Era il 01/04/15, quando il piccolo principe di Rignano in gita a Londra, durante uno dei suoi soliti tour promozionali, incontrò il suo omologo britannico: quel David Cameron con cui condivide ciccia e fuffa, a dimostrazione di quanto determinati didimi vadano sempre a coppia. Come un Pesce d’Aprile andato a male, il lezzo dell’abboccamento ha avuto un ritorno lungo a tanfo crescente… Sostanzialmente, il bulletto rignanese, tra una fanfaronata e l’altra, aveva bisogno di rimpinguare la cartelletta di governo con qualche altra “riforma epocale” per gonfiare, con abbondanza di ovatta nei pantaloni, il pacco delle “misure impressionanti” da esibire al cospetto dei suoi tutori brussellesi, nelle consuete ispezioni ginecologiche per conto Ué. In assenza di idee proprie, il bimbetto pesca prodotti preconfezionati altrove e ovunque gli sia possibile, da ripassare poi in salsa italica. Perché uno vale l’altro; l’importante è riempire la ciotola da dare in pasto ai salivanti corifei di regime. Al massimo, il ducetto fiorentino ci mette sopra il faccione e tutta la propria arroganza, con la stronzaggine intrinseca di un Masterchef alle prese con le sue cucine da incubo. Pertanto, a condimento del pastone indigesto, che costituisce il piatto forte dell’annuncite di governo, non poteva certo mancare l’imprescindibile “riforma dell’istruzione”: quella #buona-scuola, che altro non è se non una sbavata scopiazzatura in peggio del sistema scolastico anglosassone, rivisto in senso iper-classista e condensato in un accentramento autoritario di tutti i poteri decisionali, come impone la variante nazionale della “meritocrazia” declinata in tempi di post-democrazia. Alla scuola come impresa, amministrata da un preside manager, abbiamo dunque la figura del “preside allenatore” che decide l’indirizzo didattico, seleziona professori e personale scolastico (i bidelli), vagliando curricula e decidendo le assunzioni. Ne decide altresì gli eventuali premi e le promozioni ad personam (o meglio, ad clientes), ovviando così al mancato rinnovo contrattuale. Ma il preside, convertito in amministratore delegato, agisce con soldi pubblici ed a suo insindacabile giudizio, in quello che in determinate realtà locali rischia di diventare il più grande sistema clientelare su base familistica che mai si sia visto prima a memoria di Istruzione. Soprattutto, si svuotano di competenze i Provveditorati, che diverrebbero così “enti inutili” da tagliare in ossequio alle alchimie contabili della spending review (un altro scalpo da agitare in Europa), e si grava il “dirigente scolastico” (che spesso ‘presiede’ cinque e più istituti, senza avere il dono dell’ubiquità) di un numero abnorme di funzioni, col rischio concreto di mandare l’allenatore nel pallone, il quale si ritroverebbe a rispondere direttamente al ministero, ovvero al Governo che avrebbe il controllo diretto della scelta formativa, con l’istituzione di veri e propri ghetti per gli insegnanti (ed i presidi) indesiderati. Si tagliano i fondi alla scuola pubblica, ma si stornano contributi statali per milioni di euro a quella privata, che per non incorrere in spiacevoli vizi di costituzionalità (tipo l’Art.33 e l’Art.34), viene denominata “paritaria”. In compenso, si apre il finanziamento (lo school bonus) ai soggetti privati, che per il ‘disturbo’ verranno ampiamente risarciti con sgravi fiscali del 65% sul credito d’imposta. I “privati” finanzieranno i laboratori scolastici, l’acquisto di forniture didattiche, e presumibilmente la manutenzione degli immobili. Ed è fin troppo facile immaginare come tali “erogazioni liberali” saranno vincolate da impliciti condizionamenti, onde ottenere il finanziamento influenzando la conduzione scolastica. Così come già si può intuire come le contribuzioni saranno assolutamente selettive, a discapito degli istituti scolastici più periferici, quelli meno ‘blasonati’; oppure inseriti all’interno di difficili realtà locali, che diverranno poco appetibili per il “mercato” e quindi trasformati in discariche sociali per studenti ‘difficili’ o famiglie disagiate, con redditi insufficienti per integrare l’iscrizione obbligatoria con un proprio “contributo volontario”, in aggiunta alla tassa di iscrizione che ogni istituto già applica a propria discrezione. Ovviamente, al contrario del modello inglese, tutto il materiale concernente l’attività didattica, dai libri, ai quaderni, ai tablet (il cui acquisto è imposto a molti studenti dalla ‘direzione’, per sembrare più “moderni”), resterà a totale carico delle famiglie degli studenti. Per rendere più digeribile l’immondo pastone, in puro stile democristiano, è prevista un’infornata di massa (sbandierata più a parole che nei fatti) di nuovi assunti, meglio se in concomitanza elettorale (ci sono le elezioni regionali e molti docenti precari sono campani), senza tenere in alcun conto graduatorie di anzianità, corsi di specializzazioni (le SSIS), e abilitati per concorso… sempre per quella storia della “meritocrazia”. Dopo il bastone, c’è sempre la carota caramellata, che fa della compravendita dei diritti un surrogato clientelare del consenso, nell’infame convinzione padronale che tutti abbiano un prezzo e che anche la dignità sia in vendita,
speculando sul bisogno sospeso delle persone e sulla loro disperazione. In compenso, si garantisce un posto fisso alla sora Agnese. La scuola come impresa (in feroce concorrenza tra istituti), il preside come manager, la famiglia come cliente, e lo studente come lavoratore, giacché per gli utenti finali sono previsti “tirocini formativi” con un’impressionante monte ore lavorativo, da spendere (rigorosamente a gratis) nelle aziende (da cui dipenderanno i finanziamenti privati) ed in catena di montaggio. Con la scusa dell’avviamento al lavoro in età scolare, si reintroduce (obbligatoriamente) il lavoro minorile su un modello di sfruttamento paraservile che si pensava finalmente debellato. Perché la nuova scuola, più pessima che buona, si configura in realtà come un perverso esperimento di darwinismo sociale, volto alla formazione degli schiavi di domani, docilmente addestrati alla sottomissione (ed alla produzione industriale), dove la formazione culturale e l’educazione ad una cittadinanza piena e consapevole vengono considerati “anacronistici”, inutili, e soprattutto non complementari al “lavoro” (che per giunta non c’è). Non male per un paese che vanta impressionanti tassi di analfabetismo di ritorno. I genitori licenziati ed i figli in fabbrica. Ovviamente il progetto passerà, meglio se con voto di fiducia, e nonostante la solita pantomima delle 50 sfumature di sì diluite nel grigiore inconcludente della minoranza piddì. “Perché ce lo chiede l’Europa” (sic naturaliter) e perché così vuole la deriva autoritaria di matrice neo-mercantilista, secondo l’irresistibile volontà dei suoi esecutori: i volenterosi carnefici del credo liberista. Un cittadino che pensa è un cittadino che reagisce. Soprattutto, un cittadino consapevole, in possesso di tutti gli strumenti cognitivi per formarsi una libera opinione, è una minaccia costante al nuovo ordine che avanza. Per questo sono previste contromisure come la #buonascuola da condensare in un tweet.
«Ho sempre saputo che in questo paese è pericoloso avere delle opinioni. Un pericolo sottile ma controllabile… Almeno fin quando non ci inciampi»
(Alack Sinner)
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«…conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno, non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti li considererei detestabili…»
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«Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza»
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«Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare»
(D.Buzzati – “Il Deserto dei Tartari”)
«Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni…»
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«…Scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio»
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“Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.”
(A.Gramsci - 'Lettere dal carcere')
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza, se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero degno di ogni più scandalosa ricerca”
(P.P.Pasolini)
“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. MADISON - 4 Agosto 1822. Lettera a W.T. Barry)
“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”
(Joseph Pulitzer)
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