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VI FACCIAMO LA FESTA!

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , on 18 ottobre 2020 by Sendivogius

Cosa c’è di più subdolo, schifoso, squallido, infame, della delazione?!?
Un governo che invita i propri cittadini alla denuncia anonima, a prescindere dalle intenzioni ‘buone’ o (quasi sempre) pessime che siano, istituzionalizzando la pratica nefasta in un sistema di controllo diffuso per indiretta persona, è un governo criminale, che scambia la prevenzione con la sorveglianza totalitaria, la sicurezza, con l’autoritarismo securitario, dietro la patina paternalistica del moralismo emergenziale, stravolgendo le più elementari relazioni private.
 E se poi un ministro, in totale buonafede, non lo capisce, tanto peggio per lui e soprattutto male per tutti quanti gli altri, nell’inconsapevolezza della gravità che ogni precedente crea, con l’eccezione elevata a regola tramite lo stravolgimento normativo.
La delazione diffusa, anche se la si chiama “cittadinanza attiva” con ipocriti appelli al “buonsenso civico” (!?) nella distorta concezione dello stesso, è un altro tassello della regressione giuridica e sociale in essere, che segna la febbre forcaiola di una in-civiltà di aspiranti vigilanti da balcone, giustizieri fai da te e spioni della porta a fianco; roba da tonarigumi giapponese in uno stato pre-moderno, attraverso l’ansia del castigo altrui come compiacimento surrogato per costrizione indotta. E che fa della sorveglianza asimmetrica ed ininterrotta:

una trasformazione generale di atteggiamento…. uno sforzo per regolare i meccanismi di potere che inquadrano l’esistenza degli individui; un adattamento ed un affinamento dei meccanismi che prendono in carico e mettono sotto sorveglianza la loro condotta quotidiana, la loro identità, la loro attività, i loro gesti apparentemente senza importanza; un’altra politica nei confronti di quella molteplicità di corpi e di forze che costituisce una popolazione.”

Michel Foucault
“Sorvegliare e Punire”
(Einaudi, 1976)

La delazione, le accuse segrete, la denuncia anonima, restano più consone ai regimi che alle democrazie; è un’involuzione da storia della colonna infame in un ritorno alla caccia alle streghe (o all’untore), specchio dello schifo che siamo diventati e che nulla può giustificare, per un male antico che si credeva (a torto) debellato.

«Evidenti, ma consagrati disordini, e in molte nazioni resi necessari per la debolezza della constituzione, sono le accuse segrete. Un tal costume rende gli uomini falsi e coperti. Chiunque può sospettare di vedere in altrui un delatore, vi vede un inimico. Gli uomini allora si avvezzano a mascherare i propri sentimenti, e, coll’uso di nascondergli altrui, arrivano finalmente a nascondergli a loro medesimi. Infelici gli uomini quando son giunti a questo segno: senza principii chiari ed immobili che gli guidino, errano smarriti e fluttuanti nel vasto mare delle opinioni, sempre occupati a salvarsi dai mostri che gli minacciano; passano il momento presente sempre amareggiato dalla incertezza del futuro; privi dei durevoli piaceri della tranquillità e sicurezza, appena alcuni pochi di essi sparsi qua e là nella trista loro vita, con fretta e con disordine divorati, gli consolano d’esser vissuti. E di questi uomini faremo noi gl’intrepidi soldati difensori della patria o del trono? E tra questi troveremo gl’incorrotti magistrati che con libera e patriottica eloquenza sostengano e sviluppino i veri interessi del sovrano, che portino al trono coi tributi l’amore e le benedizioni di tutti i ceti d’uomini, e da questo rendano ai palagi ed alle capanne la pace, la sicurezza e l’industriosa speranza di migliorare la sorte, utile fermento e vita degli stati?
Chi può difendersi dalla calunnia quand’ella è armata dal più forte scudo della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quella ove chi regge sospetta in ogni suo suddito un nemico ed è costretto per il pubblico riposo di toglierlo a ciascuno?
Quali sono i motivi con cui si giustificano le accuse e le pene segrete? La salute pubblica, la sicurezza e il mantenimento della forma di governo? Ma quale strana costituzione, dove chi ha per sé la forza, e l’opinione più efficace di essa, teme d’ogni cittadino? L’indennità dell’accusatore? Le leggi dunque non lo difendono abbastanza. E vi saranno dei sudditi piú forti del sovrano! L’infamia del delatore? Dunque si autorizza la calunnia segreta e si punisce la pubblica! La natura del delitto? Se le azioni indifferenti, se anche le utili al pubblico si chiamano delitti, le accuse e i giudizi non sono mai abbastanza segreti. Vi possono essere delitti, cioè pubbliche offese, e che nel medesimo tempo non sia interesse di tutti la pubblicità dell’esempio, cioè quella del giudizio? Io rispetto ogni governo, e non parlo di alcuno in particolare; tale è qualche volta la natura delle circostanze che può credersi l’estrema rovina il togliere un male allora quando ei sia inerente al sistema di una nazione; ma se avessi a dettar nuove leggi, in qualche angolo abbandonato dell’universo, prima di autorizzare un tale costume, la mano mi tremerebbe, e avrei tutta la posterità dinanzi agli occhi.
È già stato detto dal Signor di Montesquieu che le pubbliche accuse sono più conformi alla repubblica, dove il pubblico bene formar dovrebbe la prima passione de’ cittadini, che nella monarchia, dove questo sentimento è debolissimo per la natura medesima del governo, dove è ottimo stabilimento il destinare de’ commissari, che in nome pubblico accusino gl’infrattori delle leggi. Ma ogni governo, e repubblicano e monarchico, deve al calunniatore dare la pena che toccherebbe all’accusato

Cesare Beccaria
Dei Delitti e delle Pene (1763)
Accuse segrete (Cap. XV)

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RED BUTTON

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , on 21 gennaio 2018 by Sendivogius

Come tutti ben saprete, tra le piaghe più devastanti che sconvolgono il pianeta c’è sicuramente l’annoso problema delle “Fake News” (!). Sì, insomma: le bufale, le balle, le panzane, le boiate… che a vario titolo massimamente imperversano nella ‘rete’ dei nuovi imbecilli digitali. Adesso le cazzate si chiamano “fake”, nella moda anglicizzante che tutto reinventa a fenomeno globale, ma sono sempre esistite. Esattamente come i cazzari, che vi costruiscono sopra la loro fortuna.
Ora, ci sono vari modi per contrastare le “fake news”, ovvero le balle (ed i cacciaballe)… E non è detto che funzionino, perché le menzogne per essere efficaci si nutrono di mezze verità, distorcendo la realtà con la manipolazione dei fatti. E lo fanno tramite l’immissione di una serie di dati fallati, che insistono sull’aspetto emotivo; onde suscitare una reazione immediata, che si amplifica e si alimenta per effetto di massa.
Nei casi più riusciti, diventano propaganda e sono funzionali alla preservazione o alla conquista del potere, nutrendosi di promesse impossibili o decantando successi mirabolanti di governi inconsistenti. Insomma, basta seguire una qualunque campagna elettorale, con la sovraesposizione di cialtroni alla ribalta, per capire di cosa parliamo. Nell’inflazione di balle contrapposte che si alimentano a vicenda, le “fake news” sono uno strumento promozionale di lotta politica. E la mistificazione delle informazioni diventerà allora prassi ordinaria per il controllo delle opinioni.
Tanto poi chi è che va a verificare?!?

«Chi ai nostri giorni voglia combattere la menzogna e l’ignoranza e scrivere la verità, deve superare almeno cinque difficoltà. Deve avere il coraggio di scrivere la verità, benché essa venga ovunque soffocata; l’accortezza di riconoscerla, benché venga ovunque travisata; l’arte di renderla maneggevole come un’arma; l’avvedutezza di saper scegliere coloro nelle cui mani essa diventa efficace; l’astuzia di divulgarla fra questi ultimi. Tali difficoltà sono grandi per coloro che scrivono sotto il fascismo, ma esistono anche per coloro che sono stati cacciati o sono fuggiti, anzi addirittura per coloro che scrivono nei paesi della libertà borghese

Bertolt Brecht
“Scritti sulla letteratura e sull’arte”
Einaudi (Torino, 1973).

Il modo peggiore di affrontare la questione, ammesso e non concesso che questa sia poi così pregnante, come vorrebbe farci credere un circo mediatico a corto di non-notizie con le quali riempire i palinsesti, è affidare la soluzione ad altri imbecilli nella prevalenza del cretino contemporaneo Perché, come diceva Ennio Flaiano, “niente è più pericoloso di uno stupido che afferra un’idea, il che succede con una frequenza preoccupante. Se uno stupido afferra un’idea, è fatto: su quella costruirà un sistema e obbligherà gli altri a condividerlo”.
Capita così che i gestori di quell’immenso stupidario condiviso ad uso collettivo, meglio conosciuto come Facebook, per smascherare le notizie false elaborino un sistema di votazione che permetterà agli utenti di decidere quali contenuti siano da considerarsi credibili e quali invece no. L’unico requisito di attribuzione (e legittimazione) è il parere della maggioranza, per vox populi e senza bisogno di altra confutazione se non il numero di ‘like’ cumulati a colpi di clic. Prodigi della “democrazia diretta” ai tempi di internet.
Che è un po’ come se uno avesse chiesto ai bigotti fanatici di Salem, durante i tempi allegri della caccia alle streghe, se nel loro villaggio fossero state presenti adoratrici del demonio che operavano sortilegi maligni contro i devoti villici timorati di dio. E su questo decidere l’esecuzione o meno delle sospettate. Perché la maggioranza ha sempre ragione. E infatti…
Sfugge ai cretini di Menlo Park (succursale demente di South Park), che se riunisci cento idioti dentro una sala questi non cesseranno di produrre e condividere le medesime idiozie. Ed anzi usciranno rafforzati e rassicurati nelle loro convinzioni dalla preponderanza del numero. A livello virtuale, se possibile, il processo è ancora più virale. Ma appunto: mai affidarsi ad un cretino; soprattutto quando questo viene illuminato da lampi di imbecillità, che ovviamente scambia per idee geniali.
Il problema diventa reale, e preoccupante, quando l’imbecille viene investito di un’autorità superiore e decide di scindere il vero dal falso per sua infallibile volontà, in virtù del proprio insindacabile mandato. È il caso del sopravvalutatissimo ministro Marco Minniti, il servizievole Lothar prestato agli Interni, al quale evidentemente sfugge che se un problema legato alle “fake news” esiste davvero, questo è innanzitutto un problema culturale. E che la veridicità di una notizia non si stabilisce certo per decreto o per volontà della polizia, giusto per non aggiungere alle distorsioni cognitive di una massa anomica di creduloni, le deviazioni inquisitorie di un ministro imprigionato nella visione sbirresca della società. Non ci sono molte altre spiegazioni valide alla promulgazione del fantomatico “Primo Protocollo Operativo” contro le fake news, affidato al controllo delle autorità di Polizia. A parte gli imbarazzanti richiami al “Primo Ordine” che comanda le truppe imperiali della serie Star Wars, è quanto meno demenziale ancorché inquietante la pretesa di istituire una sorta di Grande Fratello che vigila sul webbé, per quello che assomiglia ad una specie di Ministero della Verità, dove un ministro (ed implicitamente il Governo) decide ciò che è giusto o sbagliato, attraverso un fantomatico comitato di “esperti” che funzionerebbe più come collegio censorio che di garanzia. Qualcosa di cui proprio non se ne sentiva bisogno oltre a creare un precedente pericoloso. E che la dice lunga sulla forma mentis del glabro ministro, che si balocca compiaciuto col suo bel bottone rosso, lucidato per l’occasione e che è ben deciso a premere…
Per certi tomi al governo (fortunatamente agli ultimi sgoccioli) deve costituire il nuovo Punto G in grado di stimolare gli orgasmi da onnipotenza, per questa caricatura pelata di un Noske resuscitato al Ministero degli Interni.

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SINDROME CINESE

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 luglio 2011 by Sendivogius

UNA PICCOLA PREMESSA…
 Ogni ‘Regime’ che si rispetti, se vuole essere degno di questo nome, deve saper manipolare la realtà piegandola alle esigenze della propaganda.
Se vuole durare, deve creare una propria base di consenso, tramite il filtraggio organizzato delle notizie ed il controllo delle opinioni con la rimozione di quelle giudicate scomode.
In tempi non troppo lontani, si devastavano le redazioni dei quotidiani non asserviti; si bruciavano le pubblicazioni non gradite; si distruggevano le tipografie, colpevoli di stampare ciò che non doveva essere divulgato…

Oggi basta detenere il monopolio dei maggiori mezzi di comunicazione, occupare le posizioni di vertice e scegliersi i propri controllori; inibire l’accesso alle tecnologie alternative e livellare le voci, imponendo l’antico bavaglio della censura.
In un ordine apparentemente perfetto, l’esistenza della rete internet costituisce una pericolosa anomalia del sistema.
Sostanzialmente impermeabile ai vecchi meccanismi della sorveglianza gerarchica, la diffusione di internet rappresenta infatti una rivoluzione culturale, su base orizzontale, dagli effetti dirompenti quanto imprevedibili. Nata come strumento essenzialmente libero, lontanissima da ogni forma di controllo, la ‘Rete’ è un macrocosmo in costante espansione, all’insegna della fruizione caotica e del flusso illimitato di informazioni. Soprattutto, la sua natura prevalentemente anarchica è la dimostrazione pratica di come un sistema complesso possa funzionare benissimo, anche in assenza di divieti e di norme coercitive, restando accessibile a chiunque con costi irrisori.
Oggettivamente troppo per ogni organismo di potere costituito. Una provocazione intollerabile per chi fonda la propria autorità sul controllo e la repressione.


Pertanto, le potenzialità eversive della Rete non potevano rimanere estranee alle cariatidi governative e agli analfabeti digitali che, trincerati nei loro castelli di privilegi feudali, iniziano a temere come non mai i popoli che dovrebbero rappresentare e che indegnamente ingannano.
La loro non è intelligenza è istinto animale; è puro spirito di sopravvivenza. Della rete non capiscono assolutamente le dinamiche, ma ne paventano gli effetti sulla libera circolazione delle idee, nella costruzione di un dissenso condiviso e soprattutto liquido. Lungi dal rappresentare una opportunità, Internet costituisce un problema.
Per questo la Rete va “regolamentata”, depotenziata, e soprattutto imbrigliata.
Disturba l’Ordine e gli Affari. Un reato capitale per i governi globali, protesi nell’estrema conservazione dello statu quo di un mondo perfetto che si vorrebbe immutabile nei suoi assetti di predominio geriatrico.
SORVEGLIARE E PUNIRE
 Il controllo della ‘rete’ è una vecchia ossessione della Pornocrazia berlusconiana. Da quando i pasdaran delle libertà littorie hanno scoperto che da internet possono persino scaturire delle rivoluzioni, normalizzare il web è diventata una priorità di governo. Da Maurizio Gasparri a Gabriella Carlucci (alcune delle intelligenze più eccelse del PdL), tutti hanno cercato di dare il loro contributo in nome della “regolamentazione”.
Ossessionati dal fatto di non poter colpire i cybernauti con querele per risarcimenti milionari, da usare a scopo intimidatorio (o il silenzio o la rovina economica), si è dapprima pensato di introdurre una schedatura di massa per attività svolte a titolo amatoriale e assolutamente gratuito.
Il tentativo più significativo in tal senso è la presentazione di una proposta di legge (datata 11/02/09) da parte dell’on. Carlucci:

Art. 2.

1. È vietato immettere in maniera anonima nella rete internet contenuti, ivi comprese le banche di dati, in forma testuale, sonora, audiovisiva o informatica, o in qualsiasi altra forma, ovvero agevolare l’immissione dei medesimi.
2. Coloro che, anche in concorso con altri soggetti operanti fuori del territorio nazionale, ovvero con ignoti, rendano possibili i comportamenti vietati ai sensi del comma 1 sono considerati responsabili, sul piano civile, penale e amministrativo, unitamente a coloro che hanno effettuato l’immissione in forma anonima.
3. Per quanto riguarda i reati di diffamazione, si applicano gli articoli 595, 596 e 596-bis del codice penale nonché le disposizioni della legge 8 febbraio 1948, n. 47.
4. Per la tutela del diritto d’autore, dei diritti connessi e dei sistemi ad accesso condizionato si applicano le disposizioni previste dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e le relative sanzioni.
5. Il Comitato per la tutela della legalità nella rete internet, di cui all’articolo 3, adotta, con proprie deliberazioni, le disposizioni e le regole tecniche necessarie, in relazione alle caratteristiche della rete internet, per l’applicazione delle norme richiamate nei commi 3 e 4 del presente articolo, in particolare per quanto attiene alla pubblicazione di risposte.

Che gli scopi del legislatore siano ispirati da una filosofia meramente repressiva è evidente fin da subito ed investono in senso estensivo tutte le attività di accesso alla rete internet effettuate da apparati informatici e infrastrutture fisicamente presenti nel territorio nazionale e per il tramite di essi.
 Tuttavia, i provvedimenti davvero significativi iniziano a prendere corpo e sostanza soprattutto dopo la nomina di Paolo Romani a Ministro delle Comunicazioni, con la scusa di tutelare di “diritto d’autore” (e le grandi major della distribuzione multimediale). Il compito di eseguire materialmente la sentenza di morte per la libertà di internet viene affidata all’AGCOM, agenzia governativa della cui indipendenza e imparzialità di giudizio avevamo già parlato [QUI].

L’inconfigurabilità di un potere sanzionatorio
È questa l’espressione che viene utilizzata per definire le linee guida dell’AGCOM in relazione all’approccio con le “reti di comunicazione elettronica”.
Nel Marzo del 2010, con apposito decreto (D.lgs n.4 del 15/03/10), il ministro Romani commissiona all’agenzia il compito di stilare unaIndagine conoscitiva sulle reti di comunicazione elettronica” con la definizione di una specifica “fase repressiva, associata ad “un corrispondente potere sanzionatorio”.
In riferimento alle precedenti normative l’AGCOM osserva:

«Sembra che il legislatore, pur riconoscendo all’Autorità un così ampio potere di vigilanza in tema di violazione del diritto d’autore sulle reti di comunicazione, abbia al contempo deciso di circoscriverlo ad una fase anteriore di prevenzione, al più di accertamento, senza estenderlo quindi ad una fase di repressione successiva.
La sensazione è che il legislatore […] in ragione alle potenziali insidie del potere tecnologico abbia pensato all’Autorità di settore come ad una sorta di nucleo specializzato di “polizia giudiziaria”, abilitato a svolgere attività di intelligence necessarie a prevenire ed appurare eventuali violazioni nel settore, salvo poi rimettere i risultati di tale attività all’Autorità giudiziaria affinché proceda nei modi stabiliti dalla legge.»

Cioè, l’Agcom, di nomina governativa, interpreta un limite oggettivo imposto all’esercizio dei suoi poteri come una “sensazione” ed un invito implicito ad operare come una specie di polizia politica.
E si lamenta di non avere un “potere sanzionatorio di tipo repressivo”, arrogandosi di un potere che non gli compete e che trascende i limiti costituzionali:

«Ammettendo la possibilità dell’adozione di misure preventive, il punto focale si sposta sul raggio d’azione di tale potere implicito, sul punto limite cioè fino al quale l’Autorità potrebbe spingersi…
Si pensi, ad esempio, alla misura che imponga ai gestori dei servizi di comunicazione elettronica il disvelamento dei dati utili ad individuare il responsabile del sito internet che ospita illecitamente contenuti protetti dal diritto d’autore; o anche misure dirette a restringere l’accesso a tali siti, ad oscurarli o a rimuovere i contenuti ospitati. La tecnologia moderna offre diverse soluzioni idonee allo scopo, alcune delle quali finalizzate proprio ad impedire l’accesso ad alcuni siti inseriti in una apposita black list.»

Preso atto dei limiti giuridici che circoscrivono il suo raggio d’azione, e sottolineato come determinate prerogative siano esclusive della magistratura, l’AGCOM studia dunque una deliberazione ad hoc per scavalcare Diritto e Costituzione con il placet governativo, insieme alla sostanziale acquiescenza dell’Opposizione e della Stampa tutta.
Pertanto, il 17 Dicembre 2010, con la Delibera n.668, l’Autorità delle Comunicazioni traccia i “lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, sotto stretta dettatura della SIAE e della FIMI.

La DELIBERA 668/10
 Nell’Allegato B della delibera i consiglieri dell’Agcom si esibiscono con un panegirico sulle “nuove prospettive culturali per i consumatori e nuove opportunità di business per l’industria”, rappresentate dal “mercato unico digitale”.

L’Autorità nelle recenti relazioni annuali ha ripetutamente espresso l’opinione che sottovalutare le potenzialità del mercato digitale significa perdere una irripetibile occasione di sviluppo economico e sociale.”

Quindi ne stronca ogni funzione che non sia meramente “commerciale”, “remunerativa”, e finalizzata a far quattrini, da parte dei “consumatori/utenti”.
Notate la filosofia grettamente mercantilistica che trasuda dal testo della delibera, attraverso la scelta stessa dei termini.
A suo insindacabile giudizio (una sorta di auto-investitura), seguendo un “criterio ermeneutico”:

«L’Autorità ritiene che rientrino nella sua attività di vigilanza le violazioni del diritto d’autore perpetrate attraverso l’attività di diffusione radiotelevisiva, nonché attraverso le reti degli operatori di telecomunicazione, e che ad essa perciò competano le azioni di tutela del diritto d’autore sui contenuti immessi nelle reti di comunicazione elettronica (tv, reti di tlc e internet)»

Salvo fare appello, consapevole dell’abnormità di un simile potere discrezionale, stante la delicatezza e il rilievo delle situazioni giuridiche potenzialmente coinvolte:

al Governo e al Parlamento l’opportunità di una revisione complessiva delle norme sul diritto d’autore che risultano inadeguate allo sviluppo tecnologico e giuridico del settore.

Ad ogni modo, nel dubbio e nell’attesa che il “legislatore” si faccia sentire:

«L’Autorità, in quanto autorità amministrativa “dotata di poteri di vigilanza”, ritiene di essere legittimata, impregiudicato l’intervento dell’autorità giudiziaria, ad intervenire, in un tempo ragionevole, nei riguardi dei gestori dei siti internet sui quali dovessero essere ospitati contenuti digitali coperti da copyright, senza l’autorizzazione del titolare.»

In linea teorica, e in sintonia col cosiddetto “decreto Romani”, la delibera si propone di tutelare il diritto degli autori a ricevere una giusta remunerazione per le opere del proprio ingegno, con particolare attenzione ai prodotti audiovisivi, file musicali e opere coperte da copyright.
È chiaro che lungi dal voler tutelare gli “artisti”, il provvedimento blinda le pretese di sfruttamento commerciale dei diritti detenuti dalle major, con la difesa ad oltranza delle loro licenze di sfruttamento esclusivo.
È altrettanto chiaro che l’obiettivo primario del provvedimento sono i siti e le piattaforme che permettono download gratuiti (torrent o megaupload per fare un esempio).
Tuttavia i margini di intervento del provvedimento sono talmente estensivi, da comportare potenziali effetti devastanti sulla libera fruizione della rete. L’AGCOM infatti va ben oltre la sfera sanzionatoria contemplata dall’originale decreto Romani, che pure escludeva:

i siti internet privati e i servizi consistenti nella fornitura o distribuzione di contenuti audiovisivi generati da privati ai fini di condivisione o di scambio nell’ambito di comunità d’interesse

Nella sua interpretazione restrittiva, l’AGCOM, su pressione della SIAE e dei confindustriali della FIMI (Federazione dell’Industria Musicale Italiana), invece estende la possibilità di oscuramento o cancellazione a qualsiasi tipologia di pagina web, a prescindere dagli scopi, dalla ragione sociale, o dai contenuti generali, senza tenere in alcun conto le finalità d’uso.
Va da sé che, secondo un’ottica estensiva di tale impostazione, l’AGCOM potrebbe disporre l’oscuramento di YouTube (costretto a versare il “pizzo” legalizzato imposto dalla SIAE) e denunciare tutti quei blog e quei siti che all’interno delle loro pagine abbiano ospitato uno o più filmati da esso provenienti.


LA MANNAIA DEL DIRITTO D’AUTORE
 Quando si parla della (giusta) tutela del diritto d’autore, bisogna sapere che l’intera materia è disciplinata da una vecchia legge di era fascista (Legge 633/1941) ed ha una amplissima ala di copertura, ulteriormente aggiornata nel 1978 con la Legge n.399.
Tanto per fare un esempio, sono ricomprese in una ‘protezione’ pressoché totale, al riparo da ogni divulgazione non ‘autorizzata’ dai titolari di quella esclusiva di sfruttamento commerciale, che impropriamente chiamano “diritto d’autore”:

le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, tanto se in forma scritta quanto se orale; composizioni musicali, con o senza parole, le opere drammatico-musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera originale; i disegni e le opere dell’architettura; le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della fotografia; i contenuti giornalistici…”

Come si vede, lungi dall’essere circoscritto ai file sharing, alle trasmissioni in streaming, ed ai download musicali o video, l’intervento sanzionatorio accampato dall’AGCOM è potenzialmente illimitato.
Infatti, la delibera non esclude assolutamente l’applicazione delle sanzioni a quei siti che ospitino foto, gallerie di immagini, citazioni, testi letterari, poesie, coperti da eventuale “diritto d’autore” (che spesso è bello e sepolto, o che nella realtà non ha mai visto un solo centesimo per le sue creazioni), a prescindere dal carattere assolutamente gratuito e senza alcuna finalità di lucro delle pagine web. Potenzialmente, ci può rientrare di tutto: dalle web community ai forum di discussione, passando per i blog o per i siti amatoriali di intrattenimento.
In pieno delirio di onnipotenza, i garanti dell’AGCOM si attribuiscono un potere quasi assoluto, con una amplissima sfera di intervento, sovrapponendosi ad ogni altra autorità vigente (Polizia postale) e affiancandosi alla stessa magistratura, che pure dovrebbe indagare sulle singole fattispecie di reato potenziale:

«Si ritiene che l’Autorità possa esercitare – nel perimetro del diritto d’autore – i poteri ad essa assegnati nei confronti dei fornitori di servizi di media audiovisivi, dei gestori dei siti web , degli operatori di rete, dei fornitori di connettività (gli ISP), dei fornitori di servizi di caching/hosting, e più in generale nei confronti di tutti gli operatori di comunicazione elettronica.»

E nella fretta di operare non teme il rischio di approssimazione ed i margini di errore, pur nell’irreversibilità dell’intervento e delle sue conseguenze, senza la supervisione di un magistrato ed il vaglio di una formale denuncia:

«Affinché la funzione di garanzia dell’Autorità sia realmente efficace è necessario che essa si snodi attraverso una procedura estremamente semplice nei modi e celere e certa nei tempi. Solo in tal modo si riuscirebbe a garantire ai titolari dei diritti una forma di protezione alternativa (e non sostitutiva) rispetto a quella già offerta dall’Autorità giudiziaria.»

Nella sua applicazione, Il procedimento di tutela del diritto di autore e del copyright viene esplicitato al punto 3.5.2. della deliberazione (che ha valore di decreto legislativo) e si articola in 5 passaggi:

 1. Segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo – I titolari dei diritti e tutti gli altri soggetti autorizzati a disporne (in particolare, i titolari di licenze di sfruttamento, in proprio o attraverso le loro associazioni per la tutela di interessi collettivi), scaricano on line dal sito dell’AGCOM un modulo preimpostato per denunciare la presunta violazione all’Autorità per le comunicazioni. Contemporaneamente, intimano al “gestore del sito” o, in alternative, all’ISP (Internet Server Provider) che fornisce il servizio, di rimuovere tutti i contenuti sospetti (da sottolineare “sospetti”) di violazione.
Il gestore del sito, o i curatori della pagine web, hanno a disposizione appena 48 ore (un ultimatum!) per contestare e confutare la richiesta di rimozione, verificandone la fondatezza.
!!! N.B. I “soggetti autorizzati” sono in realtà la SIAE (che in teoria può pretendere il pagamento delle royalties anche per cantare l’inno nazionale) e gli industriali riuniti sotto la sigla del FIMI. Ma all’atto pratico nessuno controlla la reale identità del soggetto denunciante, né verifica l’effettiva titolarità del preteso copyright, magari sulle illustrazioni pubblicate e incriminate (non sono mica tutte Alinari!). Potenzialmente, il denunciante potrebbe essere chiunque, nella più grande operazione di ‘trollaggio’ su vasta scala che la rete ricordi!

 2. Segnalazione all’Autorità – Decorse le 48 ore dalla richiesta inoltrata senza che il contenuto sia stato rimosso, il titolare del diritto può rivolgersi all’Autorità”.
In pratica, il presunto titolare (perché nessuno si è dato pena di verificare la legittimità), non ottenuta la rimozione dei contenuti contestati dal gestore del sito, si rivolge direttamente all’Agcom: compila un format on line e chiede l’oscuramento della pagina.

 3. Verifica dell’Autorità in contraddittorio – L’Autorità, ricevuta la richiesta circostanziata di cui sopra, effettua una breve verifica in contraddittorio con le parti (titolare del diritto, gestore del sito, soggetto che ha effettuato la contro notifica) da concludere entro cinque giorni, comunicando l’avvio del procedimento al gestore del sito (o, nel caso non fosse possibile individuarlo, al fornitore del relativo servizio di hosting), all’operatore di telecomunicazione o a quello televisivo, alla cui sfera risulti oggettivamente ascrivibile la violazione della normativa rilevante.
Ciò in teoria potrebbe mettere al riparo i gestori delle pagine on line da eventuali abusi e mitomani; all’atto pratico però è tecnicamente impossibile (in soli 5 giorni!) accogliere la ricezione delle domande di rimozione, verificare la titolarità dei soggetti, vagliarne le richieste, valutare le obiezioni delle parti interessate insieme alle controdeduzioni, gestendo le notifiche in tempo reale.
!!! N.B. A meno di non disporre di qualche decina di migliaia di dipendenti, impegnati h24 nella verifica dei controlli, è chiaro che l’AGCOM attiverà una procedura standard che scatterà in automatico per la stragrande maggioranza dei casi, attivando la rimozione (e l’oscuramento) d’imperio.

 4. Adozione del provvedimento di ordine alla rimozione – Se l’Autorità, all’esito delle verifiche in contraddittorio, ritiene violata la normativa in tema di diritto d’autore, ordina senza ritardo al gestore del sito o al fornitore del servizio di media audiovisivo, anche per via telematica, l’immediata rimozione del materiale trasmesso in violazione.
!!! N.B. In 5 giorni l’Agcom pretende di gestire segnalazioni, verifiche, impugnazioni e contraddittorio, con sentenza definitiva e in appellabile che esclude ogni eventuale revisione futura. È chiaro che ci troviamo di fronte ad un monstrum giuridico dove le parti più deboli, senza alcuna tutela (a partire da quella legale) né forza contrattuale, sono destinate a soccombere sempre e comunque, piegandosi eventualmente a subire il male minore.

 5. Monitoraggio successivo del rispetto dell’ordine e applicazione di sanzioni in caso di reiterata inottemperanza – L’Autorità monitora il rispetto dell’ordine impartito e, in caso di inottemperanza reitera l’ordine avvertendo che il suo mancato rispetto comporterà l’applicazione delle sanzioni previste dalla legge (articolo 1, comma 31 della legge 249/97).
In pratica, inoltra una denuncia penale con segnalazione all’autorità giudiziaria. E paradossalmente è la parte migliore, perché nel caso il titolare del sito abbia ragione può contestare il provvedimento e denunciare gli eventuali abusi dell’Agcom.

Ad ogni modo, nell’immediato il provvedimento si applica ai siti italiani e stranieri. Contempla inoltre:

a) La predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione degli internet service provider;
b) La possibilità, in casi estremi e previo contraddittorio, dell’inibizione del nome del sito web, ovvero dell’indirizzo IP, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, ovvero per i casi di pedopornografia.

Attuando con questo una inaccettabile equazione tra informazioni e pedopornografia.
Potenzialmente, la normativa sul copyright è applicabile all’universo mondo. Di conseguenza, le restrizioni della delibera, volendo, possono scattare anche nel caso di slide e gif animate, perché il provvedimento non lo esclude. Da notare che tutto ciò che è di libera fruizione e non connotato come “creative commons” può essere sempre sottratto e registrato da terzi, che apporrebbero così il loro ‘diritto’ di copyright, sancendo lo sfruttamento esclusivo dell’opera scippata e ridotta a prodotto di vendita al consumo.
Le restrizioni della delibera (oscuramento dei siti e cancellazione della pagine web) si applicano anche al di fuori dei confini nazionali, investendo operatori e gestori di rete e fornitori di servizi di connettività e siti web di ogni parte del mondo. Per cui valgono le stesse regole di cui sopra (48h per la rimozione e 5 giorni per il “contraddittorio”). In caso di mancato ottemperamento ai diktat di Agcom e SIAE, i siti incriminati (anche per la presenza di un solo file sospetto) potranno essere inibiti dai provider su ordine dell’Autorità, a livello di IP o di dominio e persino nell’uso del nome, senza che sia contemplata un’indagine preliminare approfondita né il ricorso ad un giudice.
A partire da qualche giorno (06/07/2011), potrebbe capitare di visualizzare sui motori di ricerca interi elenchi di “siti non raggiungibili”, cliccare sui link più svariati e vedersi comparire una selva di pagine web “impossibili da visualizzare”; andare sulla sezione “immagini” di Google e trovarla vuota.
Da oggi, l’Italia è un po’ più cinese, ma il modello ideale rimane la Birmania (anzi, Myanmar!). E ancora la chiamano “democrazia”.
Evviva il mercato!

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