Archivio per Democrazia Cristiana
Neon Genesis Oversize
Posted in Stupor Mundi with tags Cazzari, DC, Democrazia Cristiana, Italia, Liberthalia, Lobby, Matteo Renzi, Politica, Potere, Società on 9 ottobre 2016 by SendivogiusE peccato che a ben vedere si tratti di una specie di ibrido, nato da un incrocio tra Pinotto e Mr.Bean, su clonazione berlusconiana, per un concentrato di presunzione illimitata, ignoranza abissale ed arrogante strafottenza, con il grasso intorno, mentre si accompagna a chiunque sia in grado di garantirgli una qualche protezione.
SCUSA PAPÀ!!
Posted in Business is Business with tags Arezzo, Banca popolare dell'Etruria, Banche popolari, DC, Democrazia Cristiana, Emanuele Boschi, Finanza, Liberthalia, Maria Elena Boschi, Obbligazioni subordinate, PD, Pierluigi Boschi, Privilege Yard S.p.A on 12 dicembre 2015 by SendivogiusIn una di quelle felicissime esternazioni che segnano tutta la caratura del personaggio oramai impallato nell’irreversibilità dei suoi contorcimenti, Pierluigi Bersani, lo “Spompo” separato in casa ma fedele alla “ditta”, proprio non si capacita sul perché mai qualcuno dovrebbe mettere in dubbio la permanenza al
governo di santa Maria Elena Boschi, la Madonnina di Laterina, o ancor peggio chiederne le dimissioni (da Ministro, non da Madonna!). Molto più grave è stato infatti l’orologio regalato al figlio di Lupi e l’IMU elusa sulla casa-palestra di Josefa Idem.
Invece, ravvisare un qualsivoglia “conflitto di interessi” nelle relazioni pericolose di sottogoverno che hanno intrecciato i destini della Famiglia Boschi a quelli (infausti) della Banca popolare dell’Etruria e del Lazio è operazione quanto mai azzardata. Se poi sia
‘opportuno’ o meno che Nostra Madonna dei Boschi continui ad essere ministro delle riforme, sarà il caso di precisare che le “opportunità” si prendono e non si lasciano. In fin dei conti, l’algida ministra, ogniqualvolta l’Esecutivo si riuniva in notturna per confezionare (in 20 minuti!) i suoi decreti ad bancam, si premuniva di uscire dalla stanza per rientrare subito dopo a provvedimento ottenuto. Proprio come un Berlusconi qualsiasi, con le sue leggi ad personam promulgate ovviamente a propria insaputa. Era questa una di quelle “questioni morali” con cui tanto ce la menò allora quella roba strana che si fa chiamare “centrosinistra”, salvo lasciare intonse le norme incriminate una volta conseguito il potere (che null’altro sembra interessargli).
Mutatis mutandis (e cambiate le mutande), nel daltonismo delle percezioni politiche, certi colori cambiano a seconda degli interessi di chi gestisce l’intero pacchetto.
Che le “banche popolari” fossero una specie di bancomat pronto cash della vecchia Democrazia Cristiana, non è mai stato un mistero per nessuno. La Banca Etruria non faceva certo eccezione. Ricettacolo per notabili democristiani di stretta osservanza fanfaniana, trait d’union tra massoneria bianca e banchieri di dio, l’istituto di credito aretino s’era già distinto negli Anni ‘80 per una serie di transazioni sospette e strani suicidi, oltre ad essere stata la banca di fiducia del Venerabile Maestro, Licio Gelli, che vi depositava le quote d’iscrizione degli affiliati alla sua Loggia P2, tramite il cosiddetto “Conto Primavera” (dal Maggio 1977 al Febbraio del 1981).
Che poi nei decenni successivi la Banca popolare dell’Etruria si sia esposta per milioni di euro, finanziando le iniziative più strampalate (non ultima l’esposizione per 200 milioni di euro della Privilege Yard S.p.A di Civitavecchia per la costruzione di yacht fantasma), sembra rientrare nella prassi ordinaria delle operazioni di finanza allegra con la quale la banca toscana andava cumulando perdite gigantesche in spensierata leggerezza, salvo poi scaricare i costi sugli ignari correntisti ai quali andava rifilando le proprie “obbligazioni subordinate”. Ovvero, detto in modo assai improprio, si tratta di una specie di cambiale con cui le banche cedono crediti in sofferenza e debiti non garantiti agli investitori, in cambio di un alto tasso di interesse connaturato al rischio di recupero del capitale, con l’aggravante che il sottoscrittore partecipa in solido alle perdite, che eventualmente concorre a ripianare, ed è l’ultimo dei creditori a venire rimborsato in caso di fallimento del debitore (se in cassa avanza ancora qualcosa). Sono prodotti finanziari assai complicati e ad altissimo rischio, che per questo venivano piazzati ad una pletora di ignari correntisti ai limiti dell’analfabetismo, facendo leva sul rapporto fiduciario instaurato col piccolo risparmiatore convertito in “investitore” (con modalità che assomigliano all’ennesima riproposizione dello “Schema di Ponzi”). Prima infatti c’erano da sbloccare i pagamenti e rimborsare i clienti “più sofferenti”, tra i quali vale la pena ricordare galantuomini noti alle cronache giudiziarie come Francesco Bellavista Caltagirone ed il Clan dei Landi già famosi per il crack di Eutelia.
A gestire gli “incagli” (ritardi nei pagamenti, protesti, piani di
rientro..) per conto della banca è Emanuele Boschi (fratello per caso di Maria Elena) che è stato program & cost manager per conto della “Etruria” fino all’Agosto del 2015, dopo avervi fatto il suo ingresso nel 2007 come “process analyst”. E si tratta della stessa banca (le coincidenze della vita!) dove papà Boschi è consigliere d’amministrazione e membro del comitato esecutivo. Prima infatti il nostro Emanuele aveva maturato significative esperienze come “assistant office” nella Confcooperative di Arezzo, la confederazione delle cooperative
di ispirazione cattolica, presieduta da papà Pierluigi Boschi che tra un incarico e l’altro riesce a districarsi in 14 diversi consigli di amministrazione, evidentemente munito del dono dell’ubiquità:
Presidente de La Treggiaia s.r.l. (società agricola)
Presidente della Valdarno Superiore (società cooperativa agricola)
Presidente del Frantoio sociale Sette Ponti (società cooperativa)
Presidente de L’orcio s.r.l.
Vice-Presidente Montecucco s.r.l. (società agricola)
Consigliere del Consorzio di tutela dei vini con denominazione d’origine Valdarno di Sopra
Consigliere della società Immobiliare Casabianca s.r.l.
Consigliere Frantoio di Ricasoli (società agricola cooperativa)
Consigliere della Ciuffenna (società agricola cooperativa)
Consigliere de L’Olivo (società cooperativa)
Consigliere di Zootecnica del Pratomagno (società cooperativa)
Amministratore di Progetto Toscana s.r.l.
Amministratore della Società Le Logge s.r.l.
Amministratore della Società Pestello s.r.l.
Organico alla politica e profondo conoscitore del mondo del lavoro, Pierluigi Boschi (che si presuppone nella vita abbia sempre fatto il “dirigente” dall’età di 15 anni) esordisce nella
Coldiretti (altro storico feudo democristiano), per poi divenire Consigliere del Consorzio Agrario di Arezzo dal 1978 al 1986, e Presidente della Confcooperative di Arezzo dal 2004 al 2010, muovendosi il meno possibile dalla natia Laterina (10/09/1948) dove tra l’alto ha sposato il vicesindaco (democristiano ça va sans dire!), prima di passare con armi e bagagli nei ranghi del partito bestemmia insieme a tutta la famiglia.
Tanto per non farsi mancare nulla, il 03/04/2011 entra pure nel CdA di Banca Etruria e nel Maggio 2014 ne diventa il vicepresidente, mantenendo la carica fino alle dimissioni forzate in seguito al commissariamento della banca.
Tra maldestri tentativi di ricapitalizzazione, fusioni andate a male, nel 2012 l’istituto di credito iscrive a bilancio sofferenze bancarie per un miliardo e mezzo di euro. Nell’Aprile del 2013 il valore delle azioni crolla 0,93 centesimi l’una. Valevano quasi quattro euro appena un anno prima.
Una conduzione non proprio immacolata determina tra il 2012 ed il 2013 una serie di ispezioni da parte della Banca d’Italia che commina all’istituto aretino una multa da 2,5 milioni di euro per “violazioni delle disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione, nei controlli interni e nella gestione nel controllo del credito e omesse e inesatte segnalazioni alla vigilanza”.
Nel 2013, la magistratura apre un’inchiesta per “false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza e di falso in prospetto”, mentre i vertici della banca raccomandavano agli sportellisti (i volenterosi carnefici) di vendere titoli spazzatura a sprovveduti correntisti da raggirare. La posizione della CONSOB, che per inciso sarebbe l’organismo di vigilanza maggiormente delegato al controllo, a tutt’oggi non risulta pervenuta. Il resto è storia recente.
Con chi credete si sia scusata il ministro Maria Elena Boschi, incidentalmente figlia del vicepresidente e sorella del manager alla programmazione di così straordinaria gestione bancaria, mentre il resto della banda di governo si sbrodola addosso negli stanchi rituali celebrativi della Leopolda?!?
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Banana Republic
Posted in Stupor Mundi with tags Anna Finocchiaro, Costituzione, DC, Democrazia Cristiana, Democristiani, Ennio Flaiano, Francesco Rutelli, Giuliano Amato, Graziano Del Rio, Istituzioni, Italia, Liberthalia, Paolo Gentiloni, PD, Pier Carlo Padoan, Pierferdinando Casini, Politica, Potere, Presidente della Repubblica, Riccardo Muti, Sergio Mattarella, Stato, Walter Veltroni on 25 gennaio 2015 by SendivogiusTra i giochini meno appassionanti possibili, l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica solitamente tutto attiene, tranne che alla sfera dei requisiti fondamentali che una simile figura istituzionale dovrebbe possedere, in riferimento alle responsabilità che la carica (almeno in teoria) impone…
In qualità di presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dovrebbe essere un giurisperito di solida formazione, comprovata esperienza, e assoluta conoscenza dei gangli nevralgici del sistema giudiziario italiano.
In virtù della sua somma funzione legislativa, dovrebbe vigilare attentamente sul corretto rispetto dei regolamenti parlamentari, tutelare le prerogative delle Camere e l’esercizio delle medesime riguardo alla normale attività legislativa; porre un limite agli eccessi legati al ricorso della decretazione d’urgenza ed al voto di fiducia, verificare sempre la costituzionalità dei provvedimenti normativi con attenta valutazione prima di controfirmare gli stessi. E nel caso porre un argine alle pretese del potere esecutivo, avanzate a scapito di quello legislativo.
Dovrebbe avere altresì una perfetta conoscenza della Costituzione italiana (tanto da essere in grado di recitarla a memoria come una poesia), onde vigilare contro ogni forzatura o aggiramento delle norme previste nella Carta fondamentale.
Dovrebbe nominare il Presidente del Consiglio (meglio se eletto in democratiche elezioni), su indicazione delle Camere e dei singoli gruppi parlamentari. Dunque, in virtù del medesimo principio di rappresentatività, valutare lo scioglimento della Camere che non avviene mai a discrezione del premier uscente o in risposta a pretese con ritorno elettorale.
Dovrebbe nominare i senatori a vita, tenendo conto dei meriti straordinari e delle doti di eccellenza dei medesimi, a lustro della Repubblica.
In quanto “capo supremo” delle Forze Armate, dovrebbe avere un minimo di conoscenza delle dinamiche inerenti la Difesa nazionale e soprattutto della geopolitica internazionale… Cosa che contribuirebbe ad accrescere anche le sue competenze nell’ambito della sfera diplomatica e della politica internazionale, non foss’altro perché è chiamato a ratificare i trattati internazionali e (nei casi più estremi) a dichiarare lo stato di guerra.
Soprattutto, dovrebbe rappresentare il meglio che il Paese è in grado di offrire, all’insegna della massima competenza, serietà, e rispettabilità…
Coerentemente, tra i principali papabili all’incarico circolano ‘statisti’ di primo piano:
Pier Carlo Padoan: economista, “oltre Keynes“, banchiere ed una carriera al FMI come impone il credo liberista, già vice-segretario dell’OCSE per la cura greca, è la migliore rassicurazione possibile per l’Europa del rigore e la prosecuzione dell’Austherity con altre forme. Una candidatura di garanzia, affinché tutto cambi perché tutto rimanga com’è.
Riccardo Muti: direttore d’orchestra di fama internazionale e tra i massimi esperti di musica sinfonica. Senatore a vita per indiscutibili meriti artistici, ma nessuna vera esperienza parlamentare e competenza giuridica. Insomma, perfettamente idoneo alle cariche ed i requisiti fondamentali che si richiedono ad un Presidente della Repubblica.
Paolo Gentiloni: vecchio cacicco democristiano, esperto in ogni compresso possibile ed (in-)immaginabile, rigorosamente al ribasso. È un figlio d’arte: tra i suoi antenati vanta quell’Ottorino Gentiloni che col suo omonimo “patto” spalancò le porte del potere allo squadrismo fascista.
Negli ambienti di partito, tra chi meglio lo conosce, è soprannominato “Sacro GRA”, per le sue radici tutte romane consacrate all’inamovibilità e l’indefessa avversione a spostarsi oltre l’anello del Grande Raccordo Anulare della Capitale. Sarà per questo che è stato promosso ministro degli esteri.
Francesco Rutelli: ex radicale anti-clericale e poi cattolico devoto. Candidato di bandiera del centrosinistra con vocazione alla disfatta, è stato l’uomo buono per tutte le elezioni e sempre votato a sconfitta sicura. È un perdente di successo ed uno straordinario scopritore di talenti: Matteo Renzi è stata la straordinaria promessa, coltivata nel suo vivaio post-democristiano.
A magnificenza del personaggio, Francesco Rutelli, altro personaggio in voga nel generone romano, è meglio conosciuto dai figli di Quirino come Er Piacione e soprattutto Er Cicoria: soprannomi che meglio di ogni altro segnano la caratura dello statista. È uscito dal PD perché, a suo infallibile giudizio, è un partito troppo spostato su posizioni di sinistra ‘radicale’ (!).
Sergio Mattarella: altro democristiano di vecchio conio, per tradizione di famiglia è in politica da tre generazioni. Ha attraversato tutte le correnti possibili, in groppa alla vecchia Balena Bianca, rimanendo immune a tutte le tempeste e passando per tutti i governi: Andreotti, De Mita, Goria… eppoi Amato, fino all’indimenticabile esecutivo D’Alema. Attualmente riposa in stand-by alla Corte Costituzionale.
Giuliano Amato: con la freschezza dei suoi 77 anni vissuti pericolosamente a cavallo tra prima e seconda repubblica, tra i politici di lungo corso più amati dagli italiani, è il re delle presidenze e delle cariche onorarie che colleziona a ritmo vertiginoso come altri raccolgono francobolli. Per elencarle tutte ci vorrebbe uno speciale albo araldico con menzione speciale. Soprannominato il Dottor Sottile della politica italiana, è l’Alchimista rotto a tutte le formule possibili di governo e sperimentato nell’esercizio del potere in formule sempre nuove. Come il suo omologo scozzese, è orgoglioso ed ha un incommensurabile senso del sé. Attualmente, siede anche lui tra i giudici della Corte costituzionale.
Pier Ferdinando Casini: protesi governativa per eccellenza, è il Mister Poltronissimo buono per tutti gli esecutivi ed intercambiabile per qualsiasi maggioranza. Vive in simbiosi col Potere, in ogni sua forma, ordine e grado, ed è da esso inseparabile, fuso com’è con la poltrona. A tutt’oggi, costituisce la quintessenza della DC dorotea, immune a qualunque mutamento, nel solco della conservazione più reazionaria. Dovunque si trovi un cardinale, un banchiere, un industriale, un palazzinaro… Casini c’è!
Più falso di una moneta da tre euro, con Lui una poltrona è per sempre.
Gianni Letta: gran cerimoniere di corte e cardinale Richelieu del berlusconismo, è praticamente eterno, onnipresente, quanto trasversale agli schieramenti. Ultimamente le sue quotazioni sono in ribasso, ma mai sottovalutare le capacità rigeneratrici del principe-vescovo. Come Talleyrand, è inaffondabile.
Graziano Del Rio: ogni palazzo ha il suo maggiordomo di fiducia; quello che accudisce il Bambino Matteo e sovrintende alla cameretta dei giochi si chiama “Graziano”. E ovviamente è un altro ex democristiano. Servizievole, accomodante, sempre disponibile… è l’uomo a cui si può chiedere tutto in pronta consegna.
Walter Veltroni: nel mare magnum del gran revival democristiano nella notte dei morti viventi, è l’unico esponente di area, proveniente in qualche modo dalla ‘sinistra’ che ha schiantata come un virus interno. A tutt’oggi costituisce la più letale arma di distruzione di massa, che mai si sia abbattuta sulla Sinistra italiana. Non per niente, è l’inventore e fondatore del PD.
Imbarazzante come un peto ad una veglia funebre, è il becchino che ha contribuito a tumulare ogni alternativa e ideale anche lontanamente socialista o vagamente progressista. E per questo andrebbe premiato con la massima carica della Repubblica, in virtù dell’ottimo lavoro svolto.
Anna Finocchiaro: Considerata fino a qualche mese fa inesorabilmente avviata alla “rottamazione” dal principino fiorentino, perché non abbastanza gggiovane per il nuovo corso futurista, è stata ripescata prontamente in zona demolizione in virtù delle sue competenze legali, promossa a ghost-writer degli emendamenti governativi. Folgorata sulla via del Nazareno, è diventata la donna che suggeriva alla Boschi.
Rientra nelle quote di genere e costituisce dunque un candidato più di bandiera che di sostanza.
Ma non si può mai dire…
Tuttavia, funzionale alla logica dell’utile idiota, il candidato ideale non dovrebbe brillare troppo per capacità di giudizio, autonomia decisionale, competenza costituzionale e personalità indipendente, nella convinzione totalmente erronea che un cretino ubbidiente, ancorché in posti di potere, sia facilmente malleabile e non faccia ombra al “capo del governo”.
«Quando mai uno stupido è stato innocuo? Lo stupido più innocuo trova sempre un’eco favorevole nel cuore e nel cervello dei suoi contemporanei che sono almeno stupidi quanto lui: e sono sempre parecchi. Inutile poi aggiungere che niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo.
Debbo precisare che la stupidità ha un suo fascino, si suol dire persino che è riposante. Difatti succede che le persone e i libri più sciocchi sono quelli che più ci ammaliano, che più ci tentano e che ci tolgono ogni difesa. L’esperienza quotidiana ci porta anzi a credere che la stupidità sia lo stato perfetto, originario, dell’uomo, il quale trova buono ogni pretesto per riaccostarsi a quello stato felice. L’intelligenza è una sovrapposizione, un deposito successivo, e soltanto verso quel primo stato dello spirito noi tendiamo per gravità o per convenienza.
[…] Conclusione, la stupidità ha un limite. Oltre certi confini la mente umana si rifiuta di procedere. Ad un certo punto la Stupidità (forza attiva) diventa Idiozia (forza negativa) e non si vende più.
Ho un solo motivo di consolazione. Si crede comunemente che gli stupidi sodalizzino. Non è vero. Nessuno odia e disprezza tanto uno stupido quanto un altro stupido. Se così non fosse… ma il guaio è che siamo in tanti.»
Ennio Flaiano
“Diario notturno”
Adelphi, 1994.
Sarà per questo che tutti gli sforzi del cenacolo fiorentino attualmente in auge, e della nutrita guardia pretoriana schierata a quadrato intorno al reuccio di turno, è interamente concentrata nella ricerca di un Re Sciaboletta che svolga le funzioni di facciata ed esegua senza porsi troppo domande le indicazioni che arrivano da Palazzo Chigi.
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CINISMOCRAZIA
Posted in A volte ritornano with tags Aldo Moro, Amintore Fanfani, Bugia, Costume, DC, Democrazia Cristiana, Giorgio Bocca, Giorgio La Pira, Giovani, Governo, Italia, Liberthalia, Maria Elena Boschi, Matteo Renzi, PD, Politica, Potere, Riforme, Rottamatori, Sergio Turone, Statisti, Storia on 23 luglio 2014 by Sendivogius
«Un grande statista, che è stato anche un grande presidente di questa assemblea, un riferimento per tante donne e uomini della mia terra, compreso mio padre, Amintore Fanfani, ha detto una piccola grande verità, “le bugie in politica non servono”»
Maria Elena Boschi
(21/07/2014)
Le bugie non servono, ma all’occorrenza aiutano. Più che mai in assenza di fatti.
A maggior ragione, in politica (le menzogne e non certo i fatti!) costituiscono la norma; a dispetto della massima di quel Fanfani che fece della bugia politica un uso senza scrupoli quanto sistematico, specialmente se funzionale alla conservazione del proprio potere. E se questi sono i miti fondativi del nuovo partito democratico (cristiano), c’è di che stare allegri!
Nella sua lunga carriera, Amintore Fanfani si distingue per attivismo e le ambizioni smisurate. Amici ed avversari lo chiamano “il Motorino”, ma è una macchina perennemente accesa che nei fatti gira più a vuoto che altro.
Durante la dittatura mussoliniana, si distingue per il suo mostruoso anti-fascismo, partecipando con entusiasmo ai seminari di “mistica fascista” e scrivendo ispirati articoli su riviste coraggiosamente schierate contro il regime quali “Dottrina fascista” e “Difesa della razza”. Si dirà che anche figure intellettuali del calibro di Giorgio Bocca fecero lo stesso, ma con una differenza sostanziale: Bocca nel 1938 era uno studente 18enne; Fanfani aveva 30 anni belli e compiuti, con una laurea in tasca ed una cattedra all’università. Essendo nato prima del fascismo, e avendo 16 anni prima del suo avvento, si presuppone avesse avuto anche il tempo di maturare una propria coscienza critica, che non gli impedirà di aderire con entusiasmo al regime, che si rivela un ottimo strumento di carriera.
A scanso di equivoci, nel 1944, Bocca va in montagna a combattere con la Resistenza, mentre Fanfani scappa in Svizzera. E nel ’46 è già pronto per entrare a far parte dell’Assemblea costituente.
Nel 1954 si presenta come l’erede designato di Alcide De Gasperi; toscano di Arezzo, è una sorta di “rottamatore” ante-litteram: all’interno della Democrazia Cristiana, si accredita come ‘riformista’; ha fama di modernizzatore e non perde occasione per attaccare la vecchia guardia democristiana, che ha fatto il suo tempo e che deve mettersi in disparte per lasciare spazio ai ‘giovani’ come lui (le schiere di quarantenni che scalciano nel ventre democristiano), rivendicando il proprio spazio nel partito e nel governo. Tra un incarico e l’altro, ci rimarrà ininterrottamente per quasi mezzo secolo di attività, inaugurando un nuovo corso delle relazioni politiche, che autori come Sergio Turone, con un fulminante neo-logismo, chiameranno: “cinismocrazia”.
Su posizioni blandamente progressiste, con un’economia sociale implicitamente ispirata al vecchio corporativismo fascista, ed aperture trasformistiche a “sinistra”, Amintore Fanfani più che uno ‘statista’ è stato un dinosauro democristiano, destinato a lasciare la sua impronta fossile nella politica italiana. Di lui si ricorda l’utilizzo spregiudicato del “Caso Montesi” per silurare i propri avversari all’interno della Democrazia Cristiana e conquistare la supremazia nel partito; la cementificazione selvaggia del territorio italiano, nel più grande scempio urbanistico che la storia patria ricordi; la morte in carcere di Gaspare Pisciotta dopo un caffé corretto alla stricnina; i governi lampo, impallinati dai “franchi tiratori” e destinati ad esaurirsi in pochi mesi; l’uso clientelare dell’industria di Stato,
utilizzata come un immenso ufficio collocamento; fino alla sua crociata personale contro l’introduzione del divorzio in Italia. Dalla sua corrente di partito, “Iniziativa democratica”, figliò il gruppo dei “Dorotei” destinato a diventare la corrente egemonica della DC e che ne rappresentò la componente più retriva, reazionaria e affaristica del partito cattolico.
Nato come giovane ‘rottamatore’, Fanfani diventa eterno e segna un record personale nel 1987 diventando il più anziano presidente del consiglio nella storia repubblicana, alla tenera età di ottant’anni!
Proprio Giorgio Bocca, in uno dei suoi cammei più riusciti, ne traccia un ritratto spietato che poi è anche un immagine dell’animus democristiano che asfissia il Paese:
«La fortuna di Fanfani è che egli si presenta alla ribalta democristiana, sicuro di sé, entusiasta, proprio mentre i vecchi dirigenti si sentono impari a compiti sempre più pesanti.
[…] Per Fanfani il movimento cattolico, la cultura cattolica sono orti da coltivare, ma ciò che interessa veramente, per non dire unicamente, è il partito: questo incredibile strumento di potere che da un giorno all’altro ti innalza ai vertici dello stato, ti dà poteri economici decisionali anche se fino a ieri hai scritto libri di nessun valore, anche se sei un economista di cui nelle università dei paesi avanzati riderebbero.
[…] Con Fanfani e i suoi coetanei la disputa sui convincimenti e sui principi è solo un pretesto: tutti sono disponibili per tutto purché assicuri il potere. Il dono del potere facile e il suo uso fin dalla più tenera età creano in questa generazione una presunzione e un mestiere che la fanno diversa ed estranea al resto del paese.
Questa gente arrivata facilmente al potere, riverita, corteggiata, si convince di possedere veramente delle qualità superiori di talento politico. E l’Italia laica stupita, umiliata, dovrà ascoltare per anni le banalità di Fanfani, le elucubrazioni di Aldo Moro, le malinconie di Antonio Segni, le divagazioni avventuristiche di Giovanni Gronchi, i festosi deliri populistici di Giorgio La Pira, ripresi dai mass-media come espressioni di un pensiero politico rispettabile. Nel contempo però questa classe politica di estrazione casuale, che ha vinto, nel ’44 o ’45, il terno a lotto di iscriversi a un partito che la Chiesa, la paura del comunismo, la situazione internazionale, hanno gonfiato di voti, diventa con il passare degli anni una classe di politici professionali che conoscono tutti i meccanismi del potere e che a un certo punto, gestendolo quasi in esclusiva, sono gli unici che sanno come funziona. Donde quella mescolanza di mediocrità culturale e capacità manovriera, di mediocre cultura e di scaltrezza che definiscono questa classe politica. Gente di scarse o nulle letture, che abita in case modeste e di cattivo gusto, che non ha la minima dimestichezza con letterati, artisti, che conosce poco o niente del mondo industriale; ma è imbattibile a manovrare nei corridoi di un congresso, ad organizzare la clientela, a tenere buono il clero protettore.»Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982
Col ciarliero Cazzaro 2.0 (che per arroganza non è secondo a nessuno), oltre alla medesima provenienza geografica, Fanfani condivide la strafottenza indisponente, il piglio decisionista e la presunzione. Curiosamente, ad accomunarli c’è pure il primato elettorale, seppure conseguito in diverse elezioni: il 41% delle ‘Europee’ con cui Telemaco si bulla un giorno sì e l’altro pure; il 42,3% ottenuto dal segretario Fanfani alle elezioni politiche del 1958 (uno dei migliori risultati mai raggiunti dalla DC). Peccato che alla successiva tornata, il risultato conseguito dallo ‘statista’ aretino fu di gran lunga al di sotto delle aspettative, determinando un suo allontanamento dalla presidenza del consiglio per i successivi venti anni.
Si dice che allora uno sferzante Aldo Moro abbia regalato al premier perdente le Memorie di Napoleone in esilio a S.Elena. Un precedente incoraggiante, che lascia ben sperare…
Partito della Nazione
Posted in Muro del Pianto with tags Alfredo Reichlin, Catch-all party, Consenso, DC, Democrazia Cristiana, Generazione Telemaco, Italia, Liberthalia, Matteo Renzi, Otto Kirchheimer, Partiti, Partiti colorati, Partito Comunista, Partito della nazione, Pier Ferdinando Casini, Politica, Post-democrazia, Società on 4 luglio 2014 by Sendivogius
Ultimamente, si sente parlare sempre più spesso e con una certa leggerezza, in conformità con la faciloneria dei tempi che corrono, di “Partito della Nazione”. Si tratta di una scelta semantica funzionale a
definire la catalizzazione del consenso. E di per se stessa si presta a interpretazioni quantomeno dubbiose: se la “nazione” vive politicamente in un partito che ne riflette le scelte e l’animus prevalente, come si dovrebbe definire ciò che ne resta al di fuori per incapacità di omologazione o intrinseca resilienza? Anti-nazionale, e dunque anti-italiano, ‘sovversivo’?!?
Se la scelta delle parole è importante, bisognerebbe saper cogliere anche il presupposto “totalitaristico” di simili definizioni…
Il termine, recentemente evocato dal premier Renzi, è in realtà una vecchia trovata di Pier Ferdinando Casini [QUI]. E con ogni evidenza si ispira a quello che in Italia fu il “partito della nazione” per eccellenza: la Democrazia Cristiana. La riscoperta rende bene qual’è il modello ispiratore e l’approdo ultimo delle attuali fregole “riformiste”, soffritte in salsa liberista.
Ma l’idea di un “partito della nazione” non è certo una novità nello spettro politico, visto che solletica perfino le simpatie di vecchi comunisti in disarmo come Alfredo Reichlin, in una ritrovata visione egemonica ai tempi della post-democrazia.
Sostanzialmente, costituisce una variante rivista e corretta del cosiddetto catch-all party, il “partito pigliatutto”: invenzione non nuovissima, dal momento che il primo ad utilizzare l’espressione fu il prof. Otto Kirchheimer, che ne teorizzò la struttura già a metà degli anni ’60, considerando il fenomeno come la naturale evoluzione dei partiti di massa. Tramite l’adozione di un armamentario post-ideologico, assolutamente flessibile e trasversale, il “partito pigliatutto” si concentra sulla promozione elettorale di interessi specifici e quanto più variegati possibile. Ottimizza il consenso, tanto più condivise sono le tematiche promosse, quanto più è indefinita la visione ideologica d’insieme e liquido il suo elettorato di riferimento. Allargando l’offerta elettorale delle proposte, pesca suffragi nei bacini elettorali più diversi. Si direbbe che più che indirizzare l’elettore, focalizzando l’azione su specifici temi, ne insegua piuttosto gli umori, avvallandone le pulsioni e funzionando come perfette macchine elettorali, per la massimizzazione del consenso in termini di voti.
Il “partito pigliattutto” è stata l’entità prevalente dell’ultimo decennio, con la sua struttura su base personalistica, mutuata dal linguaggio pubblicitario e dal marketing avanzato. Pertanto, si è passati dal partito-azienda, inteso come emanazione proprietaria delle aziende Mediaset, al sedicente “movimento” che pesca a destra e a sinistra, fuori dai vincoli di appartenenza politica nel culto ossessivo del Capo politico di cui è la protuberanza, ma in quest’ultimo caso siamo fuori scala ed è come contare i coliformi in una fogna. Più ordinario è invece il caso di quell’ex contenitore di correnti l’un contro l’altra armate, che è stato fino a poco tempo il partitone democratico, ridotto oramai a coreografia scenica e filiale organizzativa del renzismo dilagante.
Soprattutto, nella loro offerta indifferenziata, i catch-all parties sono prodotti a forte contenuto mediatico, fondati sulla predominanza degli slogan, e costruiti attorno alla personalità eclettica di un leader di cui si mettono al servizio, essendo strumenti più funzionali che sostanziali. E questo ne costituisce anche il limite e la debolezza più evidente, dal momento che la vacuità ideologica, il personalismo verticistico, ed i trasformismi politici, possono degenerare nei casi peggiori, in culto della personalità, incentrato attorno ad un populismo reazionario e improntati alla massima ubiquità.
Come sempre, gli esempi più deleteri ci vengono dalla realtà latinoamericana, rotta a tutte le degenerazioni possibili. In tale ambito, un modello atipico quanto particolare sono i “partidos colorados” di Paraguay ed Uruguay, capaci delle involuzioni e dei contorcimenti politici il più eclatanti (e ripugnanti) possibile.
Tornando invece alla specificità italiana, sopravvalutare la portata dei propri successi (ancor più se elettorali per tornate minori) non è mai un buon metro di giudizio, esattamente come non giova all’azione la prudenza eccessiva.
E questo bisognerebbe ricordarlo all’aspirante “Telemaco” in viaggio per l’Europa. Peraltro, ad essere pignoli, la scelta mitologica è davvero tra le più infelici: Telemaco nel suo girare a vuoto, è uno dei personaggi più inconcludenti dell’Odissea; tutta la sua vita è consacrata alla ricerca del padre assente (che se la spassa come meglio può, passando di letto in letto), al quale demandare la risoluzione di problemi (tipo i proci che gli hanno occupato casa e gli insidiano la madre) che è totalmente incapace di risolvere da
solo. Che siano la dea Atena, che si manifesta con l’aspetto del vecchio Mentore, papà Ulisse (travestito da vecchio), la madre Penelope… Telemaco si appoggia totalmente agli altri, i “vecchi” per l’appunto, senza i quali è perduto. Quando per forza di cose decide da solo, affrancandosi finalmente dall’ombra paterna, inesorabilmente sbaglia e fa una gran brutta fine.
Ecco, parlare di “Generazione Telemaco” non è esattamente una metafora di buon auspicio. Fortunatamente, la gilda di mercanti riunita sotto la finzione di un europarlamento è troppo intenta a tirar di conto sulla pelle dei popoli, per perder tempo a leggere i Classici (non è stato detto che con la Cultura non si mangia?) e dunque non si corre il rischio possa cogliere l’incongruenza. In quanto agli apologeti di casa nostra, che sempre più numerosi si affollano alla destra del Figlio, riuscirebbero a far passare l’ottone per la pietra filosofale.
È curioso che ci si gingilli invece attorno a recipienti dal contenuto variabile come il “partito della nazione”, tanto da non capire quanto siano anacronistici sia l’uno (il “Partito”) che l’altra (la “Nazione”) in un contesto fortemente diversificato. A meno che non si intenda utilizzare il nuovo contenitore come un vaso di decantazione, dove marinare opinioni, divergenze e sensibilità differenti, lasciate in decantazione fino ad elidere ogni sfumatura contraria, nell’illusione di un unanimismo stretto attorno ad un leader che decide in splendida solitudine. Perché se in Italia c’è una cosa che non manca, sono i suoi aspiranti “salvatori”.