In tempi difficili di depressione economica, drammaticamente proiettati verso il concreto rischio di stagflazione, la cosa forse più insopportabile sono quei rampanti fighetti, che giocano a fare i grandi imprenditori con la fabbrichetta ereditata da papà. Quindi, dall’alto delle loro carriere artificiali, ci vengono a parlare di sacrifici inderogabili e necessità contingenti, concionando di costi del lavoro e di salari, durante i cocktail party, tra una tartina ed una gita in yacht, stretti nei loro gessati di sartoria da 5000 euro. È quella nefasta genia di quarantenni, che scambia il privilegio per merito e la cooptazione clanica per confronto.
Nel familismo d’impresa, si sentiva davvero la mancanza del fondamentale contributo del vicentino Filippo Pavan Bernacchi (classe 1966), occupato in pianta stabile nella concessionaria di famiglia e presidente di FEDERAUTO: l’associazione che riunisce i concessionari italiani.
Certa imprenditoria è piena di gente che concepisce gli affari come una guerra e dunque legge Clausewitz e Sun Tzu, pensando di applicarli all’economia. Un’altro esempio illustre del genere era Antonio D’Amato (presidente di Confindustria dal 2000 al 2004): il pastasciuttaro napoletano che si credeva Napoleone, e sicuramente per l’altezza gli assomigliava.
Pavan Bernacchi, ex ufficiale degli Alpini, affronta la crisi dell’auto con cipiglio tutto militare, levando alto il suo verbo direttamente dalle pagine de La Repubblica.
E siccome a noi non piacciono i monologhi, ci permettiamo di aggiungere in calce qualche piccola osservazione, riportando parte del testo della missiva, che per intero trovate QUI…
“In Europa Occidentale produrre non conviene più. Questo è la madre di tutti i problemi.”
Però nell’Europa occidentale conviene vendere, giacché le ricariche rispetto ai costi di produzione, ed i conseguenti margini di profitto, sono enormemente più elevati.
“I fattori sono molteplici. Prima di tutto vi è il costo del lavoro; se paragonato a quello di Cina e India, non c’è match. Battuti in partenza. Ma anche verso i paesi dell’Europa dell’Est, o della ex-Jugoslavia, c’è un abisso.”
Infatti, il costo della vita e dei prodotti al consumo è nettamente più basso, per venire incontro a salari da fame, ai limiti della sussistenza. Ne consegue che nessuno o quasi degli operai che producono vetture in Serbia, Cina, India… potrebbe mai permettersi di comprare le auto che costruisce. L’abisso c’è soprattutto nella capacità di acquisto, che viene compensata dal mercato occidentale: l’unico davvero in grado di assorbire le merci in vendita.
“Poi c’è l’aspetto della produttività. Quei popoli hanno fame, anche di lavorare, per cui nel lavoro ci mettono l’anima e sono disponibili a sacrifici su turni notturni o festivi. Come noi nel dopoguerra, per intenderci.”
Il famoso “dopoguerra” era caratterizzato da una forte crescita economica, con retribuzioni in continua espansione e non indicizzati al costante ribasso come invece avviene attualmente. Ciò detto, uno stipendio medio in Italia si aggira attorno ai 900 euro (scarsi), con un’incidenza sui costi di produzione inferiore al 9%. Se vi sembrano cifre insostenibili…
“Si passa poi agli aspetti sindacali. I sindacati, da noi, sono stati importantissimi in passato per tutelare i lavoratori che non beneficiavano neppure dei diritti elementari. Ora però si invertito il rapporto di forza. I lavoratori sono iper-tutelati e licenziare qualcuno quando l’azienda naviga in cattive acque, o che: rema contro, non produce, si dà malato strumentalmente… è quasi impossibile. E se un imprenditore ci prova il giudice del lavoro, molto spesso, reintegra il dipendente nel suo ruolo comminando all’azienda pesanti sanzioni. Si aggiunga l’estrema facilità con cui si può venire in possesso di un certificato medico che esime il beneficiario dal presentarsi al lavoro e il gioco è fatto.”
Circa il 45% dell’attuale forza lavoro viene assunta a tempo con contratti “atipici”, ed individualizzati, che già prevedono garanzie minime e nessuna forza contrattuale. La sottoscrizione di tali contratti implica retribuzioni al minimo sindacale, piani orari non negoziabili, iper-flessibilità coatta dei lavoratori precari e parasubordinati, ricorso esasperato agli straordinari, generale esclusione dai cosiddetti ammortizzatori sociali e, nei casi più estremi, assenza di liquidazione per i lavoratori “in uscita”. Da ricordare che, nell’Italia del presunto lavoro blindato e ultra-tutelato, esistono ben 31 tipologie contrattuali flessibili, senza contare i nuovi schiavi impiegati nella gran parte delle pseudo cooperative di servizi. E in questo caso, le buste paga (oltre ad essere erogate con intollerabile irregolarità) difficilmente superano i 500 euro mensili, con retribuzioni per 1h/lavoro di 3,75 euro.
“D’altronde questo è il Paese dei falsi invalidi.”
E soprattutto del capitalismo straccione ed assistito dei capitani senza capitali. Delle truffe sui crediti IVA; dei falsi rimborsi comunitari e del falso in bilancio depenalizzato; delle bancarotte fraudolente; del lavoro nero e dell’evasione fiscale, strutturalizzata in prassi ordinaria di impresa. Ma è anche il Paese dei consigli di amministrazione milionari e degli amministratori delegati da 500 mila euro all’anno, con liquidazioni stratosferiche a prescindere dal rendimento aziendale.
È pure il Paese dove il divario tra lo stipendio di un management (spesso incapace quanto e più dei suoi subordinati) e lavoratori ordinari può raggiungere il 320%.
Naturalmente, se il taglio delle retribuzioni delle maestranze sembra essere diventato un imperativo categorico, resta rigorosamente tabù ogni ipotesi di porre un freno alle mega-retribuzioni dei manager, che invece sono protese verso un costante rialzo.
E sulla questione troverete agguerrite legioni di economisti, politici, editorialisti prezzolati, che incensando la magnifica perfezione di un siffatto Mercato, vi parleranno di ottimizzazione dei costi e di flessibilità, spiegandovi quanto sia ‘moderno’ e ‘coraggioso’ cancellare tutte le conquiste sociali degli ultimi 50 anni, in nome di una non meglio precisata “meritocrazia”.
La situazione in oggetto può essere riassunta con un detto scurrile ma efficace, piuttosto in voga a Roma: “è facile fare il frocio col culo degli altri”.
“Poi ci sono le regole per la sicurezza sul lavoro e contro l’inquinamento. Sono sacrosante, ma in un mondo globalizzato o le adottano tutti i paesi, affrontandone i costi – che poi fanno salire i prezzi dei prodotti – oppure chi le applica è tagliato fuori dal Mercato. E quindi molte leggi dovrebbero essere paradossalmente adottate a livello mondiale: tutela lavoratori, tutela ambiente, orario settimanale, straordinari, cuneo fiscale, lavoro minorile, donne e maternità. Solo così si potrebbe competere ad armi pari. Utopia, certo, ma così stanno le cose.”