IL REUCCIO FURIOSO
È un fiume in piena il Silvio Furioso, allergico ai limiti, che tracima gli argini, stralcia ogni regola, e nella sua ira funesta tutto travolge, in una marea montante di fango e di merda dalla quale nulla si salva. Non la magistratura, nemico irriducibile da colpire ed umiliare. Non il Parlamento, ridotto ad anticamera di lusso per cortigiani; muto boudoir riservato alle esibizioni liturgiche del sovrano. Non il Presidente della Repubblica, tornato ad essere uno dell’altra parte, il ‘comunista’: la categoria indeterminata ed onnicomprensiva che isola nel ghetto dell’assoluto disprezzo e della non-cittadinanza chiunque, non allineandosi alle scelte del Re, non sottoscrivendo il suo conformismo manicheo, osa ancora esternare il proprio dissenso. Né si salva la Costituzione, in quanto superata, filo-sovietica, soprattutto indisponibile alle ambizioni autocratiche del reuccio, e per questo vissuta come impaccio.
Nella sua corsa verso un potere assoluto e illimitato, il Silvio ferito vive il richiamo al rispetto degli equilibri istituzionali come un’offesa personale, un’intollerabile provocazione alla sua autorità non discutibile né condizionabile.
Abbiamo già parlato dell’abuso nell’utilizzo della decretazione d’urgenza e delle involuzioni democratiche che sono alla base de Lo Stato di Polizia. In riferimento alla crisi che travolse la Repubblica di Weimar, riportiamo a complemento un brano che ben rende sui rischi legati all’eccesso di decreti:
“I decreti erano destinati solo a situazioni straordinarie, ma Ebert, che fu il primo presidente della Repubblica, ricorse molto spesso a questo strumento, utilizzandolo in non meno di 136 occasioni diverse. (…) Non esisteva, in pratica, alcuna tutela contro l’abuso dell’articolo 48 [che, nella nuova Costituzione, disciplinava il ricorso alla decretazione d’urgenza], in quanto il presidente poteva sempre valersi del potere di sciogliere il Reichstag [il Parlamento tedesco], se esso avesse respinto un suo decreto. Inoltre i decreti potevano essere utilizzati in qualsiasi momento per creare un fatto compiuto o una situazione in cui l’unica opzione possibile per il Reichstag era l’approvazione (i decreti potevano essere usati per intimidire e imbavagliare le voci contrarie al governo in carica). È indubbio che alcune occasioni non concessero spazio ad alternative diverse dal metodo dei decreti. L’art. 48 tuttavia non conteneva alcuna disposizione che consentisse poi al Parlamento di riappropriarsi del potere legislativo.
(…) L’uso eccessivo, e talvolta l’abuso, della decretazione finì per ampliarne l’applicazione fino a trasformarla in una potenziale minaccia per le istituzioni democratiche”.
Richard J Evans, “La Nascita del Terzo Reich”.
A. Mondadori; Milano 2005.
È la “Notte dei Cristalli” della nostra democrazia, la più buia, la più difficile: la violazione sistematica di ogni regola civile; la devastazione indiscriminata del diritto, stralciato per il privilegio di pochi e per la gloria di un unico padrone.
Con l’attacco brutale alla Costituzione repubblicana ed al suo garante, le ultime parvenze legalitarie cadono insieme alla maschera della finzione democratica, mostrando la vera natura eversiva del bolso ducetto, passato dai consigli aziendali al consiglio dei ministri. Ne rivela il disegno egemonico, il progetto autoritario a lungo coltivato già sotto i cappucci della Loggia P2, che ritorna nell’attuazione dei famigerati piani di “Rinascita”. Di recente, il venerabile maestro Licio Gelli ha profetizzato: “La democrazia è una sigaretta che sta finendo”.
Una Democrazia progressivamente svuotata delle sue più elementari peculiarità, sempre più sospinta verso un pozzo nero, inghiottita in una oscura voragine senza fondo.
La Repubblica degradata in possedimento personale a gestione padronale; un magico reame chiamato Impunità, con la sua ubbidiente ‘Corte dei Miracoli’, dove re Silvio l’Intoccabile possa baloccarsi, a piacimento, tra tette e veline, culi e tronisti, in un nuovo mondo plasmato a propria immagine e somiglianza.
Venditore di suggestioni nell’immaginario mitopoietico delle plebi raccolte in adorazione, il Cavaliere Nero irrompe con “inaudita violenza” nel dramma individuale della famiglia Englaro. Con dichiarazioni oscene, che quasi evocano gli innominabili appetiti del satiro brianzolo, ne trasfigura l’essenza: “Mi dicono che ha un bell’aspetto, funzioni attive, il ciclo mestruale… Potrebbe anche generare un figlio”. Ne espropria il dolore denigrando i sentimenti di un padre, per appropriarsi del corpo della povera Eluana ridotto a reliquia di una crociata pagana, per la conquista del potere come fenomeno non reversibile e metamorfosi sistemica. Speculare è il connubio interessato con l’assolutismo clericale, nello scardinamento delle ultime resistenze e nella delegittimazione del pensiero critico, per il controllo delle coscienze, per il monopolio della Morale circoscritta negli angusti recinti del dogma.
Silvio il Santo diventa alfiere delle croce e servo del Papa Re, a rinsaldare l’antica alleanza tra il Fascio e l’Altare, a proprio sostegno. Offre la sponda alle incredibili ingerenze vaticane per spingere ben oltre le sue possibilità l’affondo contro la Presidenza della Repubblica, per denigrare le Istituzioni democratiche tramite un attacco congiunto. Bigamo e corruttore, Silvio il Devoto per la sua incoronazione, benedetta in XVI°, porta in dote l’Italia. L’Italia che torna ad essere una propaggine vaticana, il protettorato ecumenico di una ierocrazia assistita nel suo mantenimento parassitario.