Archivio per Colonialismo

GERMANIA FEROX

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Coat of Arms in German Afrika (1914)Nato quasi per caso, dietro una pressione particolarmente aggressiva di una intraprendente oligarchia di spregiudicati circoli mercantili, Deutsch OstAfrikaambienti ultranazionalisti, e conventicole integraliste, l’espansionismo coloniale dei tedeschi in Africa si sviluppa su due direttive, ad Est e ad Ovest, nella febbricitante acquisizione del maggior numero di territori possibili, prima della chiusura della Conferenza di Berlino, sulla spartizione delle terre africane (1894-1895). Se nell’Africa orientale la penetrazione germanica, si apre i propri spazi di azione ai danni del Sultanato di Zanzibar (e con la tolleranza britannica), estendendosi in modo omogeneo dalla costa ai grandi laghi dell’interno, sul versante opposto questa si ritaglia brandelli di territorio in ordine sparso e ovunque sia possibile, senza troppe sottigliezze o scrupoli.
Polizeitruppe Nella futura colonia del Kamerun, l’iperattivismo delle compagnie commerciali amburghesi (in particolare la società dei Fratelli Woermann), operative nel golfo di Guinea con traffici estesi dalla Liberia al Gabon fin dalla metà del XIX secolo, sfocia in una occupazione diretta del territorio africano a partire dal 1894. Insieme alla compagnia Jantzen & UfficialeThormählen, la Wolber & Brohm e GL Gaiser, la Woermann traffica in armi e liquori, con le popolazioni indigene, in cambio della raccolta di olio di palma. Al contempo, prende possesso di vaste piantagioni specializzate nella produzione di banane, tabacco e cotone, che fanno il paio con le ricche piantagioni di cacao e caffé che i commercianti tedeschi hanno rilevato dai danesi nel vicino Golfo del Benin, con base a Lomé e capitale dell’attuale stato del Togo.
DWAG - German West African Company Preoccupati delle continue dispute tra i regoli locali, perennemente in lotta tra di loro, i mercanti tedeschi, riuniti nella “Compagnia dell’Africa Occidentale tedesca” (Deutsch-Westafrikanische Gesellschaft), hanno bisogno di una amministrazione stabile che garantisca i loro affari, chiedendo l’instaurazione di speciali “aree di protezione” ad opera del governo germanico.

Polizeitruppe

TOGOLAND
Proposed Coat of Arms Togo - 1914Per consolidare la loro presenza nella regione, nel Febbraio del 1884, i tedeschi stipulano uno dei loro trattati di “eterna amicizia” con le popolazioni rivierasche intorno al porto di Aného, una vecchia stazione portoghese per il commercio degli schiavi. Per essere più convincenti, sequestrano i capi indigeni locali che prontamente accettano la “protezione” tedesca in cambio del rilascio.
Il 05/07/1884, con i cosiddetti Trattati di Togoville, l’esploratore e diplomatico Gustav Nachtigal, firma un accordo col re africano Mlapa III, estendendo la “protezione” dell’Impero germanico dalla Costa d’Oro britannica al Benin francese. In pratica, si tratta di una striscia ritagliata tra le colonie francesi del Dahomey e dell’Alto Volta ghanese, affondata nei lidi paludosi di quella che un tempo era conosciuta come “Costa degli schiavi” e proiettata verso l’interno dell’entroterra africano. Di fatto, con la nascita del “Protettorato Togoland” (Schutzgebiet Togo), si ha il riconoscimento della prima colonia tedesca in terra d’Africa, subito sancita dall’arrivo delle cannoniere della Kaiserliche Marine.

Deutsch-Kamerun

KAMERUN
Proposed Coat of Arms Cameroon - 1914Pochi giorni dopo (12/07/1884), la premiata ditta Jantzen & Thormählen, con l’intermediazione di Eduard Schmidt per conto della compagnia Woermann, stipula un ulteriore trattato di protezione con tali Akwa e Ndumbé Lobé Bell: re tribali delle terre dei Duala, che vivono lungo l’estuario dell’attuale fiume Wouri nel Golfo di Guinea. All’epoca, il fiume Wouri era conosciuto col nome datogli dai mercanti di schiavi portoghesi: Rio dos Camarões (fiume dei gamberi), deformato dai tedeschi in Kamerun e da lì il nome della colonia.
Estuario del fiume Wouri nel 1850Il furbo Lobé Bell, per il disturbo, si fa liquidare dai tedeschi la bellezza di 27.000 marchi in oro per la sua firma, sancendo il riconoscimento ed il rispetto di tutti i contratti di proprietà e cessione precedentemente stipulati dalle compagnie tedesche, con la cessione di 220.000 acri.
Dieci anni dopo dalla stipula del trattato, nel 1895, le acquisizioni tedesche avevano raggiunto un’estensione di quasi 500.000 km², ai quali vanno aggiunti gli altri 60.000 km² del Togoland.
Le foto dell’epoca ci restituiscono il ritratto di un soddisfatto Re Bell in tenuta da pagliaccio.

Re Bell nel 1881

Un ulteriore tentativo di creare un enclave commerciale tedesca in Nigeria (Mahinland), per intercessione di Gottlieb Leonhard Gaiser, dell’omonima casa commerciale di Amburgo, con tanto di contratto di compravendita il 29/01/1885, è destinato a rimanere frustrato.
Kamerun PolizeitruppeLa situazione relativamente tranquilla delle colonie del Togo e del Kamerun, gli indigeni pacifici e l’esiguo numero di coloni occidentali che non superavano le poche centinaia, insieme allo status giuridico di Gottlieb Leonhard Gaiser“protettorato”, non richiesero mai un’eccessiva presenza militare. Per questo le mansioni di sicurezza ordinaria ed ordine pubblico furono più che altro demandate ad uno speciale corpo di polizia militare con Kameruneffettivi indigeni, la Polizeitruppe, per un dispendio minimo in termini di risorse ed una amministrazione coloniale piuttosto efficiente che, almeno sul piano della formalità, agiva sulla sottoscrizione di un mandato contrattuale di natura assolutamente legale.

Flag of Deutsch Südwest Afrika

NAMIBIA
Proposed Coat of Arms Southwest Africa 1914Le cose cambiano (e in peggio!) nel caso dell’Africa Tedesca del Sud-Ovest (Deutsch-Südwestafrika), corrispondente all’attuale Namibia.
A partire dall’Aprile 1883, Adolf Lüderitz, un furbo mercante di tabacco legato alle gilde mercantili di Brema, estorce una serie di contratti truffaldini ai danni degli oriundi boscimani (Owambo; Khoi; Nama; Herero), che i tedeschi chiamano dispregiativamente “Ottentotti” (balbuzienti), stanziati lungo la costa sud-occidentale della Namibia, quasi al confine con l’odierno Stato del Sudafrica.
Il termine ottentotto è invero di origine olandese ed è mutuato dai coloni boeri del vicino Kapland sudafricano.
NamibiaIl 01/05/1883, consigliato da alcuni missionari tedeschi, Lüderitz, insieme al suo compare Heinrich Vogelsang, acquista la baia di Angra Heinrich VogelsangPequeña, convinto che la regione sia ricca di giacimenti minerari, da un locale capo ottentotto al quale i due tedeschi conferiscono il pomposo nome tedesco di Giuseppe Federico II, investendolo di poteri regali che in realtà il capotribù non possiede. In cambio di 100 sterline in oro e 200 fucili, adolf luderitzLüderitz compra la baia ed il territorio circostante per una profondità di 5 miglia, al quale con somma modestia dà il nome di Lüderitz Land.
Molto probabilmente, Giuseppe Federico non era un re tribale, ma un kaptein di quelli che i boeri chiamavano evocativamente “Baasters” (bastardi): ovvero, mezzosangue di lingua afrikaans, nati dalle relazioni (non sempre consensuali) che i primi coloni olandesi e tedeschi della Colonia del Capo avevano intrattenuto con le donne locali dei Nama.

Basteers

Discriminati ed emarginati, intorno al 1870, la piccola comunità dei Baasters (circa 1.500 unità) si trasferirà progressivamente verso nord, oltre il fiume Orange in Namibia, fondando un suo stato indipendente: la “Libera Repubblica di Rehoboth”, con tanto di parlamento rappresentativo (Volkraad) regolarmente eletto ed una propria costituzione democratica (Vaderlike Wette).
Contadini Herero nel 1913Sempre nel Maggio del 1883, tanto per non perdere tempo, Heinrich Vogelsang, il giovane socio di Lüderitz, acquista altre 20 miglia di costa tra Angra Pequeña ed il fiume Orange. Nel contratto, i due furbacchioni omettono di specificare alle tribù Nama (che per l’appunto non sono dei selvaggi analfabeti), come la misurazione delle terre cedute non sia in miglia inglesi (come gli africani si aspettano), ma in “miglia prussiane”… ovvero: 7.532 metri contro i 1.852 metri del sistema di misura anglosassone.
Unsere_Schutztruppen_in_Afrika_Tafel_49Esattamente come Carl Peters andava facendo sul versante orientale german troopersdell’Africa tedesca, nel 1884 Lüderitz ottiene la ratifica dei trattati da parte del governo di Berlino, con l’annessione dei territori alla Germania insieme all’invio di truppe e governatori militari.
DAWG - deutsch-westafrikanische gesellschaft 1905 Quindi, nell’Aprile del 1885, anche Adolf Lüderitz fonda la sua nuova “Società coloniale per l’Africa tedesca del Sud-Ovest” (Deutsche Kolonialgesellschaft für Südwest-Afrika), per lo sfruttamento massiccio delle terre occupate. La DKGSWA, o più semplicemente DWAG, costituisce il tipico esempio di commistione trasversale tra potere politico, economico e finanziario, con la confluenza di importanti istituti di credito, gruppi industriali, e la partecipazione di esponenti del mondo politico.
DOAAd ogni modo, Lüderitz non avrà modo di godersi il frutto dei suoi sforzi, perché nel 1886 muore annegando nel fiume Orange durante una delle sue spedizioni.

Deutsch-Süd-West-Afrika

Un’amministrazione cristiana e moderna
Ernst Heinrich Göring Ad amministrare la nuova colonia dell’Africa del Sud-Ovest, dalla Germania viene inviato un commissario imperiale con poteri straordinari. Si tratta di Heinrich Ernst Göring, il padre del futuro feldmaresciallo del Terzo Reich. Nel corso del suo mandato (1890-1885), Göring senior si distingue sostanzialmente, per la sistematica espropriazione ed il massacro delle popolazioni locali, con l’instaurazione di una rigida separazione razziale e l’elaborazione delle prime forme di apartheid, sancite dal nuovo sistema giuridico introdotto il 17/04/1886.
Schutztruppe - Bundesarchiv_Bild Deutsch-OstafrikaGöring persiste nella fortunata pratica dei trattati truffa e come un moderno boss mafioso estorce contratti di “protezione” alle popolazioni indigene. Quindi si fa costruire una lussuosa residenza su un altura DSWA - zerstoerteWagenbauereisacra agli Herero, dove ha sede un loro antico cimitero. Per attirare nuovi investimenti da parte della DWAG, con l’afflusso di coloni e nuovi contingenti militari per rafforzare il suo potere personale, Göring vanta la presenza di straordinari filoni auriferi nella regione a nord della nuova capitale coloniale di Otjimbingwe. Pare che per essere più convincente, si sia messo a sparacchiare nelle grotte della zona con fucili caricati a polvere d’oro.
Deutsch-SüdwestafrikIl suo aiutante generale sul campo (Landeshauptmann), futuro Curt von Francoisgovernatore, è il capitano Curt von François, irrequieto discendente di un’antica famiglia ugonotta, che estenderà ulteriormente i confini della colonia ai danni delle popolazioni siminomadi dei Nama e degli Herero, contro i quali Südwest-Afrikaconcentra i suoi raid punitivi. Gli Herero sono pastori abituati a seguire la transumanza degli animali; non riconoscono diritti inalienabili di proprietà e considerano i corsi d’acqua bene comune. I coloni tedeschi dal canto loro requisiscono le mandrie che confinano nei terreni espropriati, vantano la proprietà esclusiva sui pozzi idrici, e imprigionano i pastori quando non gli sparano direttamente addosso.
Namibia 1900 - Insediamento HereroA fronte di un’immigrazione relativamente contenuta (meno di 3.000 unità), i tedeschi si distinguono per un colonialismo particolarmente rapace e vessatorio.
HereroNel 1896 esplode la prima rivolta dei Nama guidati dal loro capo Hendrik Witbooi, conosciuta come ribellione dei Khaua-Mbandjeru e repressa duramente dal maggiore Curt von François. Vengono requisiti senza indennizzo 12.000 capi di bestiame; i Nama del Kailkhauan vengono disarmati e costretti al lavoro coatto dopo essere stati internati in speciali campi di prigionia.
Proudly-Afrikan-Namibian-Bones-2Nel 1897 un’epidemia di peste bovina falcidia le mandrie degli Herero, che per sopravvivere sono costretti ad alienare gran parte dei loro territori, offrendosi come contadini delle nuove piantagioni e tenuti in uno stato di semi-schiavitù.
Erichsen_slave_labour_p._83_v2Al contempo, vengono deportate o disperse le comunità meticce dei Baastards afrikaneer, rinchiusi in “riserve”.
Theodor Gotthilf LeutweinIl nuovo governatore Theodor Gotthilf Leutwein (1894-1904) viene ferocemente criticato, per questa sua linea troppo morbida e così tanto accondiscendente nei confronti degli autoctoni.
LeutweinÈ interessante notare come una delle rappresentazioni preferite tra gli illustratori del colonialismo tedesco in Africa, il soggetto prediletto sia il ritratto di marziali orchestrine militari, riprodotte in tutte le salse possibili. Con ogni evidenza, insegnare la musica ai negri doveva essere considerato il massimo risultato di ogni civilizzazione possibile.

askari kapelle

ORCHESTRINA (Askarikapelle) - Bundesarchiv_Bild Deutsch-Ostafrika

La grande rivolta degli Herero
WATERBERG Battle - Le Petit Journal 21.02.1904 Il 1904 segna l’inizio della grande rivolta degli Herero del Damaraland, che coglie completamente di sorpresa i tedeschi, impegnati a reprimere l’ennesima ribellione ai confini meridionali della loro colonia. Il governatore Leutwein dispone infatti di forze limitate, costituite da meno di 3.000 uomini e così ripartite: quaranta ufficiali e 726 soldati divisi in quattro compagnie di cavalleggeri; una batteria di artiglieria campale; una riserva di 34 ufficiali e 730 soldati di fanteria, con un complemento ausiliario di 250 scout (in massima parte reclutato tra i Bastards), ai quali vanno aggiunti le forze di Marina ed i volontari reclutati tra i residenti tedeschi nella colonia.
Namibia 1904OMEG railway prior to 1915.Il 12/01/1904, gli Herero della regione di Okahandja, esasperati dalle requisizioni tedesche e gli espropri di terreno per la costruzione delle nuova ferrovia di Otavi che taglia in due il Damaraland, si ribellano sotto il comando di Samuel Maharero, che pure non aveva mancato di mantenere fino ad allora buone relazioni con l’amministrazione coloniale tedesca.
Leutwein-MahareroA scatenare l’esasperazione degli Herero è un certo tenente Ralph Zürn, comandante della guarnigione locale, sorpreso a saccheggiare i cimiteri indigeni alle ricerca di crani da asportare in un infame commercio. Da notare che gli Herero erano cristiani.
Samuel MahareroDi certo, Samuel Maharero, che aveva fama di poliglotta, era dotato di notevoli doti diplomatiche, poiché aveva saputo ricomporre brillantemente i dissidi e le faide che contrapponevano da sempre i Nama agli Herero, convincendoli a prendere parte attiva nella rivolta e sancendo l’alleanza col suo storico rivale WitboiHendrik Witbooi ed altri capi indigeni. Con questi aveva avuto modo di intrattenere una fruttuosa corrispondenza, pianificando nei dettagli la rivolta. Furbamente, aveva dato ordini precisi di non recare alcun danno alle missioni protestanti e di evitare ogni azione contro residenti inglesi o le comunità boere. Al contempo, proibisce tassativamente ogni violenza contro donne e bambini, o la popolazione non combattente.
Namibia (ferrovia)Con una forza sul campo di 8.000 uomini in armi, gli Herero attaccano e saccheggiano le fattorie isolate; spezzano i collegamenti ferroviari, distruggendo il ponte di Otona; quindi pongono d’assedio gli importanti centri coloniali di Okahandja e Windhoek.
BW_VrijKorpsatrailwaytruck_LAngeNegli attacchi, circa 150 coloni tedeschi cadono morti sul campo. E nonostante le accortezze prese da Maharero, restano uccisi anche tre donne e sette boeri.
Per le operazioni militari, Maharero si fa affiancare da un abile capo: Jakob MorengaJakobus Morenga, che da luogo ad una serie di brillanti operazioni di guerriglia, con attacchi mordi e fuggi contro i presidi delle schutztruppe coloniali. Per le sue tattiche di guerra, Morenga viene (esageratamente) soprannominato il “Napoleone nero”.
Con l’avvicendamento del governatore Leutwein, anche i Nama di Hendrik Witbooi entrano in guerra. Witbooi, Witbooi Hendriklegato da personale amicizia col commissario tedesco, non si sentiva più vincolato al rispetto del trattato di pace, impostogli durante la sanguinosa repressione del 1897. Nonostante i suoi 70 anni suonati, il vecchio capo Nama guida personalmente i suoi guerrieri in battaglia, salvo rimanere ucciso durante uno scontro a fuoco (29/10/1905) sui monti del Karas, durante l’agguato ad una colonna tedesca, per una ferita non curata.
Tuttavia, dopo i primi rovesci, la reazione dei tedeschi sarà brutale e spietata.

berfall auf marsch

Lothar von Trotha
L.v.Trotha a Pechino durante la rivolta dei Boxers Il 03/05/1904, Theodor Leutwein viene sostituito dal generale Lothar von Trotha, che si porta appresso un corpo di spedizione di quasi 15.000 soldati regolari. Lothar von Trotha è un militare di lungo corso: ha combattuto come ufficiale di carriera nelle guerre prussiane contro l’Austria e la Francia, inoltre è uno specialista in guerre coloniali. In tale ambito, si è fatto un nome per i suoi metodi spicci e spietati, usati per reprimere i Boxers nella ribellione cinese del 1900. Nelle colonie tedesche dell’Africa orientale si è distinto per la ferocia con cui ha schiacciato la rivolta dei WeHehe.

schutztruppen in combattimentoE su tale esperienza questa specie di proto-nazista basa la sua linea di azione…

“La mia intima conoscenza della gran parte delle tribù africane mi ha del tutto convinto che un Negro non rispetta i trattati ma solo la forza bruta.”

Lothar von Trotha (1) Lothar von Trotha applica subito la tattica già sperimentata con successo della terra bruciata e tecniche di terrorismo indiscriminato ai danni delle popolazioni non combattenti. Prima di scatenare la sua offensiva attraverso una preventiva azione strutturale di pulizia etnica, ordina alle popolazioni indigene di abbandonare il territorio ‘tedesco’ della Namibia, esprimendo quello che è il suo intimo convincimento:

“Io credo che una nazione come questa dovrebbe essere annientata, oppure, se ciò non è possibile con misure tattiche, dovrebbe essere espulsa dal paese […] La costante pressione delle nostre truppe dovrebbe aiutarci a stanare anche i gruppi più piccoli di questa nazione che si sono mossi nelle retrovie e distruggerli gradualmente.”

Trotha non mancherà di fare l’una e l’altra cosa…
MeharistiGiocando sulla velocità di spostamento e sui vantaggi di una guerra di movimento, il generale Von Trotha fa grande affidamento sulla mobilità ridersdelle sue truppe montate ed in particolare sulle unità mehariste delle sue efficienti truppe cammellate, per intercettare e distruggere i gruppi di Herero che si muovono assai lentamente, trascinandosi dietro mandrie e familiari, in modo da arrestarne le incursioni ma al contempo tagliando loro ogni via di fuga.
HererowarsIl 12/08/1904, sull’altipiano di Waterberg, sconfigge in una dura battaglia campale le forze congiunte dei Nama e degli Herero, senza tuttavia riuscire a strappare una vittoria definitiva.

krieg5

In compenso, i tedeschi si accaniscono sulla popolazione inerme che seguiva i guerrieri in battaglia, attendendo nelle retrovie, caricandoli a colpi di baionetta ed impiccando i superstiti.
ImpiccagioniUna degna (ennesima) lezione di civiltà da parte della razza superiore.
Schutztruppen riempiono le borracce Con una enorme manovra a tenaglia, i tedeschi cominciano a premere i ribelli verso il desolato deserto del Kalahari, procedendo al sistematico avvelenamento dei pozzi d’acqua, facendo invece presidiare quelli che servono al suo esercito, onde sfiancare il nemico per fame e per sete. Chiunque si arrende, viene impiccato sul posto con teutonico rigore.
Herero-ExecutionsQuindi si assicurano la linea dei rifornimenti, puntellando il territorio con presidi stabili a ridosso del deserto, lungo una linea di 150 miglia, stabilendo una fascia di protezione invalicabile.

Reiter der Schutztruppe beim Gewehrreinigen in Swakopmund Deutsch-Südwestafrika

Dalle loro postazioni di difesa, i tedeschi inviano pattuglie ricognizione e squadroni di cavalleria, onde intercettare e bloccare ogni movimento dei Nama e degli Herero.

pattuglia

Per sopperire al trasporto delle truppe di fanteria ed in special modo dell’artiglieria da campagna, si fa ampio ricorso alle ferrovie, con l’organizzazione di convogli militari.

treno artiiglieria

Soprattutto, per completare l’accerchiamento e la distruzione dei ribelli, il comando germanico elabora un piano di sterminio generalizzato. In qualità di Impiccagioni (1)comandante supremo, Lothar von Trotha dà ordine di distruggere tutti i raccolti, sterminare il bestiame, e passare immediatamente per le armi qualsiasi “negro” con cui si imbattono le sue truppe, senza particolari riguardi per sesso, età, o condizioni.
DSWA_Ausmarsch_der_Truppen_Outjo_Chiusi nella sacca desertica tra l’Omaheke ed il Kalahari, senza acqua né provviste, gli Herero vengono ulteriormente falcidiati dai raid delle pattuglie tedesche, le quali perlustrano le piste che conducono  ai pochi pozzi disponibili.
Staffetta meharistaNei dispacci che lo stato maggiore germanico in Namibia invia al Kaiser non si perde occasione di sottolineare come:

DSW Feldkompanie“l’arido deserto di Omaheke ha completato ciò che l’esercito tedesco ha cominciato: lo sterminio della nazione Herero”

Lothar von Trotha e il suo Stato Maggiore
Franz Georg von Glasenapp Il generale Franz Georg von Glasenapp, professionista di grande esperienza, che con Ludwig von Ludwig von EstorffEstorff, guida uno dei tre corpi d’armata nei quali il gen. Trotha ha suddiviso il suo esercito, verrà pubblicamente biasimato per aver impedito il totale sterminio degli Herero, permettendo agli ultimi superstiti di riparare in territorio britannico. Per questo Glasenapp fu destituito dal comando e provvisoriamente privato del grado.

Deutsch-Süd-Westafrika, Stab von Estorff

In tal modo, Maharero e Morenga riuscirono però a riparare in Botswana, dopo una allucinante traversata del deserto del Kalahari, con meno di mille superstiti, su un nucleo originale di circa 50.000 Herero al seguito, ponendosi sotto la protezione degli inglesi. Morenga, il sedicente Napoleone, morirà nel 1907 durante uno scontro a fuoco contro una pattuglia della polizia coloniale britannica.

Surviving Herero

SHARK ISLAND
Herero e Nama a Shark Island (Lieutenant von Durling) L’11/12/1904, su incarico del cancelliere Bernhard von Bülow che sollecita una “sistemazione temporanea” per gli Herero ed i Nama scampati allo sterminio e ancora presenti in Namibia, il generale von Trotha stabilisce la realizzazione di campi di concentramento (Konzentrationslager) in territorio africano. Parte delle tribù Nama vengono deportate in massa nelle paludi del Togoland e del Kameron, deve vengono affittati come manodopera schiava nelle piantagioni tedesche.
Gli Herero vengono invece rinchiusi in campi di prigioni allestiti lunga la costa nei pressi di Swakopmund, tra i quali si distingue l’allucinante campo realizzato sull’isola di Haifisch, meglio conosciuta come “Shark Island” (l’isola dello squalo), davanti la Baia di Lüderitz.
Namibia - Schiavi hereroTra il 1905 ed il 1907, Haifisch, raccoglie tutti i ribelli (circa 3.000) rastrellati per il territorio della Namibia tedesca. I prigionieri arrivano ad ondate, rastrellati da speciali unità chiamate Etappenkommando sotto la supervisione dei quali vengono avviati incatenati al lavoro coatto nelle miniere e nella costruzione delle ferrovie.

Namibia - Schiavi herero (1)

Per il trasporto dei prigionieri vengono utilizzati, con largo anticipo sui tempi, i vagoni bestiame dei treni merci. Quindi si provvede alla sistematica schedatura ed avvio al lavoro coatto dei prigionieri, che però ancora non vengono marchiati sul braccio. L’alimentazione consiste in un pugno di riso crudo. Nel campo, l’uso della frusta è la regola e non sono infrequenti i casi di stupro.
Schutztruppe della DSWAI tassi di mortalità tra gli internati raggiungono l’80%.
In anticipo sul famigerato Dottor Mengele, in questa sorta di Auschwitz Eugen Fischerafricana in miniatura, si distingue l’indefessa attività “scientifica” del dott. Eugen Fischer: il padre dell’eugenetica nazista e del quale (per l’appunto!) Joseph Mengele fu allievo zelante.
Fischer catalizza le sue ossessioni sulla definizione di razza mista, concentrandosi sui mulatti, per dimostrare a quali orribili degradazioni genetiche incorrerebbe la razza bianca, qualora dovesse mescolarsi con ceppi inferiori.
Ovviamente, la sua prescrizione è sterilizzazione per tutti.
Il risultato più evidente di queste degenarazione razziale sono per lui i Bastards Rehobothers, dei quali si affanna catalogare gradazioni di occhi e capelli. Al contempo, misura crani, braccia e ossa, profanando cimiteri ed esaminando cadaveri per cogliere ogni minima variazione.
Ericksen - Testa imbalsamata di un prigioniero di Shark Island Tuttavia, il campo di Shark Island è il suo personale parco giochi, con il suo immenso potenziale di cavie DOGANAumane da seviziare a piacimento. Qui Fischer può dedicarsi al proprio passatempo preferito: una raccolta di teste, scarnificate, imbalsamate, sezionate, per la sua personale collezione che invia alle varie università tedesche, con sommo giubilo dei teutonici accademici, tanto da diventare rettore dell’Università di Berlino.
Teste di prigionieri Nama - Collezione personale di FischerCavie umaneI sedicenti “esperimenti scientifici” condotti a Shark Island comprendevano altresì l’inoculazione di vari agenti patogeni, dal vaiolo alla tubercolina (malattie che peraltro già affligevano gli internati, senza bisogno di interventi esterni), per poterne esaminare effetti e resistenza sui negri, e dissezionare poi i cadaveri.
Shark Island Death CampNei campi di Swakopmund, nell’evocativa “Costa degli Scheletri” (Skeleton Coast), si distingue per la sua opera instancabile pure il Dottor Bofinger, anche lui molto occupato nella raccolta delle teste. E quando i prigionieri non muoiono di morte naturale, provvede lui stesso ad accelerarne la dipartita con una iniezione letale, onde poter procedere all’asporto dei crani.

Herero heads (2)

Bofinger rimuove personalmente le teste con chirurgica precisione, in almeno 17 casi. C’è anche il teschio di una bambina di un anno, alla quale il dottore ha rimosso il cervello per conservarlo in formaldeide. Si può dire che, in nome della frenologia, i tedeschi inaugurano una sorta di commercio, su scala industriale…
Namibian SkullsAlla rimozione dei tessuti provvedono le donne detenute nei campi, che erano costrette a bollire le teste mozzate (all’occorrenza dei loro stessi parenti), per poterne poi raschiare via la carne rimasta con cocci di bottiglia. I teschi così ripuliti venivano quindi imballati e spediti in Germania, mentre i cadaveri erano gettati in mare, ad ingrassare gli squali.

Imballaggio dei teschi

Secondo cifre approssimative, tra il 1904 del il 1907 si stima che i tedeschi abbiano eliminato qualcosa come il 75% degli Herero ed il 50% del popolo Nama: ovvero, circa 80.000 persone contro appena 1.749 tedeschi. Per l’esattezza: 676 soldati caduti in combattimento; 76 dispersi; 689 deceduti per ferite o malattia.

Schutztruppen

german-troops E bisogna dire che la maggior parte dei circa 19.000 soldati impegnati complessivamente per la repressione della rivolta erano in buona parte reclute provenienti dalla Germania. Dunque ancora bisognose di acclimatarsi alle non facili condizioni africane, per una campagna di guerra che in realtà fu meno cruenta ed impegnativa per i tedeschi di quanto non vogliano dare a credere le stampe agiografiche…
krieg2L’eliminazione di massa dei Nama e degli Herero si può a tutti gli effetti considerare il primo genocidio scientificamente pianificato ed attuato da una nazione moderna.
Herero chainedSe è vero come è vero, che il XX secolo è anche il secolo dei grandi eccidi di massa, due genocidi ad opera della medesima nazione sono decisamente troppi!
Ciò la dice lunga sul grande di proiezione empatica di un popolo e sulla capacità di rapportarsi con l’Altro. Ovviamente, la Germania di oggi è diversa da quella di inizio ‘900. Per capire il mutamento del suo approccio culturale ai problemi, basta infatti vedere come tratta il resto degli attuali partners europei.
Coloniali tedeschiIl 16 Agosto del 2004, a cento anni dallo sterminio, la Germania si è finalmente decisa a presentare scuse formali al governo della Namibia (fino ad allora si era limitata ad esprimere “rammarico”), assumendosi la piena responsabilità dei crimini, ma escludendo il pagamento di qualsiasi indennizzo, nonostante il saccheggio, la spoliazione, la deportazione e la riduzione in schiavitù delle popolazioni namibiane.
Del resto, i tedeschi sono inflessibili nell’esigere il pagamento dei debiti altrui, ma quando si tratta di pagare i propri serrano le tasche, oltreché i ranghi.
Deutsch-Südwestafrika, Herero-AufstandIl popolo della Namibia ha chiesto quantomeno la restituzione dei teschi Herero heads (1)dei propri antenati, in parte avvenuta solo nel 2011. A tutt’oggi, la blasonata Università di Friburgo ha recisamente rifiutato di privarsi della piacevole visione della propria  preziosa collezione.

  FINE (2/2)

ASKARI

 > prima parte: L’anima del commercio

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L’ANIMA DEL COMMERCIO

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Art of Finalverdict (dettaglio)

È rassicurante sapere che l’Europa, sotto la pressione dei flussi migratori, abbia alfine deciso di occuparsi della questione africana, nell’illusione di aprire una breccia nella fortezza teutonica che usa il resto del continente come una sorta di Lebensraum da sfruttare a proprio piacimento tramite la colpevolizzazione del Debito.
ScrambleIn frangenti completamente diversi, l’ultima volta che gli europei si sono interessati all’Africa è stato un secolo e mezzo fa, quando per ragioni ovviamente umanitarie le potenze occidentali dell’epoca si lanciarono con entusiasmo alla “civilizzazione” del continente, in quella che è conosciuta come “Scramble for Africa”: ovvero la spartizione di territori semisconosciuti e in gran parte inesplorati, popolati nell’immaginario collettivo da selvagge tribù di subumani dediti al cannibalismo.
Deutsch-Ostafrika, MassaikriegerTutto nasce il 15 Novembre del 1884, quando il cancelliere tedesco Otto von Bismarck organizza una conferenza a Berlino, proponendosi come mediatore tra gli interessi contrastanti che opponevano i singoli stati nella loro espansione coloniale.
Bismarck Ufficialmente, la Conferenza di Berlino viene indetta per stabilire diritti commerciali e arginare gli appetiti coloniali con le pretese che il re belga Leopoldo II accampa sull’immenso Congo, considerati assolutamente sovradimensionati rispetto alle possibilità effettive del piccolo Belgio. Officiosamente, il suo scopo è disciplinare l’acquisizione delle terre africane e sancirne la spartizione, segnando l’inizio dell’imperialismo moderno.
Di solito, la spartizione si articolava su tre livelli conseguenti: l’organizzazione di grandi spedizioni esplorative a fini geografici; la fondazione di piccoli avamposti commerciali e missioni religiose per l’evangelizzazione degli indigeni; la richiesta di un intervento diretto da parte della madrepatria, con l’invio di truppe e funzionari per l’acquisizione dei nuovi territori, onde assicurare la sicurezza dei coloni ed il mantenimento dell’ordine pubblico, per preservare le nuove conquiste della civiltà.
SCHUTZTRUPPEN (1)A livello economico, le colonie avevano l’indubbio vantaggio di fornire materie prime con manodopera a costo zero, oltre a costituire una soluzione anti-recessiva per le esangui economie europee. A livello sociale, il colonialismo africano costituì anche il laboratorio ideale per ogni aberrazione possibile, con la sperimentazione delle prime forme di eliminazionismo di massa: dai campi di concentramento, alle pratiche genocide, che sarebbero poi state esportate sul continente europeo ed applicate con successo durante la prima metà del XXI secolo.
Hannah Arendt, nella sua opera Le Origini del Totalitarismo, individua nell’imperialismo coloniale i prodromi del totalitarismo europeo come espressione di una alienazione di massa a trazione economica.
Deutsche Kolonial-Gesellschaft - Bremen 1908Secondo tale ottica, l’espansione colonialista, oltre a fornire una alternativa commerciale a mercati ormai saturi, fu una valvola di sfogo per diseredati senza prospettive e finì col determinare una saldatura di interessi tra grande capitale industriale, apparato burocratico statale e nazionalismo esasperato, insieme ad un razzismo biologico ispirato al darwinismo sociale.
Deutsche-Kolonien_LogoStrutturate su un elitarismo a base razziale, incentrate sugli interessi particolari di compagnie private in una economia di rapina, le nuove istituzioni coloniali si fondavano su una eccezione costituzionale che facevano dell’abuso legalizzato e dell’arbitro legislativo la norma, slegate come erano da un effettivo controllo parlamentare con cui entravano sovente in conflitto e contro il quale esercitavano una pressione costante.
Per la Arendt, i possedimenti coloniali in Africa costituirono uno dei più fertili terreni per lo sviluppo di quella che di lì a breve sarebbe diventata la futura elite nazista. E, a sostegno della sua tesi, non erano certamente estranee valutazioni pratiche sull’esperienza del Reich in terra africana…
Uniforme coloniale tedesca Forse, è solo un caso che le prime uniformi della SA hitleriane (le famigerate camicie brune) siano state tirate fuori dai fondi di magazzino dei depositi militari; si trattava infatti del vestiario destinato all’esercito coloniale dell’Africa tedesca. Andrebbe inoltre ricordato che Ernst Heinrich Göring, padre del futuro feldmaresciallo del Reich, fu commissario imperiale dell’Africa tedesca del Sud-Ovest (Reichskommissar Deutsch-Südwestafrika), dal 1890-1913, e si distinse per il sistematico sterminio dei Boscimani stanziati lungo la costa meridionale della Namibia.
E infatti il regime nazionalsocialista non mancherà di celebrare alcuni dei più spietati protagonisti del colonialismo teutonico, come eroi popolari della nuova Germania ariana.
Imperial German Foreign Office flagPoco conosciuta dal grande pubblico, la penetrazione tedesca dell’Africa sub-equatoriale si sviluppa a partire dalla metà del XIX secolo, soprattutto attraverso le grandi esplorazioni di Gustav Nachtigal ed Heinrich Barth: personaggi straordinari, animati dai più nobili propositi e da fervente spirito umanitario. Viaggiatori instancabili, in distinte spedizioni, Nachtingal e Barth si spinsero all’interno dei territorio dell’Africa sub-sahariana, avventurandosi nelle regioni inesplorate del Ciad e dell’immenso territorio sudanese, esplorando i territori del Camerun e del Togo che costituiranno il nucleo embrionale dell’espansione coloniale germanica.
Gustav NachtigalTuttavia, è solamente dopo la Conferenza di Berlino del 1884 che la Germania inizia ad interessarsi seriamente alla questione coloniale, in termini di prestigio nazionale (e in chiave anti-francese), spinta in questo soprattutto dai circoli pangermanisti. Fino ad allora, il movimento colonialista tedesco era stata una faccenda di pochi, circoscritta principalmente alle associazioni accademiche (come la Società Geografica o l’Accademia prussiana delle Scienze); nonché ai circoli DOA Liniemercantili di Amburgo e Brema, interessati alle potenzialità commerciali dei territori africani, peraltro con ambizioni limitate visto che i loro traffici riguardavano soprattutto il commercio di alcolici e di vecchi fucili. Né mancava una certa intraprendenza religiosa da parte degli ambienti missionari, presenti nel sud-ovest africano fin dal 1847. Ma a livello politico suscitava ben scarsi entusiasmi da parte di Bismarck, almeno fino all’inaspettata piroetta del 1884; anno che di fatto segna la nascita dell’Impero coloniale germanico.

Adolf Luederitz «Il 24 Aprile 1884 venne promulgata la Reichsschutz, una misura legislativa che estendeva la protezione del Reich al Luederitz Land, un breve tratto di costa su cui venne fondata l’Africa Sud-Occidentale Tedesca, oggidì appartenente alla Namibia. Il territorio prendeva il nome da Adolf Luederitz, che l’anno precedente aveva ottenuto un patto di amicizia con Giuseppe Federico, re dei Nama, una tribù ottentotta che dominava la regione. Curiosamente, Bethania, il principale insediamento europeo, dove venne peraltro firmato l’accordo, era stato fondato nel 1859 da missionari inglesi, ma, trovandosi questi ultimi a corto di uomini, vi inviarono un pastore tedesco, aprendo la strada alla futura espansione coloniale della Germania la quale, nel 1884, si affermò in maniera tanto imprevedibile quanto fulminea.
Al protettorato tedesco sul Luederitz Land, si aggiunsero quelli sul Togo, il 5 luglio dello stesso anno, e sul Camerun, il 12 luglio. Il 7 agosto venne annesso il territorio circostante ad Angra Pequena, dove Bartolomeo Diaz era approdato nel 1484 e da allora, esattamente per quattro secoli, considerato sotto la zona d’influenza del Portogallo. Attraverso una missione diplomatica del figlio Herbert a Londra, Bismarck aveva però fatto sapere al gabinetto inglese che la Germania non avrebbe riconosciuto precedenti trattati fra la corona britannica e il Portogallo. Limitando quindi sensibilmente le ambizioni di Lisbona in Africa.»

 Le colonie germaniche in Africa
di Matteo SOMMARUGA

Secondo la visione di Bismarck, che non attribuisce alcun valore economico all’espansione coloniale ma ne riconosce il potenziale geopolitico funzionale al prestigio nazionale, le colonie dovrebbero essere amministrate dalle case commerciali e le gilde mercantili operanti in loco, dietro formale mandato governativo e sotto protettorato imperiale, ma senza un impegno diretto per le casse dello Stato.
OstafrikaNella Conferenza di Berlino, l’onnipotente cancelliere attribuisce lo status giuridico di territorio del Reich a tutti gli insediamenti tedeschi presenti in territorio africano. Inoltre, istituisce il principio dell’Hinterland, secondo il quale ogni potenza coloniale con possedimenti costieri poteva rivendicare d’autorità la propria giurisdizione su tutti i territori dell’entroterra, con una espansione tecnicamente illimitata.
Deutsche Kolonial-Ausstellung Köln 1934Bundesarchiv_Bild_183-R30019, - Dr. Carl Peters Nell’Autunno del 1894, Carl Peters, allucinato trentenne imbevuto di misticimo protestante e razzismo viscerale (cosa che non gli impedirà di crearsi un harem di concubine africane), per conto della “Società per la colonizzazione tedesca” (Gesellschaft für Deutsche Kolonisation), si avventura con una cinquantina di uomini nei territori dell’Africa Orientale a ridosso del Sultanato di Zanzibar. Per levarselo di torno, il sultano Khalifah bin SaidKhalifah bin Said, autorizza Peters ad instaurare un protettorato tedesco sul distretto di Witu e nei territori swahili dell’interno. Territori che in realtà sono fuori dalla sfera di controllo del sultano ed in aperta ribellione contro Zanzibar. Approfittando dell’occasione, Peters stringe una serie di trattati di eterna amicizia con tutti i capitribù che incontra nella sua avanzata, promettendo la “protezione” della Germania contro i mercanti di schiavi di Zanzibar. In meno di quaranta giorni, Peters stipula una dozzina di questi accordi truffaldini, dove in cambio di qualche regalino, gli indigeni cedono “per contratto” milioni di ettari con l’esautorazione di ogni diritto delle popolazioni locali. Peters si ritrova così proprietario di un territorio potenzialmente immenso dal Tanganica German East African Company 1885al Mozambico. Quindi si affretta a tornare in Germania, dove fonda la “Compagnia tedesca per l’Africa Orientale” (Deutsche Ost-Afrika Gesellschaft), di cui ovviamente Peters è presidente, per l’amministrazione dei nuovi territori, chiedendo al governo di ratificare i trattati di acquisizione da lui stipulati, giusto in tempo per la conferenza kolointernazionale. Qualche anno dopo (1891) Peters troverà il modo di farsi nominare Reichskommissar per la regione del Kilimanjaro, dove si distinguerà per ferocia nelle brutali repressioni ai danni delle popolazioni Chaga, diventando un eroe postumo del nazismo.
La Conferenza berlinese del 1884-1885 si limiterà dunque ad ufficializzare una situazione di fatto, fornendo copertura giuridica ad ogni successiva annessione territoriale.
Massoko German East Africa 1890Il colonialismo tedesco si sviluppa sostanzialmente su due direttive separate: a occidente, con l’annessione dei territori del Togoland e del Camerum e della Namibia a sud-ovest; nell’Africa orientale, con l’espansione negli attuali territori di Tanzania, Burundi e Ruanda, insieme ad un tentativo fallito in Uganda (sempre ad opera del solito Peters).
Nuova GuineaContemporaneamente all’acquisizione delle colonie africane, la Samoa PolizeisoldatGermania si assicura sperduti avamposti in Oceania e Nuova Guinea (Kaiser Wilhelmsland), con l’acquisizione dell’arcipelago delle Isole Bismarck (nel dicembre del Polizeisoldat von Jap Paradeanzug1884), le Isole Marshall (1885). Nel 1898 occupa la baia di KiaoShao (Kiautschou-Bucht) in Cina. L’anno successivo ottiene previa compravendita l’Arcipelago delle Marianne, le Isole Caroline e Palau, insieme al controllo delle Samoa Occidentali che si spartisce con gli USA.
Ovviamente, le annessioni non richiedono certo il consenso dei diretti interessati. Sull’elemento indigeno non c’è da fare affidamento e ovviamente il suo parere è del tutto ininfluente.
Deutsch-Neu-Guinea - Die Schutztruppe in BerlinhafenA proposito della natura dei negri, il grande filosofo dell’idealismo tedesco, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, così descriveva gli africani durante le sue lezioni universitarie di filosofia della storia nel 1831:

«Il negro rappresenta l’uomo nella sua totale barbarie e sfrenatezza: per comprenderlo, dobbiamo abbandonare tutte le nostre intuizioni europee. Nel suo carattere non si può trovar nulla che abbia il tono dell’umano. Appunto per ciò non ci possiamo immedesimare davvero, col sentimento, nella sua natura, come non possiamo immedesimarci in quella di un cane.
[…] Simile assoluta svalutazione dell’uomo spiega come la schiavitù costituisca in Africa il rapporto basilare del diritto. L’unico rapporto essenziale che i negri hanno avuto, ed hanno, con gli Europei è quello della schiavitù. I negri non vedono in essa nulla che sia sconveniente. In questo senso la schiavitù ha contribuito a risvegliare un maggior senso di umanità presso i negri.»

 Manlio Dinucci
 “Geostoria dell’Africa”
 Zanichelli (Bologna, 2000)

Con simili presupposti intellettuali, c’era da farsi ben scarse illusioni su cosa sarebbe stata la colonizzazione…

Bella la vita

Compagnia dell’Africa Orientale tedesca (DOAG)
DOAG Seguendo una pratica piuttosto diffusa (ma fallimentare), già applicata dagli inglesi in India, una compagnia di capitali si ritrova quindi a gestire e governare immensi territori, alla stregua di una proprietà privata da spremere a propria totale discrezione.
kolonieSotto il controllo di Carl Peters, la DOAG si ritrova a fare le veci del governo tedesco in terra africana. Con una cinquantina di agenti commerciali ed una scorta militare di pochi soldati regolari, la Compagnia controlla un territorio di quasi 150.000 kmq.
Non contento, tra l’Ottobre ed il Novembre del 1886, Peters riesce ad estorcere al sultano di Zanzibar la cessione dei porti di Dar es-Salaam e Pangani. Il 28/04/1888, la DOAG riesce a strappare il controllo dell’intera striscia costiera davanti all’isola dove sorge la capitale del regno, con una concessione esclusiva per la durata di 50 anni. Il Coat of arms of German East Africatotale controllo della costa del Tanganika e di tutte le attività portuali attorno a Zanzibar, permette alla compagnia tedesca di estendere i propri dazi doganali a tutte le merci in entrata ed uscita, con un florilegio di esazioni fiscali e imposizione di tributi su tutte le attività commerciali e portuali degli indigeni, per giunta asfissiati dalle rigide regole della burocrazia Cacciatori di avoriotedesca. La DOAG impone gabelle sul transito di qualsiasi prodotto, sulla celebrazione dei funerali e su quella dei matrimoni, avocando a sé il lucroso commercio dell’avorio e pretendendo il pagamento di tutta una serie di diritti di concessione, estromettendo dai traffici la tradizionale elite dei mercanti arabo-swahili e ricorrendo alle requisizioni forzate.

Carl Peters

La Rivolta di Abushiri
Abushiri Nell’Agosto del 1888, l’ottusità fuori dal comune di Emil von Zelewski, ex tenente di fanteria, provoca una prima esplosione del malcontento popolare. In qualità di Pangani Fortinviato della DOAG, pretende di issare la bandiera della Compagnia sul porto di Pangani, accanto a quella del sultano, irritando la popolazione che non riconosce il dominio degli stranieri per giunta infedeli. La rivolta esplode quando i gabellieri tedeschi, che si fanno accompagnare da grossi cani per essere più convincenti nella riscossione, sguinzagliano i loro molossi nella principale moschea della città durante la funzione religiosa, provocando l’insurrezione generale.
Abushiri ibn Salim al-Harthi coi suoi attendenti Makanda e Jehasi In breve, i ribelli si organizzano sotto la guida di un ricco commerciante arabo, Abushiri ibn Salim al-Harthi, che ha fatto fortuna con la coltivazione della canna da zucchero e la tratta degli schiavi. Il commercio degli schiavi, messo fuorilegge dall’amministrazione tedesca, era stato subito compensata dall’imposizione del lavoro coatto a favore dei colonizzatori e dal massiccio ricorso delle corvee non retribuite a carico degli indigeni, seguendo le medesime pratiche applicate dai belgi (e tanto esecrate) nel Libero Stato del Congo.
fante di marinaIl 22/09/1888, un’armata di 8.000 rivoltosi capeggiati da Abushiri danno l’assalto alla sede della DOAG a Bagamoyo, ma vengono rispinti da appena 260 fanti di marina sotto il comando del contrammiraglio Karl August Deinhard.
I piccoli avamposti commerciali dislocati lungo la costa tra i fiumi Umba e Ruvuma vengono abbandonati. Cadono uno dopo l’altro i porti di Pangani, Tanga e Sadani. Peters. La DOAG mantiene a fatica il controllo delle proprie basi a Bagamoyo e Dar es-Salaam, mentre le stazioni interni di Kilwa e Kivinje sono completamente isolate e non riescono a spezzare l’assedio degli insorti. Incapace di Major Hermann Wissmann (1891)gestire l’emergenza, la Compagnia si rivolge al governo tedesco che nel febbraio del 1899 invia, in qualità di primo Reichskommissar dell’Ost-Afrika, il 34enne Hermann Wissmann, avventuriero ed esploratore, al comando di un corpo di spedizione forte di 1200 soldati.
Zulu Askaris of the Wissmanntruppe c1889 (foto di W.Janke)Le truppe di Wissman, che costituiranno il nucleo originario delle future Schutztruppe coloniali, potevano contare su 21 ufficiali e 40 sottufficiali di provenienza germanica, 600 riservisti sudanesi provenienti dall’Armata anglo-egiziana e 400 guerrieri mercenari assoldati tra la popolazione indigena degli Shangaen, col massiccio supporto della Marina imperiale che bombarda le basi dei ribelli lungo la costa.
Schutztruppe in barca - Bundesarchiv_Bild Deutsch-OstafrikaIn meno di un mese la rivolta è sedata ed il 15/12/1889 Abushiri finirà la sua esistenza penzoloni su una forca. Tuttavia, l’insurrezione degli swahili convince il governo centrale di Berlino ad assumere il controllo diretto della colonia, che verrà ufficializzato nel 1891 con la costituzione dell’Africa Orientale Tedesca (Deutsch-Ostafrika), grossomodo ricompresa negli attuali territori della Tanzania, Ruanda e Burundi.

Truppe sudanesi di Wissmann

Le Schutztruppe
Siegel MarkeIn questo periodo, per la protezione dei possedimenti tedeschi d’oltremare, viene istituzionalizzata la formazione di “unità di sicurezza” (Schutztruppe), costituite da ufficiali e militari professionisti provenienti dai ranghi dell’esercito regolare, insieme a truppe indigene Askari-Ostafrika (1)(askari) addestrate secondo gli standard prussiani e regolarmente stipendiate con paghe superiori ai loro omologhi britannici. trombettiereGli askari erano reclutati su base volontaria in prevalenza tra i veterani sudanesi e tra le tribù Ngoni. Inizialmente la ferma era di cinque anni, poi ridotta ad un anno e quindi rinnovabile. All’occorrenza, venivano affiancati da bande mercenarie di guerrieri irregolari, conosciuti col nome di RugaRuga.
Ruga-RugaNel complesso le colonie tedesche possono contare su un numero esiguo di soldati, ma altamente professionalizzati e con buoni equipaggiamenti. IspezioneConsiderando soltanto gli effettivi di truppa con mansioni operative, il DOA dispone di 226 soldati tedeschi e 2664 askari ripartiti in 14 compagnie, a loro volta sparse su un territorio vastissimo puntellato di piccoli fortini, con guarnigioni totalmente autosufficienti e presidi armati lungo le principali vie carovaniere.

SCHUTZTRUPPEN

Sterminate quei bruti!”
Tafel XI Deutsch Ost-Afrika Il mutamento dello status giuridico della colonia non migliora i rapporti con le popolazioni native, non attenua lo spietato rigore dei funzionari imperiali, né il fiscalismo dell’amministrazione coloniale, che in sostanza si avvale del medesimo personale della DOAG.
Hermann Wissmann, confermato governatore generale, prosegue la sua campagna di guerra verso le regioni dell’interno, assoggettando con la forza tutte le tribù che incontra ed estendendo a dismisura i confini della colonia, con una politica aggressiva che nulla concede ai sottomessi.
DeportazioniSe c’è una cosa che distingue il colonialismo teutonico dall’ipocrisia moralista dei Britannici, dallo sfruttamento bestiale delle popolazioni autoctone ad opera di Portoghesi e Belgi, dalla crudeltà degli Spagnoli che in Nord Africa gareggiano in ferocia coi ribelli del Riff, dalla brutalità dei Francesi che esportano la ghigliottina in ogni angolo del loro impero il cadavere del brigante Antonio Napolitano detto Caprarielloper giustiziare ‘civilmente’ gli indigeni, e pure dagli Italiani che sostanzialmente riservano agli africani lo stesso trattamento che i generali Cialdini e La Marmora applicano contro le popolazioni rurali dell’Italia meridionale, è la pervicacia scientifica con cui i Tedeschi mettono in pratica il loro zelo eliminazionista, nello stroncare ogni tentativo di rivolta attraverso un ricorso sistematico alla rappresaglia e lo sterminio implacabile delle popolazioni interessate, con una violenta politica del terrore.
DOA - SchutztruppenÈ un fatto che nelle principali rivolte africane e guerre di resistenza contro la penetrazione coloniale delle potenze europee tra il 1888 ed il 1908, circa un 1/3 delle ribellioni più cruente siano concentrate nei territori sotto dominio tedesco, in considerazione di un impegno coloniale relativamente più ridotto rispetto alla sovraesposizione di francesi e inglesi, nonché segno di una dominazione particolarmente dura:

1888-1889. Rivolta arabo-swahili di Abushiri nell’Africa Orientale Tedesca.
1891-98. Rivolta Hehe nell’Africa Orientale Tedesca
1894. Rivolta dei Nama e degli Herero nell’Africa tedesca del Sud-Ovest (Namibia)
1896. Seconda Rivolta degli Herero (ribellione di Khaua-Mbandjeru)
1904. Rivolta di Anyang nel Camerun.
1904. Terza Rivolta degli Herero in Namibia
1905-1907. Rivolta dei Maji Maji nell’Africa Orientale Tedesca.

DOA 1905E denotano anche una difficoltà di interrelazioni, nel segno di una dominazione particolarmente dura. Nella storia coloniale dell’Africa orientale tedesca, piuttosto impegnative furono le guerre bantu del 1891 e la ribellione dei Maji-Maji nel 1905, così chiamata dal nome della presunta pozione magica di cui le tribù oriunde in rivolta facevano uso, credendo che ciò rendesse invulnerabili i guerrieri in combattimento.
Bundesarchiv_Bild_105-DOA0043, - Deutsch-Ostafrika, Einheimische BevölkerungI due eventi sono speculari perché coprono un arco ventennale, aprendo e chiudendo le guerre indigene contro l’invasore, nel consolidamento di una tattica bellica sostanzialmente invariata e universalmente applicata dai tedeschi nelle loro colonie al minino sentore di rivolta: la terra bruciata, con la distruzione sistematica dei villaggi, dei raccolti ed ogni altra fonte di sostentamento, insieme alla dispersione o alla deportazione in cattività delle popolazioni.

Uniformi Ostafrika

La Rivolta Hehe
ASKARI - Bundesarchiv_Bild - Deutsch Ostafrika Nel Luglio del 1891 la neonata colonia dell’Africa Orientale Tedesca (DOA) è già alle prese con una nuova ribellione. Stavolta si tratta degli WaHehe: popolazione guerriera di lingua bantù, stanziata nelle regioni interne della Tanzania sud-occidentale, sull’altopiano di Iringa.
Sotto la guida del loro re Mtwa Mkwawa, i bellicosi WaHehe iniziano una violenta espansione ai danni delle tribù confinanti, finendo col cozzare con i tedeschi che nel frattempo stanno spingendo la loro avanzata in senso opposto. Mkwawa mal sopporta le ingerenze dei tedeschi, non riconoscendone il dominio, pertanto inizia a dedicarsi al sistematico saccheggio e distruzione delle comunità formalmente sotto protezione tedesca. Dopo aver unificato le tribù intorno all’altipiano del Malawi sotto il suo dispotico dominio, Mkwawa conferisce al suo regno tribale un’impronta fortemente militarizzata, potendo mobilitare in caso di guerra oltre 20.000 guerrieri. Quindi, arriva a minacciare i traffici carovanieri tra la costa ed la cittadina di Ujiji (dove 20 anni prima Morgan Stanley aveva ‘trovato’ il Dr.Livingstone) sul Lago Tanganica, portando le sue incursioni fino al distretto coloniale di Tabora.
Emil von ZelewskiNel nostro ambito, la rivolta Hehe ci interessa perché ci permette di tornare ad una nostra precedente conoscenza: quell’Emil von Zelewski, che solo tre anni prima aveva contribuito all’insurrezione di Pangani con la rivolta di Abushiri.
Nell’estate del 1891, Zelewski prende il posto di Wissmann come reichskommissar dell’Africa Orientale. Dopo infruttuosi tentativi di accordo con i popoli dell’altipiano (che sostanzialmente non accettano di essere “protetti” dai tedeschi), il 01/07/1891 il nuovo governatore si mette a capo della strafexpedition con un contingente ridotto, sottovalutando Deutsch-Ost-Afrika, Askaris und Trägergravemente il nemico. Senza curarsi troppo delle linee di rifornimento per gli approviggionamenti, come un moderno Quintilio Varo in versione minore, Zelewski si inoltra in piena foresta equatoriale con appena 170 portatori e trascinandosi dietro 6 batterie campali e 12 mitragliatrici Maxim, con meno di 350 soldati, finendo con l’impantanarsi negli acquitrini che puntellano la zona tra i laghi della Rift Valley. Ovviamente non perde occasione per distruggere tutti i villaggi (circa un’ottantina) che incontra sul suo cammino, fornendo a Mkwawa il pretesto per la mobilitazione generale. MITRAGLIERI - Askari üben am Maschinengewehr - Bundesarchiv_Bild DOAIl re Hehe manda addosso alla spedizione tedesca suo fratello Mpagie con tremila guerrieri, che il 17/08/1891 travolgono Zelewski ed i suoi soldati (che ormai si trovano a pochi km dalla capitale Hehe), in una località Lula-Rugaroconosciuta col nome di Lula-Rugaro. La colonna, sfilacciata in un lungo treno, viene colta completamente alla sprovvista e spazzata via in meno di un quarto d’ora. L’ultimo e bruttissimo per Zalewski.
Tra alterne vicende, la guerra si trascinerà per altri sei anni, senza che il successore di Zelewski, il governatore Julius von Soden riesca ad evitare altri umilianti rovesci come la perdita del forte di Kilosa nel distretto di Kondoa.
1906 - Askari Ostafrika SchutztruppenDopo la sanguinosa conquista di Iringa, capitale Hehe, ad opera del colonnello Friedrich Radbod von Schele (30/10/1894), comincia la parabola discendente di Mtwa Mkwawa che sempre più accerchiato e braccato preferirà suicidarsi piuttosto che arrendersi, nel Luglio del 1898.
Deutsch-Ostafrika, AskarisCon la morte di Mkwawa i tedeschi inaugurano su vasta scala una pratica che diventerà la caratteristica tipica del colonialismo germanico: la decapitazione dei cadaveri e scarnificazione delle teste, che vengono imballate ed inviate copiose a Berlino per studi ‘scientifici’. Da notare che il cranio di Mtwa Mkwawa, eroe nazionale della Tanzania, dopo pressanti richieste verrà restituita dal governo tedesco soltanto nel 1954 e solo per l’intercessione dei britannici.
Deutsch-Ostafrika, KolonialtruppenInvece, riguardo alla discendenza di Emil von Zalewski, suo nipote Erich von dem Bach-Zalewski diverrà un fanatico nazista della prima ora: generale delle SS, fu uno dei più stretti collaboratori di Heinrich Himmler per conto del quale pianificò le operazioni di sterminio nei territori occupati dell’Europa orientale. Himmler lo stimava a tal punto da preferirlo a Reinhard Heydrich, il “boia di Praga” e inventore della soluzione finale, giudicato un mollaccione. È a Bach-Zelewski che si deve l’iniziativa per la creazione del campo di sterminio di Auschwitz e la Poliziotto delle Einsatzgruppen - I colleghi del camerata Priebke garantiscono l'ordine pubblico nei territori occupatirepressione del ghetto di Varsavia nel 1944. Omicida di massa, a lui si deve il massacro organizzato di almeno 300.000 civili in Bielorussia ed Ucraina, oltre alla liquidazione della comunità ebraica di Riga. Ma dopo la sconfitta della Germania nella Seconda Guerra Mondiale, si autodenunciò e denunciò gli ex camerati, diventando l’unico genocida nazista catturato ad evitare il patibolo.
Pare che la ferocia del Zalewski nipote fosse dovuta all’impellente necessità di riscattare l’onore di famiglia, lavando l’onta del suo sfortunato antenato sconfitto da razze tanto inferiori e primitive come i “negri”.

Schutztruppe - Bundesarchiv_Bild Deutsch-Ostafrika (1906)

Si potrebbe quasi dire che i nazisti si siano più che altro limitati ad affinare, estendendole a livello continentale su scala di massa, le ASKARI - Bundesarchiv_Bild - Deutsch Ostafrika (1)tecniche di repressione e sterminio abbondantemente sperimentate dalla Germania nelle colonie africane. I volenterosi carnefici di Hitler non inventano, ma perfezionano ed estremizzano metodi, già in uso all’esercito del Kaiser. Se la repressione in Africa orientale fu spietata e spesso orientata allo sterminio, è nelle colonie sud-occidentali della Namibia che le tecniche repressive messe in atto dall’amministrazione tedesca si evolvono in vere e proprie forme sperimentali di genocidio pianificato e metodicamente applicato, evoluta (se così si può dire) in una dimensione moderna. L’esperienza sudafricana sarà infatti prodroma di ben altri e allucinanti riscontri…

 > Continua (1)

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Il fantasma di Livingstone

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David Livingstone by Thomas Annan (1864)

Parecchi lustri addietro, Vladimir Pozner (1905-1992), ironizzando sulla passione che molti suoi contemporanei sembravano nutrire per le biografie di avventurieri, ebbe a dire con spirito tranchant:

«C’erano scrittori che passavano al setaccio i dizionari di personaggi illustri, nella speranza di scovare tra una pagina e l’altra un granello di gloria o un briciolo di immortalità. Per molti fu la scusa di sfuggire a un presente che giudicavano inconcepibile, perché non riuscivano a giudicarlo né a concepirlo

 “Le Mors aux dents”
(Il morso ai denti – 1937)

Barone Ungern SternbergA Pozner, scrittore militante, il genere biografico sembrava un ripiego nostalgico, salvo poi dedicarsi lui stesso all’argomento e quindi realizzare una meravigliosa digressione romanzata sulla storia del barone Roman Ungern-Sternberg, recentemente tradotta e pubblicata in italiano (Il Barone sanguinario, Adelphi 2012).

L'incontro

È curioso come certi personaggi, sfumati nelle pieghe della storia, siano spesso ricordati per un aneddoto di successo, o unicamente per un singolo episodio, capace di imprimersi nell’immaginario collettivo e caratterizzarne per sempre la biografia, senza che nessun altro evento abbia rilevanza. L’incontro tra David Livingstone ed Henry Morton Stanley, nel cuore dell’Africa nera, rientra sicuramente in questa tipologia. Dell’episodio si ricorda la famosa frase di Stanley (probabilmente mai pronunciata): Dr Livingstone, I presume. E nulla più!
Peraltro, si tratta di una delle prime grandi patacche (perfettamente riuscite) del giornalismo moderno, alla ricerca di esotici sensazionalismi per impressionare i propri lettori, tramite la costruzione tutta fittizia dell’intrepido eroe vittoriano: tutte buone maniere, indomito spirito d’avventura e volontà di ferro, al servizio della civilizzazione e votato al trionfo dell’uomo bianco gravato dal suo “fardello”.
Dr D.LivingstoneIn questo, Livingstone fu più di un mito. Divenne un’icona nazionale, nonché un simbolo per la costituzione del nascente Impero britannico, fino ad allora gestito come l’affare privato di una Società di capitali [QUI]. Col coinvolgimento diretto della Corona, l’espansionismo coloniale in Africa si ammanterà di un presupposto ‘morale’.
The Slave Gang (relates to David Livingstone) by The London Missionary SocietyA 200 anni dalla sua nascita (e 140 dalla sua dipartita) merita comunque di essere ricordato: avventuriero, esploratore, missionario, medico dilettante… uomo dal pessimo carattere, schivo e riservato, non fu mai un gaglioffo ambizioso e opportunista come il suo “salvatore” Henry Morton Stanley (a cui dovremo dedicarci in futuro).

David Livingstone (foto di P.E.Chappius)

David Linvigstone è uno di quegli uomini consumati da uno strano fuoco interiore, che sembra divorarli fino alla morte. Nelle sue contraddizioni, e nell’elusività di una personalità profondamente inquieta, pare celarsi una determinazione autodistruttiva, che sembra condividere Roger Casement in uniforme di funzionariocon altre personalità tormentate come per esempio Roger Casement. Quest’ultimo, circa mezzo secolo dopo l’esplorazione occidentale della regione dei grandi laghi, si trovò a visitare quei territori africani che proprio Livingstone e Stanley avevano aperto alla ‘civilizzazione’ dell’uomo bianco, rimanendo inorridito dalle atrocità dei colonizzatori.
David Livingstone (by Frederick Havill) David Livingstone nasce il 19 Marzo del 1813 a Blantyre, un misero villaggio scozzese nella contea di Lanark. Figlio di un pastore evangelico della Chiesa indipendente congregazionista, Neil Livingstone, che per guadagnarsi da vivere commercia nella vendita ambulante del tè, il giovane Livingstone riceve una rigida educazione religiosa di impronta calvinista, tra le ristrettezze economiche. I sei membri della famiglia Livingstone condividono infatti un’unica stanza, non potendo permettersi un alloggio più grande.

«A dieci anni è costretto ad andare a lavorare in un cotonificio, dove meno del 10% della forza lavoro minorile frequenta la scuola dell’azienda senza molto profitto. David non è intelligente né brillante, ma eccezionalmente resistente e determinato a non condividere il destino dei suoi coetanei. In questo senso è già un asociale, un outsider che si chiude alle relazioni umane e agli affetti.

La decisione di diventare, a prezzo di estenuanti sacrifici, missionario medico affidandosi alla “London Missionary Society”, la seconda società missionaria nel mondo con sedi in molti continenti, matura nel clima di fervore riformistico e di fanatica infatuazione negli anni trenta dell’800, che vedono le chiese riformate anglo-americane e le società filantropiche impegnate nella crociata per l’abolizione della schiavitù e del suo fiorente commercio tra Africa e America. Nella richiesta di Livingstone di essere destinato in Africa, un continente quasi sconosciuto alla penetrazione missionaria, si esprime già in quell’incessante desiderio di superare sé e gli altri, che farà la gloria di Livingstone, ma si tradurrà in un’ossessione fatale fino al suicidio.
D.Livingstone (…) Quando nel 1840 Livingstone s’imbarca per il Sud Africa è un uomo di 27 anni, con qualche conoscenza primitiva della medicina e una preparazione dottrinaria, rozzo, taciturno, i tratti del volto già irrigiditi dalla spietatezza di carattere, limitato, intollerante, portato a giudicare gli altri secondo il modello di se stesso, ma adattabile e coraggioso. Lo shock che lo attende in Africa è violento, anche se a deluderlo non è la natura aspra e selvaggia, ma gli uomini, gli altri missionari privi di carica idealistica, rassegnati e occupati a denigrarsi a vicenda.
La missione ideale di Kuruman [a nord-est del fiume Orange], fondata da Robert Moffat (…) si rivela un arido e povero villaggio, dove Moffat è riuscito con inflessibile pazienza a convertire una trentina di africani, più riconoscenti che convinti. Del resto, come Livingstone non tarda ad accorgersene, gli indigeni ed i loro capi accettano il missionario perché è utile: è il “gunmender” (il riparatore di fucili) che dà consigli pratici e aiuta a guarire

 Alberta Gnugnoli
In cerca di Mr Livingstone
(da “Storia e Dossier”; n.103 del 03/1996)

KurumanLa missione di Kuruman viene illustrata in Gran Bretagna con immagini bucoliche, che sembrano riprese da un paesaggio nord europeo. In realtà, l’avamposto missionario è stato fondato nel 1821 dall’infaticabile Moffat, quasi a ridosso del deserto del Kalahari, in un ambiente tutt’altro che facile e lontano dai presidi sulla costa. Ma a Livingstone sembra non bastare… Deciso a fondare una “sua” missione, si spinge ancora più a nord fino a Mobotsa. Inflessibile e dispostico, litiga praticamente con tutti gli altri missionari che lo trovano insopportabile. In compenso, si conquista la simpatia dei portatori indigeni che ammorba con interminabili sermoni, ma risparmia dai colpi di bastone e di frusta (pratica universalmente utilizzata dagli altri esploratori) che Livingstone non userà mai.

La Famiglia LivingstoneNonostante le liti e le ripicche continue con gli altri religiosi, Livingstone resiste a Kuruman per quasi un quinquennio. Nel 1844 si sposa alfine con Mary, la grassoccia e pazientissima figlia di Robert Moffat, che gli darà cinque figli nell’arco di sei anni.
Quindi carica la famiglia su di un carro e si inoltre nei territori inesplorati del Nord-Ovest, senza mappe né guide, sempre a corto di viveri e rifornimenti, intenzionato a fare il pastore itinerante e ottenendo lo straordinario risultato di una sola conversione in cinque anni.
Coloni boeri nel Transvaal -- Illustrazione di Thomas BainesIn questo periodo, e miracolato dalla sorte, Livingstone inizia a maturare l’idea di poter aprire l’Africa centrale al commercio europeo, attraverso una rete di scambi fluviali, insieme alla costituzione di stazioni commerciali e missioni religiose, in un connubio calvinista di imprenditoria e fede.

«In questa prospettiva gli indigeni avrebbero rinunciato a vendere la propria gente come schiavi, solo se si fossero persuasi a commerciare i propri manufatti e i prodotti della terra, fra di loro e con gli europei, tanto da creare una economia di mercato che avrebbe spezzato l’atavico vincolo di solidarietà tribale e fatto emergere il profitto individuale e la proprietà privata.
(…) Ma quando si rende conto che gli africani sono appagati da quel poco che scambiano (fucili, tessuti e collane) e della loro vita “animale”, Livingstone accetta la spietata e inevitabile “necessità” di una penetrazione coloniale sostenuta dal governo.»

  Alberta Gnugnoli

Soprattutto, Livingstone si convince che lo Zambesi sia un gigantesco fiume navigabile che attraversa tutto l’Africa centrale e possa rispondere al suo grande progetto di civilizzazione.
Come divorato da una febbre misteriosa, è convinto di aver avuto un’idea originalissima e che altri possano batterlo sul tempo.
Nel 1849 Livingstone aveva già raggiunto il Lago Ngami e nel 1851 le rive dello Zambesi. Intorno al 1856 scopre le Cascate Vittoria. Al colmo dell’entusiasmo, fa ritorno in Inghilterra, intenzionato a trovare finanziamenti per una grande spedizione di esplorazione.
Victoria Falls at Sunrise - T.BainesQuindi, si disfa in tutta fretta della famiglia, senza preoccuparsi minimamente della loro sussistenza. Per quattro anni, Mary ed i suoi figli vivranno come derelitti, confidando nella carità altrui. E, se la moglie diventa un’alcolizzata morendo di dissenteria nel 1863, il primogenito Robert emigrerà in America per arruolarsi volontario nell’esercito unionista e partecipare alla Guerra di Secessione. Morirà diciannovenne nello spaventoso campo confederato di prigionia ad Andersonville.
AndersonvillePer convincere il governo britannico a finanziare la sua spedizione sullo Zambesi, persuaso com’è che il fiume sia navigabile, Livingstone incentiva l’invio di missionari per la creazione di nuovi avamposti, descrivendo la giungla africana come un “paradiso della ricchezza” aperto a chiunque lo voglia. Ispirati dai suoi sermoni (e dalle sue panzane interessate), azzimati studenti di Oxford e Cambridge si lanciano nell’impresa, lasciandoci le ossa. Convinto dalle fanfaluche di Livingstone, parte anche il vescovo anglicano Mackenzie, il quale creperà divorato dalla malaria e dalla spossatezza, insieme alla vecchia sorella che, nonostante l’età e per di più paralitica, ha voluto raggiungerlo in siffatto paradiso africano.
John KirkNel 1858, ottenuti i fondi necessari per la sua spedizione scientifico-geografica, il dottor Livingstone può finalmente intraprendere l’esplorazione del corso dello Zambesi, con il sostegno ufficiale del governo britannico. Ad accompagnarlo ci sono il biologo, fotografo dilettante, e naturalista scozzese John Kirk, convinto anti-schiavista e residente britannico nel sultanato di Zanzibar, e Thomas Baines all'età di 38 annil’esploratore sudafricano di origini inglesi Thomas Baines che lavora per conto della Royal Geographical Society. Baines è anche e soprattutto un illustratore di notevole talento, che immortalerà in splendidi acquarelli le tappe salienti della spedizione e le sue successive esperienze di viaggio in Rhodesia ed in Australia.
La spedizione dello Zambesi, tra alterne vicende, si protrarrà fino al 1863 e si rivelerà un fiasco colossale. Le dettagliate relazioni di Livingstone, insieme ai primi rilievi etnografici di Kirk, non bastarono ad entusiasmare i ministri britannici che nel cuore del futuro Congo non riuscivano a scorgere l’abbondanza di materie prime alle quali anelavano, né un ritorno economico tale da giustificare un cospicuo impegno finanziario e militare da parte dell’amministrazione imperiale.
Nonostante gli insuccessi, Livingstone è ossessionato dal suo sogno che sarà anche la sua maledizione. Non lo fermano i lutti in famiglia né le difficoltà a reperire nuovi finanziamenti per le sue esplorazioni africane. Nella primavera del 1866 è di nuovo in Africa con pochissime risorse. Fermamente deciso a scoprire questa volta le mitiche sorgenti del Nilo, tra il 1866 ed il 1873, proseguendo quasi a casaccio verso ovest, esplora senza un piano preordinato la vasta zona compresa tra il Lago Nyassa ed il Lago Tanganika nell’entroterra del sultanato arabo di Zanzibar.
The Great Western Fall - T.BainesGià nel 1866 si ammala gravemente, ma non desiste dall’impresa. E gli indigeni devono portarselo a spalla, mentre Livingstone delira febbricitante. Per i successivi tre anni di lui non si ha più quasi alcuna notizia…
David Livingstone sick  Al contrario di quanto a Livingstone piaceva far credere nelle sue memorie di viaggio, dalla sua spedizione nella regione del Tanganica non sarebbe mai uscito vivo, senza un aiuto concreto e fondamentale. Per uno di quei curiosi paradossi della Storia, a cacciare fuori dai guai l’altezzoso esploratore bianco, missionario cristiano e convinto antischiavista, fu uno dei più importanti mercanti di schiavi del sultanato islamico di Zanzibar: Tippu Tipil nero e musulmano devoto, Hamed bin Mohammed, meglio conosciuto col nome di Tippu Tip. Il soprannome deriva dal suono onomatopeico ad imitazione del crepitare dei fucili a pietra focaia, che Tippu Tip non esitava a scaricare contro i propri rivali durante le sue rappresaglie.
Nel 1867 e per i successivi 15 anni intraprende una serie di spedizioni commerciali a caccia di avorio e di schiavi, tra il Lago Tanganika ed il Lago Mueru dove incontrerà Livingstone
È Tippu Tip infatti a rifornire l’esploratore di viveri e salvacondotti, per potere attraversare indenne i territori dei vari regoli locali. Ed è sempre lui a far pervenire i suoi dispacci e le sue relazioni a Zanzibar, inoltrandole al console britannico.
Mercanti 'arabi' di Zanzibar - East Cost Africa (1884) - Foto di J.Kirk Di padre arabo e madre swahili, Tippu Tip è imparentato per via materna coi sultani neri di Tabora. Abile diplomatico e buon stratega, riesce a ritagliarsi un vasto dominio personale nelle regioni dell’interno, stabilendo la base delle sue operazioni nella cittadella fortificata di Nyangwe e assumendo il titolo di Sultano di Utetera. Ma la sua autorità e prestigio si estende anche nella cittadina di Ujiji sulle rive settentrionali del Lago Tanganika. Ed è proprio ad Ujiji che Livingstone troverà rifugio e verrà in seguito “salvato” da Henry Stanley, che fingerà di non essere stato portato direttamente sul posto dalle guide di Tippu Tip, che per di più provvede sia ai portatori che ai vettovagliamenti, per acquistare crediti presso il governo inglese.
Stanley and Livingstone in Ujiji 1871 (The Illustrated London News, 1872)H.M.Stanley Stanley raggiunge Livingstone ad Ujiji il 10/11/1871. L’impresa è stata in realtà voluta e organizzata, senza badare a spese, da James Gordon Bennett, direttore del New York Herald a caccia di scoop. Henry Morton Stanley, che in realtà si chiama James Rowland, è un gallese di umili origini naturalizzato statunitense.
Nato nel 1841 a Denbigh nel Galles, viene presto abbandonato in orfanotrofio. Appena adolescente, si imbarca come mozzo su un mercantile e fugge a New Orleans in Louisiana, dove viene preso sotto la protezione di Henry Morton (da cui la scelta del nome).

Durante la guerra civile americana si arruola nell’esercito della Confederazione, salvo poi disertare dopo la cattura in battaglia a Shiloh (1862) e passare tra le fila degli unionisti. Finita la guerra, si farà un nome come giornalista e diverrà un apprezzato corrispondente, con esperienze in Asia Minore, Turchia e Abissinia, finché nel 1869 non viene incaricato da Bennett di ritrovare Livingstone.

Compiuta la missione, si unirà al cocciuto scozzese per continuare insieme la missione esplorativa, nonostante Livingstone sia divorato dalle febbre malariche e fatichi a stare in piedi, tanto da muoversi unicamente in una sorta di portantina portata a spalla dai fedelissimi Chuma e Susi che alla sua morte (il 01/05/1873 per emorragia interna, a seguito di occlusione intestinale) si trasferiranno in Inghilterra.

Agnes and Tom Livingstone, Abdullah Susi, James Chuma and Horace Waller at Newstead Abbey (1874)

«I pensieri di Livingstone sono ormai soltanto sogni a occhi aperti, per cui continua pateticamente a scrivere dispacci, mai spediti, in cui annuncia nuove scoperte omettendo date e luoghi. Livingstone muore nel 1873, nel villaggio del capo Chitambo, a sud-ovest del Lago Bangweolo. Nell’arco di un ventennio dalla sua morte la politica inglese in Africa passa dal più deciso non-intervento alle annessioni dirette.
David Livingstone Su questa svolta, più che la dedizione ed il sacrificio di Livingstone, hanno inciso la pressione e la mediazione di un complesso network di società – tra le quali se ne contano di scientifiche come la Royal Geographical Society, filantropiche, e ultime non meno importanti quelle religiose – i cui interessi trovano una naturale convergenza nella idea plastica di una missione morale che Livingstone assegna agli inglesi in quanto “razza superiore”, come missionari attivi di civiltà in Africa e nel mondo. Ma la penetrazione europea in Africa avrebbe avuto conseguenze tali da amareggiare Livingstone: il fervore morale diventava diritto al potere e la conversione al cristianesimo la copertura della “santa crociata”, che avrebbe permesso al Regno Unito di mantenere la supremazia nel mondo attraverso un impero centralmente controllato.»

Livingstone malatoStanley si specializzò invece in altre missioni di ‘recupero’. Costruì abilmente il proprio mito e diventò uno dei più importanti agenti del colonialismo in Africa centrale, ma questa è un’altra storia…

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INDIANA (1)

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The Company

In totale naturalezza, Carl von Clausewitz affermava che la guerra fosse una naturale prosecuzione della politica. E tuttavia la famosa frase del generale prussiano è perfettamente sovrapponibile anche al mondo degli affari che, in tempi non lontani, ha interpretato l’espressione alla lettera, rimettendo la conquista di nuovi mercati alla canna dei fucili…
Più spesso si dimentica invece come la ‘guerra’ abbia costituito la condizione ideale dello stato minimo, meglio se di matrice liberale, che delega scelte e indirizzi all’iniziativa privata, limitandosi a tutelarne gli interessi economici nella compressione delle istanze sociali, in nome di quella ideologia economica (e politica) chiamata mercantilismo.
E se la “Società non esiste”, se lo ‘Stato’ è ridotto a mero guardiano dei diritti di proprietà, ne consegue che il fulcro di ogni potere risiede nella realtà economica, strutturata in holding company alimentate dai flussi del capitale finanziario.
In un siffatto contesto, la forma tipo è la corporation, nella quale lo Stato confluisce e si annulla in sostanziale identificazione. Peccato che una tecnostruttura economica, slegata dai principi di rappresentanza e funzionalità sociale, solitamente è immune dagli scrupoli e dalle ottemperanze costituzionali di un ordinamento democratico. E tutto si riduce ad una variabile dipendente dai rischi d’impresa. In tal senso, anche la guerra diventa un’opzione praticabile, ‘utile’ e finanche ‘giusta’, se presuppone un ritorno economico.
 Attualmente, è in corso una evoluzione o, se si preferisce, una regressione della visione sociale, attraverso una destrutturazione costante del pensiero politico. In quella rigidità emotiva da alienato anaffettivo, e che i media scambiano per “sobrietà”, il prof. Mario Monti è l’alfiere di una destrutturazione democratica in ambito continentale, che sotto il Pornocrate sarebbe stata impossibile. E da un potenziale narciso psicopatico siamo passati ad un sospetto sociopatico in paresi facciale. Il malcelato fastidio contro gli organismi rappresentativi, l’incredibile invettiva contro l’istituzione parlamentare (accolta in Italia con la più ovina accondiscendenza) sono i prodromi di una metamorfosi ben più profonda… È una forma mentis che, da verbo accademico, comincia a farsi carne e sostanza, grazie alla complicità e all’inerzia di una classe pseudo-politica in stato confusionale e prossima al completo disfacimento, in un condominio prigione dove la convivenza forzata sta per implodere nel caos.
In certo qual modo, la situazione odierna, con il costante declino di un sistema consolidato di garanzie, il protestarismo sterile, la perdita progressiva di ogni coscienza civile, ricorda un inquietante romanzo di James G. Ballard, il cui titolo originale è High Rise.
A livello storico, la prevalenza del potere economico sulla società, lo svuotamento dei poteri pubblici con la delega delle competenze, ricorda invece le grandi compagnie commerciali che a partire dal XVII si spartirono il mondo (frazionato in mercati), trasformando Stati e Governi in propri domini personali. A tutt’oggi, per longevità e onnipotenza, la storia della ‘Compagnia britannica delle Indie Orientali’ costituisce il caso unico di una società privata per capitali che volle farsi impero e per la bisogna si creò un esercito e si comprò un intero parlamento (inglese).

Un regno privato.
Costituita nell’ultimo giorno del 1600 su autorizzazione regia, la British East India Company (EIC), per quasi tre secoli, dominerà i mercati asiatici controllando le rotte commerciali dallo Stretto di Magellano al Capo di Buona Speranza, fino alla Malesia e la Cina. Assumerà il controllo diretto dei territori occupati, governando su milioni di individui. Eserciterà l’amministrazione della giustizia. Batterà moneta in proprio. Sarà la causa di rivoluzioni e guerre di indipendenza, dettando l’agenda di politica estera della Gran Bretagna.

Giunti in India attorno al 1608, gli agenti della Compagnia si aprono la strada con i cannoni delle loro navi, soprattutto ai danni dei portoghesi che dalla loro piazzaforte di Goa tentano di sbarrare invano la strada ai navigli inglesi. Quindi, con un’abile diplomazia e guerre vittoriose, la Compagnia toglie di mezzo i concorrenti europei: portoghesi, olandesi e francesi.
 Stabilito un primo presidio a Surat, sulla costa del Gujarat, la Compagnia si accorda con l’impero islamico dei Moghul, ottenendo una cospicua serie di privilegi in cambio di armi e aiuto militare. Soprattutto gli inviati della Compagnia riescono ad estendere la propria penetrazione commerciale anche nei territori del Bengala, a discapito degli interessi francesi, nonché a danno delle compagnie danesi e olandesi. Tramite una serie di trattative diplomatiche con la monarchia portoghese ed i sovrani Moghul, all’inizio del 1690 la Compagnia ha esteso il suo controllo anche a Bombay, Madras e Calcutta (Kolkata); cosa che le permette di intercettare il transito delle merci dal Mar Arabico al Golfo del Bengala.
 Per la difesa delle loro filiali e dei presidi commerciali, gli inglesi arruolano guardiani indigeni e mercenari occidentali (i brutali old toughs) che costituiranno il fulcro originario del Presidency Army della Compagnia, insieme ad una notevole flotta con armamento da battaglia, che i ‘presidenti’ della EIC non esitano ad usare a scopo intimidatorio e di rappresaglia, in vere e proprie campagne di guerra.
A tal proposito, a sottolineare come dietro a solidi principi di teoria economica si nascondano quasi sempre incredibili facce da culo, sarà il caso di ricordare sir Josiah Child. Direttore commerciale della EIC e tra i principali azionisti della Compagnia, Child è un pioniere nelle sviluppo della dottrina del libero scambio e delle moderne teorie monetarie. Sostiene la libera concorrenza, criticando aspramente l’intervento statale nell’economia e ogni forma di regolamentazione nella finanza. Peccato non si accorga che la ‘sua’ Compagnia agisca in regime di assoluto monopolio e possa godere di una serie di diritti esclusivi su concessione regia, che le assicurano un posizione dominante sul mercato soffocando ogni concorrenza.

 Insoddisfatto dei diritti commerciali concessi per decreto dall’imperatore Aurangzeb in Bengala, e dagli arbitri di alcuni governatori locali, sir Child scatenerà una vera e propria guerra (dal 1686 al 1690) contro i Moghul, mobilitando le truppe private della compagnia, inviando le navi della flotta a bombardare le città della costa bengalese e attaccando i convogli dei pellegrini diretti alla Mecca. In risposta, Child riceverà dall’esercito moghul una batosta umiliante; la revoca di molti dei diritti commerciali ottenuti; il pagamento di una pesantissima indennità di guerra; e soprattutto la pubblica umiliazione dei funzionari della Compagnia, costretti a prostrarsi ai piedi dell’imperatore e davanti a ghignanti dignitari francesi.
Aurangzeb, che si fa pomposamente chiamare “conquistatore del mondo”, è un fanatico integralista che dissanguerà il suo regno in una serie di guerre infinite contro le popolazioni pathan (i pashtun) dell’Afghanistan e i principi indù della confederazione Maratha. Feroce persecutore della comunità sikh, ne farà torturare e decapitare a migliaia.
Alla morte del feroce Aurangzeb nel 1707, l’Impero Moghul inizia un declino irreversibile, dilaniato da un continuo attrito di forze centrifughe che ne paralizzano l’azione in un’esistenza puramente formale. Nell’India frazionata in una miriade di feudi e piccoli regni, divisa in rissose confederazioni tra principati minori e in assenza di un governo centralizzato, indebolita dalle guerre tra regoli locali, dalle forti tasse che quasi ovunque opprimevano le popolazioni, dai governi incapaci e dal rallentamento nel commercio, l’espansione europea ha facile gioco. Perciò sarà assai facile per l’ambiziosa Compagnia delle Indie Orientali conquistarvi il predominio.

Il diritto delle genti.
 Per quanto riguarda i rapporti con le colonie francesi (e con l’omologa Compagnie française des Indes orientales), il territorio indiano diventa una sorta di prosecuzione asiatica delle guerre che in Europa oppongono le corone di Francia e Inghilterra, l’una contro l’altra armate: dapprima, nella “Guerra di Successione austriaca” (1741-1748) e poi nella “Guerra dei sette anni” (1756-1763).
Gli eserciti privati assicureranno alla Compagnia la supremazia nel controllo dell’India a discapito dei francesi, contro i quali combatteranno quasi ininterrottamente dal 1744 al 1763 (Guerre del Carnatico). Dovunque i francesi sostengono un principe indiano, gli inglesi riforniscono il suo rivale di armi, denaro, truppe e centri per l’addestramento militare. In questo modo, ne seguiva sempre una guerra locale e il vincitore rimaneva indebitato con i suoi sostenitori europei. In seguito, se non riusciva a soddisfare le richieste di diritti commerciali o fiscali, questi lo sostituivano con un governatore a loro scelta.
Le cose però non vanno sempre bene…
Nel 1756, gli agenti della Compagnia presenti a Calcutta, in previsione di un possibile attacco francese, iniziano ad ampliare e rinsaldare le difese di Fort William, costruito al tempo della guerra di Child contro i Moghul. Il principe Siraj ud-Daulah, giovanissimo nawab del Bengala che governa la città indiana, ordina l’immediata cessazione dei lavori non autorizzati, reputando le iniziative militari degli europei un’intollerabile interferenza al suo dominio. John Z. Holwell, che comanda la piccola guarnigione del forte, ignorerà completamente l’ordine del nawab indiano, che indignato assedia il forte con le sue truppe e costringe il presidio armato della EIC alla resa.

Siraj ud-Daulah, forse mal consigliato, fa rinchiudere tutti i prigionieri ed il personale occindentale presente in città dentro le famigerate prigioni del forte: una orrida fossa buia, conosciuta come “Black-Hole”. Non esistono misure certe sull’estensione della cella, né sul numero dei prigionieri rinchiusi. In proposito, circolano cifre assolutamente irrealistiche, con quasi 150 persone ammassate in circa 20 mq. Ad ogni modo, dopo neanche 24h di reclusione, a uscirne vivi furono solo in 23 su un numero di detenuti probabilmente vicino alle 64 unità.
Nel 1763 tutti i residenti britannici di Patna vengono giustiziati, per ordine del governatore moghul della città, Mir Qassim, che dopo essere stato estromesso dai commerci della Compagnia, pretendeva almeno il pagamento delle tasse dovute. Gli inglesi avevano pensato bene di introdurre clandestinamente carichi di armi in città, per armare una rivolta contro il governatore. Da qui la radicale soluzione al problema occidentale.
 Proprio questi “incidenti”, permetteranno alla Compagnia di consolidare il proprio dominio su tutto il Bengala ed estendere il proprio potere all’intero subcontinente indiano.
La conquista dell’India, ad opera di un esercito privato di dipendenti aziendali in armi, è in buona parte opera dei due generali-azionisti della compagnia, Hector Munro e Robert Clive: militari e manager a contratto per conto terzi. Entrambi contribuiranno ad organizzare e strutturare in maniera permanente l’esercito privato della EIC, perfettamente equipaggiato ed addestrato, che si rivelerà essere una formidabile macchina da guerra e di persuasione con migliaia di effettivi, arruolati tra gli indigeni (sepoy) ed europei di ogni nazione, regolarmente stipendiati dalla compagnia.
Robert Clive, con la vittoria alla Battaglia di Plassey (1757), ridurrà all’impotenza ogni velleità espansionistica dei non meno aggressivi francesi, alleati con i signorotti moghul del Bengala.
Hector Munro stroncherà l’ultima coalizione dei principi del Bengala alla Battaglia di Buxar (1764).


Ma a consolidare la supremazia britannica sui territori del Bengala, sarà la devastante carestia del 1770, sulla quale peraltro gli affaristi della EIC realizzarono enormi profitti, lucrando con i costi al rialzo sui generi alimentari di prima necessità.

Un’amministrazione equa.
 Sui metodi disciplinari e l’amministrazione della giustizia, gli ufficiali della EIC offrono subito un ottimo saggio sulla superiorità della civiltà occidentale, rispetto alla barbarie asiatica…
Tra le unità indigene (sepoy) di più antica formazione, inquadrate nell’esercito coloniale del Bengala, ci sono gli 820 fucilieri indiani del Lal Paltan, vestiti con la tipica giubba rossa (lal). Questa formazione costituirà il nucleo originario del futuro I° Bengal Native Infantry: i famosi fucilieri del Bengala. Arruolato nel 1757 dal maggiore-generale Robert Clive, è un reparto che si è fatto onore alla battaglia di Plassey.
Il 08/09/1764 nella località di Manji, i soldati bengalesi del Lal Paltan danno forse vita ad una delle prime rivendizioni salariali della storia militare moderna, chiedendo un aumento di paga attraverso l’attribuzione di una specie di bonus produttività (il batta). E nel farlo prendono in ostaggio i propri ufficiali, salvo ripensarci quasi subito. Il gen. Hector Munro spiccerà la faccenda a modo suo: fa afferrare una ventina di ammutinati, li lega alla bocca dei cannoni ed ordina ai suoi artiglieri di dar fuoco alle micce.


Questo originale metodo di esecuzione venne ampiamente impiegato durante la Grande Rivolta del 1857, quando nel maggio di quell’anno i sepoys dell’Armata del Bengala si rivoltarono contro i loro ufficiali europei.

«Il 12 Giugno [1857 n.d.r] a Peshawar, quaranta uomini sono stati processati, dichiarati colpevoli, e condannati ad essere giustiziati venendo dilaniati a cannonate. L’esecuzione è stata un terribile spettacolo. La truppa è stata schierata a formare i tre lati di un quadrato, al centro del quale sono state piazzate dieci batterie puntate verso l’esterno. In un silenzio mortale, è stata letta la sentenza del tribunale, e a conclusione della cerimonia, ad ogni cannone è stato legato un prigioniero con la schiena rivolta contro la bocca da fuoco e le braccia legate strettamente alle ruote del fusto.
Appena viene dato il segnale, la salva viene sparata. La scarica, come è ovvio, taglia il corpo in due; si possono vedere tronchi umani, teste, gambe e braccia volare via in un istante per tutte le direzioni. Siccome in questa occasione sono stati usati soltanto dieci cannoni, i resti umani sono stati rimossi per quattro volte. Dei quaranta condannati, tutti sono andati incontro al loro destino con fermezza, ad eccezione di due: al momento giusto, si sono lasciati scivolare a terra e le loro cervella sono state fatte schizzare via da una scarica di fucileria.
Un’altra esecuzione con modalità simili è avvenuta il 13 Giugno a Ferozepore, tutte le truppe disponibili ed i funzionari amministrativi sono convenuti per assistere alla scena. Alcuni degli ammutinati sono stati impiccati su delle forche erette durante la notte precedente e lasciati appesi. Gli ammutinanti sono stati portati nella piazza centrale, dove si è proceduto a leggere la sentenza della corte marziale.»

  Harper’s Weekly
  (15/02/1862)

Se però i condannati accettavano di diventare testimoni dell’accusa (Queen’s evidence), denunciando i nomi di presunti complici, potevano confidare nella benevolenza delle autorità, sperando in una dilazione di pena e vedersi commutata la condanna in impiccagione. È superfluo dire che in questo meccanismo, pur di sottrarsi al supplizio, i condannati snocciolavano nomi a caso coinvolgendo chiunque.


A Ferozepore, gli ammutinati che decisero di diventare delatori, una decina, furono sottratti all’ultimo momento dal gruppo dei condannati e costretti ad assistere alla sentenza capitale, coperti dagli insulti dei loro commilitoni prossimi all’esecuzione…

«Racconta un testimone oculare: “La scena e il fetore furono insopportabili. Mi sentii terribilmente sconvolto e potei notare che i numerosi spettatori indigeni erano terrorizzati; non solo tremavano come foglie, ma avevano assunto un colorito innaturale. Non fu presa alcuna precauzione per ripulire la bocca dei cannoni dai resti umani; la conseguenza fu che gli spettatori vennero pesantemente imbrattati dagli schizzi di frattaglie e un uomo in particolare rimase stordito da un braccio divelto che lo aveva colpito in pieno!»

Evidentemente, deve trattarsi dell’applicazione pratica delle massime del gen. Charles J. Napier, che pure non mancava di un certo spirito:

“La mente umana non è mai disposta meglio alla gratitudine e all’affetto, come quando è ammorbidita dalla paura”

C’è da dire che la grande rivolta indiana del 1857-1858 e l’estrema brutalità con la quale venne schiacciata, non portò fortuna alla Compagnia ed anzi ne decretò il declino, a partire dall’estromissione della EIC nel governo dei territori indiani che passarono sotto il controllo diretto della Corona britannica.

«La rivolta del ’57 durò diciotto mesi e causò un numero elevatissimo di vittime; la scintilla che l’aveva accesa era stata, ufficialmente, l’eccessiva ingerenza inglese nelle pratiche religiose locali, tra le quali bisogna ricordare c’era anche quella intollerabile per una mentalità occidentale che la vedova fosse bruciata viva sulla pira funebre accanto al cadavere del marito. Nell’anno e mezzo che ci volle per sedare la rivolta fu fondalmentale l’aiuto delle truppe del Punjab rimaste fedeli all’Inghilterra. La repressione fu molto sanguinosa e da allora i rapporti tra inglesi e indiani non furono più gli stessi. Il “grande ammutinamento” pose per sempre fine alla luna di miele che tale era stata fuor di metafora, considerando l’alto numero di matrimoni misti tra gli inglesi, che arrivavano quasi sempre senza famiglia, e che si legavano a donne indiane.»

  Peter Kelly
“L’Ultimo Impero”
  Panorama Mese (Ottobre 1982)

Diciamo anche che le cause della rivolta furono anche un po’ più complesse: oltre alle frizioni religiose e le discriminazioni, c’erano le requisizioni forzate, le confische arbitrarie di beni ed il sistema di espropriazioni alla base della famigerata dottrina dell’estinzione, che contemplava la decadenza dei diritti di proprietà (altrui). Con questa norma, una compagnia privata (nella fattispecie la EIC) poteva espropriare discrezionalmente l’aristocrazia indiana dei suoi possedimenti fondiari. Si aggiunga infine una tassazione sempre più spropositata e destinata a mantenere un esercito d’occupazione. Invece, a far crescere il malumore tra le truppe dei nativi, contribuì non poco (vera o falsa che fosse la diceria) l’uso del grasso d’origine animale (suino o bovino, che aveva il formidabile pregio di far incazzare tanto gli indù quanto i musulmani) usato per impermeabilizzare l’involucro chiuso (la ‘cartuccia’) con la carica di polvere da sparo, che per essere aperto andava strappato coi denti. Si aggiunga la distruzione dell’economia locale (l’industria del cotone), con la politica monopolistica perseguita dalla compagnia.


La tensione tra funzionari della compagnia e nativi montò velocemente, finché la rivolta esplose violentissima e si espanse come una fiammata.
A Cawnpore, nell’estate del 1857 si consuma uno dei fatti più gravi, quando un gruppo di residenti europei presi in ostaggio viene letteralmente macellato. D’altra parte, l’osceno massacro di Cawnpore verrà presto compensato dalle efferatezze dei soldati britannici. Dopo l’eccidio di Cawnpore, il ten. col. James Neill fa terra bruciata di tutti i villaggi che incontra sul suo passaggio trucidando la popolazione, col risultato di aumentare le adesioni nel numero dei ribelli. Uno degli attendenti del comandante Neill, il maggiore Renaud, ha un sistema infallibile per riconoscere gli insorti: l’espressione del viso. E per una questione di smorfie fa impiccare tutti i contadini che incrocia per la via, durante la sua marcia, col risultato che gli abitanti dei villaggi circostanti si danno alla fuga portando con sé tutte le provviste e lasciando la truppa a corto di rifornimenti.

Nella repressione vengono impiegati con successo i temibili gurkha nepalesi e le fedeli truppe dei Sikh. Ma nelle efferratezze si distinsero soprattutto i battaglioni europei e le unità di rinforzo inviate dalla Gran Bretagna. Né mancarono ufficiali che menarono pubblico vanto delle loro prodezze, inviando ai giornali inglesi dettagliate descrizioni delle loro atrocità o compiacendosi per quelle altrui. Vengono condotte rappresaglie indiscriminate contro la popolazione civile: monumenti, dimore patrizie, luoghi di culto… sono presi a cannonate per rappresaglia (una pratica che sarà riproposta anche in Cina). Le devastazioni raggiungeranno il culmine nel saccheggio di Dehli, dove la popolazione viene trucidata con cariche alla baionetta. Per ferocia e intraprendenza di saccheggiatore, si distingue il maggiore William Stephen Raikes Hodson, che diventerà famoso per il suo squadrone di cavalleria irregolare, gli Hodson’s Horse (o raiders), e la loro uniforme color kaki per meglio mimetizzarsi negli agguati.

Dopo la conquista di Dehli, l’antica capitale Moghul, il maggiore Hodson farà recapitare al vecchio sovrano la testa dei suoi figli, che ha ucciso personalmente e provveduto a far decapitare dopo la resa.

Tuttavia, nella prosa di alcuni storici britannici, tutto degrada dolcemente in una atmosfera quasi aulica, appena offuscata da qualche incomprensione…

 «Tutto era cominciato nella prima metà del XVII secolo. In quell’epoca gli Inglesi presenti in India erano soprattutto mercanti, ma c’era qualche soldato di ventura che poneva la sua capacità militare al servizio di qualche rajah, per garantirgli la vittoria nelle sue piccole guerre locali. In entrambi i casi, si trattasse cioè di mercanti o di soldati, questi inglesi erano dei professionisti che rimanevano in India fino a quando lo richiedeva il loro lavoro. Finito questo o trascorsi gli anni della vita in cui lo si poteva svolgere, rientravano in Inghilterra.
Questa rotazione ininterrotta, che si è mantenuta anche quando l’India è diventata un possesso della Corona, ha avuto due conseguenze principali: la prima è che in India non si è mai formato una vera classe di coloni residenti come invece è accaduto altrove (per esempio nelle colonie inglesi in Africa). La seconda è che questi mercanti e questi soldati, che rientravano in patria dopo venti o trenta anni di vita coloniale, hanno contribuito a trasformare il costume inglese quasi nella stessa misura in cui, con la loro presenza in quella colonia, avevano cambiato il costume indiano.
Per quasi un secolo e mezzo questo intricato rapporto ruotò attorno a un interesse commerciale prevalente, rappresentato dal cotone. Una fibra tessile a basso costo era allora in grado di modificare radicalmente le abitudini inglesi e, più in generale, europee. Quando si fu in grado di produrre e tessere cotone in abbondanza, ci si rese conto che la nuova fibra poteva sostituire la seta e il lino nella fabbricazione della biancheria e che, di conseguenza, la maggior parte delle persone avrebbe potuto cambiarsi con molta più frequenza di prima. Ai tempi del Re Sole e di Luigi XVI era stato necessario inventare complicati profumi, per poter sopravvivere ad una riunione di molte persone in un ambiente chiuso; l’arrivo del cotone rappresentava, anche da questo punto di vista, un’importante novità e anzi quasi una rivoluzione del costume.
Per la tessitura del cotone l’India disponeva di una fitta rete di piccoli laboratori artigiani, spesso a conduzione familiare. Purtroppo quei laboratori erano destinati a non durare molto. Quando in Inghilterra cominciò a svilupparsi quella che in seguito sarebbe stata definita “rivoluzione industriale”, gli imprenditori inglesi scoprirono in brevissimo tempo che era molto più conveniente importare il cotone dalle piantagioni degli Stati Uniti, dove il lavoro degli schiavi consentiva costi di partenza irrisori, tesserlo sui telai a vapore delle nascenti industrie del Lancashire e quindi spedire in India le pezze già tessute.
Nel giro di pochi anni l’India diventò così da esportatrice a importatrice di cotone. E questo rovesciamento della bilancia commerciale nel settore tessile soppiantò e distrusse la sua piccola industria cotoniera. Per dirla tutta, l’India si trasformò in un mercato monopolistico per i cotoni di fabbricazione inglese.
L’esempio del cotone mostra bene come per una quantità di anni il destino dell’India venne deciso non tanto dal Parlamento di Londra, quanto dalla Camera di Commercio di Manchester. Si può discutere a lungo se i mercanti siano peggiori o più oculati amministratori dei politici; quello che è certo è che i mercanti prediligono la stabilità amministrativa e la quiete politica. La conseguenza di questa predilezione fu che la Compagnia delle Indie cominciò ad arruolare sempre più apertamente un esercito, formato da milizie quasi interamente indiane, e con la forza di questo braccio armato, nonché di un controllo politico sempre più esteso, riuscì a far scomparire dall’India gli altri insediamenti coloniali: portoghesi, olandesi e francesi.
In definitiva, da Calcutta il dominio inglese si estese a tutto il subcontinente e nel 1849 anche l’ultima provincia, il Punjab, venne annessa al prezzo di considerevoli sacrifici; sia perché i guerrieri sikh erano fin da allora molto coraggiosi, sia perché potevano contare sulla consulenza di esperti artiglieri francesi, reduci della Grande Armée di Napoleone.»

 Peter Kelly
“L’Ultimo Impero”
 Panorama Mese (Ottobre 1982)

In realtà i consulenti d’artiglieria che offrirono i loro servigi ai vari principi indiani, in buona parte, non erano francesi, ma.. italiani! Tuttavia, la folla di personaggi incredibili e pittoreschi, ufficiali di ventura e avventurieri europei al servizio delle corti più esotiche, riserva sorprese davvero inaspettate e meriterà una trattazione a parte…

 Continua.

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Relazioni di ricorrenza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 1 marzo 2011 by Sendivogius

Deve essere davvero lo spirito dei tempi, uno zeitgeist cupo e desolante, se l’Italia è costretta a celebrare il 150° della sua unificazione tra flatulenze secessioniste e panzane federaliste, tra revanchismi borbonici e reazione sanfedista, alternate alla retorica ufficiale di circostanza, con i suoi stanchi rituali cerimoniali sempre più svuotati di senso.
Tra i miti assolutori “degli italiani brava gente”, le processioni pagane di santi, madonne e atei devoti, insieme a qualche mega-appalto patriottico a stuzzicare l’appetito dei soliti noti, si avviano ad esaurimento i festeggiamenti (ancor prima di cominciare) del peggior compleanno per una Italietta sempre più guelfa, rigurgitata in nuovo temporalismo pontificio e raggrumata attorno all’Unto della Provvidenza coi suoi inviti ossessivi al bunga-bunga.
Ed è una pessima coincidenza, dopo un decennio dall’inizio di una ‘missione’ nella quale ormai non crede più nessuno, dover accogliere le spoglie dell’ennesimo caduto nel pantano afgano, in concomitanza con un’altra guerra dimenticata, che proprio 115 anni fa raggiungeva il suo epilogo nella catastrofica Battaglia di Adua del 01/03/1896…  

Era il tempo in cui l’Italia esportava la civiltà sulla punta delle baionette, in nome di una più alta missione umanitaria e di sviluppo, favorendo le condizioni per nuovi investimenti economici riassumibili nella formula: oppressione e buoni affari.
Sono eventi storici lontani, dai quali è difficilissimo trarre analogie con la realtà attuale!
La disfatta di Adua, nell’ambito delle Guerre Abissine, risponde ad un’antica specialità tutta italiana nell’infognarsi in conflitti inutili e senza sbocco, onde compiacere l’ingombrante alleato di turno, per mera piaggeria diplomatica, o appagare velleità da “grande potenza”.
Si tratta di quelle ricorrenze, che i maestri di cerimonia non ricordano mai volentieri e sulle quali solitamente glissano. Eppure costituiscono episodi evocativi dell’identità di un Paese e della sua pseudo ‘classe dirigente’. Questo perché la Storia d’Italia è innanzitutto una storia di guerre, di restaurazioni e governi autoritari, mediocri politicanti e corruzione endemica, tra l’indifferenza di una plebe bovina beatamente assopita sul proprio status servile.

UN POSTO AL SOLE
 Il giorno quindici del mese di Novembre dell’anno 1869 secondo l’era degli europei, un distinto signore bianco, in abiti di lino, acquista per un pugno di talleri una piccola baia a ridosso del deserto della Dancalia, la Terra del Diavolo, per stabilire uno scalo commerciale in uno dei posti più inospitali del pianeta. Pertanto, su incarico della “Compagnia navale Rubattino”, già specializzata in missioni patriottiche come lo sbarco dei Mille (giusto qualche anno prima), il sig. Giuseppe Sapeto, missionario dell’Ordine di S.Lazzaro, rileva dal clan dei ben-Ahmad il porticciolo di Assab, agli attuali confini tra l’Eritrea e Gibuti.
Nel 1882, la proprietà viene ceduta al Regno d’Italia ed è destinata a diventare il primo possedimento italiano d’oltremare. Lo scalo di Assab è in realtà un grumo polveroso di capanne arroventate dal sole, con un livello record di umidità, e circondato dalle tribù ostili degli Afar, ma al governo italiano sembra un affarone da raddoppiare…
Nell’ultimo ventennio del XIX°sec. il Sudan orientale, all’epoca invaso dall’Egitto, è percorso dalla grande rivolta dei Dervisci, che non sono gli innocui ‘dervisci danzanti’ cari all’iconografia turca ma spietati tagliagole del deserto, esaltati dal verbo jihadista di Muhammad Ahmad che gli insorti chiamano al-Mahdi (Il Profeta). Gli inglesi imparano presto a loro spese la pericolosità dei guerrieri sudanesi, che spazzano via una dopo l’altra le deboli difese anglo-egiziane, fino alla conquista di Khartum e la morte di Charles George Gordon (Gordon pascià) neo-governatore del Sudan.
Per gli amanti del cinema, l’intera vicenda è raccontata nell’ottimo film agiografico del 1966, “Khartoum”, con Charlton Heston nei panni dell’eroico imperialista bianco; mentre, in tempi più recenti, per i palati meno raffinati, va sicuramente ricordato il film di Shekhar Kapur, con un Heath Ledger agli esordi (e ancora vivo): “Le quattro piume” (2002), tratto dall’omonimo romanzo di A.W.Mason (1902).

 Nel Febbraio 1885, approfittando del conflitto sudanese, le truppe italiane sbarcano nel porto di Massaua, presidiato da una piccola guarnigione egiziana che colta alla sprovvista subito si arrende. L’occupazione della regione circostante  da parte dell’Italia non colmava però un vuoto di potere: ai vari sultani locali, si aggiungevano le rivendicazioni di ben tre governi: turco (ufficialmente la zona era ancora parte dell’Impero Ottomano); egiziano ed etiopico.

«Su tutto vegliava l’influenza della Gran Bretagna, che ovviamente era tutt’altro che super partes. Londra aveva negoziato o imposto nel 1884 un regolamento diplomatico, noto come Trattato di Hewett dal nome del funzionario inglese che lo formulò, riconoscendo all’Etiopia una specie di sovranità nella regione del Mar Rosso. Lo sbarco italiano a Massaua poté avvenire proprio perché la Gran Bretagna diede, più o meno di buon grado, il suo assenso, forse non immaginando che l’Italia, alleato improprio in quel momento nella spartizione dell’Africa Orientale per sottrarre quanto più territorio possibile alle mire espansionistiche di Francia e Germania, rivali ben più temibili, si sarebbe spinta fino ad impiegare le armi.»

«L’Eritrea fu creata con questo nome il 1° Gennaio 1890. Oltre che dalla compiacenza di Londra, le operazioni italiane furono facilitate dalle incursioni delle truppe mahadiste che arrivarono fino a Gondar, costringendo l’imperatore etiopico sulla difensiva.
[…] L’Eritrea nacque composita, ripetendo, in piccolo, la stessa pluralità dell’impero a cui in passato quelle terre, più o meno precariamente, erano appartenute. La denominazione di Eritrea, (fu) ideata da Ferdinando Martini riprendendo il nome greco e latino del Mar Rosso, (che) per certi versi rispecchiava l’identità di un popolo che nella versione locale era chiamato Bahri [gente del mare per distinguerla dalle popolazioni dell’altipiano].»

 Giampaolo Calchi Novati
 Da Assab alla Colonia Eritrea:
 formazione di una nazione o invenzione di un territorio?
 Roma 1994

Il testo è stato estrapolato da una relazione presentata ad un convegno del ‘Centro italiano per gli studi storico-geografici’ e riportata nel volume:  “Colonie africane e cultura italiana fra ‘800 e 900”, a cura di Claudio Cerretti; C.I.S.U. – Roma 1995.

Con l’occupazione di Massaua, l’Italia si affaccia da buon’ultima nel panorama delle potenze coloniali, accontentandosi degli scarti ancora disponibili sul tavolo dei grandi Imperi. E con la lungimiranza che ci è solita, si decide di andare a rompere le scatole all’unico territorio dell’Africa subsahariana con un minimo di organizzazione statale, governanti riconosciuti (e di religione cristiana in un arcipelago islamico), un forte esercito tribale di guerrieri organizzati e discretamente armati, almeno secondo gli standard africani dell’epoca.

Tuttavia, per i colonialisti contagiati dalle febbri allucinatorie del maldafrica, quella striscia sterile di terra rovente costituisce il miraggio di un Eden ritrovato, che si nutre di liriche appassionate e di struggenti peana che esaltano lo splendore esotico di luoghi benedetti dalla prosperità:

«Le eleganti piante, alte due volte la statura di un uomo, coll’ampio fogliame compongono gallerie ombrose sulle quali la luce filtra giallognola e verdiccia con effetti fantastici. Giganteschi grappoli di frutti pendono gravi fino a terra, fiori carnosi stragrandi si curvano al suolo gocciolando umori vischiosi. La terra, pregna d’umidità, morbida e attaccaticcia, rimane impressa di orme profonde, che si riempiono d’acqua, ed esala effluvi intensi e grassi, quasi a sprigionare l’esuberanza di feracità che custodiva da secoli nel suo grembo.»

 Renato Paoli. Nella Colonia Eritrea, Studi e Viaggi. Milano 1908

La maggior parte delle elegie sono all’insegna di un trasporto sensuale pervaso da una carica erotica che rasenta la fisicità carnale, da parte di chi l’Africa vorrebbe fotterla non solo metaforicamente, magari con la scusa di descrivere la danza delle baiadere sudanesi:

«La danzatrice lascia sfuggire grida appassionate a cui rispondono esclamazioni appassionate delle accompagnatrici […] Dei fremiti nervosi le agitano tutta la persona, il petto tondeggiante e abbondante le si solleva e si fa ansimante: la passione ha vinto.
[…] Con alcuni passi striscianti, la lasciva si avanza verso quello degli spettatori che ha scelto come oggetto della sua artistica passione, poi si arretra, poi si avanza ancora, resiste un’ultima volta e finalmente tutta palpitante, la bella Venere si abbandona nelle braccia dello spettatore, il cui eccitamento ha raggiunto il sommo orgasmo.»

 Gugliemo Godio.Vita africana. Ricordi di un viaggio in Sudan Orientale. Edizioni Vallardi; Milano 1885

Più realisticamente, il vercellese Augusto Franzoj, che nel Corno d’Africa ci va davvero e non compone auliche patacche, a consumo dei gonzi che sognano in Italia, così descrive la cittadina eritrea nelle sue “Aure africane”:

«Massaua è il più sgradito paese del Mar Rosso. Ai tempi di Mosè questo mare era il prediletto da Dio. Ma ora Dio l’ha proprio dimenticato. Tutte le sette piaghe d’Egitto sono venute a lasciare qui ciascuna una buona parte delle sue miserie.
A Massaua, specialmente per me, nuovo giunto dalle Alpi, la vita è insopportabile. Sebbene non si sia ancora in pieno estate – il termometro all’ombra s’arrampica già fino al 40° grado! Più tardi probabilmente darà la scalata al sole. L’afa intanto è opprimente. E’ fuoco quello che si respira. L’acqua che si beve – anziché dare refrigerio al corpo, vi apporta un incredibile malore poiché è caldissima, amara e salata; ed a noi, non avvezzi, dà il vomito. Aggiungasi a questa delizia le mosche, le zanzare, le formiche, le cimici con un’infinità di animaluzzi sconosciuti, microscopici che saltano, volano o strisciano ma che mordono tutti maledettamente senza lasciare un minuto di tregua […] Si cerca l’ombra ma invano. Dove non giungono i raggi del sole, ne arriva il riverbero che ci arroventa ugualmente il viso.
Attorno a Massaua non si scorge che mare e deserto – giacché essa è un’isola che solo fu unita al continente per mezzo d’una diga lunga 1200 metri.
Non il più piccolo filo d’erba nasce sotto questo cielo che pare maledetto. Non una pianta, non un arbusto cresce su quest’isola vulcanica che il governo egiziano con raffinatezza di crudeltà destina in esilio a coloro di cui vuole sbarazzarsi.
[…] Dall’alto del nostro terrazzo vediamo tutta Massaua, le cui misere capanne fatte di stuoie e di rami, a gruppi circondano le poche case in muratura bassa e pesante che sole esistano qui.»

Una voce quasi isolata, perché ciò che conta, e va per la maggiore, sono le trasfigurazioni esotiche nella prosa ispirata degli aedi della propaganda ufficiale: gli alfieri prezzolati di un giornalismo d’accatto che in Italia, salvo rare eccezioni, non ha mai saputo alzare il capo dalla mangiatoia dei loro interessati finanziatori.

ESPORTATORI DI CIVILTÀ
 Ansioso di valorizzare questo ‘paradiso’ in terra africana, il Regno d’Italia non lesina mezzi né sforzi con un’intraprendenza ben tollerata dai britannici, che vedono nelle truppe italiane e nelle loro mire espansionistiche un utile diversivo per tenere impegnati i dervisci del Sudan.
E inizialmente, nonostante l’Eccidio di Dogali (1887), la strategia sembra funzionare. Con la conquista di Asmara (1889), gli italiani assolvono alla loro funzione di contenimento (dal 1891 al 1895), respingono in dervisci ad Agorbat ed occupano la città ribelle di Cassala in territorio sudanese.

 «Massaua era stata solo l’inizio. Dalla costa ci si spinse verso il ciglione dell’Altopiano, dove sorge Asmara. Da Asmara si pensò ora al Sudan, allora in rivolta e apparentemente sfuggito di mano agli inglesi, ora all’Etiopia: ma fu quest’ultima la via intrapresa.
Si pensò di far facile leva sulle divisioni regionali e addirittura a girarle a proprio vantaggio, talora incautamente (come nel caso dell’aiuto dato al giovane ras scioano Menelik, aiutato a proclamarsi Negus ma poi rivelatosi un campione della difesa dell’autonomia anticoloniale dell’Etiopia, anche se a prezzo dell’abbandono dell’Eritrea).
Ma non ci si fermò; non si capì a fondo che Addis Abeba, Menelik, gli etiopici potevano tollerare una presenza italiana sulla costa o sull’altipiano sino al Mareb ma non potevano italiana nel Tigrè, dal quale in passato erano venuti principi ed imperatori o addirittura assistere inermi ad un’avanzata ancora più a sud.
In una parola, l’Italia si lasciò prendere dall’entusiasmo per le prime vittorie e sopravvalutò il successo del suo primo insediamento, sottovalutando sprezzantemente la forza etiopica.»

 Nicola Labanca
 “Un Colonialismo in ritardo”
 (Marzo 1996) 

Le operazioni vengono coordinate dalla reggenza militare della nuova colonia: il tenente generale Oreste Baratieri ed il suo vice Giuseppe Arimondi (ancora colonnello). L’esplorazione del territorio ed i rilievi geografici sono invece di pertinenza della “Società geografica italiana”, un istituto glorioso che vanta fior di studiosi. Nei confronti degli autoctoni, i resoconti etnografici mancano di ogni empatia che, se mai c’è stata, è destinata a scomparire presto sotto gli effluvi di un colonialismo straccione, ma non per questo meno borioso.
Sulla natura dell’occupazione e sulla missione civilizzatrice del colonialismo italiano sussistono pochi dubbi:

«Atteniamoci dunque una buona volta alla realtà; lasciamo in disparte le allucinazioni, gli entusiasmi, i racconti dei poeti, e conveniamo che per quei popoli, due solamente possono essere i fattori di civiltà: il cannone e le vere, estese, efficaci conquiste commerciali»

 G.Bianchi. “In Abissinia. Alla terra dei Galla”. Treves; Milano 1886

A quanto pare, Gustavo Bianchi, esploratore della “Società geografica italiana”, è uno con le idee chiare, immune ai lirismi che alimentano i quadretti bucolici in patria.
Coerentemente, finirà fatto a pezzi dalle tribù degli Oromo, durante una delle sue spedizioni scientifiche verso l’interno dell’Abissinia.

Ancora più esplicito è Ferdinando Martini, geografo e primo governatore non militare dell’Eritrea, della quale ha coniato il nome stesso:

«Chi dice s’ha da incivilire l’Etiopia dice una bugia o una sciocchezza. Bisogna sostituire razza a razza: o questo o niente […] All’opera nostra l’indigeno è un impiccio: bisogna rincorrerlo, aiutarlo a sparire, come altrove le Pelli Rosse, con tutti i mezzi che la civiltà, odiata da tutti per istinto, fornisce: il cannone intermittente e l’acquavite diuturna. I colonizzatori sentimentali si facciano coraggio: fata trahunt, noi abbiamo cominciato, le generazioni a venire seguiranno a spopolare l’Africa dei suoi abitatori fino al penultimo. L’ultimo no: lo addestreremo in collegio a lodarci in musica, dell’avere, distruggendo i negri, trovato finalmente il modo di abolire la tratta.»

 Ferdinando Martini. “Nell’Africa italiana. Impressioni e ricordi”. Treves; Milano 1895

Stranamente, le popolazioni etiopiche dell’Abissinia non sono dello stesso parere e, chissà perché, oppongono una strenua resistenza alla penetrazione italiana ed ai suoi corpi armati di spedizione, irriducibilmente ostili ai benefici di tanta civilizzazione.
A tal proposito, la firma del Trattato di Uccialli (1889) costituisce uno di quei capolavori insuperati della nostra diplomazia, e ancora oggi rimane tra le pietre miliari di certi ‘trattati bilaterali di amicizia’

 Il Ras Maconnen, cugino di Menelik e vicerè della regione dell’Harraz, venne invitato in Italia dopo la firma del Trattato di Uccialli. La delegazione etiope sbarcò a Napoli e sulle prime non venne ricevuta bene dalla folla, memore del massacro di Dogali del 1887, dove una colonna dell’esercito italiano era stata annientata da Ras Alula. Maconnen non aveva preso parte a quella battaglia, ma l’opinione pubblica non era in grado di fare sottili distizioni fra i vari Ras. Le autorità italiane, preoccupate di rendere più solido il trattato con l’Etiopia, soffocarono prontamente l’incidente.
Ras Macconnen venne condotto in visita alle acciaierie di Terni, dove si fabbricavano le paratie delle corazzate, e poi su a Milano, per l’ esatezza nella zona dell’ attuale aeroporto di Malpensa. Qui in campo nebbioso, lo fecero assistere alle manovre di 30 squadroni di cavalleria. Infine venne accompagnato a Roma, dal Re in persona, e la delegazione trovò ad attenderla un imponente schieramento militare. si voleva chiaramente impressionare il giovane Ras con un esibizione di potenza. […] Ma l’esotismo del Ras e i suoi discorsi avevano finito per attirare le simpatie dell’opinione pubblica. La delegazione etiope si presentò con mantelli ricamati d’oro e d’ argento, spade e scudi tempestati di pietre preziose. Maconnen portava un turbante decorato con ottocento piume dorate. E aveva con se ricchissimi doni per il Re. tra i quali una decina di zanne d’elefante. Di fronte a tanto splendore, gli italiani restarono senza fiato. il Re Umberto stesso, stando alle cronache, si ritrovò imbarazzato ed impacciato. Maconnen ne approfittò, ottenendo un prestito di 10 milioni (destinanto a spese militari) e ordinando 4 milioni di cartucce! In seguito, più volte nel corso della guerra, gli italiani cercarono di mettere Maconnen contro Menelik, ma lui restò sempre fedele al suo sovrano, rivelando formidabili attitudini sia militari che diplomatiche.

 Gianfranco Manfredi
 (Aprile 2008)

Con i fondi generosamente concessi dal governo italiano, il buon Makonnen fa incetta di armi, soprattutto di nuovissimi fucili Vetterli-Vitali per non deludere le aziende produttrici italiane. Quindi le collauderà pochi anni dopo contro gli stessi italiani, e con ottimi risultati, prima nella battaglia dell’Amba Alagi (07/12/1895), poi nella conquista del forte di Macallé (Gennaio 1896), e infine ad Adua.

UN UOMO DEL FARE
 Anno 1895. Al governo c’è Francesco Crispi, ex repubblicano e garibaldino della prima ora; uomo di spregiudicato cinismo e dalle ambizioni smisurate, come la storia italiana ne ha conosciuti tanti. Crispi  è quello che ha convertito i latifondisti siciliani alla causa unitaria, guidando l’assalto dei picciotti a Palermo, a sostegno della (resistibile) avanzata dei Mille, prima di convertirsi alla causa dei ‘moderati’ più oltranzisti.
Per descrivere il personaggio viene persino coniato un nuovo neologismo: megalomane.
Il gabinetto Crispi rappresenta il primo, vero, governo autoritario con venature dittatoriali, dietro la facciata della finzione democratica di un Parlamento esautorato da ogni potere.
Invece, per rinsaldare il proprio di potere, minato dagli scandali bancari e dalle vicende boccaccesche della sua vita privata, Crispi preme sul povero generale e governatore Baratieri (altro reduce dei Mille di Garibaldi) per una vittoriosa offensiva contro l’impero etiopico, da sventolare a personale uso politico. Con un profluvio di telegrammi schizoidi, Crispi invita il generale all’attacco raccomandando però cautela.

 
 Oreste Baratieri, trentino, esponente della Destra storica, militare di professione, colonialista convinto, pubblicista africanista è tenuto in gran conto come geografo dai suoi contemporanei, come dimostra il suo ruolo di rilievo nella “Società geografica italiana”. Infatti, per la sua avanzata militare usa mappe completamente sballate, non solo nelle distanze e nella disposizione dei vari monti che costellano l’altipiano etiopico, ma persino nella definizione dei punti cardinali (l’Ovest al posto dell’Est).

«In Africa la guerra coloniale, dopo i primi successi che avevano suscitato entusiasmi, andava a rilento. Le truppe del generale Baratieri conobbero anzi qualche umiliante sconfitta. Anche nelle fila dell’ampio ma eterogeneo schieramento parlamentare che sosteneva il governo cominciarono a levarsi voci critiche, segni di malumore. Per eliminare quel fastidio, Crispi ricorse al già collaudato sistema di richiedere al re una proroga della sessione parlamentare, mettendo in quarantena il parlamento.
Ma stavolta lo stratagemma autoritario non poteva reggere a lungo. Crispi inviò al generale Baratieri un brusco messaggio di esortazione a darsi da fare per risolvere vittoriosamente la guerra. Timoroso di essere sostituito, Baratieri forzò la situazione per obbedire a Crispi e portò le truppe italiane alla clamorosa sconfitta di Adua.
Crollava in quel disastro militare il sogno di grande potenza cullato dalla borghesia italiana. Un’opinione pubblica delusa – che aveva perdonato a Crispi il saccheggio di pubblico denaro ed era stata indulgente sui suoi deplorevoli comportamenti umani (persino, caso eccezionale, sulle sue corna) – non gli perdonò l’umiliazione di Adua. L’improvvisa frustrazione originata nel ceto medio italiano da quell’episodio inatteso fu probabilmente una di quelle ragioni che, a livello psicologico, spianarono la strada alle esasperazioni scioviniste in cui vent’anni dopo avrebbe trovato humus favorevole il fascismo.»

 Sergio Turone. “Corrotti e Corruttori”. Laterza, Bari 1984.

Movimenti delle brigate italiane in marcia verso Adua 

La mappa con la posizione ravvicinata (ed errata) delle colline

La mappa originale e totalmente inesatta fornita dal Comando ufficiale

Basandosi su una topografia inesatta e alcuni schizzi geografici tracciati a mano su un pezzo di carta, Baratieri divide la sua armata in quattro colonne, comandate dai generali Matteo Albertone, Giuseppe Arimondi, Vittorio Dabormida, Giuseppe Ellena che muove affiancato da Baratieri, divisi su tutto: nella marcia come nelle reciproche rivalità. Le colonne si muovono separatamente, seguendo coordinate sbagliate, si attestano su posizioni troppo distanti l’una dall’altra, e vengono attaccate singolarmente dagli abissini che a decine di migliaia sciamano sui reparti sparpagliati tra le colline intorno ad Adua.

Il generale Albertone mette il turbo ai suoi 4.000 uomini, pensando forse di partecipare ad una maratona, e stacca completamente le altre colonne di rinforzo, rimanendo coi fianchi scoperti e completamente isolato sull’Enda Chidane Meret, finché non viene investito da un assalto frontale di 30.000 guerrieri, che travolgono i suoi ascari dopo una valorosissima resistenza.
Il generale Dabormida viene sorpreso dall’attacco mentre fa colazione. Nel tentativo di soccorrere la brigata di Albertone, si infila in un vallone e viene massacrato insieme ai suoi soldati, sui quali si abbatte dall’alto una pioggia di piombo e zagaglie.
Il generale Arimondi resiste disperatamente con la sola copertura delle sue artiglierie fra il colle Rabbi Arienni ed il Monte Rajo. Nessuno dal comando di Baratieri si preoccupa di informarlo sul destino delle altre brigate, né di predisporre un qualche piano di ripiegamento con un minimo di copertura. Annientate le brigate Dabormida e Albertone, le armate del Negus travolgono gli uomini di Arimondi su ogni lato.
I generali Ellena e Baratieri, che pure guidano la riserva e sono attestati non troppo lontani dal Monte Rajo, dormono sette sonni da piedi e si rendono troppo tardi conto della catastrofe. Spezzettano ulteriormente i loro reparti in singole compagnie spedite a tappare le falle dello schieramento, ritrovandosi loro stessi accerchiati sul Rajo e riuscendo a stento a salvare la pelle.

Naturalmente, dinanzi alla sconfitta di Adua, non mancano le tesi complottiste… La vulgata assolutoria vuole che ci siano stati consiglieri militari francesi e strateghi russi (il fantomatico conte Leontieff) a guidare gli scioani del Negus Menelik II e a coordinare le manovre dei cavalieri Galla, inondati di armi modernissime (manco fosse il Giappone della Restaurazione Meiji) da sedicenti mercanti armeni, tali Sarkis e Terzian, e niente popò di meno che Arthur Rimbaud..!

Spesso la realtà è molto più semplice, specialmente se si considerano quali fulmini di guerra abbiano sempre rivestito gli alti comandi del Regio Esercito.
Ma noi, afflitti dalla Sindrome di Calimero, preferiamo giocare al solito vittimismo. E ci balocchiamo compiaciuti con le menate eroiche, costruite appositamente negli uffici della propaganda di guerra, a consolazione degli impettiti imbecilli che si commuovono giocando ai soldatini sulla poltrona di casa, convinti che una guerra sia la variante disordinata di una parata militare… e non uniformi lerce, latrine infette, rancio infame, tanfo di merda e sudore.

E così c’è chi, in attesa di nuove ed eroiche gesta, si consola con gli episodi edificanti:

C’è il tenente colonnello Merini, che pur ferito a morte, continua a spronare il suo battaglione di Alpini nel furore della battaglia.

Il sergente Pannocchia che muore aggrappato al suo pezzo d’artiglieria, trasformato in una sorta di feticcio erotico in anticipo sul cyberpunk, dal quale il povero sottufficiale mai e giammai vorrebbe separarsi, in pieno amplesso, pur invitato al distacco da un serafico ufficiale agghindato a parata che si aggira tra mucchi di cadaveri.

E il tenente Sacconi, con la divisa immacolata e perfettamente stirata, rigido e statico come un manichino, che in evidente paralisi cerca di brandire il suo fucile contro l’orda nera.

 Quello che mancano sono le fotografie reali della battaglia. Immagini vere. Questo perché in ogni tempo e luogo i soldati si mandano a calci verso il macello; disprezzati da vivi, si celabrano da morti giacché il rispetto è dovuto prima alla divisa e poi all’uomo.

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