Archivio per Crociate

ORIENTE E OCCIDENTE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 marzo 2015 by Sendivogius

Scontro tra cavalieri arabi e crociati

Nella (s)fortunata vulgata dello “scontro di civiltà”, che descrive l’Oriente e l’Occidente come due blocchi monolitici irriducibilmente contrapposti nella loro inconciliabile diversità, si rispolverano conflitti e contrapposizioni antiche, esasperate dall’urticante brutalità della guerra siriana e delle sue nefaste ramificazioni mesopotamiche, all’insegna del più bieco fanatismo. E, nelle esasperazioni estreme del tempo presente, si finisce col dimenticare come attraverso il costante attrito di forze contrapposte, lo scontro violento presupponesse anche l’incontro tra due mondi profondamente diversi, che non si capivano, diffidavano l’uno dell’altro, ma nonostante tutto interagivano pur nella reciproca alterità, fra tregue d’armi, scambi commerciali, e persino commistioni culturali che lo stato di guerra permanente pure non escludeva mai del tutto.
La carica di Yaqut il GrossoIn tale prospettiva, è dunque interessante (ri)scoprire Usama ibn Munqidh: personaggio intrigante e spregiudicato quanto basta, vissuto nel periodo che va dalla presa di Gerusalemme alla riconquista della città ad opera di Ṣalāḥ al-Dīn.
images Poco conosciuto al di fuori degli ambienti specializzati di orientalistica, Usama ibn Munqidh fu diplomatico, dotto islamico, cortigiano, avventuriero e spia nella turbolenta Siria del XII° secolo. “Osama”, il cui nome per esteso era Majd al-Dīn Usāma ibn Murshid ibn Alī ibn Munqidh al-Kināni, è stato anche uno scrittore arguto, capace di mescolare il serio ed il faceto nelle memorie di una vita lunghissima, anche secondo i nostri criteri attuali (10/07/1095–24/11/1188), per una storia in chiaroscuro dove nulla è mai ciò che sembra.
crusadersLa sua intensa attività diplomatica lo portò ad interagire con gli europei trapiantati in Terrasanta, che egli chiamava indistintamente “Franchi”, reputandoli poco più che rozzi barbari, ma dai quali era incuriosito come dinanzi ad un fenomeno esotico, non mancando mai di fornire un ritratto colorito e beffardo degli stessi…

chirurgo arabo«Il signore di Munàitira scrisse a mio zio chiedendogli di mandare un medico per curare certi suoi compagni malati e quegli mandò un medico cristiano a nome Thabit. Il medico, dopo nemmeno dieci giorni, fu di ritorno. Noi gli dicemmo “Hai fatto presto a curare questi malati!”. Lui spiegò “Mi presentarono un uomo con un ascesso alla gamba e una donna con una consunzione. Feci un impiastro al cavaliere e l’ascesso si aprì e migliorò. Prescrissi una dieta alla donna, migliorandone il temperamento. Quand’ecco arrivare un medico franco. Affermò che non fossi in grado di curarli, e domandò al cavaliere ‘Vuoi morire con due gambe o vivere con una?’, Cavaliere in TerrasantaAvendo quello risposto che preferiva vivere con una sola gamba, ordinò: ‘Conducetemi un cavaliere gagliardo e un’ascia tagliente!’. Vennero cavaliere ed ascia, ed io ero lì presente. Colui adagiò la gamba su un ceppo di legno e disse al cavaliere ‘Dagli giù un gran colpo di ascia che la tronchi netto!’. E quello sotto i miei occhi la colpì d’un primo colpo e, non essendosi troncata, d’un secondo colpo. Il midollo della gamba schizzò via, e il paziente morì all’istante. Esaminata poi la donna, affermarono che avesse un demonio nella testa, innamoratosi di lei. medieval-doctor-cutting-open-a-patients-everettOrdinarono che le si tagliassero i capelli per renderla meno attraente. E quella tornò a mangiare i loro cibi, e la malattia le aumentò. ‘Il diavolo le è entrato nella testa!’, sentenziò colui. Preso il rasoio le aprì la testa a croce, asportandone il cervello fino a farle apparire l’osso del capo che colui strofinò col sale, e la donna, all’istante, morì. A questo punto domandai se avessero ancora bisogno di me. Risposero di no e io me ne andai via, dopo aver imparato della loro medicina quel che prima ignoravo.”»

 Francesco Gabrieli
 “Storici arabi delle crociate
Einaudi, 2002

Crociato feritoUsama reputa i “Franchi” poco più che rozzi barbari stranieri, ma al contempo ne era incuriosito. E a tratti non riesce a nascondere persino una certa ammirazione, tra episodi singolari, aneddoti edificanti, e storie probabilmente inventate di sana pianta, contenuti nella sua opera più conosciuta: il Kitāb al-I῾tibār, il “il Libro della Riflessione” o anche “Libro degli ammaestramenti con gli esempi”, da cui si possono trarre gustosi bozzetti di vita quotidiana.

Crusade - di Xavier e Dufaux«Ci sono fra i Franchi alcuni che, stabilitisi nel paese, hanno preso a vivere familiarmente coi musulmani e costoro sono migliori di quelli che sono ancor freschi dei loro luoghi d’origine; ma quei primi sono un’eccezione, che non può far regola. A questo proposito, mandai una volta un amico per una faccenda ad Antiochia, il cui capo era Todros ibn as-Safi [ovvero Teodoro Sofiano, un greco cristiano], mio amico, che aveva laggiù autorità. Questi disse un giorno all’amico mio: “Mi ha invitato un mio amico franco; tu vieni con me, per vedere il loro costume”. Andai con lui, raccontava l’amico, e venimmo alla casa di un cavaliere di quelli antichi, venuti con la prima spedizione dei Franchi. Costui, ritiratosi dall’ufficio e dal servizio, aveva in Antiochia una proprietà dei cui reddito viveva. Fece venire una bella tavola, con cibi quanto mai puliti e appetitosi. Visto che mi astenevo dal mangiare disse: “Mangia pure di buon animo, ché io non mangio del cibo dei Franchi, ma ho delle cuoche egiziane, e mangio solo di quel che cucinano loro: carne di maiale in casa mia non ne entra!”.
banchetto araboMangiai, pur stando in guardia, e ce ne andammo. Passavo più tardi dal mercato, quando una donna franca mi si attaccò proferendo nella loro barbara lingua parole per me incomprensibili. Si raccolse attorno a noi una folla di Franchi, e io mi ritenni spacciato: quand’ecco venire innanzi quel cavaliere, che vistomi si avvicinò e disse a quella donna “Che ci hai con questo musulmano?”.
“Questo – rispose colei – ha ucciso mio fratello Urso”, il quale Urso era un cavaliere di Apamea, che era stato ucciso da un soldato di Hamàt.
bataille-croiaes-a-cheval-arabes-francsEd egli le gridò: “Questo è un borghese, cioè un mercante, che non fa la guerra, né sta là dove la fanno”.
Gridò poi alla gente adunatasi, e quelli si dispersero, e mi prese per mano: così quell’aver mangiato alla sua tavola ebbe per effetto di salvarmi la vita

 Usâma Ibn Munqiah
Libro dell’ammaestramento con gli esempi

TemplareQuello che emerge, tra storielle più o meno credibili, è comunque un quadro di relazioni continue e rapporti quasi affabili con il ‘nemico’, nonostante le feroci dinamiche della guerra di religione in corso. Usama frequenta regolarmente i “Franchi” stanziati nella regione ed intrattiene ottime relazioni coi Templari, che chiama persino “amici” nelle sue memorie…

«Quando visitai Gerusalemme, entrai nella moschea Al-Aqsa, che era occupata dai Templari, miei amici. A fianco c’era una piccola moschea che i Franchi avevano trasformato in chiesa. I Templari mi assegnarono questa piccola moschea per recitarvi le mie preghiere. Un giorno vi entrai e glorificai Dio. Ero immerso nella mia preghiera, allorché un Franco balzò su di me, mi afferrò e girò il mio viso verso l’oriente dicendo: “Ecco come si prega!” Una folla di Templari si precipitò su di lui, lo afferrò e lo buttò fuori. Poi si scusarono con me dicendo: “È uno straniero che è arrivato questi ultimi giorni dai paesi dei Franchi e non ha mai visto pregare alcuno che non sia girato verso l’oriente”

 Usâma Ibn Munqiah
Libro dell’ammaestramento con gli esempi

Shayzar Strettamente imparentato con la tribù araba dei Banu Mundiqh, emiri di Shayzar, l’intraprendente Osama apparteneva alla dinastia dei Munqidhidi che dalla loro roccaforte di Shayzar controllavano parte della Siria nord-occidentale. I Banu Mundiqh, dal canto loro, avevano acquistato senza colpo ferire la cittadella fortificata, messa in vendita dal vescovo che l’amministrava per conto dell’imperatore Basilio IIbizantino Basilio II Bulgaroktonos (lo sterminatore di bulgari), così chiamato perché dopo aver sconfitto una imponente armata bulgara nelle gole di Kleidion, sui monti della Belasica, aveva rispedito indietro i prigionieri (circa 14.000 uomini) nella loro capitale di Prilep, non prima di averli fatti accecare tramite abbacinamento.
The Chronicle of Ioannis Skylitzis - Bulagar DefeatAl contempo, è significativo ricordare come lo zio di Usama, l’emiro Izz ad-Din al-Dawla, durante la prima crociata avesse rifornito di provviste e cavalli gli invasori europei in marcia verso Gerusalemme.
Levante - Anno 1135 Costretti come sono a barcamenarsi nella stretta dei principati cristiani di Antiochia ed Edessa, della Contea di Tripoli e dell’Impero bizantino, mantenendo la propria autonomia rispetto all’ingombrante ingerenza dei turchi selgiuchidi ed alle incursioni dei Nizariti del Veglio della Montagna (la Setta degli Assassini), dagli emiri della piccola Shayzar il giovane Osama impara l’arte dell’intrigo e della diplomazia che non lo salveranno comunque dall’esilio. Quindi inizia a districarsi tra le varie signorie islamiche che si disputano il Levante: dagli atabeg turchi di Mosul, Aleppo e Damasco, fino ai Fatimidi del Cairo, mettendosi da Atabegprigioniero al servizio di Zengi e di suo figlio Nur al-Din (meglio conosciuto nelle cronache occidentali come Nuraddino, ovvero Norandino), quindi col grande Saladino, prendendo parte a più cospirazioni dalle quali esce sempre indenne. Dalla somma delle sue esperienze, Usama ricava il materiale per le sue opere, in linea coi richiami moralistici ed edificanti della letteratura “adab.
Assassins-MAP-LGLe frequentazioni coi cavalieri cristiani ed i rapporti coi principati latini non incideranno mai troppo sui pregiudizi di Usama, che sostanzialmente considera i “Franchi” gente umorale, abituata ad agire d’istinto ed imprevedibile, privi di una vera moralità ed incapaci di gelosia, eppure eccezionalmente valorosi in battaglia.

fante bizantino«Presso i Franchi, non c’è ombra di senso dell’onore e gelosia. Se uno di loro va per la strada con la propria moglie e un altro lo incontra, questi prende per mano la donna e la tira in disparte, mentre il marito si allontana, aspettando che lei abbia finito di conversare. E se la fa troppo lunga, la lascia col suo interlocutore e se ne va!
Una mia diretta esperienza è questa: quando venni a Nablus, stavo in casa di un certo Mu’izz, la cui casa serviva d’albergo ai musulmani, con finestre che si aprivano sulla strada. Dall’altra parte della via c’era la casa di un ‘franco’ che vendeva del vino per conto dei mercanti: egli prendeva una bottiglia di vino e gli faceva pubblicità, annunciando “il tal mercante ha aperto una botte di questo vino; che ne volesse acquistare, si trova nel sito tal dei tali e io gli darò la primizia del vino che è in questa bottiglia”.
Ora costui, venuto un giorno a casa sua, trovò un uomo con sua moglie a letto.
gli amantiGli domandò: “Cos’è che ti ha fatto venir qui da mia moglie?”
“Ero stanco” rispose lui “e sono entrato qui a riposarmi”.
“E come mai sei entrato nel mio letto?”
“Ho trovato un letto fatto e mi sono messo a dormire”
“E questa donna dorme con te?”
“Il letto” rispose “è suo; potevo io impedirle di entrare nel suo letto?”
Al che il mercante concluse: “Se lo rifai un’altra volta litigheremo!”
E questa fu tutta la sua reazione e il massimo sfogo della sua gelosia.
turkish_bathUn altro caso consimile è questo, narratoci da un bagnino di Ma’arra di nome Salim, che stava in un bagno di mio padre: […] “Entrò nel bagno un cavaliere dei Franchi, ai quali non piace cingersi un panno alla vita: costui quindi allungò la mano e strappò via il panno dai fianchi e gettò via il perizoma. Così mi vide che da poco mi ero raso la zona del pube. “Salim!” esclamò; mi avvicinai a lui ed egli disse, stesa la mano sul mio pube: “Magnifico! Fai anche a me questo servizio!” e si distese supino sul dorso. Aveva in quel posto un vello lungo come la sua barba. Lo rasi, ed egli passatasi la mano, lo trovò bello liscio, e riprese: “Salim fai lo stesso alla Dama”, e ‘dama’ nella loro lingua vuol dire signora, cioè sua moglie. Ordinò quindi a un suo valletto: “Và a dire alla dama che venga”. Il valletto andò e tornò con lei, e la introdusse. Essa si distesa sul dorso ed egli disse: “Falle come hai fatto a me”. Io le rasai il vello e suo marito stava lì a guardarmi. E poi mi ringraziò e regalò secondo il mio servizio.
Guardate un po’ che contraddizione! Non hanno gelosia né senso dell’onore e al tempo stesso hanno tanto coraggio, che nasce di solito se non dal senso dell’onore e dal disdegno per ogni cosa malfatta

Rocca di ShayzarL’aneddoto surreale dimostra due cose: che Usama ibn Mundiqh era un gran cazzaro, il quale amava raccontare storielle a contenuto boccaccesco; e che gli europei, i “Franchi”, quando ne avevano la disponibilità, non disdegnavano affatto i piaceri del bagno e della toeletta.
BagnoIl Kitāb al-I῾tibār venne riscoperto in Europa solo nel 1880, grazie ad Hartwig Derenbourg che ne rinvenne il manoscritto nella biblioteca reale dell’Escorial di Madrid. Quindi venne successivamente tradotto e pubblicato in francese (1895) e poi in inglese (1930) ad opera dell’arabista Philip Hitti, che nella sua biografia di Usama non mancò di notare come il diplomatico siriano fosse intriso di sufismo di derivazione sciita e permeabile all’eresia ismaelita. Tra Esercito di Saladinole cronache di guerra, le campagne militari, le note autobiografiche e la grande passione per la caccia col falcone (che occupa una parte considerevole del libro), il Kitab è una delle poche opere musulmane a contenere un qualche interesse per lo stile di vita, i costumi ed il modo di pensare del nemico “crociato”, pur seppellendone l’interpretazione sotto uno spesso strato di pregiudizi e stereotipi. Perché l’Altro, nella sua diversità, è sempre più incivile, primitivo, illogico e amorale di quanto non sia l’ultimo dei miei.

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LIBRI AL ROGO

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 settembre 2010 by Sendivogius

Il sommo disgusto per le miserie quotidiane di un’Italietta sempre più incanaglita nella sua mediocrità senza riscatto, superata la crisi di rigetto, lascia necessariamente spazio alla noia, profonda ed inesorabile, nel panorama delle ordinarie meschinerie da Basso Impero.
È una questione di sopravvivenza, di doveroso distacco dai liquami tossici di una repubblichetta bananiera camuffata da ‘grande potenza’.
Perciò, questa volta parliamo di libri. E, soprattutto, di uno in particolare…

IMPRIMATUR
 Nel Marzo del 2002, la Mondadori pubblica nella collana degli Omnibus un ponderoso romanzo storico dal titolo promettente: “Imprimatur” (sia stampato).
L’opera, non priva di ambizioni letterarie, è il frutto delle fatiche di due autori esordienti (
Rita Monaldi  & Francesco Sorti) e costituisce il primo libro di una sorta di eptalogia, composta da altri sette volumi, i cui titoli dovrebbero a loro volta formare un aforisma dal significato sibillino: “IMPRIMATUR SECRETUM VERITAS MYSTERIUM UNICUM …” I due titoli mancanti, fondamentali per completare la frase in latino, verranno rivelati dagli autori solo al momento della pubblicazione dei due ultimi romanzi della serie.  
 “Imprimatur” è ambientato alla fine del XVII secolo in una Roma barocca e crepuscolare, in cui le vicende dei personaggi, costretti ad una forzosa convivenza nella locanda del Donzello dove vivono reclusi per un sospetto caso di peste, si intrecciano con i grandi accadimenti europei all’insegna del più spregiudicato cinismo politico: dall’ascesa alla caduta di Nicolas Fouquet, sovrintendente alle Finanze di re Luigi XIV, passando per gli intrighi consumati alla corte del Re Sole; l’assedio di Vienna da parte delle armate ottomane (siamo nel 1683) e la vittoria cristiana contro gli invasori Turchi; il papa Innocenzo XI ed i suoi inconfessabili segreti, legati ai commerci della sua famiglia: gli Odescalchi di Como…
Comune denominatore degli eventi e filo conduttore degli intrecci è l’ambiguo ed intrigante abate Melani, protagonista indiscusso della serie creata dai due intraprendenti scrittori. D’altra parte, gli autori sono:

«…due ex-giornalisti, lei, Rita Monaldi, dottoressa in Lettere Classiche, lui, Francesco Sorti, dottore in Storia della Musica di belle speranze, passati attraverso una brillante ma poco remunerata trafila in giornali di un certo calibro qualitativo in ambito nazionale (il giornale L’Indipendente, ad es., prima che perdesse del tutto la sua indipendenza per lei, Il Mondo settimanale di economia e finanza), scrivono, dopo dieci anni di ricerche di archivio, un romanzo al cui centro è il mondo politico ed ecclesiastico che ruota intorno alla figura di Atto Melani.
Questo straordinario personaggio realmente esistito, un castrato pistoiese di rare qualità canore che era stato il fenomeno musicale della Francia di Mazzarino e del suo re Luigi XIV, si rivelava ad uno sguardo storico più attento anche un talento spionistico e politico di primordine in grado di gestire e di pilotare scandali di grande importanza nell’ambito delle corti europee di maggiore rilevanza, a partire da quella pontificia. Melani, peraltro, era stato l’oggetto della tesi di laurea di Francesco Sorti e il primo interessamento nei suoi confronti era venuto proprio dalla musica.»
 
 di Giuseppe Panella
 (testo integrale QUI)

Il Caso
 Il romanzo si rivela essere un inaspettato successo editoriale, guadagnando ottime posizioni sulle classifiche di vendita, nonostante il lancio in sordina e le critiche non sempre lusinghiere.
“Imprimatur” arriva a raggiungere la terza edizione in poco più di un anno dalla sua prima pubblicazione…

«Dopo di che il ciclo editoriale si ferma e il libro scompare dagli scaffali delle librerie. Ogni tentativo di ristamparlo in Italia anche presso altri editori dopo il rientro dei diritti nelle mani dei suoi due autori fallisce miseramente mentre, invece, il libro viene tradotto con successo notevole in Olanda, in Francia, in Spagna e anche altrove (l’edizione inglese sarà lanciata nel 2006).
A tutt’oggi Imprimatur è un libro introvabile in Italia e di esso non si parla affatto se non nel sito web dei suoi ammiratori irriducibili. Anche durante la sua permanenza in libreria di esso i giornali, nonostante l’impegno profuso dai suoi instancabili autori, hanno parlato poco e male, insistendo su un improbabile parallelo con Il nome della rosa di Umberto Eco (cui pare assomigli ben poco) e riducendo il tutto a un giallo storico come ce ne sono tanti.
Ma qual è il contenuto di questo romanzo mastodontico (640 pp. nella sua edizione iniziale) che ha turbato il sonno dei suoi censori e dei suoi detrattori accademici e professionali e ha entusiasmato, d’altro canto, i suoi moltissimi lettori “medi” di tutta Europa?
Il romanzo è situato nel 1683, all’epoca della gloriosa battaglia di Vienna che chiude la stagione più significativa dell’avanzata islamica in Europa. Il merito di aver fermato i Turchi alle porte d’Europa è di solito attribuito a Papa Innocenzo XI, Benedetto Odescalchi, la cui figura appare sempre circonfusa di gloria tutte le volte in cui il suo operato viene citato in occasione di questo importantissimo episodio militare. Eppure questo Papa beatificato soltanto nel secondo Novecento (ma mai canonizzato) risulta fortemente ridimensionato nel libro di Monaldi & Sorti.
Secondo documenti d’archivio da loro rinvenuti nel corso delle loro ricerche, il Papa in oggetto, vinto dalla sua brama smisurata di denaro che lo faceva agire in qualità di usuraio in combutta con altri membri della propria famiglia, avrebbe prestato forti somme all’allora Stadtholder Guglielmo III d’Orange e, per rientrarne in possesso con gli interessi, avrebbe favorito la sua investitura a re d’Inghilterra in contrapposizione all’erede legittimo Giacomo II Stuart (che aveva il torto, però, agli occhi degli inglesi di essere papista e desideroso di restaurare la religione cattolica in Inghilterra). E’ quella che la storiografia ufficiale inglese chiamerà poi sempre come la Gloriosa Rivoluzione del 1688-1689 senza però mai far parola dell’ingerenza vaticana nella questione interna.
Questo scoop storiografico (provato da documenti d’archivio catturati dalla famelica coppia di cacciatori di documenti  alla ricerca di pezze d’appoggio per il loro libro) sarebbe una delle ragioni principali (se non la Ragione principale!) della damnatio memoriae cui sarebbe stata confinata la loro opera. Su questo punto, nonostante le tante interviste rilasciate da Monaldi & Sorti al riguardo e le polemiche avvenute però rigorosamente soltanto su giornali esteri, la verità è ben lungi ancora dall’emergere. I difensori del libro parlano di ingerenze vaticane; i suoi avversari (come Marco Meschini dell’Università Cattolica di Milano) sostengono, invece, la tesi del ciclo “naturale” del bestseller che avrebbe esaurito il suo compito di intrattenimento una volta arrivato allo statuto di “tascabile”. Prendere posizione su questo aspetto della questione senza aver letto il libro sarebbe più che una leggerezza un errore critico.»

  di Giuseppe Panella (Retroguardia)

Per uno strano capriccio del caso, abbiamo letto il famigerato “Imprimatur” (graditissimo regalo di un carissimo amico) nella versione italiana edita dalla Hoepli (Marzo 2010), su concessione dell’editore olandese De Bezige Bij. Questo perché nel frattempo il romanzo è diventato un best seller internazionale, pubblicato in ben 45 paesi e tradotto in una ventina di lingue straniere, compreso il coreano.

Esiste una sola verità? 
 Siamo sinceri: a lettura conclusa permane l’imbarazzante sensazione che il ‘caso’ sia stato, come dire, ingigantito oltre le sue reali dimensioni… Ciò dà adito al fastidioso sospetto che si possa trattare di una forma, piuttosto originale, di promozione editoriale sulla scia dei rumores di un possibile boicottaggio di natura censoria, legate a (improbabili) “vendette vaticane” che tanto stimolano la fantasia di certa stampa anglosassone (e protestante).
 Non aiuta a dipanare  alcuni (spiacevoli) dubbi, l’assenza pressoché totale di riscontri oggettivi nell’attività di boicottaggio, con riferimenti certi e rimandi riscontrabili alle censure ed alle ostracizzazioni delle quali Imprimatur è vittima prediletta.
Ci si riferisce ai detrattori sempre in termini vaghi. E questo fa onore ai due autori che rifuggono il pettegolezzo polemico, tuttavia impedisce ad un eventuale osservatore esterno di farsi un idea precisa… Un piccolo esempio:

Intanto, su un giornale milanese appartenente al fratello dell’editore-presidente del Consiglio, un noto storico cattolico pubblica una recensione insolitamente ostile, dove riferendosi agli autori (fino ad allora sconosciuti) commenta che «non se ne può più di gente così».

Naturalmente, si allude a Il Giornale di famiglia; l’editoriale in questione è probabilmente datato 24/03/2002, a firma di Marco Meschini.
Meschini è uno storico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, coerentemente con la sua formazione cattolica un tantino tradizionalista; specializzato in storia militare ed ecclesiastica, ha una spiccata passione per le crociate.
Per rimanere nell’ambito di giornali spazzatura, al contrario di
Giordano Tedoldi, “redattore culturale” di quell’ossimoro giornalistico chiamato Libero, Marco Meschini (a prescindere dalla condivisione delle idee) è un ottimo divulgatore con competenze culturali tutt’altro che disprezzabili. Nella fattispecie, noi abbiamo avuto il piacere di leggere “1204: L’Incompiuta – la IV Crociata e la conquista di Costantinopoli” pubblicata dall’editrice cattolica ‘Ancora’ nel 2004. Sorvolando sull’insana passione che l’Autore nutre per Simon de Montfort (uno dei troppi macellai della Storia, che di lì a poco si sarebbe dedicato allo sterminio degli eretici Albigesi), “1204:l’Incompiuta” è un’opera di piacevolissima lettura, con notevoli conoscenze nell’ambito della poliorcetica ed una grande capacità espositiva. In virtù di ciò, sarebbe stato interessante leggere la stroncatura di Meschini e le sue motivazioni, pretestuose o meno che fossero, contro “Imprimatur”.

Il Romanzo
 Col giudizio soggettivo e parziale del lettore smaliziato, superata una elitaria diffidenza per i “successi di massa”, possiamo dire che Imprimatur è un buon romanzo, non eccelso, con interessanti spunti narrativi e qualche limite.
L’impronta femminile nella scrittura e nella caratterizzazione dei personaggi (che in alcuni casi hanno una natura troppo femminea) è talmente evidente, da lasciar supporre che buona parte della stesura letteraria sia opera di Rita Monaldi.
L’ambientazione quasi claustrofobica del romanzo che si svolge interamente in spazi chiusi e circoscritti (le camere della locanda; le fogne; i cunicoli sotterranei della città…) avrebbe richiesto forse una maggior interazione dei personaggi che sono tanti ed interessanti, soprattutto se si considera il numero degli avventori (una decina!) confinati al Donzello: Monsieur De Mourai muore subito e non fa testo; l’oste Pellegrino rimane allettato in stato catatonico per i 4/5 del pur voluminoso romanzo; l’inglese Bedfordi marca visita e rimane fuori gioco per quasi l’intera storia; il napoletano Stilone Priaso ed il veneziano Brenozzi sono due ottime comparse che potevano essere spese meglio… Si ha come l’impressione che una buona parte dei personaggi rimanga come ibernata nelle proprie camere, alternandosi a turno per brevi comparsate in una sorta di giostra virtuosa ma fugace. E questo è un piccolo delitto per un romanzo di 600 pagine, specialmente quando il protagonista ed il suo comprimario sembrano invece girare a vuoto troppo spesso, per decine di pagine che potevano essere spese meglio. Di fronte ad un così grande
numero di attori, viene in mente A.Dumas capace di infarcire il suo “Conte di Montecristo” con eserciti di comprimari, perfettamente delineati e con tanto di capitolo dedicato.
Cosa grave, l’intreccio a tratti diventa prevedibile mentre il secretum, intorno al quale ruota parte della storia, nella sua improbabilità scientifica, seppur affascinante, rasenta l’assurdo e quindi pregiudica la credibilità dell’insieme, insieme ad altre incongruenze: personaggi canterini, che chiacchierano troppo e forniscono troppe spiegazioni a perfetti estranei; sguatteri di bottega con istruzione medio-alta; tombaroli che pur vivendo nelle fogne discettano di teologia ed astrologia, lasciando intendere che conoscano benissimo il latino…  Si  prefigura  una Roma seicentesca dove tutti sembra vadano oltre i rudimenti dell’alfabetizzazione primaria.

In compenso, lo stile è scorrevolissimo, ben curato ma mai noioso, contribuendo non poco al piacere della lettura nel suo insieme. Tuttavia è talmente piano da risultare, a volte, piatto.
 La descrizione della Battaglia di Vienna contro i Turchi, che pur si presterebbe bene a descrizioni epiche con i coreografici ussari alati della cavalleria polacca, è praticamente inesistente e priva di qualsiasi pathos. Ripensando a casi analoghi, opportunamente depurato dagli stucchevoli trionfalismi, persino un dignitoso romanzetto storico come
L’ultimo crociatodi Louis De Whol, che ripercorre le gesta di Don Giovanni d’Austria, riesce spesso ad essere superiore nelle descrizioni e in certa ricostruzione d’epoca.
Gli omaggi letterari invece sono molteplici e riconoscibili…
L’opera è strutturata in dieci giorni, tanto dura la quarantena, e l’ispirazione al
Decamerone di Boccaccio è evidente; né mancano i richiami ad Agatha Christie che contribuisce a conferire al romanzo una certa impronta ‘popolare’: il protagonista Atto Melani presenta non poche similitudini con l’investigatore belga Hercule Poirot.
Le peregrinazioni notturne nella città sotterranea, con i suoi personaggi stravaganti, ricordano invece certi romanzi d’appendice delle letteratura francese; in particolar modo, Eugène Sue e Victor Hugo (ma senza possedere nulla delle loro denunce sociali). I
“corpisantari”, i cacciatori di reliquie che aiutano l’abate Melani nelle sue investigazioni, ricordano la “Corte dei Miracoli” che popola i bassifondi di Parigi; il deforme Ciacconio richiama alla mente il più famoso campanaro deforme della cattedrale di Notre Dame.
A dispetto di certe recensioni entusiastiche, pubblicate all’estero, Imprimatur non può minimamente rivaleggiare con Umberto Eco e di certo non è superiore a “Il Nome della Rosa” (non scherziamo!) che rimane un capolavoro insuperabile, unico nel suo genere, dal quale lo separa un abisso incolmabile. Eventuali accostamenti tra le due opere rivela una sola verità: i recensori non hanno letto il romanzo di Eco.
Invece, non si riesce davvero a capire il motivo di tanta ostilità in Italia ed il boicottaggio messo in atto nella distribuzione e pubblicazione di Imprimatur, che comunque rimane nettamente superiore rispetto all’incredibile mole di spazzatura (soprattutto fantasy) messa in circolazione dall’asfittico circuito editoriale italiano.
Papa Innocenzio XI viene lambito appena dalle critiche per la quasi totalità del romanzo e in ogni caso ciò è funzionale alla finzione narrativa, dunque non si vede dove sia l’intollerabile pietra dello scandalo. L’attacco (se così si può definire) più duro si ha praticamente a libro concluso:

«Il Beato Innocenzo fu complice dei protestanti a danno dei cattolici; lasciò che l’Inghilterra fosse invasa da Guglielmo d’Orange, e solo per farsi restituire un debito in denaro.
Papa Odescalchi fu poi finanziatore del traffico negriero, non rinunciò a possedere schiavi personalmente e trattò con crudeltà sanguinaria vecchi e moribondi.
Fu un uomo gretto e avaro, incapace di elevarsi al di sopra delle preoccupazioni materiali, ossessionato dal pensiero del lucro e del denaro.
La figura e l’opera di Innocenzo XI furono quindi celebrate ed elevate ingiustamente, con argomentazioni false, fuorvianti o parziali. Vennero occultate le prove: l’inventario del testamento di Carlo Odescalchi, le lettere e le ricevute commerciali dell’archivio Odescalchi dal 1650 al 1680, la corrispondenza del segretario di Stato Casoni, i chirografi sugli schiavi citati da Bartolotti, più altre carte di cui segnalo la scomparsa, per lo più inspiegabile nei documenti finali.
Alla fine trionfò dunque la menzogna, e il finanziatore degli eretici fu detto Salvatore della Cristianità. Il commerciante avido divenne un saggio amministratore, e il politico testardo uno statista coerente; la vendetta si travestì da orgoglio, l’avido venne chiamato frugale, l’ignorante si trasformò in uomo semplice, il male prese i panni del bene e quest’ultimo, abbandonato da tutti, si fece terra, polvere, fumo, ombra, nulla.»

(Addendum; pagg. 529-530
 

E comunque è niente rispetto all’immagine pessima, e veritiera, di Gian Pietro Carafa (Paolo IV) che viene dipinta dal collettivo Luther Blisset nelle pagine di “Q” (Einaudi, 2000).
Forse l’errore (e la “colpa”)  più imperdonabile presente nell’opera di Monaldi & Sordi è l’aver osato allegare i documenti storici (e consultabili) che provano il coinvolgimento della famiglia papale degli Odescalchi e dello stesso pontefice in traffici illeciti, di dubbia natura, tra i quali  il commercio di schiavi africani (Archivio di Stato di Roma, Fondo Odescalchi, XXIII A1,c.216; cfr. anche XXXII E 3,8) e l’attestazione di come una parte consistente dell’indegno commercio di carne umana fosse in realtà appaltato a mercanti toscani e genovesi (i Lomellino, i Grillo, i Feroni..) indirettamente legati agli Odescalchi del comasco.
È difficile credere che l’appendice posta alla fine del libro, con la sua copiosa molte di riferimenti accademici e bibliografici, con i suoi estratti di pagamento tratti dai libri mastri dell’epoca, insieme alla ricostruzione dei finaziamenti ricevuti dal protestante Principe d’Orange per mezzo dei bolognesi Bartolotti, trapiantati ad Amsterdam, terrorizzi tanto il Vaticano a tal punto da imbastire una simile azione di boicottaggio. È lecito pensare che la maggior parte dei lettori abbia saltato in blocco la lettura della sezione documentale, che comunque contiene più congetture che prove. Ed è grave che alla confutazione empirica si preferisca l’oblio della censura.

Ammesso poi che di vera censura si tratti.

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