Archivio per Europa

Che bella cagata!

Posted in Muro del Pianto with tags , , , on 8 aprile 2023 by Sendivogius

Accattivante come una scorreggia ad un matrimonio, si conclude in tutta la sua deprimente mestizia l’inutile galleria di imbarazzanti manifesti giganti, coi quali la nefasta presidenza UE della contessa Von Der Kulen celebra se stessa ed il funerale di una Unione, che continua a conservare l’appeal di una merda riscaldata nel forno a micronde.
Da notare la scelta ossessiva dei colori giallo e blu, dopo l’annessione dell’Europa all’Ucraina, e l’inquietante sequenza di profili trisomici a trazione nordica, tra volti sfuggenti, sguardi vacui, espressioni porcine, e alberi rachitici su fondali incerti, esaltati dal raffinato gioco di parole nell’inconsistenza evanescente del messaggio da veicolare (variabile a seconda del pubblico nazionale).
Dovranno fare di molto meglio per convincerci…
E affidarsi ad un’agenzia pubblicitaria migliore!

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Letture del tempo presente (XIV)

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , on 28 ottobre 2022 by Sendivogius

LA TRANQUILLITÀ DEI CRETINI

«L’allegria demenziale che promana dai media si mescola al cinismo inarrivabile con cui viene elargita l’informazione e, aggiungendovi il grottesco, rende la situazione ancora più sinistra. La parola ipocrisia si mostra in questo caso inadeguata e ne servirebbe una nuova per sondare gli abissi che quella non è nemmeno in grado di sfiorare. Basta accendere la tv per assistere all’apoteosi della imbecillità spacciata per eroismo e della criminalità contrabbandata per aiuto umanitario, sfogliare un giornale per capire fino a che punto un padrone onnipotente possa indurre i servi perfino all’autolesionismo, dare un’occhiata al web per godersi la fiction in streaming degli ultimi giorni dell’umanità. Le ridanciane kermesse televisive – giochi a premi, scherzi, ricette di cucina, consigli per gli acquisti, gossip e schitarrate – proseguono 24 ore su 24, interrotte di tanto in tanto da un telegiornale che, tra una notizia sulla laboriosa esistenza dei reali d’Inghilterra e un aggiornamento sull’ultima attrice che s’è tagliata le doppie punte “a sostegno di…” ci comunica che siamo sull’orlo di una guerra nucleare che nessuno ha la minima intenzione di fermare perché fermarla non è nell’interesse del padrone che, dall’altra parte dell’oceano, ci guarda benevolo e severo. L’Europa potrebbe essere cancellata dalla faccia del pianeta ma, fino a quando Hollywood rimane al suo posto, il problema non si pone. Si spegne la tv e si va a fare la spesa spendendo il doppio di quello che si spendeva prima acquistando le stesse cose ma non fa niente perchè, sempre in tv, ci hanno spiegato che bisogna fare sacrifici per il signor Zelensky e per i suoi compagnucci di merenda. Quegli eroi infatti non lottano soltanto per la libertà degli ucraini di farsi derubare e affamare da loro ma anche per la libertà del nostro padrone di continuare a fare il padrone e sfruttarci in tutta tranquillità. E la cosa spaventosa è che, oltre ad andare a fare la spesa in un supermercato, non ci è concesso di fare altro che cambiare programma per guardare e sentire le stesse cose, visto che le trasmettono a reti unificate. Oppure andarcene a dormire aspettando che si decida a colpi di missili nucleari e sulla nostra testa chi deve vincere la mano di poker tra un’accolita di criminali che siede nella parte occidentale del tavolo – giocando la sua partita alle spalle di un clown imbecille ma strapagato – e un autocrate non meno criminale che siede nella parte orientale. Sotto il tavolo quella bagascia che chiamano Europa fa i pompini gratis a tutti. Chiunque vinca noi perdiamo. Anzi abbiamo già perso. Ne consegue un’indifferenza diffusa e impressionante che ricorda quella degli zombie che vanno avanti senza sapere dove vanno né perché; fino a quando non finiscono in fondo alla scogliera sfracellati e il mare se li porta. Tanto le cose veramente importanti permangono: cada grandine o missili nucleari la pausa pubblicitaria andrà in onda come da contratto. Già ora la trasmettono tra una bomba e l’altra…ma continueranno a farlo attraverso le ceneri radioattive fino a quando ci sarà un Mentana ad annunciarla in diretta. Dopo si provvederà in loop. L’impassibilità nella quale ci crogioliamo potrebbe trarre in inganno ed essere scambiata per temerarietà. In realtà non ha nulla a che vedere con il coraggio e la cosa peggiore è che non ha nulla a che vedere neanche con quella incoscienza giovanile che può anche fare tenerezza o riuscire affascinante – siamo un popolo di vecchi e l’ardimento adolescenziale se lo sono mangiato le tarme. E’ piuttosto l’ottusa tranquillità del cretino che mentre la nave affonda se la spassa con lo yo-yo. Ma d’altra parte convincersi che questa umanità castrata, inebetita e ridotta a utenza meriti di sopravvivere – per quante attenuanti le si vogliano concedere – è terribilmente difficile…»

Ugo Rosa
(09/10/22)

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THE WINTER IS COMING…

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , on 23 settembre 2022 by Sendivogius

“Vedremo come vanno queste elezioni: anche le persone, a cui i governi devono rispondere, giocano un ruolo importante. Se le cose vanno in una situazione difficile abbiamo gli strumenti…”

Ursula Von der Leyen
(23/09/2022)

Forse qualcuno dovrebbe spiegare alla Contessa Von der Kulen, quella con la bandiera dell’Ucraina cucita addosso, già trafficante di armi e spacciatrice di sieri su provvigione in conto vendita, il vero significato della parola “Democrazia”, codesta sconosciuta; giacché a queste Marie Antoniette che amano parlarsi addosso (e farlo a vanvera) sembra sfuggirne totalmente il significato, mentre dispensano brioches al popolino ingrato, il quale proprio non ne vuol sapere di votare nel modo giusto.

Ce lo aveva già ricordato a suo tempo (era il 28/05/2018) il “Commissario europeo al Bilancio”, Gunther Oettinger, con una di quelle frasi diventate memorabili:

“I mercati insegneranno agli italiani a votare nel modo giusto”

Ora ci si è aggiunta anche la NATO ed un rincitrullito nonnetto arteriosclerotico facente veci del presidente USA, ad avvertirci su come e cosa dobbiamo votare (atlanticamente conforme), sottolineando il nostro irriducibile ruolo di colonia a servaggio militare.
Tuttavia, sarà il caso che la “Signora” in giallo ukronazi, ennesimo esemplare avariato di pedagogia tedesca, sublimata dalle divinità ctonie dei mercati unificati dell’Ordnung psycho-liberista su pensiero unico, riponga l’elmetto griffato nel suo boudoir di lusso, invece di lanciare avvertimenti paramafiosi in una delle sue sempre più perniciose esibizioni pubbliche, con le quali ci sventola la propria inutilissima presenza. O stavolta, col piattino avvelenato che la gilda mercantile incistata a Bruxelles ci ha approntato per il prossimo inverno, potrebbe farsi male per davvero. E non solo lei…

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Letture del tempo presente (XIII)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , on 27 giugno 2022 by Sendivogius

 E se pure La Stampa, avanguardia delle truppe cammellate scatenate a supporto delle magnifiche sorti progressive della NATO e della “civiltà occidentale”, per l’avanzata atlantista nell’occupazione dello spazio post-sovetico in vista della prossima campagna d’Oriente, inizia a muovere qualche timidissimo dubbio (pur con molte riserve e reticenze), dopo tre mesi di guerra asimmetrica per procura, sui guasti irreversibili della comunicazione emozionale, scoprendo finalmente il grande bluff dello Zela di guerra e propaganda, un nano da palestra travestito da oliva del Martini che recita Churchill a soggetto, allora vuol dire che anche nelle stanzette colorate dei bottoni comuncia ad arrivare l’odore dell’imminente tempesta di merda che monta nell’aria e ci attende in Autunno…
E questo nonostante il desiderio ormai evidente che pervade i grandi quotidiani del conformismo unificato, nel voler tornare ad occuparsi delle rassicuranti miserie di casa nostra.

“Zelensky vince la guerra delle emozioni, ma per l’Occidente è un boomerang.  Così il leader ucraino ha trasformato un conflitto locale in un confronto allargato tra Nato e Russia.”

«Dove sta la genialità dell’omaggiatissimo Zelensky? Che cosa ci ha stregato tanto da affidargli una delega in bianco: decida lui quale deve essere la pace che lo accontenta? È forse un condottiero impavido? Un politico implacabile? Un democratico senza macchia e senza paura? Niente affatto. Il suo colpo di genio è nell’aver compreso che nel ventunesimo secolo i popoli, e i loro leader a rimorchio, seguono più le passioni che gli interessi.
Insomma: se contassero davvero gli interessi l’Occidente, e soprattutto l’Europa, dovrebbe a tutti i costi cercare, anche in questo caso come ha fatto per venti anni, di avere eccellenti rapporti con Putin. Perché ne derivano evidenti e immediati vantaggi, ad esempio sul piano dei vitali rifornimenti energetici, e soprattutto dell’evitare una nuova guerra fredda senza assicurazioni sufficienti contro irrimediabili sviluppi atomici. Ma ci sono le passioni, fattore non preventivamente valutabile negli schemi e su cui si può agire più efficacemente e facilmente che con i dati economici, militari o delle alleanze. Attenzione a non confondere: le passioni nulla hanno a che fare con l’etica, tanto è vero che vengono eccitate, create, indirizzate. E questo riesce benissimo soprattutto ad arruffapopoli e dittatori.
Passioni: la parola è usurata tanto che resta aperto il problema se il disordine attuale del mondo, di cui la guerra in Ucraina è un capitolo, sia la conseguenza di questo scatenamento emotivo o sia proprio il caos ad aver incendiato le emozioni collettive. Insomma: qual è la gerarchia e l’equilibrio tra lo sfondo politico e la crescita furente delle passioni?
Zelensky ha intelligentemente riflettuto che durante le crisi sembra che il tempo cambi aspetto, la durata non è più percepita come nel normale stato delle cose.
Invece di misurare la permanenza essa misura le variazioni. Operano nuove “cause” che turbano l’equilibrio che esisteva prima. Qualcosa che assomiglia molto alla magia del meccanismo teatrale. E lui, in fondo, non è un attore?
Ha colto il fatto che soprattutto nei Paesi democratici è proprio la debolezza delle ideologie e delle istituzioni a ridar forza alle passioni. Bisogna dunque approfittare, soprattutto nei rapporti con alcuni Paesi da cui dipende la sopravvivenza dell’Ucraina sottoposta all’urto dell’invasore russo, della usura delle dottrine occidentali. Il moltiplicarsi confuso degli obiettivi talora porta all’immobilismo che sarebbe letale per Kiev. Ma talvolta, se ben indirizzato, determina le fughe in avanti. E proprio questo lo ha reso in questi quattro mesi di guerra padrone della situazione.
È accaduto che una guerricciola locale per una ammuffita provincia dell’Ucraina è diventata addirittura un confronto per procura di enorme pericolosità tra la Nato e la Russia. Di più: una guerra mondiale in cui (per ora) ci si batte con furore sui terreni della economia, dell’energia e del cibo coinvolgendo ormai milioni e milioni di uomini.
Come è successo? Si badi contro la volontà stessa di molti di coloro, come gli europei, che non avrebbero mai accettato alcuni mesi fa di compiere un percorso così duro e pericoloso se avessero seguito le orme della prudenza e dell’interesse. Che spingevano semmai sulla via del ridurre lo scontro alla dimensione locale, gettando acqua sulla sanguinaria provocazione putiniana.
La colpa, o il merito, è di Zelensky che imponendo la sua immagine e il suo talento di comunicatore ossessivo, martellante, onnipresente ha creato una guerra, non soltanto di cannoni e mosse diplomatiche, ma di emozioni. Il suo grimaldello è stata la colpevolizzazione sistematica e seduttiva dell’Occidente.
L’unico modo per evitare che le potenze democratiche, badando ai loro interessi immediati, si limitassero all’elemosina, come nel 2014, di qualche minuscola, innocua sanzione contro la Russia, era di brandire la disgrazia ucraina per vedersi attribuire il titolo di vittima numero uno. Costringendoci a un atto pratico di costrizione ovvero fare la guerra con lui e se necessario per lui.
Fino in fondo. Ci ha intimato fin dal primo giorno, indifferente al mutare della situazione militare, alle ritirate e avanzate, alle stragi e ai modesti tentativi diplomatici: se la Ucraina verrà spazzata via e non uscirà vittoriosa da questa guerra la colpa sarà degli europei e degli Stati Uniti, troppo fragili, vigliacchi e ottusi da non capire che il vero boccone che Putin vuole inghiottire non è Kiev ma il vecchio continente e forse il mondo. Che, dopo aver calpestato sotto i piedi mezza Ucraina, si prepara a calpestarne l’altra metà dell’Europa. Una idea che non ha connessioni con la realtà. Non perché Putin possa aver rimorsi o titubanze di fronte all’abuso della forza. Ma perché, sapendo benissimo di essere una personalità dispotica e crudele, è anche un realista. Quindi conosce i limiti pratici alla sua aspirazione di giustiziere, di esecutore delle sentenze della Storia. Eppure nessuno, in questo parossismo delle emozioni innescato dall’abile mefistofele ucraino, osa dirlo. Temendo di esser travolto dalla riprovazione universale.
Zelensky ha distribuito le parti di un remake. Scegliendo di riproporre un copione che l’Europa purtroppo conosce bene e di cui ha un ricordo orribile, la Seconda guerra mondiale. L’Ucraina aggredita, martoriata, sbriciolata è dunque Londra indomita sotto le bombe tedesche nel 1940.
Zelensky ostinato, deciso a non arrendersi mai alla brutalità totalitaria, si è preso la parte di Churchill. A Putin naturalmente tocca la maschera del nuovo Hitler. A Biden ha riservato il costume di Roosevelt che pazientemente, giorno dopo giorno, convince i distratti americani che per loro è vitale distruggere il tiranno. E intanto arma gli ucraini con una replica della celebre legge affitti e prestiti con cui venne tenuta in piedi la Gran Bretagna. E dal 1941 l’Unione sovietica di Stalin.
Operazione perfetta. La volontà di evitare l’ennesima infamia dell’Occidente capitolardo è diventata una verità unica e giusta, immutabile nel divenire della crisi e della guerra quanto la legge della caduta dei gravi. Intellettuali e politici, militanti della guerra giusta ed economisti dalla sanzione facile e indolore, si sono messi al servizio di Zelensky.
Il meccanismo delle passioni innescato dall’attore-presidente è in se stesso infernale.
Più aumenta il livello del nostro aiuto più crescono le sue ambizioni, più la guerra si prolunga più si allargano i contorni di una vittoria per lui accettabile.
L’applauso come accade agli attori lo spinge all’assolutismo del mattatore. Intanto l’Occidente, lavando preventivamente le sue colpe, non si accorge che la guerra diventa mondiale ed è via via più isolato. Quattro miliardi di persone e metà della produzione globale hanno infatti rifiutato di schierarsi con noi.
Gli zelanti alleati di Zelensky fino a ieri hanno coabitato allegramente con l’indifferenza e il silenzio per malvagità abominevoli subite da popolazioni dei Paesi cosiddetti sottosviluppati. La disgrazia di quegli infelici è che non hanno saputo far cuocere insieme gli ingredienti delle nostre emozioni. E infatti con soddisfazione un po’ proterva Zelensky ha festeggiato il sì della Unione alla candidatura ucraina ricordando: noi non siamo un Paese del terzo mondo

Domenico Quirico
(25/06/2022)

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LA FURBIZIA DEI PUFFI

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , on 21 giugno 2022 by Sendivogius

Tra i grandi acquisti che la NATO ha fatto alla fiera del Nord, ci sono le tre repubblichette baltiche (Lituania, Estonia, Lettonia)… Militarmente irrilevanti (hanno forze armate irrisorie e meno che simboliche), strategicamente indifendibili, costituiscono un saliente naturale per una linea del fronte avanzata, facilmente isolabile (la cosiddetta “Breccia di Suwałki”, lungo l’omonimo corridoio che conduce all’enclave russa di Kaliningrad) e pronta per essere trasformata in una sacca di annientamento in caso di resistenza. A tutti gli effetti, sono il vero ventre molle della NATO ed un incubo difensivo per l’Alleanza. Non presentano alcun vantaggio reale, se non per il fatto di essere delle satrapie americane incuneate contro la Russia, tanto per mantenere costante il livello di pressione (e provocazione) su Mosca. E ne costituiscono idealmente la testa di ponte, con l’illusione di poter dominare (anche) lo spazio baltico, nella politica di accerchiamento che gli USA perseguono scentemente da oltre 20 anni, su rivificazione velleitaria del Rimland che domina da sempre la geopolitca anglosassone, insieme alla pretesa di egemonia talassocratica su primato unipolare, ritenendo che ciò non comporti conseguenze. O più semplicemente facendone pagare ad altri il prezzo.
In compenso, le repubblichette baltiche sono utilissime per rompere i coglioni all’orso russo, creare il casus belli perfetto per la terza guerra mondiale e trascinarvi dentro gli alleati più refrattari, loro malgrado.
È il vecchio vizio (secondo elegante metafora) di fare il frocio col culo degli altri: pratica particolarmente in voga ad Est dell’Alleanza. Altrimenti non si spiega l’atteggiamento iper-aggressivo e ottusamente provocatorio di una pulce politica e militare come la Lituania (esempio a caso) che, giusto per allegerire l’escalation in corso, si mette a bloccare i flussi commerciali con la base navale di Kaliningrad, dicendo di applicare le sanzioni UE ma in realtà violandone i trattati bilaterali. E credere che la cosa non abbia ritorsioni (gravi) a livello continentale. O (peggio!) farlo apposta. Ci sarebbe pure molto da dire, sull’ideona di far entrare queste colonie atlantiste su protettorato USA nell’Unione europea col ruolo di guastatori informali.
Qui più che altro, si tratta di essere non solo degli imbecilli integrali… diciamo che molte guerre sono scoppiate per infinitamente meno… ma anche degli aspiranti suicidi per sindrome autolesionista, visto che la Lituania ed il resto del villaggio baltico dei puffi cesserebbero di esistere nell’arco di un nanosecondo sotto una nube atomica. Nella fattispecie, l’esercito lituano ammonta alla strabiliante forza armata di ben 3.500 soldati in organico regolare, suddivise in due “brigate” motorizzate e soltanto una meccanizzata, in realtà ciascuna con la consistenza di un reggimento in qualunque altro paese munito di un esercito degno di questo nome. A queste si aggiunga una forza navale di ben 600 marinai, oltre a circa 5.000 gendarmi tra poliziotti e guardie di frontiere ed un numero imprecisato di riservisti a riposo (ex coscritti di leva).

Esercito lituano nel 1938

Comprenderete quale formidabile potenziale deterrente possieda una simile armata, a sostegno degli atti di forza posti in essere dal propio governo (ennesimo esecutivo turboliberista di banchieri), nel gusto perverso di cercare guai e peggio ancora crearne di enormi, mentre bulleggiano dietro le spalle degli ‘amici’.
Domandina semplice-semplice: appurata in tutta la sua evidenza l’inconsistenza armata dei baldanzosi nani baltici, indovinate un po’ chi dovrebbe fare la guerra al posto loro, secondo i furbetti dell’alleanza?!?

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L’APOCALISSE GIOIOSA

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , on 27 aprile 2022 by Sendivogius

«Affermo che durante la guerra si sono resi colpevoli di tradimento contro l’umanità, tutti quegli intellettuali che non si siano rivoltati contro la propria patria, quando quest’ultima era in guerra, servendosi di tutti gli strumenti di cui un intellettuale dispone. Affermo che lo spettacolo offerto dai cantori della guerra e dai leccapiedi del mio stesso paese belligerante recandosi, a guerra finita, nel paese nemico per tendere alle popolazioni una mano insozzata dal contributo dei loro scritti allo spargimento di sangue, nonché l’improvviso cambiamento che li porta a fraternizzare con i popoli, è ben più ignominioso della loro attività durante la guerra, che tanto vorrebbero rinnegare

Karl Kraus
Gli ultimi giorni dell’umanità
Adelphi, 1996

Più che un “vertice straordinario” della NATO, quello tenutosi nella base aerea tedesca di Ramstein è stato un vero e proprio consiglio di guerra, in un tintillare di sciabole sguainate, dove i Dottor Stranamore dell’Anglosphera sono convenuti per mettere in riga le satrapie riluttanti dei dominions imperiali, in deroga alle regole di ingaggio dell’Alleanza e del più comune buonsenso, mentre lo spettro di una terza guerra mondiale si fa sempre più tangibile. E questo avviene nell’ipocrisia di poterla combattere per procura, usando gli ascari altrui come carne da cannone, e nell’illusione di non esserne travolti dopo aver dispiegato e dispensato tutto il consueto armamentario dell’industria organizzata per la macelleria umana.
 Come i sonnambuli del 1914, ci accingiamo a scivolare nel buco nero di un nuovo conflitto esteso a dimensione globale e dagli esiti imprevedibili, strisciando su una lama di rasoio sospesa sopra al baratro del non-ritorno.
La guerra si combatte con la guerra: più armi, più munizioni, più carri armati, più aerei, più obici di artiglieria, più missili… E poi? Quando questi non dovessero bastare, passeremo alle “atomiche tattiche”, che sono sempre ordigni nucleari ma più ‘accettabili’ di quelli “strategici”?!? Perché anche questo hanno fatto passare i nostri pennivendoli da trincea. Qui c’è gente che fantastica con la straordinaria idea di lanciare i contrassalti della Santa Alleanza, combattendo fino all’ultimo ucraino, armato coi propri arsenali ed addestrato dai propri “istruttori militari”, spingendo in profondità l’offensiva all’interno della Federazione Russa. E magari pensa pure di marciare verso Mosca (che poi si dovrebbe sapere come vanno a finire certe storie), avviando black OPS in territorio ‘nemico’, senza una dichiarazione esplicita di guerra… Quindi immaginare che la cosa non abbia alcuna ripercussione sugli imbelli stati clienti che si troverebbero a sperimentarne direttamente le conseguenze sul proprio territorio, in una escalation di rappresaglie incrociate, attendendo l’arrivo del 7° Cavalleria se le cose si mettono male. Il suicidio assistito di un continente, in un delirio di pura follia.

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Z come Zela

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe, Muro del Pianto, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , on 19 aprile 2022 by Sendivogius

Consacrati alla ricerca di un santo patrono a cui votarsi anima e culo, i nostri mestatori d’inchiostro all’ingrosso hanno un disperato bisogno di ‘eroi’ (meglio se a buon mercato), per ravvivare l’intreccio delle loro narrazioni fantastiche e continuare a sguazzare nella palude della propria mediocrità salottiera, ingabbiati nei circoli chiusi delle loro piccionaie autoreferenziali, dove beccarsi a vicenda come capponi all’ingrasso, mentre piluccano nelle greppie sempre più risicate dei “grandi quotidiani nazionali”. La loro misura stilistica è l’agiografia, alternata alla denigrazione sprezzante, bastone e carota, nella mistificazione costante dei fatti, ritagliati e distorti, per essere strettamente subordinati alle opinioni e confezionati in pronto uso per il prossimo talk-show.
Come sapeva bene W.R.Hearst, niente incrementa le vendite e ravviva l’attenzione del pubblico più di un conflitto bellico, costituendo una ricetta di assoluto successo per orientare le opinioni e costruire la strategia del consenso… E fu così che, memori della lezione, i nostri menestrelli di corte si convertirono a cantori di guerra: un assatanato manipolo di invasati che, indossata la tuta da combattimento, si sentono autorizzati a sparare cazzate da mane a sera, senza rischio di esaurire le munizioni, onde ribadire il loro servaggio atlantico al padrone americano, strisciando pancia a terra e canna del gas stretta tra i denti.
Ovvio che i loro peana siano al momento riservati ad un ex guitto televisivo, a metà strada tra Beppe Grillo e Mr Bean, una sagoma di cartone imprigionata in un gigantesco Truman Show, prima della riconversione a set cinematografico di guerra per le recite a copione del presidente-soldato disperso in un universo distopico, dove realtà e finzione di mescolano lasciando la stura ad una propaganda martellante ed ossessiva.
Guardatelo, mentre prova strafatto le battute su canovaccio intercambiabile a seconda della platea osannante di riferimento, travestito da soldatino, ruotando sul seggiolone presidenziale..!

Il filmato è talmente surreale che pensavamo davvero si trattasse di una parodia grottesca dell’originale a fini denigratori, prima che ce ne venisse confermata l’autenticità tra l’imbarazzo dei pochi quotidiani che non hanno censurato la notizia. Perché l’ordine di scuderia che vige tra i Cinegiornali Luce embedded (praticamente tutti) è sopire, troncare.
QUI trovate un contributo esaustivo sul personaggio, al netto delle vulgate agiografiche, costruite attorno ad un personaggio da immaginario catodico.

«Prima dello scorso 24 febbraio, la maggior parte degli italiani probabilmente non aveva mai sentito parlare del presidente ucraino Volodymir Zelensky. Molti hanno imparato a conoscerlo con la sua t-shirt militare grazie ai passaggi dei suoi discorsi in Tv, mentre in rete girano le immagini della sua vita precedente, quando era un comico molto apprezzato dal pubblico per la sua satira del Potere, che gli è valso quel pizzico di notorietà utile a vincere le elezioni nel 2019 e a diventare capo dello Stato. Nella copertura mediatica (per la verità un po’ agiografica) che le tv italiane hanno riservato a Zelensky in questi giorni di guerra, è mancato però ogni riferimento ai suoi due anni e mezzo alla guida dell’Ucraina. Periodo invece che contiene aspetti molto interessanti, e anche utili a interpretare gli eventi di oggi.

Il programma
Zelensky si candida alla guida dell’Ucraina con un programma che ha tre punti fermi: rilancio dell’economia, lotta alla corruzione rappresentata dagli oligarchi (come i suoi avversari: il presidente uscente Petro Poroshenko e l’ex premier Yulia Timoshenko) e soprattutto pace nel Donbass e stabilizzazione dei rapporti con la Russia. Al primo turno delle Presidenziali, a sorpresa, è il più votato: raggiunge il 30,6%, una percentuale superiore ai voti di Poroshenko e della Timoshenko messi insieme.
Un risultato che, anche alla luce del fatto che la maggior parte dei consensi gli arrivano dalle Regioni sud-orientali russofone, contiene un messaggio eloquente: gli ucraini vogliono voltare pagina rispetto al decennio tumultuoso che va dalla Rivoluzione arancione del 2004, guidata dalla discussa Timoshenko, a Euromaidan del 2014, che portò poi Poroshenko alla presidenza. Si tratta di un no secco agli oligarchi e al loro potere occulto, ma soprattutto sa di netta bocciatura all’idea di una Ucraina mono–culturale e mono–linguistica auspicata prima dalla Timoshenko e poi da Poroshenko, che ammiccando quest’ultimo fin dal 2014 alle forze ultranazionaliste, si presentava come unico paladino dell’“identità ucraina” minacciata dai russi (non solo quelli di Mosca, anche gli ucraini lingua russa).

Dialogo e pace
Zelensky infatti in campagna elettorale è su posizioni opposte, parla di “popoli fratelli” e si dice contrario a questa sorta di discriminazione che i suoi avversari portano avanti da anni, consapevole di quanto la lingua e la cultura russa siano presenti in una grossa parte di elettorato, che pure si sente ucraina e non necessariamente guarda a Putin. Anzi, sa di andare incontro anche all’ala più liberale e moderata della società ucraina, la stessa che nel febbraio 2014 nelle Regioni occidentali (quindi non russofone) aveva protestato duramente, dopo che i neonazisti di Svoboda, arrivati al potere dopo Euromaidan, avevano immediatamente fatto abrogare la legge sul bilinguismo approvata due anni prima da Viktor Yanukovic. E questa posizione di pacificatore lo premia: al secondo turno trionfa con il 73% dei consensi.

Formula Steinmeier
Con l’obiettivo di raggiungere la pace nel Donbass, Zelensky nell’ottobre 2019 accetta a sorpresa la Formula Steinmeier, ovvero il progetto di pacificazione proposto nel 2015 dall’allora ministro degli Esteri tedesco, che prevedeva libere elezioni nelle zone separatiste sotto la supervisione dell’Osce, con la partecipazione di candidati di tutti i partiti, preludio al formale riconoscimento dello status speciale dei territori del Donbass, sotto la sovranità ucraina. La comunicazione presidenziale è però fallace, e così Zelensky si ritrova subito contro l’ultradestra e gli ambienti militari che lo accusano di aver ceduto dinanzi alle imposizioni di Mosca: «Nessuna capitolazione!» è il grido di protesta che ben presto si allarga anche ad ambienti liberali.
Zelensky però va avanti, e nel dicembre dello stesso anno incontra Vladimir Putin a Parigi, nell’ambito di rinnovati colloqui del Normandy Format, frutto dello spirito di cooperazione avviato dal suo consigliere Andryi Yermak e quello di Putin Dmitri Kozak. A Kiev l’opposizione nazionalista lo attacca ferocemente chiamandolo “marionetta del Cremlino” e lo accusa esplicitamente di arretrare davanti ai russi, quando nel luglio 2020 concorda con i separatisti il cessate-il-fuoco, in attesa di tenere finalmente le elezioni previste dagli accordi internazionali.

Primi insuccessi
Intanto però l’economia nazionale non decolla, complice anche la pandemia che si è abbattuta sull’Ucraina, alla quale il suo Governo non è stato capace di reagire. Anche la battaglia contro corruzione e oligarchi, sua bandiera in campagna elettorale, segna il passo: quando rinnova i propositi di un ingresso di Kiev nell’Ue, Bruxelles gli fa sapere che l’Ucraina non rispetta ancora gli standard di trasparenza previsti per avviare un processo di adesione, perché il Paese non si è ancora dotato di una legislazione tale da poter contrastare i corrotti.
Complice anche la solita errata comunicazione politica, Zelensky a luglio 2020 si ritrova con meno della metà dell’elettorato (43%) che crede in lui: la maggioranza degli ucraini (51%) dice di non fidarsi del proprio presidente. E il calo nei sondaggi lo accompagnerà anche nei mesi seguenti.

Lo sguardo a Washington
Ad inizio 2021 Zelensky è in evidenti difficoltà: nessuno dei grandi risultati promessi due anni addietro è prossimo al conseguimento. Anche l’indecisione nel proseguire sulla contestata Formula Steinmeier nel Donbass (che nel frattempo è tornato ad infiammarsi) allontana ulteriormente una pacificazione con i separatisti russofoni. Mosca ora lo guarda con diffidenza, lo considera poco affidabile, la stessa percezione che hanno Berlino e Parigi. L’unica via d’uscita per trovare appoggi internazionali viene dagli Usa, dove Donald Trump ha lasciato il posto a Joe Biden. La nomina di un clintoniano doc come Anthony Blinken a segretario di Stato lascia prevedere anche un cambio di strategia nella politica estera di Washington da isolazionista a interventista. Viene messo in agenda un vertice a due da tenere in autunno alla Casa Bianca, dal quale il presidente ucraino spera di tornare a Kiev con il sostegno statunitense.
Cercando di recuperare consensi al di fuori del suo elettorato, Zelensky comincia ad adottare un linguaggio più duro e meno conciliante con la Russia, e torna a parlare con insistenza di adesione dell’Ucraina alla Nato, trovando subito una sponda Oltreatlantico. Intanto, entra in rotta di collisione con il suo fidato spin doctor e speaker della Verchovna Rada (il Parlamento) Dmytro Razumkov. Dopo che questi ha espresso forti critiche sulla costituzionalità della governance presidenziale del Consiglio di Sicurezza ucraino, Zelensky lo fa rimuovere dalla sua carica, facendo votare i suoi deputati assieme ai nazionalisti della Timoshenko e gli altri gruppi legati a Poroshenko e agli oligarchi.

Il crollo nei sondaggi
Ma il macigno che pare assestare il colpo di grazia alla sua credibilità arriva in ottobre. Esplode lo scandalo dei Pandora Papers, ovvero viene resa nota in tutto il Mondo una serie di documenti riguardanti beni e proprietà offshore di alcune delle figure più ricche e potenti del Pianeta. Sono coinvolti 35 leader mondiali, e tra i nomi c’è anche quello di Zelensky. Gli ucraini scoprono che il presidente e gli uomini a lui più vicini hanno proprietà nascoste in paradisi fiscali come Belize e Isole Vergini.
I media governativi cercano di arrampicarsi sugli specchi, dicendo che le società di comodo legate al presidente ucraino erano note fin da prima della sua elezione. Il Governo fa trasparire l’idea che, in fondo, «così fan tutti». Un autogol clamoroso, l’ennesimo. Il messaggio che arriva agli ucraini, in buona sostanza è che Zelensky è un politico interessato al denaro come tutti gli altri. Gli stessi che voleva combattere.
A metà del suo mandato presidenziale, il disastro pare compiuto: in autunno il suo gradimento crolla al 24,7 per cento, i suoi elettori gli voltano le spalle. Siamo ormai a fine ottobre, quattro mesi prima dell’attacco russo.

Errate valutazioni?
È dinanzi all’oltranzismo assunto sul Donbass da Zelensky, che intanto è volato a Washington dove ha chiesto agli Usa di sostenere l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e che in patria sembra sempre più ostaggio dei nazionalisti anti-russi, che Putin probabilmente comincia a pensare ad un regime change. Il presidente russo arriva forse a supporre che la forte contrarietà della popolazione ucraina verso il governo di Kiev e verso la classe politica locale possa rivelarsi un alleato cruciale in un’operazione militare su larga scala. Può essere stata la cialtroneria di Zelensky ad aver fatto credere agli strateghi del Cremlino di poter prendere l’intera Ucraina tra gli applausi della gente?
Non si può escludere che in un primo momento Putin avesse pianificato un’occupazione del solo Donbass, come avvenuto nel 2014 in Crimea. Poi però la sfiducia dei cittadini ucraini verso i loro amministratori può aver contribuito a cambiare i piani del Cremlino, erroneamente convinto di trovare ampio consenso nella popolazione. Anche il linguaggio usato dal leader russo nell’immediata viglia dell’invasione e nelle prime ore successive (ricordate l’ambiguo appello all’Esercito a sollevarsi e a deporre il Governo?) lascerebbe pensare a questo. L’”operazione speciale” scattata il 24 febbraio scorso avrebbe così una logica: ma come spesso accaduto nei conflitti del passato, potrebbe essere frutto di un grave errore di valutazione. Forse è proprio in uno di questi incroci che la Storia prende un percorso preciso

Alessandro Ronga
(09/03/2022)

E per questo tizio buffo, a cui ‘qualcuno’ ha fatto credere che sarebbe stato inondato di miliardi a sbafo con l’entrata nella UE e che tutto l’Occidente avrebbe marciato compatto alla riconquista del Donbass per spezzare le reni alla Russia con l’ingresso nella NATO (scatenando l’apocalisse nucleare), salvo trasformare il proprio paese in un immenso campo di battaglia, con un conflitto per procura tra Russia e USA (dove gli ucraini forniscono la carne da macello), noi rischiamo la terza guerra mondiale o, nella migliore delle ipotesi, il ritorno al medioevo, tra razionamento viveri e carenza energetica, iperinflazione e recessione economica, in regime di guerra permanente e ridotti a colonia atlantica in stato di dipendenza servile per garantire la primazia americana, in attesa dello scontro finale con la Cina (la guerra che gli USA stanno preparando da 20 anni).

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