Archivio per Dispotismo

La Tirannide della Maggioranza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 28 luglio 2014 by Sendivogius

Alexis de Tocqueville«Cos’è, infatti, una maggioranza presa collettivamente, se non un individuo che ha opinioni e più spesso interessi contrari a quelli di un altro individuo che si chiama minoranza? Ora, se ammettete che un uomo, investito di un potere assoluto, può abusarne contro i suoi avversari, perché non ammettete la stessa cosa per una maggioranza? Gli uomini, riunendosi, hanno forse cambiato carattere? Diventando più forti, sono forse diventati più pazienti di fronte agli ostacoli? Per parte mia, non posso crederlo; e un potere onnipotente, che io rifiuto a uno solo dei miei simili, non l’accorderei mai a parecchi.
Non è che, per conservare la libertà, io creda che si possano mescolare insieme diversi principi in uno stesso governo, in modo da opporli realmente uno all’altro.
Il governo che si chiama misto mi è sempre parso una chimera. A dire il vero, governo misto (nel senso che si dà a questa parola) non esiste, perché, in ogni società, si finisce sempre per scoprire un principio d’azione che domina tutti gli altri.
[…] Ritengo, dunque, che bisogna sempre porre da qualche parte un potere sociale superiore a tutti gli altri; ma credo che la libertà sia in pericolo, quando questo potere non trova davanti a sé nessun ostacolo capace di rallentare il suo cammino e di dargli il tempo di moderarsi.
L’onnipotenza è in sé cosa cattiva e pericolosa. Il suo esercizio mi sembra al di sopra delle forze dell’uomo, chiunque egli sia; ….Non vi è, dunque, sulla terra autorità tanto rispettabile in sé stessa, o rivestita di un diritto tanto sacro, che io vorrei lasciar agire senza controllo e dominare senza ostacoli. Quando vedo accordare il diritto e la facoltà di far tutto a una qualsiasi potenza, si chiami essa popolo o Re, democrazia o aristocrazia, sia che lo si eserciti in una monarchia o in una repubblica, io affermo che là è il germe della tirannide.
[…] Quando negli Stati Uniti, un uomo o un partito subisce un’ingiustizia, a chi volete che si rivolga? All’opinione pubblica? È essa che forma la maggioranza e la serve come uno strumento passivo; alla forza pubblica? La forza pubblica non è altro che la maggioranza sotto le armi; alla giuria? La giuria è la maggioranza investita del diritto di pronunciare sentenze: i giudici stessi, in certi Stati, sono eletti dalla maggioranza. Per iniqua o irragionevole che sia la misura che vi colpisce, è necessario che vi sottomettiate.
[…] In America, la maggioranza traccia un cerchio formidabile intorno al pensiero. Nell’ambito di questi limiti, lo scrittore è libero; ma guai a lui se osa uscirne. Non ha da temere un auto-da-fé, ma è esposto ad avversioni di ogni genere e a persecuzioni quotidiane. La carriera politica gli è chiusa: ha offeso la sola potenza che abbia la facoltà di aprirgliela. Gli si rifiuta tutto, perfino la gloria. Prima di rendere pubbliche le sue opinioni, credeva di avere dei partigiani; gli sembra di non averne più, ora che si è fatto conoscere da tutti; poiché coloro che lo biasimano si esprimono ad alta voce e coloro che pensano come lui, senza avere il suo coraggio, tacciono e si allontanano. Egli allora cede, si piega sotto lo sforzo quotidiano e rientra nel silenzio, come se provasse rimorsi di aver detto il vero.
Catene e carnefici sono gli strumenti grossolani che la tirannide usava un tempo; ma ai nostri giorni la civiltà ha perfezionato perfino il dispotismo, che pure sembrava non avesse più nulla da imparare.
I principi avevano, per così dire, materializzato la violenza; le repubbliche democratiche dei nostri giorni l’hanno resa del tutto spirituale, come la volontà umana, che essa vuole costringere. Sotto il governo assoluto di uno solo, il dispotismo, per arrivare all’anima, colpiva grossolanamente il corpo; e l’anima, sfuggendo a quei colpi, s’elevava gloriosa al di sopra di esso; ma nelle repubbliche democratiche, la tirannide non procede affatto in questo modo: essa trascura il corpo e va dritta all’anima. Il padrone non dice più: tu penserai come me o morirai; dice: sei libero di non pensare come me; la tua vita, i tuoi beni, tutto ti resta; ma da questo giorno tu sei uno straniero tra noi. Conserverai i tuoi privilegi di cittadinanza, ma essi diverranno inutili, poiché, se tu ambisci l’elezione da parte dei tuoi concittadini, essi fingeranno anche di rifiutartela.
[…] Tale forma particolare di tirannia, chiamata dispotismo democratico e di cui il Medio Evo non aveva idea, è già loro familiare. Non più gerarchie della società, non più classi distinte, non più ranghi stabiliti; ma un popolo composto di individui quasi simili e interamente eguali. Questa massa confusa è riconosciuta per solo legittimo sovrano, ma accuratamente privata di tutte le facoltà che potrebbero permetterle di dirigere o anche di sorvegliare essa stessa il proprio governo.
[…] Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge.
Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell’abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare.
Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri.
Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po’ di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l’ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell’ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all’altro può presentarsi l’uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all’universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo.
[…] E’ facile essere eguali nella servitù, più difficile, ma necessario, essere liberi nell’eguaglianza.»

  Alexis de Tocqueville
  “La democrazia in America”
  UTET, 2007.

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Prostatite di regime

Posted in A volte ritornano, Masters of Universe, Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , on 11 dicembre 2009 by Sendivogius


 Sbirciare nelle stanze della politica italiana è un po’ come entrare in una camera del tempo, coi suoi afrori medioevali, le sue atmosfere da ancien regime, la sua Vandea longobarda… tra emuli del Re Sole, croci, spadoni, servetti e paggetti…
Una grande corte imperiale dove tra le infinite schiere di lacché puoi incontrare un Gasparri o un Capezzone in livrea, che giovano felici con le loro feci.
Una via di mezzo tra un bordello ed un reparto geriatrico, pieno di vecchietti viziosi e bizzosi che si scambiano allusioni sessuali, ammiccamenti leziosi, esibizioni virtuali in requiem di avvizzite propaggini genitali ormai inservibili.
Il Bossi da Giussano che lo tien dur; il super Silvio dalle palle grandi così
Controllano gli antichi arnesi del mestiere, da passare in revisione oncologica per il tagliando prostatico, nell’evocazione collettiva di mitologici priapismi, a ricordo delle loro povere minchie infiammate da bollenti ardori mai sopiti e consumate dal tempo che (forse) fu…
Patetici  vegliardi che funestano un paese dall’orlo dell’ospizio.

Il potere logora; il potere assoluto logora assolutamente.
 L’uscita di scena di un despota non è mai indolore. La senilità avanzata è spesso un’aggravante. Con l’avanzare dell’età, il gusto per il potere diventa ossessione. Ogni ossessione si nutre di paranoie, alimentate dai fantasmi della cattiva coscienza.
Il tramonto dei grandi dittatori è sempre stato contraddistinto da manie di persecuzione: Stalin… Mao Tse-Tung… Hitler… nella loro vecchiaia erano tutti ossessionati dal costante sospetto di complotti, dalla presenza di traditori e nemici nascosti ovunque.
Nei suoi deliri di onnipotenza, il ducetto di Arcore non fa eccezione. Ad aggravare la prognosi, le sue psicosi sono esasperate da una concezione proprietaria delle istituzioni, secondo un’ottica padronale mutuata direttamente dai consigli aziendali.
Nella sua logica distorta, Berlusconi si reputa “l’imprenditore (padrone) dell’azienda Italia” di cui controlla la maggioranza del pacchetto azionario (voti elettorali). Il ‘Consiglio dei Ministri’ è solo la variante di un ‘Consiglio d’Amministrazione’ aziendale.
Il mandato elettorale non è un servizio pubblico, ma una proprietà privata, cedibile soltanto attraverso un’OPA ostile e senza nulla concedere, perché chi possiede la maggioranza nel controllo dell’Azienda, detiene il potere assoluto senza contrappesi, senza i “lacci e laccioli” che limitino la libera intrapresa. Né è concepibile l’esistenza di altri poteri al di fuori dell’Esecutivo, che raggruppa in sé il Legislativo ed imprime l’indirizzo del Giudiziario, ridimensionato ad ‘ordine professionale’ e dipendente.
Perciò, in tale prospettiva mercantilistica, non possono esistere organismi di controllo esterni né istituzioni ‘terze’ o di ‘garanzia’ (CSM; Corte Costituzionale) che vengono dunque intese come aziende minori e fuori concorrenza, quasi si trattasse di sussidiarie partecipate e gerarchicamente sotto il controllo del Presidente della Repubblica, che viene considerato alla stregua di amministratore delegato di una specie di holding rivale ma in posizione subalterna. Pertanto, Napolitano tenga sott’occhio i suoi dipendenti e che taccia!
In termini di impresa, non esiste qualcosa di equivalente ad un ‘Parlamento’ giacché la cultura di impresa è totalmente estranea all’esercizio democratico.
Coerentemente e nei fatti, il Parlamento ha cessato di esistere: non produce più leggi, ma si limita ad approvare i decreti emanati dal governo tramite voto di fiducia su testi blindati, senza alcuna possibilità di discussione o di modifica (emendamenti). Esautorato di ogni funzione sostanziale e della sua stessa natura dibattimentale, il Parlamento è una scatola vuota ridotta ad un ruolo puramente formale: protocollare gli atti del governo (il CdA del Presidente) e in questo non dissimile dalla “Camera dei Fasci e delle Corporazioni” di mussoliniana memoria.
Così come avviene nelle imprese, al massimo può esserci un assemblea dei soci di maggioranza, degli azionisti, insomma di gente che detiene una fetta di interessi e partecipazione di capitale nell’organigramma aziendale. E infatti Berlusconi risponde solo al suo popolo (che chiama PdL) ed ai suoi sodali, in una visione assolutamente parziaria del suo operato. Gli incontri però non avvengono attraverso dibattiti o congressi. La forma scelta è la convention (mutuata dal marketing pubblicitario) e, in misura maggiore, l’adunata (prossima a ben altre memorie). Tutto il resto, nella migliore delle ipotesi, non esiste. Diversamente, raccoglie “tutto il male possibile”.
Già l’ora s’avvicina, a prescindere da Berlusconi, l’Italia è pronta per avere un altro duce e un altro re. Prendi uno e trovi due!

Post Scriptum
 Domani (12 Dicembre) ricorre il 40° anniversario dell’eccidio di P.za Fontana a Milano: la prima strage di Stato ed il principio di una lunga serie…
La bomba alla Banca dell’Agricoltura milanese (e gli attentati collegati a Roma) costituisce l’inaugurazione di un articolato corollario di depistaggi, insabbiamenti, coperture politiche, funzionale ad un meccanismo di potere ben oliato e pronto a scattare per principio di conservazione.
Poliziotti compiacenti; prove fondamentali che vengono distrutte; Anarchici che volano dalle finestre della Questura per “malore attivo”; testimoni che spariscono in sfortunati ‘incidenti’; pesanti intromissioni nelle indagini da parte governativa; processi trasferiti da un tribunale all’altro, su e giù per la Penisola; indiziati che vengono fatti espatriare ed altri che diventano onorevoli… Inconfessabili complicità, molti colpevoli, impunità per tutti!
La strage di Milano è l’evento di rottura democratica che segna l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione” in Italia, a favore di una svolta autoritaria.
Si tratta di un copione che gli italiani hanno imparato a conoscere bene nel corso degli anni… Alcuni lo hanno osteggiato. Altri si sono lasciati trascinare dagli eventi. Molti lo hanno infine avvallato col loro voto. Il percorso è stato lungo e travagliato, ma dopo tanto penare i risultati stanno superando le migliori aspettative dei vecchi ‘Maestri’, venerabili o meno che siano…

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