Archivio per Cassazione

70 Anni di Desistenza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 aprile 2015 by Sendivogius

resistance

Nel 70esimo anno del suo anniversario ha ancora senso celebrare la “Liberazione”?
Ci si chiede infatti, a malincuore, che cosa sia rimasto da festeggiare; per giunta nello svuotamento delle feste laiche della Repubblica, trasformate in un giorno lavorativo come altri, secondo gli imperativi del credo mercantilista. E cosa permane ancora degli ideali e dei valori che animarono la Resistenza, sbiadita nella memoria e tradita nella sua eredità, svuotata di senso dai miserabili teatrini imbastiti nei quadrivi di una politica ubriaca dei suoi reflussi, a tal punto da essere ormai circoscritta ad una sorta di ricorrenza funebre, in attesa di tumularne anche il ricordo insieme alla scomparsa dei suoi ultimi protagonisti. Tanto è forte la sensazione (sgradevolissima) che l’intera faccenda sia ridotta al pacchettino sempre più risicato di un precotto take-away, da consumare in fretta quasi a scusarsi per il disturbo. Anche la “Festa di Liberazione” invecchia; porta male i suoi anni. E rischia di morire per trascorsi limiti di età…
Diversamente, in pieno 2015, nell’Italia liberata a misura ‘democratica’, bisognerebbe capire la relazione con Il vespasiano di Affilel’intitolazione di strade, piazze e mausolei ai gerarchi fascisti: una costante dell’amena provincia italiana e dei suoi nuovi podestà fascistissimi, a cui si accompagna la coniazione seriale di medaglie ed onorificenze per “incontestabili meriti” a criminali di guerra e nazifascisti, con tanto di celebrazioni officiate pubblicamente dalla Presidenza del Consiglio.
movimento dei porconiBisognerebbe ancor di più spiegare l’indulgente pervasività, con cui viene celebrato ed esibito un fascismo diluito, blandito, nella minimizzazione dei crimini dietro al mito assolutorio degli “italiani brava gente” e la sopravvalutazione dei ‘meriti’, attraverso la persistente apologia di reato da sempre elusa, bonariamente accolta, e mai contrastata.
La sobria curva della AS RomaAl massimo, certe esibizioni vengono liquidate come espressioni “goliardiche”, dalle curve degli stadi ai pellegrinaggi organizzati verso la betlemme nera di Predappio, passando per la memorialistica Liberopataccara dei Diari di Mussolini e le dispense agiografiche, allegate dai giornaletti a carico pubblico della destra più nostalgica dei papiminkia organici al berlusconismo.
Bisognerebbe spiegare la discrepanza tra un partito che si fece Stato ed un altro che ambisce ad essere “partito della nazione”; se non fosse che uno si chiamava ‘fascista’, mentre il nuovo si definisce “democratico” per auto-attribuzione del termine. Il tutto nel nome della “governabilità” (ieri era la “sicurezza nazionale”), con la differenza che negli Anni ‘20 vi era un solo duce, oggi invece si può scegliere tra una mezza dozzina di aspiranti tali, per altrettante organizzazioni politiche che vi si ispirano più o meno apertamente, nell’inflazione di candidati al ruolo.
Salvini ti aspettavoBisognerebbe spiegare la volontà irresistibile di concentrare tutti i poteri nelle mani di un “capo del governo”, investito di prerogative assolute, in un Parlamento esautorato di funzioni e competenze, ma chiamato unicamente a ratificare i decreti blindati su presentazione governativa.
Bisognerebbe altresì spiegare la cancellazione del Senato, trasformato in un ufficio delegato della Presidenza del Consiglio, composto da nominati rigorosamente non eletti (un requisito imprescindibile!) e deprivato di ogni funzione di controllo e indirizzo.
Matteo RenziBisognerebbe distinguere la pioggia di decreti-leggi, dei voti di fiducia, della forzatura delle procedure parlamentari, che imbavagliano le Camere e le trasformano in votifici di complemento, prostrati ai desiderata di un premier che non s’è preso nemmeno il disturbo di farsi eleggere in libere elezioni.
Bisognerebbe inoltre tracciare le differenze che intercorrono tra la Legge Acerbo e l’imposizione della nuova legge elettorale ad un parlamento refrattario ed imbavagliato, con la rimozione dei membri di commissione sgraditi al premier ed il sostanziale aggiramento delle procedure parlamentari, secondo un sistema elettivo volto a racimolare il massimo dei seggi, con il minimo dell’affluenza, nello svuotamento di ogni rappresentanza. Il tutto in un Parlamento dove non si ‘parla’ più, ma si ubbidisce a comando.
Bisognerebbe infine spiegare la persistenza della tortura, che continua ad essere praticata ma che non è reato.
diaz-locandinaSe c’è un impegno che questa Repubblica, nata per puro caso dalle ceneri del fascismo nella prosecuzione ideale del medesimo, ma revisionato in salsa democratica, ha perseguito con costanza immutata nel corso dei suoi 70 anni di desistenza, è stato quello di depotenziare il ricordo della Liberazione. E lo ha fatto attraverso la delegittimazione costante della lotta di Resistenza, che già il giorno dopo la caduta del regime lasciava il posto agli ipocriti, agli opportunisti ed ai riciclati della peggior risma, che correvano a seppellire le stragi nazifasciste dietro gli armadi della vergogna e riabilitare i colpevoli nell’estensione della più ampia impunità.
Dead-Snow zombiesDietro un antifascismo puramente di facciata, la transazione di regime è spesso avvenuta all’insegna della rimozione delle responsabilità nella negazione delle stesse, tanto radicata è stata fin da subito l’ansia di “normalizzazione” nella continuità, fino agli sdoganamenti ed alle riabilitazioni più recenti (e resistenza cancellataindecenti). Perché fin da subito è stato chiaro che nella nuova Italietta pusillanime e revisionata, la vera anomalia da rimuovere era costituita dalla Resistenza: movimento considerato di minoranza nel ventre molle di una nazione, che però aveva l’insostenibile torto di mettere in luce tutta l’accondiscenza, l’ignavia, e l’accomodante conformismo di certe maggioranze più complici che silenziose, che raggiunse il suo culmine nella persecuzione degli ebrei italiani. Una deportazione capillare, che non fu blanda né contenuta, come invece ama far credere certa vulgata minimalista…

I carnefici italiani «Gli italiani che dichiararono “stranieri” e “nemici” gli ebrei, li identificarono su base razziale come gruppo da isolare e perseguitare, li stanarono casa per casa, li arrestarono, li tennero prigionieri, ne depredarono beni e averi, li trasferirono e detennero in campi di concentramento e di transito, e infine li consegnarono ai tedeschi, furono responsabili di un genocidio. Un genocidio è il tentativo violento di cancellare un gruppo su basi etniche o razziali e non vi è dubbio che – sebbene l’atto finale dello sterminio non avvenne su suolo italiano e per mano italiana – anche gli italiani presero l’iniziativa, al centro e alla periferia del rinato Stato fascista, partecipando così al progetto e al processo di annientamento degli ebrei, con decisioni, accordi, atti che li resero attori e complici dell’Olocausto. Diversi furono evidentemente i gradi e le modalità di coinvolgimento, perché diversi furono i ruoli, i contributi pratici e le forme di partecipazione. Non si trattò solo di coloro che compirono materialmene gli arresti (polizia, carabinieri, guardia di finanza, militi e volontari fascisti), ma di coloro che compilarono le liste delle vittime: dagli impiegati comunali e statali dell’anagrafe razzista ai funzionari di polizia che trasformarono i nomi degli elenchi in altrettanti mandati di arresto; dal prefetto e dal questore che firmarono gli ordini di cattura, giù giù lungo la scala gerarchica, alle dattilografe che ne compilarono i documenti. Partecipe e complice fu anche chi sequestrò e confiscò beni ebraici, spendendo ore, talora intere giornate, a descrivere nei più minuti dettagli i beni sequestrati, mettendoli sotto chiave oppure trasportandoli e consegnandoli ad altro ufficio o autorità, o – caso non insolito – accaparrandoseli 50 kgper uso proprio, oppure per lucro attraverso la vendita. Vi furono inoltre le responsabilità dei delatori: di chi segnalò, denunciò, consegnò, tradì i propri concittadini ebrei. E così via nella catena delle persecuzioni e responsabilità, nelle loro molteplici, talora apparentemente innocue, fasi e procedure: chi guidò il camion o la corriera o il vaporetto che trasferì i prigionieri; chi sorvegliò le celle o i campi di transito; chi costruì quei campi o li rifornì di vettovaglie. Infine, coloro che stettero a guardare, rivolsero lo sguardo altrove, ignorarono volutamente quanto stava avvenendo»

Simon Levis Sullam
“I carnefici italiani”
Feltrinelli (2015)

Pertanto, il problema non era l’eredità del fascismo, ma chi a questo s’era più opposto e per giunta in tempi non sospetti, nell’indifferenza dei più, passando per la grande farsa delle “epurazioni” prima dell’amnistia generale voluta da Palmiro Togliatti, con conseguenze grottesche…

Giorgio Bocca «I fascisti che hanno militato nell’esercito di Salò passano nell’Aprile del ’45 per una prima discriminazione generale. […] Gli ufficiali ed i militi delle formazioni di partito vengono internati in una ventina di campi di prigionia, assieme ai civili più compromessi del regime mussoliniano. Il primo campo sorge presso la Certosa di Padula: i prigionieri comuni stanno in grandi stanzoni, ma ci sono ospiti di riguardo come Achille Lauro, l’armatore, il principe Vittorio Massimo, il generale Ezio Gariboldi, l’ex comandante del corpo di spedizione italiano in Russia, e il principe Francesco Ruspoli per il quale si preparano alloggi accoglienti.
[…] Il campo di Terni, affidato ad un colonnello inglese filofascista, è qualcosa che sta a metà tra il mercato nero e un bordello di lusso: la principessa Maria Pignatelli ha il permesso di organizzarvi cerimonie celebrative, le evasioni in massa sono pagate in valuta pregiata. Diciamo che qui si forma il primo nucleo di neofascismo aristocratico e alto borghese, il neofascismo dei principi romani e dei grandi costruttori edili, dell’alta burocrazia militare e ministeriale. Il campo più noto però è quello di Coltano, il più duro, dove vengono per mesi rinchiusi i fascisti meno colpevoli, quelli che hanno militato nelle formazioni regolari della Repubblica Sociale.
Il neofascismo militaristi ha i suoi capi naturali negli alti ufficiali prigionieri a Procida: Rodolfo Graziani, ministro della guerra nella repubblica di Salò, e il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, la più agguerrita delle compagnie di ventura della repubblica mussoliniana.
Graziani con le chiappe al vento[…] Occorre recuperare i capi carismatici con dei processi solenni. Quello al maresciallo Graziani inizia l’11/10/1943 a Roma. La sua autodifesa nel peggior stile fascista è tutta un elogio al suo senso dell’onore, della fedeltà, della lealtà, con cui opportunamente nasconde gli aspri conflitti avuti durante la guerra con Mussolini che è stato sul punto, dopo la catastrofe libica, di deferirlo al tribunale militare. La farsa giudiziaria continua fino al 26/02/1949 quando la Corte d’Assise si accorge, improvvisamente, di non essere competente…… Il Tribunale militare lo condanna a 19 anni, gliene condona 14, e siccome ne ha già scontati quasi quattro lo manda anticipatamente libero. Per finire, gli si riconosce di “aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale”.
Junio Valerio Borghese Il processo di Junio Valerio Borghese è una burletta: presiede la Corte d’Assise il dottor Caccavale, amico della famiglia Borghese e vecchio gerarca, mentre nel collegio giudicante ci sono ex fascisti notori. La sentenza del 17/02/1947 supera ogni livello di impudenza: vengono concesse a Borghese le attenuanti al valor militare, per il salvataggio delle industrie del nord, perché si è battuto per salvare la Venezia Giulia, per l’assistenza ai deportati dai tedeschi. Insomma, sarebbe meritevole di aver assistito i partigiani e gli antifascisti che ha catturato e mandato nei lager nazisti. Con tutte le attenuanti e gli indulti, a Borghese restano ancora nove anni. Su suggerimento dei difensori si studiano ancora altri indulti, finché al principe resta un solo anno. E su questa condanna ad un anno di reclusione il processo farsa sta per concludersi, quando un avvocato difensore ricorda al presidente che per la legge del 1946 il condono deve essere superiore ad un anno e allora il dottor Caccavale torna in fretta in camera di consiglio, toglie l’ultimo anno come dal conto del salumaio, e Borghese esce libero, portato in trionfo.
OVRA[…] Si aggiunga che l’organico di polizia resta in mano a funzionari di formazione fascista: due soli prefetti non sono stati funzionari del ministero degli interni fascista. I viceprefetti, 241, tutti, senza neppure un’eccezione, hanno fatto parte della burocrazia fascista. […] Dei 135 questori, 120 provengono dalla polizia fascista: se si contano i commissari, i commissari capi aggiunti si arriva a 1642 dirigenti, solo 34 dei quali hanno partecipato in qualche modo alla guerra di liberazione

Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982

Anarchici contro il fascismoIn compenso nelle prigioni rimangono gli antifascisti, e massimamente gli anarchici che, subito dopo le caduta di Mussolini da capo del governo, vengono rinchiusi nel Campo di Renicci ad Anghiari (campo di internamento badogliano n.97), nella provincia aretina, prima del tana libera tutti in seguito all’armistizio dell’8 Settembre 1943.
La StampaMa il vero paradosso viene raggiunto dopo la formazione della Repubblica italiana, quando i fascisti vengono liberati in massa e riammessi in senso all’amministrazione del nuovo Stato, che si vuole democratico e antifascista, mentre partigiani ed ex resistenti vengono perseguitati un po’ ovunque; arrestati e rinchiusi in prigione o, peggio ancora, nei manicomi criminali col beneplacito dei governi democristiani che si susseguiranno al potere. La Resistenza come malattia dello spirito.

“Se qualcuno quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto esser chiamati davanti ai tribunali, per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso francamente in faccia”

Dante Livio Bianco
(11/12/1947)

Perché nell’immediato dopoguerra, l’offensiva giudiziaria con la promulgazione di ‘sentenze esemplari’ sembra interamente indirizzata in funzione anti-partigiana, mentre i vecchi fascisti opportunamente amnistiati e riabilitati possono riallacciare il imagesfilo delle loro carriere provvisoriamente interrotte. Le epurazioni semmai funzionano al contrario e vengono portate avanti con estrema solerzia. In parallelo, per l’opera di repressione ci si affida a funzionari di comprovata fede mussoliniana: i personaggi che offrono maggior affidabilità e garanzie alla giovane ‘democrazia’ italiana ed ai nuovi padroni del Paese da ‘stabilizzare’.

Milizia fascista«Il tracollo della democratizzazione della polizia è personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, Il fantasma dell'OVRAdestituito e riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso a direttore tecnico della scuola di polizia. In compenso, i partigiani immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine pubblico.
Nel 1946 ad essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane.
files06gws3[…] La discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena con la sconfitta fascista.
Nella transizione dal regime mussoliniano a quello democratico – osserva Vladimiro Zagrebelsky – l’ordinamento giudiziario e l’orientamento culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio della Corte suprema di Cassazione, decisiva anche per la selezione dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e potere.
Il Palazzaccio[…] Il sistema giudiziario rimane quello forgiato nel ventennio; le carriere dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della magistratura.
Vincenzo Eula, il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927 ha fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati, scansata l’epurazione (invocata dal ministro della giustizia Togliatti, negata dal presidente del consiglio De Gasperi) diviene procuratore generale della Cassazione.
Alcide De GasperiLuigi Oggione, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana (RSI), nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi giudice della Corte costituzionale.
L’artefice della legislazione antiebraica della RSI, Carlo Alliney, capogabinetto all’Ispettorato della Razza, è promosso consigliere della Corte d’Appello a Milano, procuratore della repubblica a Palermo, e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura alla presidenza della Corte costituzionale.
Negozio giudeoIl fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia del Novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo – osserva il giurista Achille Battaglia – furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate col massimo dell’indulgenza man mano quella andò declinando”. Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla RSI, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Il 22/06/1946 le esigenze di pacificazione nazionale si concretizzano nell’amnistia Togliatti. La sua applicazione estensiva e selettiva da parte di molti giudici (sensibili alle direttive della Cassazione) giova anzitutto ai fascisti, che ne beneficiano generosamente. Le “sevizie particolarmente efferate”, previste quale circostanza ostativa, sono aggirate con interpretazioni pirotecniche e sottili disquisizioni dottrinarie sull’essenza della tortura. Nemmeno l’omicidio e la strage rappresentano una barriera invalicabile…. La spietata giustizia sommaria dei giorni della Liberazione è rimpiazzata dal perdono sommario, metodico e generalizzato.
In riferimento all’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 Marzo del 1944, nel giro di un biennio vengono amnistiati sia il commissario di PS Raffaele Aniello, che ha fornito ai tedeschi la lista dei cinquanta detenuti politici da fucilare, sia i delatori di decine di antifascisti venduti ai tedeschi e trucidati nelle cave della periferia di Roma.
I funerali del boia[…] Liberazioni scandalose si coniugano con il mancato accertamento giudiziario di reati gravi, determinando oltre alla denegazione della giustizia enormi vuoti conoscitivi, che deformeranno la percezione per i lutti del 1943-45. Vuoti che la storiografia non ha colmato e sui quali si è costruita la vulgata del “sangue dei vinti”.
pansa vauroIl 30/06/1946, a otto giorni dall’emanazione, l’amnistia Togliatti è stata applicata a 7106 fascisti e 153 partigiani. La giustizia della neonata Repubblica italiana con una mano rialza i collaborazionisti, con l’altra percuote i partigiani

Un'odissea partigianaMimmo Franzinelli
Nicola Graziano

“Un’odissea partigiana.
Dalla Resistenza al manicomio”

Feltrinelli, 2015

In pochi anni la Corte di Cassazione così costituita annulla il 90% delle condanne contro collaborazionisti e criminali di guerra. Vengono mandati assolti pure i comandanti della XXXVI Brigata nera “Mussolini”, in precedenza condannati all’ergastolo per le stragi della Garfagnana.
XXXVI Brigata nera “Mussolini”Per i fatti di sangue ed i reati troppo gravi da poter beneficiare dell’amnistia che riguardano ufficiali dell’esercito, nei tribunali militari vengono predisposte “archiviazioni provvisorie”, ancorché illegali vista l’obbligatorietà dell’azione penale, finché i fascicoli non vengono ‘dimenticati’ o fatti sparire.
archiviazione_provvisoriaNella provincia di Modena, a venire processati (e condannati) sono i partigiani: 3.500 su 18.411.
Antonio Pallante Il 14 Luglio del 1958 è il giorno dell’attentato a Togliatti, segretario del PCI, l’attentatore è un fascista siciliano con simpatie neo-naziste, Antonio Pallante, che nel 1949 viene condannato a tredici anni e otto mesi, poi ridotti a dieci anni e otto mesi nel 1953, e infine portati a cinque per essere subito dopo assunto nel Corpo forestale dello Stato. I militanti comunisti che protestano contro l’attentato (e le coperture politiche che vi furono) vengono invece puniti con estrema severità: dalle lunghe carcerazioni preventive prima del prosciogliemento, o condanne fino a dieci anni di reclusione.
Nella primavera del 1955, decennale della vittoria sul fascismo, gli ex partigiani posti in stato di fermo di polizia sono 2474, dei quali 2189 vengono processati e 1007 condannati.
Arresti effettuati da CCPer l’erogazione delle pene e dei provvedimenti ci si basa sul Codice penale del 1930, emanato da Alfredo Rocco, il ministro fascista della giustizia sotto il governo Mussolini, e rimasto in vigore fino al 1988.
Vengono imbastiti veri e propri teoremi accusatori, con montature grossolane, mentre atti di guerra e azioni militari vengono rubricati a delitti comuni e quindi sottoposti a procedimento penale con processi ad hoc, appositamente strombazzati sulla stampa reazionaria. Delle indagini e della produzione delle ‘prove’ d’accusa si occupano con particolare zelo i Carabinieri. Gli accusati vengono indotti ad una “piena confessione” con minacce, pestaggi a sangue, ed il il marescialloricorso alla tortura. Nel modenese è particolarmente attivo il maresciallo Silvestro Cau che comanda la stazione di Castelfranco Emilia. Il sottufficiale è solito calcare sulla faccia degli arrestati delle maschere antigas, col filtro imbevuto di acqua salata che provoca il soffocamento. Il tenente Nilo Rizzo che denuncia gli abusi del suo subordinato, descrivendolo come un sadico criminale, viene sottoposto a provvedimento disciplinare da parte dei comandi dell’Arma e trasferito a scopo punitivo.
1949 Celere di RomaSeguendo un strategia difensiva demenziale, su consiglio degli avvocati messi a disposizione dal PCI e dal PSI, molti degli inquisiti si fanno dichiarare parzialmente infermi di mente, per poter beneficiare delle attenuanti di pena. La pratica si rivelerà un espediente suicida, perché ciò comporta l’internamento nei manicomi criminali con trattamento sanitario obbligatorio che all’epoca, oltre a prevedere l’eventuale interdizione delle visite esterne, consisteva in camicie di forza, letti con cinghie di contenimento, bagni ghiacciati e sedute di elettrochoc, mentre i tempi di pena sono indefiniti e prolungabili dal personale medico delle strutture fino ad avvenuta ‘guarigione’.
Manicomio di AversaTra i fondamentali motivi del mancato rilascio rientra anche “l’avversità alla religione”. Insomma, anche l’ateismo è una malattia. Da punire prima ancora che ‘curare’.
Ne consegue che molti dei reclusi ne escono devastati, dopo lunghi anni di internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Si consideri che nel 1953 a vagliare le richieste di dismissione Antonio Azaradalla detenzione manicomiale, con l’accettazione di eventuali misure di “clemenza”, vi è Antonio Azara, guardasigilli della Repubblica nel Governo Pella (un monocolore democristiano che può vantare l’appoggio di fascisti e monarchici), già presidente di Cassazione e membro eminente sotto il regime fascista (di cui è un estimatore convinto) del “comitato scientifico” per prestigiose riviste come “La nobiltà della stirpe” ed il “Diritto razzista”.
Difesa della razzaMa in fondo parliamo di eventi e situazioni oramai superate dalla storia e dai fatti: tortura, razzismo, autoritarismo, fascismo, abuso detentivo, repressione poliziesca, trattamento psichiatrico della malattia mentale e riforma degli OPG… tutte cose assolutamente sconosciute nell’Italia del 2015.

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La Congiura delle Salme

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 luglio 2012 by Sendivogius

Hai problemi di natura legale? Ti hanno convocato per un confronto in tribunale e proprio non vuoi saperne di presentarti? Hai pasticciato con le deposizioni, raccontando cazzate al magistrato di turno, e adesso hai paura di inguagliarti? Non hai nemmeno (più) l’immunità parlamentare?!?
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Il servizio però non è per tutti, ma solo per gli “amici”; in compenso, ti sembrerà di essere come in una grande Famiglia
O almeno è quello che deve aver pensato Nicola Mancino (classe 1931), ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ex Presidente del Senato, ex ministro degli Interni, e tutt’altro che casualmente indagato per falsa testimonianza, nell’ambito della più vasta inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia, durante un altro “governo tecnico” (Carlo A. Ciampi). Perché mentre in Italia scoppiavano le autobombe ed intere autostrade saltavano per aria, ‘qualcuno’ all’interno delle istituzioni trescava con le cosche dei Corleonesi, promettendo favori e trattamenti di riguardo per i boss detenuti.

Nicola Mancino fa parte di quel folto gruppo di smemorati, tra ex ministri ed ufficiali del ROS dei Carabinieri, che pressati dalla magistratura hanno finalmente ritrovato la memoria a 20 anni di distanza dalle stragi mafiose, dei depistaggi che ne seguirono, e delle intollerabili reticenze, per le quali questi “uomini (o ominicchi?) dello Stato” sono indagati.

Naturalmente, il problema non è il fatto che un privato cittadino telefoni a Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Presidente della Repubblica, per chiedere l’intervento presidenziale sugli uffici giudiziari che indagano su di lui. E non è un problema che il dott. D’Ambrosio (invece di scaricarlo subito) si prodighi in consigli, garantendo il proprio interessamento.
Il problema non risiede nel fatto che un inquisito si rivolga direttamente alla massima carica dello Stato, trovando nel presidente Giorgio Napolitano un attento ascoltatore. Non risiede nel fatto che Mancino (non si capisce a che titolo) solleciti ripetutamente un intervento contro i magistrati delle procure siciliane di Palermo e Caltanissetta, intenzionati a vagliare le testimonianze dell’indagato Mancino e curare le sue amnesie, tramite quello che assomiglia tanto ad un incidente probatorio. Se così fosse, è lecito ipotizzare un prossimo rinvio a giudizio dell’ex sen. Mancino e meglio si comprendono le resistenze di quest’ultimo.
Il problema non consiste nel fatto che, non contento, il Mancino sotto indagine abbia preso contatti pure con l’ex Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito, e con il suo successore Gianfranco Ciani, opportunamente attivati dal presidente Napolitano, affinché facessero pressioni su Piero Grasso, procuratore nazionale anti-mafia, per sopire e troncare.
No, il problema è tutto concentrato nel fatto che le pressioni e le richieste improprie, che Mancino ha esercitato in questi mesi presso il Presidente della Repubblica, siano venute a conoscenza degli inquirenti che si occupano dell’indagine sul Mancino medesimo.
E invece di dare delle spiegazioni e, soprattutto, pretendere risposte coerenti su alcuni degli eventi più gravi della storia repubblicana, che coinvolgono settori non indifferenti delle Istituzioni, il presidente Giorgio Napolitano solleva un conflitto di attribuzioni, appellandosi alle sue prerogative costituzionali e trincerandosi dietro un formalismo pandettista, che in realtà elude il problema di base e non fa onore all’uomo né all’istituzione che rappresenta.
Come se non bastasse, se la prende con i pochi quotidiani che parlano criticamente della vicenda e sollevano dubbi legittimi, ai quali continuano a non essere date risposte.
Con una durezza che ha pochi precedenti, il Capo dello Stato sceglie la prova di forza e si rivolge invece alla Suprema Corte, chiedendo l’intervento dell’Avvocatura di Stato, presupponendo interventi sanzionatori nei confronti delle procure antimafia… È una procedura legittima, ma che sembra comunque spropositata e, a tratti, perfino inopportuna. Certo è discutibile questo giro anomalo di telefonate informali tra “compaesani” (è preponderante la componente campana tra i principali protagonisti), che ci restituisce un’immagine borbonica della Giustizia nel balletto istituzionale del clan ottuagenario dei Bella Napoli.
A noi la ritrovata intraprendenza del presidente Napolitano solleva qualche perplessità… Avremmo gradito più coraggio e più tempismo in altri frangenti ed in diverse circostanze: PRIMA che la Casa comune andasse in fiamme, tra i sollazzi del papi e la sua corte di ruffiani.

Che Giorgio Napolitano stia travalicando il suo ruolo istituzionale, sulla scia di un’emergenza oggettiva, con un’intraprendenza politica e decisionale quantomeno anomala, attraverso l’esercizio costante di un potere di condizionamento ai limiti delle proprie funzioni, è un sospetto che comincia a prendere sempre più sostanza nella sua evidenza.
Le prove in tal senso non mancano… facciamo qualche esempio:
A) L’imposizione di Mario Monti, insieme ai continui interventi, anche duri, contro ogni atto parlamentare che possa limitare l’azione di quello che si configura, a tutti gli effetti, come un “Governo del Presidente”, nell’attribuzione di un potere ormai senza vincoli né contrappesi. E per di più in assenza di un mandato elettivo e di una vera legittimazione democratica.
B) L’assoluta inerzia con la quale (non) viene affatto considerato lo spropositato ricorso alla decretazione d’urgenza ed il ricorso esasperato al “voto di fiducia”, che in passato erano stati invece sanzionati più volte dal presidente Napolitano coi suoi appunti alle Camere. A questa si aggiunga la costante forzatura dei regolamenti parlamentari e della stessa dinamica legislativa. Forse il Presidente non se ne è accorto, ma qui siamo dinanzi ad un Parlamento in cui non si discute più di nulla; dove non si legifera alcunché; dove le proposte di legge vengono presentate in pacchetti blindati, sotto forma di decreti, su diretta presentazione governativa, senza possibilità di emendamenti né di modifiche da parte delle Camere. Da votare a scatola chiusa ed in tempi serrati (ce lo chiede l’Europa!). Un parlamento, di fatto cassato, dove è il Capo dello Stato, insieme alla sua emanazione alla Presidenza del Consiglio, a decidere l’agenda legislativa… E d’altronde parliamo di un’Assemblea che ha rinunciato da tempo ad ogni forma di rappresentatività ed iniziativa, abdicando di fatto alle proprie funzioni.
C) E quantomeno discutibile è l’attivismo dei consulenti giuridici del Quirinale, nella stesura di provvedimenti legislativi come la normativa sulle intercettazioni ambientali (che guarda caso coinvologono lo stesso presidente Napolitano) e sulle cosiddette “leggi bavaglio” che limitano la circolazione di informazioni eterodosse, fuori dalle meglio controllabili piattaforme mainstream. Attualmente, la priorità è la revisione della legge elettorale, per arginare l’ascesa del fenomeno Grillo alle prossime elezioni politiche, che nella sua confusionaria imprevedibilità rischia di scompaginare giochi già decisi. Evidentemente, l’eco del famoso ‘BUM’ alle elezioni amministrative è arrivato in ritardo alle orecchie del presidente Napolitano, che ora freme per approntare le contromisure e tutelare la sua creatura: il Frankenstein-Monti.

Tuttavia, in questa sagra tutta gerontocratica di livorosi nonnetti, ancora più anomalo è l’iper-attivismo di Eugenio Scalfari, proprio in merito allo strano caso di Nicola Mancino. L’anziano fondatore de La Repubblica, con un’iniziativa pressoché isolata, in queste ultime settimane si è dato molto da fare e non ha mancato di comunicarci i suoi incontri riservati con Giorgio Napolitano, attivando una difesa per procura del Presidente e polemizzando ripetutamente con i magistrati di Palermo, coi quali ha intavolato un estenuante botta e risposta. Con una serie di repliche ad oltranza, da parte di chi è abituato ad avere l’ultima parola, la vittoria dialettica gli ha arriso per sfinimento della controparte. E naturalmente il buon Scalfari non ci ha risparmiato le solite lezioncine sulla democrazia liberale, secondo l’unica prospettiva possibile (la sua).  Né poteva mancare la rievocazione dei miti scalfariani, pescati direttamente dal suo personale album delle figurine antiche e moderne (si fa per dire!). È curioso che l’intera azione avviata dal Quirinale sia stata anticipata proprio dall’intraprendente Scalfari e ne ricalchi fedelmente i suggerimenti, quasi fosse stata concordata in comune…
A voler essere maliziosi, è come se si fosse costituito una specie di asse tra il “Partito del Presidente” e certa parte del mondo dei media (sarebbe la prova dell’esistenza del cosiddetto “Partito Repubblica-L’Espresso”, se non fosse che l’instancabile Scalfari si muove in splendida solitudine), quasi a costituire una sorta di cordone sanitario attorno al (fallimentare) esperimento del Governo Monti, in difficoltà sempre più evidenti, rinsaldando l’intangibilità supra-leges del Capo dello Stato, qualora il Professore, come probabile, dovesse succedere a Giorgio Napolitano nell’incarico.

A parità di fattori, ci si chiede quale mai sarebbe stata la reazione del battagliero Eugenio Scalfari, e di un’opposizione ormai annichilita oltre che inesistente, qualora una simile vicenda (con le sue pressioni e le sue ingerenze indebite) avesse visto come protagonista il Pornocrate di Arcore invece dell’innocuo Nicola Mancino, oppure (iddio ce ne scampi!) al posto di Giorgio Napolitano…
Certi comportamenti sono forse meno deprecabili a seconda di chi se ne fa autore?!?

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Nano da legare

Posted in Muro del Pianto, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 aprile 2011 by Sendivogius

«L’accadimento giapponese, a seguito anche dei sondaggi che noi abitualmente facciamo sull’opinione pubblica, ha spaventato ulteriormente i nostri cittadini. Se fossimo andati oggi a quel referendum, il nucleare in Italia non sarebbe stato possibile per molti anni a venire. Il governo quindi responsabilmente ha ritenuto di introdurre questa moratoria per evitare il nucleare, per far sì che si chiarisca la soluzione giapponese, e per far sì che magari dopo un anno o dopo due anni si possa ritornare ad avere una opinione pubblica consapevole della necessità di ritornare all’energia nucleare

 S.Berlusconi(26/04/2011)

 

Nel 25esimo anniversario della catastrofe nucleare di Chernobyl,  uno spennellato Pornonano ci offre uno straordinario saggio sulla democrazia applicata ai tempi di Cesare, sottolineando involontariamente la differenza che separa il “popolo” (plebe) dai “cittadini”…
L’uomo del popolo sovrano ci conferma che la “volontà popolare” funziona a corrente alternata, secondo convenienza personale: come un interruttore, si accende e si spegne a comando; libera di applaudire ma non di decidere. Come i plebisciti, le elezioni sono una pura formalità (pilotata) per confermare situazioni di fatto, funzionali alla legittimazione fittizia di un potere già costituito.
 Se i despoti dell’antichità affidavano le loro decisioni al vaglio di astrologi e aruspici, il Pornocrate rimette tutto alle alchimie dei sondaggi d’opinione, elevati a scienza esatta e di governo. Siccome sui risultati referendari l’oracolo dei sondaggi non gli è favorevole, reputa bene di bloccare le consultazioni per decreto (emesso da Lui), rimandare le votazioni sine die (uno o due anni), e tornare alle urne solo quando i pronostici gli saranno favorevoli.
Un’ipotesi molto interessante, che potrebbe porre le basi di un utile precedente:
Siccome i sondaggi mi dicono che alle votazioni amministrative potrei perdere, sospendo le elezioni e le rimando almeno di un paio di anni, in attesa di convincere gli elettori a votare il mio candidato.
Siccome i sondaggi dicono che perderò le elezioni politiche, blocco le consultazioni fintanto che non sarò sicuro di essere rieletto. O eventualmente cambio la legge elettorale, con voto di fiducia, ad un mese delle elezioni. E infatti..!
Con strabiliante candore il Reuccio ci informa che, in Italia, per indire una libera consultazione su temi fondamentali, come il libero accesso all’acqua potabile e la costruzione di centrali atomiche, non basta raccogliere un milione e mezzo di firme, passare il vaglio di costituzionalità, aspettare il nullaosta della Corte di Cassazione, superare il quorum del 50,1% per rendere valida la votazione…
Questo perché se le tematiche della consultazione non piacciono al Sovrano, allora si prova a cancellarle con decreto governativo, scavalcando l’intero iter costituzionale e arrogandosi poteri che in realtà non ha. E infatti il Pornocrate già parla come se il referendum del 12 e 13 Giugno 2011 fosse stato eliminato, a suo insindacabile giudizio, e non fosse invece tuttora VALIDO.
Dinanzi ad una simile violazione della sovranità popolare, per definire un abuso senza precedenti, l’aggettivo più usato dalla stampa liberale (Corriere della Sera) è: “singolare”.
Capisci bene che con simili ‘gendarmi del potere’ hai la strada spianata per ogni porcata passata, presente e futura…

«Bisogna anche dire con chiarezza che non si tratta di bombardamenti. Dalla stampa di stamattina sembra che noi ci apprestiamo così come i nostri alleati a fare bombardamenti: quelli famosi con le bombe a grappolo. Non si tratta assolutamente di questo. Si tratta di interventi con dei razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari… Niente a che vedere con interventi su centri civili o là dove ci possono essere delle vittime civili.»

 S.Berlusconi (26/04/2011)

Giornata particolarmente ispirata questo 26 Aprile, Anno XVII dell’era berlusconiana
Più inceronato del solito, questo barile di fard, merda e viagra, non contento di svendere a tranci pezzi di sovranità nazionale, dopo aver smarrito ogni dignità, gira per le cancellerie mondiali a braghe calate, elemosinando un posto a tavola come cameriere.
Cede a Sarkò le Napoleòn su tutta la linea, in cambio dell’appoggio della candidatura di Mario Draghi alla BCE, in modo da poter affidare il posto di governatore della Banca d’Italia ad un uomo di fede tremontiana. Alla conferenza stampa dell’imbalsamato Pornonano sembrava di assistere al teatrino delle marionette con il braccio di un invisibile ventriloquo, infilato su per il.. perineo, a muovere il giullare travestito da statista.
Emarginato a livello internazionale come un paria politicamente impresentabile, Silvione lo Sporcaccione è pronto a prostituirsi a Francia e Britannia, perché la scampi. E ci porta in guerra, unilateralmente, con l’avvallo presidenziale del Bell’Addormentato sul Colle, senza nemmeno prendersi il disturbo di interpellare quel parlamento che tanto si vorrebbe ‘centrale’.
Siccome O’Banana sta terminando le “bombe intelligenti” ed il Tesoro statunitense è a rischio default, il Pornonano ha deciso bene di correre in aiuto svuotando gli arsenali della Difesa italiana, senza alcuna contropartita, ma non prima di aver accusato gli alleati di bombardamenti indiscriminati e uso criminale delle cluster bombs.
Tanto per dire, gli AIM-2000, i missili a guida laser in dotazione ai caccia bombardieri Tornado, hanno un costo approssimativo di 400.000 euro a pezzo. Una bazzecola rispetto ai 192 missili da crociera Tomahawk, lanciati dalla Marina USA al modico prezzo di un milione e mezzo di dollari cadauno! Ai quali si aggiungono quasi 500 ordigni a sistema integrato SALH.
Così il Porcellone di guerra, per potersi esibire in qualche altra foto ricordo, si accinge a bombardare l’amico Gheddafi, col quale l’Italia sarebbe ancora legata da un Tratto bilaterale di amicizia e di alleanza militare, attualmente “sospeso” ma ancora valido. Da applicare, come la legge, a targhe alterne a seconda delle circostanze in base alle convenienze del momento.

 «Ci sono situazioni in cui la miglior forma di comunicazione è tacere. La guerra è una di queste. Non è soltanto un fatto di sicurezza militare o di opportunità politica: in guerra ci sono cose pleonastiche, che se vogliono essere spiegate invece di chiarire confondono le idee e inducono a reazioni molto pericolose, per la pelle dei combattenti e molto imbarazzanti per la politica.
Siamo entrati in guerra contro la Libia trascinati dall’imbarazzo di stare dalla parte sbagliata, ma abbiamo spiegato che non era una guerra. Abbiamo sostenuto Gheddafi mentre allestivamo la flotta per colpirlo, abbiamo stretto patti inapplicabili e poi li abbiamo violati  spiegando che erano “sospesi”. Abbiamo cercato di scardinare la coalizione franco-britannica che sosteneva i ribelli, dicendo che era colonialista, e poi ci siamo schierati dalla sua parte. Abbiamo invocato l’intervento della Nato e ne abbiamo frenato l’azione. A chi deve imparare a combattere, abbiamo promesso istruttori “pacifici” e aiuti umanitari. Abbiamo escluso l’intervento militare europeo ed abbiamo chiesto che l’Europa ci aiutasse nell’emergenza profughi. Abbiamo messo a disposizione basi e bombardieri, dicendo che avremmo vinto una guerra terrestre dall’aria. Abbiamo detto che i nostri velivoli non avrebbero sparato un colpo, ben sapendo che avremmo indebolito l’alleanza e favorito Gheddafi. Oggi spieghiamo che gli attacchi sono una necessità e saranno “mirati” solo su obiettivi militari: una ulteriore promessa destinata a non essere mantenuta, visto che la guerra di Libia è combattuta da milizie irregolari e civili armati. La tragica routine della guerra, a forza di spiegazioni e giustificazioni surreali, è diventata una farsa. Che non fa ridere.»

 Gen. Fabio Mini
 (27/04/2011)

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