Qual’è il colmo per una vecchia cariatide imbolsita, che se ne sta incollata ai seggioloni del ‘potere’ per fusione osmotica, così come un lichene è appiccicato alla pietra?
Il colmo consiste nell’essere rottamato da un grasso quarantenne dall’aspetto sudaticcio, nato diversamente vecchio ma convinto di essere “giovane”, che caracolla strizzato in giacche che gli vanno troppo strette sui kg di troppo. Ovvero, uno strafottente bellimbusto, cresciuto nei vivai democristiani, riciclando idee altrui che conservano la freschezza di un prodotto scaduto da più di trent’anni, ma vengono declamate con la cialtroneria di un venditore di preservativi usati.
Altro non ci viene in mente, nel descrivere un anno di Matteo Renzi: questa personificazione ambulante di un disturbo narcisistico della personalità, abusivamente paracadutato a Palazzo Chigi trasformato in kindergarten per le esibizioni
scenogafiche del Bambino di Rignano, sempre pronto a gigioneggiare con l’espressione beotamente porcina che lo contraddistingue tra gli altri insaccati di governo.
Bisognava attendere il PD renziano, per veder realizzare tutto quello che non era riuscito di fare alla peggiore destra berlusconiana, in un ventennio di abusi istituzionalizzati.
Non resta altro che lo sconcerto, nel seguire i cinguettii ed i decretali di questa sottospecie di copia antipatica di “mio cugino Vincenzo”, lo stupor munditiae attorniato da una comitiva parrocchiale di chierichetti non meno arroganti di lui, a cui vanno aggiunti i professorini del renzismo militante: dagli stati di allucinazione estatica di un Pietro Ichino in orgasmo multiplo da Jobs Act, agli sbrodolamenti accademici di un Filippo Taddei
perennemente febbricitante col suo sguardo spiritato, perso nella vuota contemplazione di sé. Tutti molto intransigenti, quando si tratta di decidere le vite degli altri. Il vero dramma di questo Paese non è la fuga dei cervelli all’estero, è che prima o poi alcuni ritornano. E si danno alla “politica”. Non per questo vogliamo misconoscere le
performance ministeriali di un Padoan, che snocciola cifre gonfiate al rialzo di una ri-presa (per il culo), nell’ansia di prestazione per una crescita pompata a botte di cialis contabile.
Al confronto, l’appagato papi della patria sembra addirittura un raffinato statista dall’elegante sobrietà; Padron Grullo un
maestro di cerimonie (così come la merda profuma) e gli ensiferi della setta a cinque stelle un baluardo di democrazia! In quanto alla Presidenza della Repubblica, il cambiamento è quasi impercettibile: dall’Uomo del Colle, che parlava troppo; all’Uomo del Tram, che invece non parla mai. Se l’uno ‘monitava’, l’altro tace. Per entrambi non va disturbato il Timoniere.
“Il paradosso dei gemelli”
di Alessandra Daniele
(12/02/2015)
«Matteo è un cazzaro.
Fa promesse che non potrà mai mantenere, solo per rastrellare più voti che può dove può.
Niente di quello che promette è realizzabile, a parte una riduzione dei diritti, un regresso al secolo passato.
Matteo è un reazionario che si finge un rinnovatore, un pollo d’allevamento che si spaccia per un outsider.
Matteo è telegenico.
Non perché sia bello, è un bamboccio grasso e sudaticcio, ma ha l’aria familiare, sembra un cugino.
La sua prima apparizione televisiva risale a un quiz Mediaset degli anni 80.
Oggi occupa tutti gli spazi televisivi che può per pompare la sua immagine, perché in fondo solo d’immagine consiste.
Matteo è un bulletto.
Gli piace fare la voce grossa e darsi arie da leader, ma di fronte a chi è davvero potente non è capace di fare nulla.
Pareva entusiasta della guerra di Libia più d’un futurista vintage. Poi ha piantato una frenata, come per un contrordine improvviso.
Benché ostenti decisionismo, ben poche delle decisioni che annuncia sono davvero sue.
Matteo sembra giovane.
In realtà è un quarantenne politico di professione, che ha passato tutta la carriera dalla parte dei vincitori, a livello nazionale o regionale-amministrativo.
I suoi peggiori nemici sono tutti i suoi colleghi di partito ai quali ha fatto le scarpe.
Aspettano l’occasione propizia per restituirgli il favore, ma resteranno fra le teste di cartapesta del suo carro allegorico finché sarà quello del vincitore.
Matteo piace agli italiani.
Molti di loro lo considerano l’ultima speranza di evitare l’alternativa, che ritengono una terribile minaccia.
Il paradosso però è che la loro alternativa a Matteo è Matteo.
Renzi. Salvini.»