiona in grande, ma per il momento si deve accontentare di lavorare come sguattero e lavapiatti in un ristorante. Risparmia sull’alloggio perché dorme sul pavimento delle cucine. Però è accattivante, di bell’aspetto, parla bene l’inglese, e presto diventa cameriere. Impiego che non conserva a lungo, perché truffa i clienti sui resti e gratta i soldi dalla cassa.

Nel 1907, Ponzi si trasferisce in Canada, a Montreal, dove in qualche modo riesce a farsi assumere come aiuto-cassiere nella banca fondata da un altro italiano, Luigi Zarossi, che ha costruito la sua fortuna grazie alle rimesse degli emigranti garantendo tassi d’interesse del 6%, al doppio di quello vigente presso gli altri istituti canadesi. Probabilmente, prima di essere affinato, il futuro ‘sistema Ponzi’ trova ispirazione proprio nella disinvolta gestione della banca. Il “Banco Zarossi” versa infatti in gravi difficoltà finanziare, a causa di una serie di speculazioni sbagliate nel mercato immobiliare, e utilizza i fondi dei nuovi clienti per pagare gli interessi sul debito. Il giochino continua fino all’inevitabile fallimento della banca, quando il buon Louis scappa in Messico con gli ultimi soldi che i risparmiatori gli avevano affidato. Necessità fa virtù e Ponzi, di nuovo disoccupato, non si perde d’animo… Capisce che la sua fortuna è negli USA. Di nuovo a corto di quattrini, riesce a impossessarsi del libretto d’assegni di un ex correntista del ‘Banco’ e si intesta un assegno di $423.58  falsificando la firma di un direttore di filiale. Beccato, deve rimandare la sua partenza perché si fa tre anni di prigione a Montreal.

Nel 1911, Ponzi riesce finalmente a rientrare negli USA. Arriva fino ad Atlanta e subito trova ospitalità nelle carceri della Georgia, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (di italiani). La prigione federale, dove rimane per due anni, si rivela un’altra esperienza proficua: collabora come traduttore, facendo conoscenza con i boss corleonesi della Mano Nera. Soprattutto, entra in contatto con Charles W. Morse, il Re del Ghiaccio, speculatore e affarista di NY.  

Dopo la scarcerazione, Charles Ponzi si sposta nuovamente a Boston e nel 1918 si sposa con una ragazza di origini italiane. Non per questo rimane con le mani in mano dimostrandosi, a suo modo, un precursore… Si dedica infatti alla raccolta di annunci pubblicitari, con la realizzazione di un catalogo specializzato per imprese ed esercizi commerciali. Il progetto tuttavia non va in porto, a causa della cronica carenza di fondi. Ma ecco che tramontata un’idea, ne sorge subito un’altra più grandiosa. In risposta ad una sua precedente lettera indirizzata ad una società che lavora in Spagna, Ponzi riceve una richiesta di notizie dettagliate sulla potenziale rivista. Allegata alla missiva trova un IRC (International Reply Coupon), un ‘buono di risposta internazionale’, per l’affrancatura della lettera di ritorno. L’IRC è un buono prepagato con validità internazionale, che viene utilizzato in sostituzione dei normali francobolli. In pratica, permette di spedire lettere già affrancate all’estero. La validità del coupon è standardizzata a livello internazionale, ma il costo d’acquisto varia a seconda dei singoli stati. Questo vuol dire che, al momento della conversione in francobolli, lo stesso IRC acquistato negli USA al prezzo di un dollaro (in sostituzione di un francobollo da 1 $), in Italia potrebbe avere invece un valore equivalente a 30 centesimi di dollaro. In tal caso, il margine di profitto sarebbe del 70% qualora i coupon fossero acquistati in Italia e convertiti poi in francobolli americani. Basata essenzialmente sull’acquisto e sulla vendita dello stesso bene in due mercati diversi, si configura come una operazione di tipo finanziario, conosciuta dagli operatori di settore col nome di “arbitraggio”, che genera un profitto immediato lucrando sulle differenze di prezzo.

Inutile dire che il vulcanico Ponzi vede nella circostanza una incredibile fonte di guadagno.

 

LO ‘SCHEMA PONZI’

Charles Ponzi costituisce una nuova società: la Securities Exchange Co e gli IRC movimentati alla stregua di “titoli di cambio” pagabili al portatore: attraverso una rete di agenti mandatari in Italia, Ponzi acquista i coupon postali; gli IRC acquistati in Italia vengono trasferiti in USA e convertiti in francobolli americani, approfittando del cambio vantaggioso.

Per i capitali di investimento si ricorre a finanziatori terzi, ai quali Ponzi assicura rendimenti eccezionali a pronto termine, con tassi d’interesse del 50% e corresponsione del capitale entro 90 giorni dall’investimento iniziale.

Una seconda rete di agenti a provvigione, ben pagati, che agisce secondo i meccanismi del marketing multi-level, si preoccupa di procacciare clienti in territorio americano, specialmente tra la comunità degli emigrati italiani. Finché le quote di partecipazione affluiscono copiose, insieme ai nuovi investitori, la compagnia continua a corrispondere regolarmente i dividendi, contribuendo alla creazione di piccole fortune patrimoniali, che rendono Ponzi popolarissimo tra i molti beneficiati.

Dal Febbraio al Maggio del 1920, la “Securities Exchange” passa da un capitale di $5.000 a $420.000. A Luglio dello stesso anno, Ponzi ha raccolto fondi per svariati milioni di dollari e possiede il controllo di una banca: la Hanover Trust Bank.

In realtà, ad una più attenta analisi finanziaria, la Securities Exchange lavora in costante perdita, nonostante la società riesca a raccogliere fino a $250.000 al giorno. Il suo passivo cresce in parallelo con la liquidazione delle quote, senza che gli investimenti riescano a colmare un pauroso buco di bilancio (opportunamente occultato nei libri contabili). Innanzitutto, i tassi di cambio degli IRC, al netto delle spese di gestione e di commissione, non risultano così vantaggiosi come Ponzi credeva ed il saggio di profitto è notevolmente inferiore rispetto alle aspettative originarie. Gli stock di “buoni” (gli IRC) sono nettamente inferiori, in rapporto a quelli che dovrebbero essere necessari alla capitalizzazione finanziaria della compagnia. La maggiorazione delle quote investite dai clienti dovrebbe essere ulteriormente garantita da una serie di arzigogolate operazioni di ingegneria finanziaria che in realtà sono inesistenti.

Lo Schema Ponzi è un sistema a perdere in cui le rimesse degli ultimi arrivati pagano gli interessi maturati dai primi investitori. Se il flusso dei nuovi clienti si interrompe, la liquidazione delle quote promesse diventa impossibile a causa dell’inevitabile prosciugamento dei fondi in deposito in assenza di versamenti.

Il Boston Post, quotidiano che aveva inizialmente elogiato lo schema creato da Ponzi, inizia ora a criticarne aspramente i limiti e le ambiguità. Escono fuori i precedenti penali di Ponzi, insieme alla sua fedina non proprio immacolata. Le autorità federali iniziano una serie di indagini fiscali. Tra i risparmiatori inizia a diffondersi il panico con la corsa al ritiro. La società dell’intraprendente romagnolo inizia a scricchiolare paurosamente, prima dell’inevitabile collasso. Ma Ponzi fa una cosa ‘strana’… evidentemente convinto del suo ruolo di imprenditore, irretito dall’abito di filantropo che gli è stato cucito addosso, invece di scappare all’estero col malloppo (come già aveva fatto Zarossi) continua a pagare i premi ai suoi clienti che sempre più numerosi si presentano agli sportelli della banca, fino ad esaurimento fondi.

La parabola di Ponzi dura circa un anno. Arrestato nel novembre del 1920 per bancarotta e frode, viene condannato ad una pena complessiva di 13 anni: ai cinque anni iniziali se ne becca altri 9 durante il processo d’appello come “ladro comune e notorio”. Questo pure perché Ponzi, uscito su cauzione, ha pensato bene di “darsi alla macchia”. Infatti ricompare in Florida, dove si fa chiamare Charles Borelli, e subito organizza una nuova truffa fondiaria ai danni di sprovveduti farmers. Arrestato nuovamente, ancora una volta esce su cauzione e ripara in Texas dove cerca disperatamente un imbarco per l’Italia e l’impunità.

Il 28 Giugno del 1926, viene arrestato a New Orleans a bordo di un mercantile italiano.

Rilasciato nel 1934, viene immediatamente espulso dagli USA (Ponzi non aveva mai ottenuto la cittadinanza). Tornato in Italia, si guadagna da vivere come traduttore. Mussolini lo coopta nel suo governo, affidandogli incarichi di gestione finanziaria. E Ponzi dimostrerà di essere talmente incompetente in materia da venir trasferito come impiegato nella “Ala Littoria”, l’allora compagnia di bandiera, distaccato a Rio de Janeiro in Brazile dove lavora dal 1939 al 1942. Con la guerra, i voli vengono sospesi e Ponzi perde nuovamente l’impiego, ma rimane a Rio dove muore il 18 Gennaio 1949 in un ospedale per poveri.

Tuttavia, il “Ponzi-scheme” non muore col suo ideatore e gli emuli non mancano: dalle ‘finanziarie piramidali’ ai ‘banchieri di Dio’, che però meritano una trattazione a parte.

 

ANNO 2009

wall-street-1929 In tempi più che recenti, il famigerato schema è stato riproposto da businessman senza scrupoli come Nicholas Cosmo, che con la sua Agape World Inc ha rastrellato qualcosa come 400 milioni di dollari. Cosmo è stato arrestato a NY il 26 Gennaio di quest’anno.

Ma il più ‘famoso’ di tutti è sicuramente un ex bagnino di Long Island, passato dalle spiagge della Grande Mela alla presidenza del Nasdaq: Bernard Madoff il quale, con la sua Investement Securities, ha realizzato la più grande truffa finanziaria di tutti i tempi. Pare che la cifra si aggiri intorno alla modica cifra di 50 miliardi di dollari. Il caro Bernie, senza strafare, prometteva rendimenti sicuri ad un tasso ragionevole del 10% – 15%. Il fatto che gli hedge funds di Madoff fossero immuni dalle oscillazioni del mercato finanziario, garantendo un rendimento costante, con un saldo sempre in positivo, evidentemente non ha mai destato sospetti tra i suoi pur facoltosi clienti. Almeno fino al crollo dell’intero sistema, quando con le prime avvisaglie delle crisi economica gli investitori sono tornati a reclamare le loro quote.

Nella rete di Madoff sono confluiti fondi pensione, piccoli risparmiatori e grandi istituti finanziari, fondazioni ed enti di beneficenza collegati al bel mondo di Hollywood. Tutti molto convinti della solidità dei Jewish Bond emessi da Madoff, che ha truffato mezza comunità ebraica d’America. Tra le vittime dei salotti buoni che contanto, c’è anche il regista Steven Spielberg ed il premio nobel Elie Wiesel. Tra le banche (fonte: http://www.finansol.it/?p=1078) si registrano scoperti per svariati milioni di dollari:

– UNICREDIT, 75 milioni

– BANCA POPOLARE, 60 milioni
– BNP Paribas, 350 milioni
– Bbva , 300 milioni
– Hsbc, 1 miliardo
– Natixis, 450 milioni
– Rbs, 400 milioni di sterline
– Axa, 100 milioni di euro
– Man Group, 360 milioni di dollari
– Nomura, 302 milioni di usd
– Credit Agricole, 10 milioni

Naturalmente, tali perdite rischiano di coinvolgere, loro malgrado, i clienti degli istituti interessati ed i contribuenti tutti, arruolati a forza nei cosiddetti “piani di salvataggio”. Questo dopo che magari si è convinti i lavoratori ad affidare la gestione del proprio TFR ai fondi di categoria, tutti altamente sicuri e garantiti. Come quelli di Madoff.

 

P.SBuona parte delle informazioni presenti in questo articolo sono state desunte da wikipedia. Un particolare ringraziamento va invece rivolto ai lettori di Liberthalia: il post dedicato a “Il Mostro di Roma” ha raggiunto quasi 200 visualizzazioni nelle prime 56 ore dalla pubblicazione. Per chi scrive, sono piccole (grandi) soddisfazioni.

 

Finanza Creativa (I)

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , on 9 ottobre 2008 by Sendivogius

 

CANIS EDIT CANEM

 

 C’è qualcosa di profondamente malsano in questa finanza cannibale che fagocita capitali senza produrre alcun valore aggiunto, immettendo nel mercato scorie tossiche che avvelenano l’economia e destabilizzano la tenuta di bilancio di interi Stati con gravi ripercussioni sul tessuto sociale.

C’è qualcosa di criminale in questo capitalismo finanziario, che per anni ha drogato gli investitori attraverso gli artifici della finanza creativa col massiccio spaccio di strumenti finanziari “fuori standard”, fino alla devastante overdose da derivati.

Economisti e banchieri cresciuti all’ombra dei Chicago Boys, avevano annunciato con magnum gaudium la fine dell’odioso intervento statalista, la progressiva scomparsa dello stato sociale, in nome dell’espansione globale dei mercati finanziari nelle praterie ultraliberiste della deregulation. I famosi lacci e lacciuoli da recidere, per liberare gli spiriti animali del libero mercato. A correggere le eventuali storture avrebbe provveduto la provvidenziale “mano invisibile”, presente solo nelle fantasie mercantilistiche del vecchio Adam Smith. Il naturale traguardo del “turbocapitalismo” di marca anglossassone, forgiato nei rigori della scuola monetarista (e inaugurato negli anni ‘80 dall’accoppiata Reagan-Thatcher), è stata la più grave crisi mondiale dal crollo di Wall Street nel 1929. Della mano invisibile, come al solito, non c’è alcuna traccia, a parte i moncherini di chi ha lasciato gli artigli sotto la mannaia delle Borse. Ben più presente è invece la mano del vituperato intervento statale, così odioso quando si tratta di redistribuire i profitti e contenere disuguaglianze sempre più grandi. Come da tradizione oramai collaudata con successo, profitti privati e perdite pubbliche.