Archivio per Conflitto

SYRIANA (I)

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 ottobre 2014 by Sendivogius

Hellblazer - Constantine - PandemoniumIn merito alla strategia di contenimento da attuare contro il sedicente “califfato” dell’ISIS, è difficile dire cosa sia preferibile (o peggiore) tra l’esibizione muscolare della macchina bellica statunitense alla sua ennesima potenza, tramite un precipitoso interventismo militare a scopo punitivo; oppure l’inconcludente irrisolutezza per eccesso di prudenza di una presidenza indecisa su tutto, in assenza di prospettive definite.
Tagliagole dell'ISIS  D’altronde, dopo i catastrofici precedenti del passato, ed il caos della situazione presente, non si può certo biasimare il cauto Barack Obama per la sua riluttanza ad infilarsi a piedi nudi nel ginepraio mediorientale, per giunta in prossimità con le Midterm Elections (e con sondaggi per lui tutt’altro che confortanti).

I resti di James Foley

I resti di James Foley

Del resto, nessun Mr President avrebbe potuto restare inerte dinanzi all’esecuzione a freddo di cittadini statunitensi, macellati in pubblico ed esibiti come trofeo, con tanto di trasmissione in mondovisione.
Il problema risiede semmai nelle modalità di azione e di coinvolgimento sul campo. E, ad essere sinceri, finora la coalizione dei nuovi “volenterosi”, messa in piedi a difficoltà, con estenuanti trattative e diplomazie sotterranee, non è andata oltre l’impegno formale, più di facciata che di sostanza, con l’apporto riluttante di ingombranti alleati divisi su tutto.

Puericoltura nel Califfato dell'ISISPuericoltura nel Califfato dell’ISIS

Di fatto, i raids aerei in Siria sono tanto più inutili quanto inefficaci, dal momento che non esiste alcuna pianificazione o strategia condivisa con le formazioni combattenti operanti sul territorio (e sull’argomento dovremo tornare con una trattazione a parte…), in assenza di una qualunque logistica degna di questo nome, e senza che intercorrano scambi di informazioni nel terrore di dover dare l’impressione di una qualche collaborazione col regime del dittaroe siriano Bashar al-Assad.
Bashar al-AssadAl di là di un pletorico dispiegamento di cacciabombardieri, per altro sotto-utilizzati contro bersagli totalmente marginali se non addirittura risibili, la coalizione nei fatti non c’è, mancando di tutti i requisiti fondamentali per potersi definire tale: coordinamento tattico, organizzazione strategica, collegamenti logistici e comunicazione, con una totale assenza di controllo del territorio e della presenza di truppe operative di supporto, là dove più forte è la pressione delle milizie dell’IS.

ALERT

Il simpatico “emiro” canadese Abu Abdul Rahman al-Iraqi coi suoi giocattoli

A maggior ragione che delle forze combattenti del cosiddetto “Califfato”, ad eccezione delle efferatezze e della brutalità dei suoi capi-banda, si conosce ben poco: non l’esatta consistenza numerica, non l’effettivo potenziale bellico a disposizione, non gli scenari di battaglia. È difficile infatti credere che 15.000-20.000 psicopatici omicidi possano controllare con successo un fronte di guerra di oltre 1000 km². E la sensazione dominante è che siano stati altamente sottovalutati.
ISIS-truck-convoy-Anbar-ProvinceDalle poche informazioni disponibili, si ha più che altro l’impressione di una forza elastica, che possiede il suo punto di potenza sull’altissima mobilità delle proprie truppe, capaci di creare diversivi strategici, con attacchi su più obiettivi secondari, per disorientare i comandi avversari e concentrare poi l’offensiva su un preciso saliente di guerra, scatenando con successo offensive mirate su più direttrici d’attacco. E lo fa, tramite un dispiego minimo di mezzi pesanti e l’efficace utilizzo di artiglieria leggera, con improvvisate batterie mobili montate su pick-up riadattati per la guerra nel deserto. Con assalti mordi e fuggi, sortite ed incursioni, e ricongiungimenti improvvisi di unità autonome con rapidi movimenti sul terreno, l’ISIS sembra applicare la più classica ed antica, tra le tattiche di combattimento beduine.

isis

Non serve essere un Rommel per capire come attacchi mirati e bombardamenti a distanza siano assolutamente inutili, contro uno schieramento tanto flessibile; oltre all’assurdo economico di sprecare missili per centinaia di migliaia di dollari, contro un minivan adibito al trasporto delle munizioni di riserva.
raidI limiti della strategia obamiana diventano evidenti in tutta la loro inefficacia, volgendo lo sguardo alla scelta dei partner strategici sul terreno di guerra, che dovrebbero supplire all’assenza di una forza davvero reattiva e propria di una efficiente fanteria meccanizzata.

ALERT

Soldati iracheni sulla via di Kirkuk

Certamente non è il caso del vaporoso e demoralizzato esercito iracheno, falcidiato dalle disfatte e dalle diserzioni, sconquassato dalle divisioni tribali al suo interno, nonché totalmente inaffidabile. Ma nell’ottica strategica di Washington, Zbigniew Brzezinskidove ancora forte è l’impronta di un Zbigniew Brzezinski (che peraltro ha platealmente sconfessato la strategia presidenziale in Siria) con la guerra per procura, utilizzando milizie ausiliarie, reclutate ed addestrate tra i combattenti locali, proprio l’esercito regolare di Baghdad dovrebbe costituire la principale forza di intervento sul campo. L’inconveniente non da poco consiste nel fatto che le armate di Baghdad oramai esistono solo sulla carta: le sue brigate sono sotto organico e totalmente inadatte al combattimento, come i fatti hanno ampiamente dimostrato, per giunta comandate da generali inetti quanto intriganti.
Esecuzioni dell'ISISSicuramente più efficienti sono i combattenti peshmerga, per giunta logorati da anni di guerra, dell’autoproclamata “Regione autonoma del Kurdistan iracheno”, entità semi-indipendente ritagliata nelle montagne a nord dell’Iraq, nel distretto di Mosul, al confine con l’Iran. All’atto pratico si tratta di un’enclave tribale, dominata dal PDK (partito democratico del Kurdistan) di Masud Barzani, e divisa al suo interno dalla storica rivalità col progressista UPK (Unione Patriottica del Kurdistan) del socialista Jalal Talabani, con cui è in rotta da sempre. Entrambi sono visti col fumo negli occhi dal governo di Baghdad, a sua volta diviso tra sciiti e sunniti, che considerano la “Regione Autonoma” curda come una usurpazione della sovranità nazionale.

Kurdish pop star Helly Luv poses in front of Kurdish Peshmerga troops at a base in DohukLa popstar curda Helly Luv in posa con la milizia di Dohuk

Ovvio che le autorità centrali centellino al massimo sostegno economico ed aiuti militari, in attesa della resa finale dei conti. Per contro, le squadracce dell’ISIS devono essere state implicitamente viste da Baghdad come un utile strumento, per svolgere il lavoro sporco che Baghdad non è in forza di realizzare. È non è un caso che nessun supporto sia mai arrivato durante l’attacco a Mossul, abbandonata al suo destino come gli Yazidi del Sinjar o le comunità cristiane della Chiesa assiro-caldea.
June 12 - Terrorists Stealing Control of IraqQuando, su pressione degli statunitensi, il governo centrale si è finalmente deciso, con ampio ritardo, ad inviare un risicato contingente della Brigata ‘Skorpio’, unità speciali della polizia militare (indiziata di gravi abusi ai danni della popolazione civile), per difendere la fondamentale diga di Mossul, invece di combattere contro i miliziani dell’Isis, i ‘rinforzi’ hanno trascorso la gran parte del tempo a contrapporsi coi guerriglieri curdi, boicottandone le controffensive e arrivando sul punto di spararsi addosso tra di loro. Approfittando delle divisioni tra il catastrofico governo settario dello sciita al-Maliki costretto alle dimissioni, milizie sunnite, ed autonimisti curdi, nella regione di confine di Mosul si sono progressivamente insinuati Pasdaranuomini e mezzi dall’Iran, che invece non lesina combattenti ed aiuti militari, contribuendo a rendere ancora più ingarbugliata la situazione nel nord del Kurdistan iracheno, in un groviglio di alleanze e di interessi geopolitici in continua evoluzione. Tant’è, che a tutt’oggi la più efficace difesa contro le orde dell’ISIS nella regione risultano essere i battaglioni scelti della Brigata Al-Quds (tra cui la famigerata “Unità 400”), ovvero i pasdaran iraniani della “Guardia rivoluzionaria”.
Brigata navale iraniana dei Guardiani della RivoluzioneParadossalmente, le forze in campo davvero operative sul teatro di guerra siro-iracheno, e finora le uniche che combattano davvero con una qualche determinazione le orde dell’Isis, sono proprio quelle di cui gli USA farebbero Truppe iranianevolentieri a meno, nell’impossibilità di sancire alleanze strategiche a geometria variabile senza rompere il fronte (ancor più infido) degli storici ‘alleati’ sunniti, ovverosia: le monarchie assolute del Golfo arabico, che l’Isis hanno sostenuto, finanziato e armato, in chiave anti-sciita, condividendo almeno in parte il medesimo fondamentalismo salafita di ispirazione wahabita.
ISIS in IrakL’unica armata moderna davvero in grado di contrastare con successo l’ISIS sul suo stesso terreno è forse l’esercito turco, che però non ha alcuna intenzione di lasciarsi trascinare in un conflitto che avvantaggerebbe due Bashar Assaddei suoi nemici storici: i Curdi e la Siria di Bashar al-Assad. Dopo il respingimento della sua ammissione nella UE, il governo di Ankara è ormai proiettato ad Oriente in una deriva neo-ottomana, cercando di TAF - Esercito turcoritagliarsi un ruolo come potenza regionale e trescando segretamente tanto con le formazioni jihadiste della “resistenza” siriana, tanto con le fazioni siriane dell’IS, mantenendo una sostanziale ambiguità di fondo. Nell’immediato sta a guardare, in attesa di cogliere il momento propizio per intervenire nell’area contesa.
RojavaSul confine turco-siriano, nella totale indifferenza della “coalizione” anti-califfo, resistono nel più disperato isolamento i curdi della confederazione del Rojava, da non confondersi coi peshmerga del PDK. People's Protection Units FlagSono i miliziani delle unità di difesa popolare (YPG) quelli che hanno organizzato un ponte di soccorso, spezzando l’assedio di cristiani e yazidi accerchiati sul Monte Sinjar, permettendone la salvezza, mentre i peshmerga titubavano nelle loro ridotte attorno a Mosul in attesa di aiuti occidentali mai arrivati. E sempre l’YPG ha costituito un’enclave di protezione per le popolazioni civile, in contrapposizione tanto al regime siriano di Damasco quanto alle bande sanguinarie dell’ISIS, senza distinzione etniche o religiose. Ma figuriamoci! Si tratta di una confederazione anarco-comunista a trazione PKK.

Raid USAF

E dunque indegna di qualsiasi protezione e sostegno da parte dei raid aerei, blindo YGPche infatti a contro tutto sono diretti, tranne dove gli assembramenti delle squadracce del Califfato sono più consistenti e le loro offensive più virulente. Ed è ovvio che non saranno i trattori trasformati in improvvisati ‘tanko’ corazzati in lamiere saldate, o improbabili autoblindo (più che altro lenti bersagli mobili) a respingere l’assalto dei salafiti.
TankoLa presa della città di Kobane, stretta d’assedio dai mujaheddin ceceni Kobaneconfluiti nell’ISIS sta lì a dimostrare tutta la pletorica inutilità dei “volenterosi” di O’Banana che nella migliore delle ipotesi sbagliano clamorosamente bersaglio e nella peggiore giocano una partita che nulla ha a che vedere con la causa ‘umanitaria’, contro la barbarie del terrorismo islamico fattosi ‘Stato’.

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FALSE FLAG

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 9 settembre 2014 by Sendivogius

false-flag

Appurato il delitto, non cercate il colpevole. Trovate piuttosto un cattivo ideale, uno di quei villain da guerra fredda che sarebbe piaciuto a Ian Fleming per una storia dell’Agente 007, e attribuitegli ogni crimine possibile. Non importa se vero o presunto, plausibile o meno, giacché questo è un aspetto completamente secondario ai fini della trama, che ricerca personaggi tutto stereotipi e propaganda.
19 - The Legend of Koizumi - VLADIMIR PUTIN (1)Ciò che conta sono gli effetti speciali, coi quali impressionare il pubblico, guidandolo per mano ed aiutarlo a dimenticare in fretta i fatti nell’assenza di riscontri. Cucinato a puntino il pastone, al momento giusto lo si può servire opportunamente riscaldato a masse inappetenti.
Fu così che a meno di due mesi dall’abbattimento del Boeing 777 della Malaysia Airlines, sui cieli della regione separatista del Donbass in Ucraina, il ‘Consiglio di Sicurezza olandese’ (Dutch Safety Board) pubblicò nell’indifferenza generale il suo Rapporto Preliminare sulle sorti dello sfortunatissimo volo Mh17.
Si tratta di 34 paginette scarse, redatte con la collaborazione degli ‘esperti’ di ben dieci paesi diversi ed una mezza dozzina di agenzie specializzate. Pagine nelle quali praticamente non è contenuto nulla che non vada oltre l’evidenza; persino più approssimativa di quanto non sia rilevabile ad occhio nudo. In compenso, l’indagine investigativa si contraddistingue per non investigare alcunché, insieme alla carica di reticenza e di vaghezza analitica, al cui confronto le indagini successive all’abbattimento del DC9 Itavia ad Ustica nel 1980 sembrano un modello di efficienza.
Dc9 ItaviaTanto che il rapportino manca praticamente di tutto: contenuto delle scatole nere, analisi balistica, dettaglio dei tracciati radar, testimonianze degli operatori di volo, evidenze satellitari, analisi dettagliata dei reparti recuperati, referti autoptici…
L’unica certezza che sembra emergere dai ‘preliminari’ è l’avvenuta esplosione in volo dell’aereo. E nell’ansia di non dire ed all’occorrenza offuscare, nonostante le precauzioni, il Rapporto si lascia pure scappare una considerazione non perfettamente allineata con la vulgata ufficiale, che vuole il boeing abbattuto da un missile terra-aria Buk M1/SA-11.

Batteria missilistica antiarea BUK M1

E che soprattutto omette di spiegare di preciso come il velivolo possa essere stato perforato nella parte superiore della carlinga da numerosi oggetti ad alta velocità, provenienti dall’esterno (anche se è facilmente ipotizzabile un effetto Shrapnel da deflagrazione).

Fori sulla carlinga dell'aereo (1)«Damage observed on the forward fuselage and cockpit section of the aircraft appears to indicate that there were impacts from a large number of high-energy objects from outside the aircraft.»

Possibilmente per mezzo di Batterie ‘Buk’, che però nessuno ha mai visto davvero all’opera. Cosa quanto mai curiosa, in una regione costantemente monitorata dai satelliti militari di mezzo mondo e massimamente dell’Amico americano, che della responsabilità russa nella strage possiede la certezza metafisica e dunque non necessita di alcuna dimostrazione empirica. Ma del resto il governo dell’Ucraina è uno specialista nel denunciare con cadenza giornaliera attacchi di massa, da parte di colonne fantasma di blindati  russi, che a migliaia oltrepasserebbero il confine, invisibili a radar e satelliti-spia, combattendo fantomatiche battaglie col glorioso esercito di Kiev che ovviamente ne esce sempre vincitore.
Perciò è meglio non approfondire certe “evidenze”, altrimenti bisognerebbe spiegare come il foro di entrata del missile, all’altezza della cabina di pilotaggio, non sembri compatibile con l’ogiva di una testata SA-11
Comparazione armamenti balisticiE bisognerebbe altresì dipanare ogni dubbio circa le tracce lasciate dall’impatto esterno di un gran numero di oggetti ad alta energia, che al di là dell’ambigua scelta semantica, ricordano più che altro i fori in entrata di proiettili da 30mm.
Fori sulla carlinga dell'aereo (2)È un po’ difficile, a meno che non si vogliano sovvertire le leggi dell’aerodinamica, che una mitragliatrice pesante possa colpire da terra una bersaglio in movimento a circa 33.000 piedi di altezza (oltre 10 km)…
fori da 30 mm Molto più semplice invece se questa viene montata su un aereo dell’aviazione da guerra, come nel caso dei MiG-25 e MiG29, che tra le loro dotazioni in armamenti standard annoverano la GSh-301: mitragliatrice a nastro per uso aeronautico, per l’appunto armata con munizioni a frammentazione calibro 30.
fori sulla carlinga del volo MH17Figuriamoci se si potrebbe mai prendere in considerazione, tra le opzioni investigative, l’impossibile ipotesi che il volo malese Mh17 possa essere stato abbattuto da un missile aria-aria sparato da un caccia-intercettore e crivellato di colpi dal cannoncino di bordo, all’altezza della cabina di pilotaggio.

MH17 - Fori di entrata nella carlinga ad altezza piloti

Così, giusto per il gusto di escludere con dovizia di prove e fuori da ogni dubbio, un’opzione tanto scandalosa di cui si parla di rado (per esempio QUI).
Probabile traiettoria del missileAnche perché il tal caso si porrebbe un elementare quesito: cui prodest?
Di certo non ai combattenti “filorussi” del Donbass. E certamente non a Mosca.
Possibile traiettoria aerea dell'abbattimentoSicuramente avrebbe fatto comodo al governo di Kiev, che in tal modo avrebbe distolto l’attenzione dai crimini di guerra, la sistematica violazione delle tregue d’armi, ed i bombardamenti aerei indiscriminati ed i cannoneggiamenti a casaccio con artiglieria campale contro le popolazioni civili di Donetsk e Sloviansk, o il massacro di Odessa, ottenendo quella simpatia internazionale e quel sostegno militare che finora non ha avuto.
Ala scheggiata da traiettoria missileAvrebbe giovato all’amministrazione statunitense di O’Banana, desiderosa quanto mai di rintuzzare e contenere la ritrovata intraprendenza russa e la riconquista del suo antico ruolo ‘imperiale’ nello scacchiere internazionale, secondo una visione geopolitica della quale avevamo di recente accennato QUI.
prism7Evidentemente, gli strateghi di Washington credevano davvero che un ubriacone obnubilato dall’alcol come Boris Eltsin e la sua corte famelica di ladri, in un paese ridotto alla fame e trasformato nel primo esempio realizzato di stato gestito direttamente dalle organizzazioni mafiose, potesse essere un esempio di “democrazia” compiuta in una situazione destinata a perdurare nel tempo.
Come invece l’Europa si sia lasciata trascinare in una nuova guerra fredda contro uno dei suoi principali partner commerciali, col quale vanta esportazioni ed interessi economici per svariate decine di miliardi di euro e dal quale è totalmente dipendente per le sue forniture di gas, è un altro ‘mistero’ che i burocrati della UE dovrebbero spiegare ai propri cittadini.
Soldati dell'esercito ucrainoAltresì dovrebbero spiegarci come un governo golpista di oligarchi, nato da un colpo di stato, pesantemente infiltrato da gruppi di estrema destra, che scalpita per entrare nella NATO e trascinare il resto del continente in una guerra catastrofica contro la Russia, sia diventata una solida democrazia con tutti i requisiti (nessuno!) per entrare nell’Unione europea. E sarebbe interessante sapere come tali principi democratici si concilino, con l’accoglienza accordata dal governo di Kiev ai neo-nazisti di mezza Europa accorsi ad arruolarsi tra i paramilitari del Battaglione Azov.
Nazisti ucrainiOvviamente, perché la Russia è un’autocrazia ultra-nazionalista, dominata da un pugno di oligarchi provenienti dalla nomenklatura post-sovietica. Per fortuna l’Ucraina è esattamente il contrario: una banda di oligarchi (ex sovietici), al comando di uno stato autoritario che si alimenta del suo sciovinismo.

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Sorvegliare e Punire

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 ottobre 2011 by Sendivogius

In questa propaggine reazionaria del post-fascismo di ritorno chiamata Italia, dove tutti si considerano “ceto medio”, in cui la forma è sostanza nel terrore di sembrare poveri, e il ‘centro’ è la stella polare di un timone politico sempre più spostato a destra, c’è una sola cosa che spaventa più del conflitto sociale… è l’ammissione stessa che questo possa esistere.
Pertanto, l’imperativo d’ordine è la sua negazione, nell’obnubilamento del medesimo in nome della perpetuazione dello statu quo, perché nulla deve turbare i rituali del familismo allargato nello stagno consociativista. Il dissenso dunque va sempre rimosso in ogni sua forma e ricondotto nell’alveo rassicurante di un conformismo omologante, dove il numero è tirannia e la volontà delle maggioranze relative si fa dittatura.
Soprattutto, il dissenso va ostracizzato, negandogli rappresentanza politica (grazie ad una legge elettorale infame) e riconoscimento sociale nella cancellazione di spazi e legittimazione. Va azzittito, attraverso la stesura di ‘leggi-bavaglio’, che oscurano i canali della comunicazione informale, dopo aver normalizzato i media ufficiali.
In Italia, il dissenso di fatto non ha una vera cittadinanza: viene tollerato fintanto che è impotente e resta muto; diventa un problema quando non è controllabile, né gestibile per conto terzi a fini elettorali.
Ma se il dissenso assume l’aspetto e le frustrazioni di un’intera generazione, relegata ai margini estremi di una società gerontocratica e immobile, allora viene inteso unicamente come un problema di ordine pubblico, da demonizzare preventivamente e da punire a posteriori.
Con simili presupposti, fondati su una esclusione ad oltranza, la “violenza” lungi dall’essere una opzione nefasta, rischia di diventare una scelta ed una pratica diffusa, quasi fosse l’unica alternativa possibile… E un comodo alibi a disposizione di un potere consolidato, che può così esercitare meccanismi collaudati, a protezione di un sistema che si reputa perfetto e si vuole sostanzialmente immutabile. Scolpito nella legge. Meglio se per decreto, o con voto di fiducia, tra gli orpelli di un formalismo democratico sempre più svuotato di sostanza e fondato sull’abuso legalizzato delle nuove aristocrazie timocratiche.
Si parva licet componere magnis, parliamo di una società che, nel suo piccolo (piccolissimo), è arrivata a negare la concessione di licenze commerciali ai locali etnici per motivi di ‘pubblica sicurezza’ e bolla gli avventori come ‘elementi di degrado’ (accade in quel laboratorio neo-nazista chiamato padania), per comune accordo di entrambe gli schieramenti politici ufficializzati.
Se questo è lo zeitgeist dominante, è ovvio che l’esistenza stessa di realtà complesse e non conformi, strutturate in dissenso organizzato (e soprattutto pubblico) siano intollerabili.
 A tal proposito, è emblematica la caccia all’untore che si è scatenata dopo i moti di Roma. La sommossa che ha sconquassato parte del centro della Capitale, è stata relegata per comune accordo a mero problema di ordine pubblico, priva di qualsivoglia dimensione sociale. Non ci sono cause pregresse, la sua natura è circoscritta ad una esclusiva questione di ‘sicurezza’ e priva di qualsivoglia ragione. Per l’occasione, analisti e commentatori dei media nazionali, hanno messo da parte le divergenze ed ogni distinguo politico, rinunciando ad ogni analisi complessa del fenomeno. In compenso fioccano gli stereotipi più ritriti nella stigmatizzazione unanime che non ammette eterodossie: i “violenti”? Poche centinaia, probabilmente provenienti da Marte, sicuramente infiltrati; ultras e figli di papà annoiati, secondo la più becera e classica delle rappresentazioni, che esorcizza ogni implicazione sociale nella rimozione delle cause. E intanto sui quotidiani fioccano interviste farlocche a sedicenti black-bloc che, per antonomasia, non parlano con i giornalisti ai quali però raccontano con dovizia di particolari vita, morte, e miracoli, di un ‘movimento’, evidentemente composto da falangi di Gino Canterino in preda a confessioni compulsive.
Mancando ogni volontà di analisi e gli elementi culturali per farlo, in assenza di qualsivoglia mediazione, è chiaro che l’unica risposta possibile non può essere che rimessa alle soluzioni antiche di chi non conosce altra risposta: REPRESSIONE.
Sorvegliare e punire; secondo i meccanismi consolidati della sorveglianza gerarchica.
La stato confusionale di una politica professionalizzata nel suo autismo referenziale, che incentra la sua azione nel livellamento delle differenze e nella tutela del privilegio esteso alle enclave protette del clientelismo elettorale, è misurabile proporzionalmente all’isteria collettiva che pervade le aule parlamentari e di una società chiusa nell’ineluttabilità dell’immutabile.
Incapaci di affrontare il problema, perché incapaci di risposte che non siano declinate in prospettiva unicamente repressiva, fioccano le proposte demenziali per accordo trasversale con relativi distinguo, molti se e qualche ma…
 Antonio Di Pietro, in una delle sue tipiche esplosioni di demagogia tribunizia, non ha trovato niente di meglio che andare a ripescare dalla fogna dei reazionari lo Stronzo Reale e la sua omonima legge (che consente di sparare in assenza di minacce), salvo poi negare l’evidenza. Il PD in teoria è contrario, ma è aperto a qualsiasi miglioramento
Grande è stato invece il giubilo di tutta la fascisteria di contorno che fa a gara a chi la molla più grossa, tale è l’effetto dell’orgasmo repressivo nella geriatria di casta e di governo.
 Roberto Maroni, il peto del meteorismo leghista flatulato agli Interni nella grande costipazione berlusconiana, si è detto massimamente d’accordo. Già comandante della Guardia Nazionale Padana, la milizia (dis)armata della Lega di secessione e di poltrone, il solerte Maroni è stato rimandato a giudizio per “attentato alla Costituzione e integrità agli organi dello Stato”. Evidentemente, la cosa non gli ha impedito di diventare Ministro degli Interni (italiano mica  padano). Roberto Maroni è lo stesso che all’indomani degli scontri ha parlato di “terrorismo urbano”, promettendo sanzioni eccezionali ed un pacchetto di leggi speciali per punire i ventenni che hanno osato opporre resistenza alle manganellate dei poliziotti ed ai caroselli di cellulari e veicoli, impegnati a fendere la folla dei manifestanti con gimcane potenzialmente omicide.
Considerati dunque alla stregua di “terroristi”, i sospettati potranno essere sottoposti a fermo preventivo di 96 ore. In pratica, senza alcuna fattispecie di reato, in concomitanza di qualsiasi manifestazione, l’interessato viene messo sotto custodia, per la bellezza di quattro giorni, a discrezione delle autorità di polizia. Ma si parla anche dell’introduzione del processo per direttissima con aggravio di pena. Paradossalmente, in termini di condanna, sarà più conveniente rapinarla una banca piuttosto che romperne le vetrate: la pena è di gran lunga più mite. L’estensione della flagranza di reato (che prevede l’arresto in carcere) a 48h; cosa che peraltro è già prevista dal Codice Penale (art.336) in caso di resistenza o minaccia a pubblico ufficiale. Interessante sapere che la medesima disposizione si applica anche per la “corruzione di minorenni” (art.530), anche se nipoti di Mubarak, ma su questo si può transigere…
Il provvedimento sicuramente più gustoso è pero l’ipotesi di introdurre una tassa sui cortei, con la stipula di una fideiussione bancaria a carico degli organizzatori per la copertura di eventuali danni. Non sappiamo bene come funzionino le cose nelle fumerie d’oppio in padania; tuttavia bisognerebbe ricordare all’allucinato Maroni che la responsabilità è sempre individuale e non si può configurare come attribuzione collettiva delle azioni dei singoli. Notevole poi la concezione democratica del ministro, convinto si debba pagare per poter manifestare: interessante esempio di democrazia censitaria su base timocratica.
Immaginiamo che la tassa sarà applicata anche per i raduni secessionisti di Pontida e Venezia, annualmente organizzati dai gauleiter leghisti.
Tra gli altri provvedimenti in esame, c’è l’uso di pallottole di gomma che se esplose a distanza ravvicinata uccidono come quelle ordinarie. E l’utilizzo di idranti con sostanze coloranti per
identificare i manifestani (che verrano arrestati in virtù della flagranza di reato e sottoposti a fermo preventivo). Da notare che i “cannoni ad acqua” sono stati abbondantemente usati a Piazza San Giovanni a Roma. E, così come le manganellate, i getti d’acqua venivano dispensati un po’ dove capitava. Inutile dire che tra i bersagli prediletti c’erano i manifestanti pacifici, assiepati contro le mura del palazzo del Vicariato, che ne sono usciti fradici come pulcini. In virtù della disposizione maroniana, avrebbero dunque dovuto essere arrestati in massa e puniti con “pene esemplari”.

Ordunque, se la resistenza alla forza pubblica si configura per l’ineffabile ministro come un “atto di terrorismo”, ci sarebbe da aggiungere che il terrorista Maroni nel 1998 è stato condannato a 8 mesi “per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale”, prima che la Cassazione gli commutasse la pena in sanzione pecuniaria nel 2004. Non risulta che il pregiudicato Maroni abbia mai fatto un solo giorno di galera, ma si premura che altri scontino la pena al posto suo, opportunamente quadruplicata.
In fin dei conti sono quisquiglie rispetto al ministro Umberto Bossi che predica la secessione armata da almeno 20 anni, minacciando insurrezioni armate, promettendo pallottole, e informandosi su come reperire mitragliatori in Sardegna… Sarebbe “apologia di reato” e presuppone la “costituzione di banda armata per atti eversivi”, ma se lo dice il cerebroleso di Pontida diventa boutade goliardica. E merita un seggio da senatore con una poltrona nel Governo italiano, contro il quale minaccia la guerra civile.
Come si vede, la condanna della “violenza” è variabile e diventa lecita a seconda di chi la compie o la minaccia.
E del resto è assolutamente coerente con lo spirito di governo, dove un premier puttaniere si intrattiene amabilmente con spacciatori, papponi e pluripregiudicati, invocando sommosse di piazza, assalti ai tribunali ed alle sedi del maggior quotidiano nazionale.
Si tratta della cosa più naturale del mondo. Infatti non ha meritato troppi clamori, né ci risultano editoriali in merito dei pur zelanti Augusto Minzolini e Giuliano Ferrara: fulgidi esempi di meritocrazia applicata e di imparzialità giornalistica.
Un’altro grande sostenitore della tolleranza zero e delle pene draconiane è poi l’imbarazzante Ignazio Benito La Russa: l’ennesima deiezione fascista al governo nell’incredibile ruolo di Ministro della Difesa. La Russa, quello che esprime solidarietà incondizionata alle Forze dell’Ordine, è infatti deciso a stroncare i violenti, denunciando le “contiguità ideologiche” con chi osa “criticare il governo”. Il sulfureo La Russa con la violenza più che contiguo è stato organico. Infatti, nel 1973 è oggetto di una ordinanza di arresto per “adunata sediziosa e resistenza alla forza pubblica”: in pratica Benito La Russa ha organizzato una manifestazione non autorizzata di fascisti, che si sono messi a tirare bombe a mano (non sassi) contro i cordoni di Polizia. L’agente Antonio Marino, di 22 anni, muore dilaniato dall’esplosione con il petto squarciato. La Russa, diventato nel frattempo uomo d’ordine e gran difensore di poliziotti, venne indicato tra i “responsabili morali” dell’omicidio Marino. Ma la sua è una violenza (assassina) che paga e che premia. Infatti oggi è Ministro della Difesa.

 P.S. A proposito di dittature e fascismi, il caro amico Gheddafi è stato drammaticamente trascinato via dalle miserie del mondo, rovesciato da una violentissima rivolta popolare e dopo mesi di conflitti sanguinosi. Ma in questo caso la “violenza” è stata considerata più che legittima e massimamente sostenuta con massicci bombardamenti. In fondo, Muhammar Gheddafi era un feroce dittatore. Per questo, un anno fa veniva accolto a Roma con tutti i riguardi, con tanto di baciamano e genuflessioni da parte del nostro Pornocrate. Quegli stessi Carabinieri che rincorrevano e venivano rincorsi dai manifestanti intorno al Laterano, all’epoca presentavano le armi col picchetto d’onore al dittatore libico. Se indossassimo una divisa dell’Arma, non si potrebbe immaginare umiliazione più grande. Questa sì che è violenza. 

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L’Odore della Paura

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 ottobre 2011 by Sendivogius

 Roma, 15/10/2011: Un pomeriggio di ordinaria rivolta urbana, nella cosiddetta giornata dell’Indignazione mondiale. Ancora una volta, proprio a Roma, si è visto l’unico (vero) momento di collera generazionale nel panorama stereotipato di proteste addomesticate di chi si indigna, ma poi non si inkazza, e piagnucolando patisce.
Lungi dall’essere poche centinaia di “facinorosi”, lungo Via Labicana… Via Merulana… fino alla battaglia di Piazza San Giovanni… c’erano migliaia di giovani e giovanissimi, in massima parte provenienti dalle immense periferie dimenticate che avvolgono il centro storico della Capitale, pervasi da una collera cieca e disperata, di chi non ha niente da perdere perché la speranza l’ha smarrita da tempo e un vero futuro non l’ha mai avuto.
Quella che si è vista a Roma, è stata un’esplosione incontrollata del furore nichilista di una generazione perduta; animata da una furia iconoclasta scatenata contro obiettivi ingenui ma precisi…
Contro le “banche”: espressione concreta del potere finanziario, degli speculatori senza volto, e del credito negato a precari e famiglie.
Contro le “agenzie interinali” del lavoro somministrato (a dosi controllate): rappresentazione materiale della precarietà lavorativa senza prospettive, attraverso le forme di un caporalato legalizzato.
Contro i simboli di una ricchezza ostentata (Suv e auto di grossa cilindrata): tanto più offensiva quanto più immune agli effetti dei tagli sociali e di sacrifici che colpiscono a senso unico.
E, per la prima volta, contro una “Chiesa”, percepita (a torto o a ragione) sempre più come una fucina di privilegi anacronistici; sempre più invasiva con le sue ingerenze nel campo della sessualità e delle scelte di vita “non conformi alla dottrina”, ma incredibilmente indulgente con la pornocrazia immorale che domina il Paese e sopravvive grazie ad uno scandaloso mercimonio di poltrone.
Ma ciò che più ha colpito è stato l’odio rabbioso e violentissimo contro le “Forze dell’Ordine”, in senso lato, considerate come il nemico assoluto. Evidentemente, non tutti hanno dimenticato le cariche gratuite, i pestaggi di Genova, con le torture a Bolzaneto e la mattanza alla scuola Diaz: i responsabili in divisa? Tutti impuniti e tutti promossi!
Ma una parte dei romani non ha nemmeno dimenticato l’omicidio di Gabriele Sandri e di Stefano Cucchi (e nemmeno certi poliziotti che festeggiavano la morte di Carlo Giuliani). E ieri ha presentato il conto all’incasso, con tanto di interessi.
Una certa vulgata ama parlare di poche centinaia di “black-bloc” infiltrati, provenienti chissà da dove e organizzati da chissà chi… Ieri c’erano migliaia di ragazzini seminudi che, come impazziti, si lanciavano ad ondate contro gli agenti pesantemente bardati in tenuta anti-sommossa; resistevano alle cariche; ricacciavano indietro i plotoni della Celere, sfidando le folli gimcane dei cellulari e dei furgoni dei Carabinieri che fendevano la folla a tutta velocità. Impressionava lo sguardo quasi spaurito e incredulo, di poliziotti e carabinieri, che non riuscivano a capacitarsi di una simile resistenza; sconcertati dalla reazione di un folla che non fugge, che li irride e li insegue mentre ripiegano. Per quattro ore, le forze di polizia hanno cercato di riconquistare Piazza S.Giovanni, sgomberare le barricate e riprendere il controllo delle vie limitrofe, senza mai riuscirci… Carabinieri che scappavano via con le mani alzate; scene di panico; interi reparti allo sbando che si ritiravano disordinatamente… La gestione dell’ordine pubblico, senza falsi eufemismi, ieri è stata una disfatta totale. Si aveva l’impressione di una città espugnata, conquistata, liberata; con i pochi presidi di polizia assediati e asserragliati attorno ai fortini di un potere sempre più evasivo ed arrogante.
Naturalmente, all’indomani di questa guerriglia metropolitana, l’esercizio collettivo si concentra per intero nelle esibizioni di sdegno e nella “unanime condanna”, mentre fioccano le dissociazioni e le prese di distanza dei neo-capi e capetti che si contendono la leadership di un “movimento” che rischia di assopirsi presto sotto massicce dosi di cloroformio.
Parliamo di persone degnissime; tutte convinte, con ogni evidenza, che per drizzare le storture del mondo finanziario basti sfilare ad un orario prestabilito, incolonnati lungo un percorso autorizzato, come pecore in transumanza, con il beneplacito di Questura e Governo, verso i recinti protetti della protesta blindata e controllata a distanza. Sono gli stessi che credono la censura di Stato e le “leggi vergogna” si combattano appiccicandosi un post-it sulla bocca.
A questo punto, immaginiamo che alcuni tra i nostri lettori più suscettibili stiano già dando abbondanti segni di insofferenza…
E allora precisiamo: Noi abbiamo grandissima simpatia per il movimento degli Indignados e condividiamo la quasi totalità delle loro aspirazioni ideali. È chiaro che tutti coloro che intendono manifestare pacificamente le proprie idee hanno il sacrosanto diritto di non ritrovarsi coinvolti in una battaglia metropolitana, trovandosi improvvisamente catapultati in zona di guerra. È altrettanto chiaro che un dissenso, per essere legittimo, non dovrebbe mai essere violento, giacché una critica costruttiva si nutre di proposte concrete.
Tuttavia, per instaurare un dialogo costruttivo, affinché i progetti possano germogliare, bisogna avere un interlocutore che sia quantomeno disposto ad ascoltare…
La gran parte delle rivendicazioni avanzate dagli ‘Indignati’ italiani coincidono con le istanze che reti sociali e associazioni di base promuovono da più di dieci anni e che vennero soffocate in un bagno di sangue durante il G8 del 2001 a Genova (stesso governo e stessi ministri di oggi). I promotori vennero sprezzantemente bollati alla stregua di terroristi… ‘no-global’ divenne un insulto… e ogni istanza di cambiamento spazzata via a colpi di manganello, fino alla catastrofe attuale.
Da allora i referenti non sono mai cambiati…
Si può compiutamente parlare di “democrazia”, quando l’arbitrio e gli abusi dei potenti (e del Potente) diventano la norma in una sorta di “dittatura della maggioranza”?
Quale dialogo è possibile con chi ignora bellamente gli esiti delle consultazioni referendarie: finanziamento pubblico ai partiti; legge elettorale; ritorno al nucleare; privatizzazione dell’acqua…?
In Parlamento sono state depositate decine di leggi di iniziativa popolare… Non sono nemmeno state calendarizzate! Quale dialogo è possibile con chi boicotta anche i minimi strumenti di democrazia diretta, a disposizione di una cittadinanza che non si rassegna ad essere mero elettorato passivo.
Quante manifestazioni… cortei… proteste… tutte rigorosamente “pacifiche” e “gioiose” e “ordinate”… sono state organizzate nel corso di questi anni sulle più diverse tematiche sociali?!?
Tutte sistematicamente irrise il giorno dopo: dalla Questura che coi suoi comunicati screma il numero dei partecipanti, anche contro ogni evidenza; all’intera stampa berlusconiana (con in testa Libero e Il Giornale) che si diverte a confezionare in serie editoriali offensivi e volutamente provocatori…
Si è mai ottenuto qualcosa? Dove erano i nostri naturali “referenti” democratici e istituzionali?
Si chiedevano più fondi all’Istruzione pubblica e sostegni alla ‘ricerca’; è arrivata la c.d. “riforma Gelmini” con tagli indiscriminati, privatizzazione dell’università, e finanziamenti freschi per le scuole confessionali.
Si chiedevano maggiori garanzie contrattuali per il lavoro flessibile, con retribuzioni più dignitose, e la risposta è stata un’atomizzazione del lavoro in nome di una precarietà estrema con salari da fame.
In tempo di crisi, si chiedeva la salvaguardia dei posti di lavoro ed una rete protettiva anche per i lavoratori atipici; in risposta si è avuta la stesura dell’art.8 che introduce i licenziamenti facili, la deroga dai contratti nazionali, e lo spostamento della riforma che prevede l’estensione degli ammortizzatori anche per i lavoratori precari, solo a crisi finita. Cioè quando non servono più!
Si chiedono più risorse e sostegni per i servizi sociali e la sanità pubblica; ci viene prospettato un piano di lacrime e sangue con l’intero smantellamento delle politiche sociali, in nome della riduzione del debito. Ma quello stesso patto di stabilità, così ferreo nei confronti dei cittadini, improvvisamente sparisce per finanziare le banche (e gli speculatori) con miliardi di soldi pubblici.
Che tipo di dialogo, di intesa, si può ottenere all’interno di un meccanismo distorto che, sotto un’apparenza di democrazia formale, tutela i forti a scapito dei più deboli? Quali margini di mediazione possono esistere, quando gli arbitri giocano a favore della squadra più ricca e riscrivono le regole sotto dettatura dei potenti?
Naturalmente, con la violenza non si ottiene nulla. Ma la violenza allora va sempre condannata in tutte le sue espressioni. A partire dalle più subdole. Anche i soprusi sono una forma di violenza. Non si può condannare poi soltanto la reazione (per sbagliata che sia), quando si ignora o si tollera la causa scatenante e la sua reiterazione continuata nel tempo.
In Italia, complice anche l’afasia degli anni ’80, il “conflitto” è diventato il grande tabù di una società sempre più sclerotizzata che teme ed aborre i processi conflittuali in tutte le loro varianti.
La nostra è una società che al suo interno ricerca il ‘consenso’… l’approvazione… in nome di un conformismo sociale, che concepisce i cambiamenti soltanto come una forma di cooptazione clanica nella condivisione del potere. “Potere” immutabile nelle forme e nella ripartizione, spesso ereditaria. Pertanto, è quasi scomparso il conflitto generazionale che segna l’ingresso nel mondo degli adulti attraverso la maturazione di una specifica individualità (e indipendenza), separata e distinta rispetto a quella dei propri genitori. E del resto è difficile trovare una propria sfera autonoma, quando si continua a dipendere dalla famiglia di origine per indisponibilità di reddito.
Di riflesso è scomparsa ogni forma conflittuale in tutti gli ambiti sociali, cosa che non presuppone una stato di guerra permanente, ma una transazione ordinaria di mansioni, responsabilità e opportunità, attraverso una rivendicazione di ruoli e di istanze che sono alla base del ricambio sociale (e generazionale). In Italia invece si preferisce mettersi d’accordo… trovare un buon patrono in grado di fornire la giusta raccomandazione… si ricerca la protezione del ‘potente’ che va irretito e mai irritato… Ci si arrangia. E di solito lo si fa sottobanco.
Se si contesta un determinato sistema, sarà bene ribadire che il cambiamento non avviene cercando la benevolenza di chi siede ai vertici, nella speranza che questo si alzi e ceda cortesemente il posto di comando perché glielo si è chiesto con gentilezza.
Invece sembra di assistere ad una vera e propria “ansia di consenso”, quasi ci si aspettasse una sorta di riconoscimento, un accredito di benevolenza da parte di interlocutori spesso sordi ed indifferenti, quando non apertamente ostili.
E allora, in concreto, la protesta deve essere rigorosamente pacifica, rassicurante, indolore, simpatica, goliardica… e sostanzialmente INUTILE.
Non deve creare problemi di alcun tipo, nella maniera più assoluta… Perché diversamente potrebbe mettere in imbarazzo i partiti che sostengono il ‘movimento’… perché sennò allontana il fantomatico “voto moderato”… perché la massima aspirazione è leggere articoli favorevoli sulla stampa conservatrice e magari ricevere i complimenti proprio da coloro verso cui la protesta è diretta. Il caso di Mario Draghi è emblematico.
Si ricerca dunque l’apprezzamento del bravo conservatore: quello che, se non storce la bocca con disprezzo, sibilando “komunista!” anche se hai il poster di Montanelli in camera, ti guarda con commiserazione e con aria vissuta ti sussurra che “tanto così va il mondo”, reputandoti poco meno di un innocuo cretino idealista.
Questa è la generazione che come unica certezza sa che vivrà peggio dei loro genitori… Ieri a Roma sembrava quasi ci fossero due piazze:
 il figlio istruito e ben educato della buona borghesia impiegatizia e del tranquillo ceto medio, che improvvisamente ha scoperto che si ritroverà a vivere come i proletari delle borgate. E cerca disperatamente di essere riconosciuto e accettato da quelli che reputa i suoi pari, per essere inserito in un sistema che non rifiuta affatto e dal quale non vuole essere escluso.
 E i proletari delle borgate che, retrocedendo di una casella, si ritroveranno a vivere come i vecchi baraccati dei racconti pasoliniani. E che nulla chiedono né si aspettano da un sistema che li ha sempre emarginati e che ora li immola in nome del mercato, come scorie inevitabili quanto inutili. La protesta in questo caso è diventata rivolta, nel rifiuto radicale di un sistema percepito come irriducibilmente ostile.
In questo caso la condanna delle violenze, frutto di una frustrazione legittima convertita in rabbia, è irreversibile e senza appello. Non prevede incidenti né danni collaterali. Non è scusabile come chi scarica bombe a grappolo durante una festa di matrimonio in Afghanistan… o bombarda col fosforo bianco un ospedale a Gaza… Infatti è molto più grave bruciare il suv marziano dell’imprenditore che dichiara un reddito inferiore a quello della sua domestica… o sfasciare il bancomat di una banca che pensa di farsi ripianare il buco di bilancio dallo Stato, dopo aver ingurgitato titoli tossici e spacciato derivati.
La protesta, come le rivendicazioni sociali, sono sempre un atto di rottura rispetto ad una serie di schemi escludenti ed assetti prestabiliti.
O davvero, cari amici Indignati, credete che le conquiste sociali dell’ultimo secolo si siano ottenute, perché i manifestanti erano tanto carini, cortesi e ben educati? Chi detiene la gestione del “potere”, con i privilegi e le posizioni di rendita che questo garantisce, non lo cede tanto volentieri a meno che non sia costretto… Per quanto la cosa possa essere spiacevole e disturbante, l’elemento dominante alla base di ogni concessione o reazione, è la PAURA. E si basa su specifici equilibri di forze… Non bisogna scomodare Georges Sorel o Ivan Turgenev per capirlo.
 Nel nostro passato recente, la concessione di diritti, garanzie, tutele, è sempre stato improntato su un calcolo di opportunità basato sulla “paura”. Nella fattispecie, a seconda del periodo storico, si può parlare di “paura dei comunisti”… “delle intemperanze socialiste”… del “nichilismo degli anarchici”… Concessioni e diritti sociali sono sempre stati erogati, secondo convenienza, per disinnescare la potenziale minaccia ‘rivoluzionaria’ ed eversiva, ogni qualvolta ci si è resi conto che ciò (a livello socio-economico) era meno dispendioso del ricorso alle baionette ed ai golpe militari.
Scomparso l’orrido spettro rosso, è scomparsa la paura e si è chiuso il rubinetto delle concessioni, oggetto di un progressivo smantellamento, con una ‘sinistra’ in preda ai sensi di colpa ed improvvisamente convertita al mercato (nel frattempo globalizzato). Una ‘sinistra’ fattasi progressivamente ‘centro’ (ma senza elettori), ansiosa di farsi accettare nei salotti che contano e in cerca di nuova legittimazione presso i vecchi avversari.
Ieri, dopo anni si sentiva finalmente odore di paura… bastava ascoltare le reazioni sgangherate di una Destra isterica e dei suoi fogliacci prezzolati.
E questo è solo l’inizio…

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