Archivio per Carabinieri
GUAPPI DI CARTONE
Posted in Stupor Mundi with tags Antonio Briguglio, Bullismo, Carabinieri, Costume, Gente di merda, Italia, Liberthalia, Machismo on 7 settembre 2022 by SendivogiusE figuriamoci se poteva mai mancare il solito gaglioffo ingallonato, nell’incontenibile bisogno fisiologico di rilasciare le sue fumanti perle di machismo spalmabile a mezzo a-social, con tutta la maschia virilità del cialtrone accasermato che si crede il Sergente Hartman, in puro stile da guappo ‘e cartone. E lo fa dileggiando la memoria di un ragazzino suicida, offendendone i genitori e disprezzandone il lutto.
QUESTIONI DI PELLE
Posted in Ossessioni Securitarie with tags Carabinieri, Costume, Degrado, Italia, Liberthalia, Piacenza, Sbirri, Società, Stupro, Violenza istituzionale on 26 luglio 2020 by SendivogiusChe ci fosse qualche problemino circa la selezione e composizione degli effettivi in organico delle cosiddette “forze dell’ordine”, nonché una gestione discutibile delle procedure e la libera interpretazione delle regole di ingaggio, nella presunzione di credersi legibus soluti per sindrome di onnipotenza (insieme ad una certa ideologia prevalente…), avrebbe dovuto essere evidente fin dall’ormai lontano 2001, ai tempi allegri dell’impunita mattanza genovese.
Non che prima le cose fossero diverse, per carità! Al massimo, si è passati dall’istituzionalizzazione professionale della pratica, al fai-da-te su improvvisazione. Ma insomma si sperava (a torto) che nel paese che ha dato i natali a Pietro Verri e Cesare Beccaria ci si fosse affrancati da un’immagine da birraglia inquisitoriale, elevandosi al di sopra dei soliti standard medioevali.
Poi al principio di legalità ha prevalso lo spirito dei tempi. E l’abuso di potere è diventato sistematico e sfrontato nella certezza dell’impunità, in parallelo con la (ri)fascistizzazione crescente della società italiana, fino all’apoteosi di un ministro della polizia che collezionava casacche militari invocando i pieni poteri, mentre va sciacallando in giro travestito da gendarme. E chissà se ora andrà a citofonare pure a casa dei carabinieri spacciatori di Piacenza.
Nell’intermezzo, non ci siamo fatti mancare praticamente nulla, in quel mondo chiuso ed autoreferenziale che contraddistingue le “istituzioni totali”, dove la coesione del branco viene confusa in un distorto spirito di corpo, con l’immancabile campionario immaginifico di fratellanze e sodalizi guerrieri (tratte dall’antico minchione romano), fino a degenerare in coazione a delinquere…
Dai pestaggi punitivi come prassi ordinaria, sospinta a livelli massivi come negli eccessi della Lunigiana tra Aulla e Massa (37 carabinieri indagati per 189 capi di imputazione); passando per i più triti clichè
machisti da caserma, nell’erotismo malsano dei repressi sessuali, pronti ad esplodere in veri e propri stupri di gruppo: a Roma nella caserma del Quadraro… a Parabiago nella provincia di Milano… a Firenze, dove si usa la divisa per rimorchiare e la gazzella di servizio per scopare… Fino agli ancor più gravi casi di omicidio, come nelle più sordide storie di provincia (e dunque passate in sordina sui grandi media, opportunamente silenziate); ovvero estorsione e omicidio su associazione a delinquere… dove l’unica preoccupazione sembra lo stornare l’attenzione da ogni possibile coinvolgimento dei vertici gerarchici.
Se prima ci si indignava, adesso al massimo certi avvenimenti vengono derubricati a fattacci di cronaca e liquidati in fretta con la retorica ipocrita delle poche “mele marce”, che elide il problema e lo circoscrive alle rassicuranti pruderie dei benpensanti di nient’altro ansiosi se non di essere rassicurati, per tutto continuare come se nulla fosse stato.
Quella fossa biologica per la raccolta di bassi istinti nazistoidi che si fa chiamare “Libero”, dinanzi ai pestaggi di gruppo, gli arresti illegali, i festini a luci rosse negli uffici della caserma trasformata in una centrale organizzata dello spaccio all’ingrosso, che hanno portato alla ribalta nazionale la stazione “Levante” dei Carabinieri di Piacenza, convertita in una succursale di guapperia napoletana, parla con ammiccante compiacimento di “dolce vita” (!), tale è il livello a cui è sprofondata ancora l’inquietante cloaca gestita dal sempre più ripugnante Littorio Feltri.
E se questa è la comune sensibilità democratica, allora capisci anche il resto…
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OLYMPUS
Posted in Muro del Pianto, Ossessioni Securitarie with tags Carabinieri, Custume, Degrado politico, Guantanamo, Italia, Liberthalia, Matteo Salvini, Roma, Società, USA on 28 luglio 2019 by SendivogiusSentir blaterare i media statunitensi, circa le degradanti ed umilianti condizioni di detenzione, alle quali sarebbero stati sottoposti i due rampolli yankee arrestati a Roma per l’omicidio del carabiniere Mario Cerciello, rasenta un’ipocrisia che va ben oltre la decenza per chi ha inventato luoghi di non-diritto come Guantanamo, dove ogni elementare regola di civiltà giuridica viene bellamente ignorata, tratta gli immigrati (ed i loro bambini) peggio del bestiame, e fa dell’umiliazione costante dei propri detenuti uno specifico programma di ‘correzione’ (scienza della carcerazione la chiamano!).



Sempre che la polizia non sia troppo impegnata a svuotare i caricatori addosso a qualche negretto, che si aggira con fare ‘sospetto’ nel giardino di casa sua.
Però se il servizietto viene reso ad un bravo ragazzo bianco, allora la cosa non va più bene e desta scandalo, per l’intollerabile condizione che mai dovrebbe essere estesa ad un teen-wasp.
Tuttavia, bendare gli arrestati ed esibirli come trofei, in foto rubate, scattate di nascosto e consegnate al solito profilo facebook per sbirri frustrati, e altri fascisti in divisa, non ci rende migliori e fa un pessimo servizio all’istituzione tutta, che non ci guadagna certo in rispetto né prestigio. A quanto pare, è un concetto semplicissimo che però a parecchi proprio non riesce di comprendere, a partire dal Ministro delle Interiora che le leggi è chiamato a farle rispettare e non a violarle ogni volta che può…
Non si capisce se la sua è più stronzaggine o imbecillità, con l’aggravante di essere spalmata come merda via social (la nutella del sovranista), per la gioia dei suoi sbavanti seguaci.
E insufflare simile merda di retorica becera non la rende certo migliore, anche se contorniata di bandierine tricolori (quelle che fino ad un paio di anni fa il nazileghista usava come carta igienica).
Perché “Garage Olimpo” anche no, grazie!
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Due Americani a Roma
Posted in Ossessioni Securitarie with tags Carabinieri, Costume, Fascismo, Gente di merda, Giorgia Meloni, Italia, Liberthalia, Mario Cerciello Rega, Matteo Salvini, Razzismo, Roma, Società, Sovranismo on 27 luglio 2019 by SendivogiusUn carabiniere viene ammazzato in servizio, durante quella che avrebbe dovuto essere una semplice operazione di routine, e subito si scatena la canea sovranista alla quale, con ogni evidenza, della sventurata sorte del povero ragazzone campano in divisa NON frega assolutamente nulla. Se non fosse che l’occasione era davvero troppo ghiotta, per non scatenare gli umori biliari dei nazisti di casa nostra e liberarne i furenti spiriti, nel consueto esercizio di razzismo quotidiano (perché quello è), con tutto l’odio che gli rode dentro, da sversare nelle accoglienti cloache ‘social’.
Perché una vicenda vale l’altra, nell’ansia da linciaggio che fa vibrare l’amigdala degli squadristi da tastiera, purché ricorrano sempre gli stessi ingredienti fondamentali, atti a scatenarne i conati on line: africano, negro, straniero, clandestino, extracomunitario, immigrato… assurte a parole dell’odio virale, veicolato per le vie digitali. Così come nulla fregava loro della terribile fine di Pamela Mastropietro e Desirée Mariottini, che in altri tempi avrebbero subito liquidato (col migliore degli epiteti possibili) come due “tossiche” (e sui tossici di merda si può trovare un ricco campionario apologetico, al pari di quello dedicato ai negri), finché non ne hanno capito quanto fosse spendibile il potenziale evocativo nella campagna propagandistica di quel revanchismo nazistoide che si fa chiamare “sovranismo”.
Per questi, la morte (altrui) non è una tragedia, non è un lutto da rispettare (possibilmente in silenzio), ma costituisce una straordinaria opportunità da sfruttare e strumentalizzare, nell’indegna necrofilia che ne smuove gli umori più torbidi giocando sulla curiosità morbosa della “gente” (di merda); ovvero: quella plebe amorfa e dalle pulsioni ripugnanti, che scambiano per “popolo” e con cui si riempiono la bocca da mane a sera, continuando a spargere liquami e veleni.
Quindi, in concomitanza con la tragica morte di Mario Cerciello Rega, figuriamoci se poteva mancare il solito cicciare di post rabbiosi, in un’orgia forcaiola a chi la spara più grossa alla destra del Ku Klux Klan, per una sbavante colata di odio strumentale, col quale il nazista legittima se stesso, insieme all’irrinunciabile sfilata di sedicenti “patrioti” con l’immancabile bandierina tricolore accanto all’avatar, a sottolinearne l’italianità (mai Patria ne uscì più umiliata!). Tutti in-opportunamente aizzati dai soliti noti in camicia nera, che pensano di cavalcare l’ondata di merda montante, per racimolare qualche like in più sui loro squallidi profili e pompare la fogna a fini elettorali, ricorrendo al consueto campionario…

…salvo cancellare immediatamente i loro post così grondanti di gravissimo sdegno, una volta scoperto che non di due immigrati nordafricani si trattava, bensì di arianissimi giovanotti WASP della middle-class americana, dalle spiagge della California in vacanza di lusso a Roma (dalle bestie straniere ai beach boys!) che hanno pensato bene di accoltellare a morte il carabiniere, per un pugno di euro di cui nemmeno avevano bisogno, nella loro notte brava da leoni.
Dopo tanto sbraitare a vuoto, dopo gli immancabili attacchi gratuiti ai “giornaloni” (che della vicenda hanno scritto tutto) ed alla sinistra radical-chic da salotto che difende gli immigrati (che per l’occasione non c’entrava un cazzo, ma ci sta sempre benissimo come un Catone con Cartagine), e che esiste solo nella fantasia degli analfabeti bifolchi arricchiti che altro non possono vantare se non la propria ignoranza, agli sciacalli s’è improvvisamente asciugata la bava, almeno fino al prossimo cadavere sul quale pasteggiare. Esaurita l’indignazione posticcia a comando, perché mica puoi invocare forche e torture per i simpaticissimi amici americani, adesso è tempo del pietismo piagnone da show domenicale dell’intrattenimento nazionalpopolare, cullato tra le tette della D’Urso, e delle lacrime condivise da coccodrillo. Insomma, qualcosa da alternare al pane e nutella o alla foto del menù del giorno su twitter, per il medesimo ed immutabile squallore.
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Quis custodiet custodes?
Posted in Ossessioni Securitarie with tags Carabinieri, Castrazione chimica, Fascisti, Firenze, Liberthalia, Matteo Salvini, Stupro on 9 settembre 2017 by SendivogiusCerti silenzi sono più assordanti di mille chiacchiere…
Come un marciapiede infestato di deiezioni canine, non c’è giorno in cui un Salvini di turno non si senta in dovere di rilasciare la sua stronzata quotidiana, da spalmare mediaticamente per attirare le mosche nere che ronzano attorno alle cloache del fascioleghismo. Il loro tema preferito ovviamente sono gli stupri: reato odiosissimo, più che altro funzionale alla promozione di punizioni medioevali (e irreali), che tanto eccitano la fantasia malata del proprio elettorato di riferimento, rimestandone gli umori più fetidi. E va benissimo: uno stupratore non ha diritti. Basta con certo lassismo buonista!!
Per parafrasare il vecchio Marv in Sin City:
“Mi piacciono gli stupratori.
Non importa quello che gli fai, tanto non ti senti in colpa. Al contrario, peggio li conci, meglio è.”
Personalmente, sarei per la mazzolata con squarto, come ai tempi allegri delle “giustizie” del Papa-Re…
Peraltro, esistono specifici profili etnici e culturali che inchiodano alla responsabilità dei fatti intere categorie di allogeni, che rendono il colpevole sempre certo e mai presunto, ancor prima dell’arresto o della stessa identificazione, per estensione delle colpa su base ‘razziale’, nell’assioma collaudato di immigrato-negro-stupratore. Si tratta di una equazione semplice ma efficace, che ha sempre dato ottimi risultati in termini di ritorno elettorale, nella gara tutta al ribasso di chi la spara più grossa.



Ma che succede quando lo stupratore è “autoctono” (endogeno? o come cazzo si chiama!) e malauguratamente dovesse indossare anche una divisa?!! Ora, il caso non voglia, capita che in quel di Firenze due benemeriti Carabinieri siano indagati per il presunto stupro di due studentesse statunitensi di 20 anni e che la violenza sessuale si sia consumata mentre i due tutori dell’ordine erano in servizio. Qualora le accuse (tutte da confutare) venissero comprovate, sarà pure stato il testosterone a mille e qualche bicchiere di troppo, ma sempre di stupro si tratta. Perché si chiama così, quando il rapporto non è consensuale o la vittima non è capace di intendere e di volere. E la cosa è delle più gravi, non foss’altro per la ricchissima figura di merda che l’Arma ci fa.
Il fattaccio, di per sé inaudito, sarebbe relegato nella cronaca nera di fine estate e quindi dimenticato una volta appurate le dinamiche, se non fosse che un Matteo Salvini con queste notizie ci sguazza, passando in rassegna ogni singolo ritaglio di giornale, onde poter sparare i suoi tweet fotocopia e aizzare la canea nazistoide attratta dai suoi escrementi riciclati.


Ma in questo caso, quello che davvero colpisce è l’improvviso mutismo che sembra aver colpito il nostro Castratore seriale, con tutta la fascisteria di contorno e gli sciacalli da tastiera al seguito. Si attendono altresì le maratone televisive di Paolo Del Debbio, con le interviste alla gggente che non ne può più, insieme agli ispirati interventi di un Maurizio Belpietro e del nosferatu Sallusti. Niente marce dei camerati di Forza Nuova?!? Nessun sussulto di vibrante indignazione da parte di Giorgia Meloni, la pancetta nera dei Fascisti d’Italia?!?
Del resto, Salvini è uno che non manca mai di ripetere, quando non è troppo impegnato a stringere mani di nostalgici delle brigate nere di Salò ed incontrare nazisti in ogni anfratto d’Italia, che lui è “sempre con le forze dell’ordine, senza se e senza ma”. Anche quando dovessero stuprare (che a menare ci pensano già).
Com’è?!? Questa volta per gli “schifosi” niente “CASTRAZIONE CHIMICA e via!” ?!?
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70 Anni di Desistenza
Posted in Kulturkampf with tags Alcide De Gasperi, ANTIFASCISMO, Antonio Azara, Antonio Pallante, Carabinieri, Carlo Alliney, Cassazione, Cultura, DC, Deportazione degli ebrei italiani, Fascismo, Festa di Liberazione, Giorgio Bocca, Governo, Italia, Junio Valerio Borghese, Legge Acerbo, Leggi razziali, Liberazione, Liberthalia, Manicomio di Aversa, Manicomio giudiziario, Mimmo Franzinelli, Nicola Graziano, OPG, Palmiro Togliatti, PCI, Persecuzione degli ebrei, Polizia, Presidenza del Consiglio, Regime, Repressione, Repubblica, Repubblica di Salò, Resistenza, Rodolfo Graziani, RSI, Simon Levis Sullam, Società, Stato, Storia on 23 aprile 2015 by SendivogiusNel 70esimo anno del suo anniversario ha ancora senso celebrare la “Liberazione”?
Ci si chiede infatti, a malincuore, che cosa sia rimasto da festeggiare; per giunta nello svuotamento delle feste laiche della Repubblica, trasformate in un giorno lavorativo come altri, secondo gli imperativi del credo mercantilista. E cosa permane ancora degli ideali e dei valori che animarono la Resistenza, sbiadita nella memoria e tradita nella sua eredità, svuotata di senso dai miserabili teatrini imbastiti nei quadrivi di una politica ubriaca dei suoi reflussi, a tal punto da essere ormai circoscritta ad una sorta di ricorrenza funebre, in attesa di tumularne anche il ricordo insieme alla scomparsa dei suoi ultimi protagonisti. Tanto è forte la sensazione (sgradevolissima) che l’intera faccenda sia ridotta al pacchettino sempre più risicato di un precotto take-away, da consumare in fretta quasi a scusarsi per il disturbo. Anche la “Festa di Liberazione” invecchia; porta male i suoi anni. E rischia di morire per trascorsi limiti di età…
Diversamente, in pieno 2015, nell’Italia liberata a misura ‘democratica’, bisognerebbe capire la relazione con
l’intitolazione di strade, piazze e mausolei ai gerarchi fascisti: una costante dell’amena provincia italiana e dei suoi nuovi podestà fascistissimi, a cui si accompagna la coniazione seriale di medaglie ed onorificenze per “incontestabili meriti” a criminali di guerra e nazifascisti, con tanto di celebrazioni officiate pubblicamente dalla Presidenza del Consiglio.
Bisognerebbe ancor di più spiegare l’indulgente pervasività, con cui viene celebrato ed esibito un fascismo diluito, blandito, nella minimizzazione dei crimini dietro al mito assolutorio degli “italiani brava gente” e la sopravvalutazione dei ‘meriti’, attraverso la persistente apologia di reato da sempre elusa, bonariamente accolta, e mai contrastata.
Al massimo, certe esibizioni vengono liquidate come espressioni “goliardiche”, dalle curve degli stadi ai pellegrinaggi organizzati verso la betlemme nera di Predappio, passando per la memorialistica
pataccara dei Diari di Mussolini e le dispense agiografiche, allegate dai giornaletti a carico pubblico della destra più nostalgica dei papiminkia organici al berlusconismo.
Bisognerebbe spiegare la discrepanza tra un partito che si fece Stato ed un altro che ambisce ad essere “partito della nazione”; se non fosse che uno si chiamava ‘fascista’, mentre il nuovo si definisce “democratico” per auto-attribuzione del termine. Il tutto nel nome della “governabilità” (ieri era la “sicurezza nazionale”), con la differenza che negli Anni ‘20 vi era un solo duce, oggi invece si può scegliere tra una mezza dozzina di aspiranti tali, per altrettante organizzazioni politiche che vi si ispirano più o meno apertamente, nell’inflazione di candidati al ruolo.
Bisognerebbe spiegare la volontà irresistibile di concentrare tutti i poteri nelle mani di un “capo del governo”, investito di prerogative assolute, in un Parlamento esautorato di funzioni e competenze, ma chiamato unicamente a ratificare i decreti blindati su presentazione governativa.
Bisognerebbe altresì spiegare la cancellazione del Senato, trasformato in un ufficio delegato della Presidenza del Consiglio, composto da nominati rigorosamente non eletti (un requisito imprescindibile!) e deprivato di ogni funzione di controllo e indirizzo.
Bisognerebbe distinguere la pioggia di decreti-leggi, dei voti di fiducia, della forzatura delle procedure parlamentari, che imbavagliano le Camere e le trasformano in votifici di complemento, prostrati ai desiderata di un premier che non s’è preso nemmeno il disturbo di farsi eleggere in libere elezioni.
Bisognerebbe inoltre tracciare le differenze che intercorrono tra la Legge Acerbo e l’imposizione della nuova legge elettorale ad un parlamento refrattario ed imbavagliato, con la rimozione dei membri di commissione sgraditi al premier ed il sostanziale aggiramento delle procedure parlamentari, secondo un sistema elettivo volto a racimolare il massimo dei seggi, con il minimo dell’affluenza, nello svuotamento di ogni rappresentanza. Il tutto in un Parlamento dove non si ‘parla’ più, ma si ubbidisce a comando.
Bisognerebbe infine spiegare la persistenza della tortura, che continua ad essere praticata ma che non è reato.
Se c’è un impegno che questa Repubblica, nata per puro caso dalle ceneri del fascismo nella prosecuzione ideale del medesimo, ma revisionato in salsa democratica, ha perseguito con costanza immutata nel corso dei suoi 70 anni di desistenza, è stato quello di depotenziare il ricordo della Liberazione. E lo ha fatto attraverso la delegittimazione costante della lotta di Resistenza, che già il giorno dopo la caduta del regime lasciava il posto agli ipocriti, agli opportunisti ed ai riciclati della peggior risma, che correvano a seppellire le stragi nazifasciste dietro gli “armadi della vergogna” e riabilitare i colpevoli nell’estensione della più ampia impunità.
Dietro un antifascismo puramente di facciata, la transazione di regime è spesso avvenuta all’insegna della rimozione delle responsabilità nella negazione delle stesse, tanto radicata è stata fin da subito l’ansia di “normalizzazione” nella continuità, fino agli sdoganamenti ed alle riabilitazioni più recenti (e
indecenti). Perché fin da subito è stato chiaro che nella nuova Italietta pusillanime e revisionata, la vera anomalia da rimuovere era costituita dalla Resistenza: movimento considerato di minoranza nel ventre molle di una nazione, che però aveva l’insostenibile torto di mettere in luce tutta l’accondiscenza, l’ignavia, e l’accomodante conformismo di certe maggioranze più complici che silenziose, che raggiunse il suo culmine nella persecuzione degli ebrei italiani. Una deportazione capillare, che non fu blanda né contenuta, come invece ama far credere certa vulgata minimalista…
«Gli italiani che dichiararono “stranieri” e “nemici” gli ebrei, li identificarono su base razziale come gruppo da isolare e perseguitare, li stanarono casa per casa, li arrestarono, li tennero prigionieri, ne depredarono beni e averi, li trasferirono e detennero in campi di concentramento e di transito, e infine li consegnarono ai tedeschi, furono responsabili di un genocidio. Un genocidio è il tentativo violento di cancellare un gruppo su basi etniche o razziali e non vi è dubbio che – sebbene l’atto finale dello sterminio non avvenne su suolo italiano e per mano italiana – anche gli italiani presero l’iniziativa, al centro e alla periferia del rinato Stato fascista, partecipando così al progetto e al processo di annientamento degli ebrei, con decisioni, accordi, atti che li resero attori e complici dell’Olocausto. Diversi furono evidentemente i gradi e le modalità di coinvolgimento, perché diversi furono i ruoli, i contributi pratici e le forme di partecipazione. Non si trattò solo di coloro che compirono materialmene gli arresti (polizia, carabinieri, guardia di finanza, militi e volontari fascisti), ma di coloro che compilarono le liste delle vittime: dagli impiegati comunali e statali dell’anagrafe razzista ai funzionari di polizia che trasformarono i nomi degli elenchi in altrettanti mandati di arresto; dal prefetto e dal questore che firmarono gli ordini di cattura, giù giù lungo la scala gerarchica, alle dattilografe che ne compilarono i documenti. Partecipe e complice fu anche chi sequestrò e confiscò beni ebraici, spendendo ore, talora intere giornate, a descrivere nei più minuti dettagli i beni sequestrati, mettendoli sotto chiave oppure trasportandoli e consegnandoli ad altro ufficio o autorità, o – caso non insolito – accaparrandoseli
per uso proprio, oppure per lucro attraverso la vendita. Vi furono inoltre le responsabilità dei delatori: di chi segnalò, denunciò, consegnò, tradì i propri concittadini ebrei. E così via nella catena delle persecuzioni e responsabilità, nelle loro molteplici, talora apparentemente innocue, fasi e procedure: chi guidò il camion o la corriera o il vaporetto che trasferì i prigionieri; chi sorvegliò le celle o i campi di transito; chi costruì quei campi o li rifornì di vettovaglie. Infine, coloro che stettero a guardare, rivolsero lo sguardo altrove, ignorarono volutamente quanto stava avvenendo»
Simon Levis Sullam
“I carnefici italiani”
Feltrinelli (2015)
Pertanto, il problema non era l’eredità del fascismo, ma chi a questo s’era più opposto e per giunta in tempi non sospetti, nell’indifferenza dei più, passando per la grande farsa delle “epurazioni” prima dell’amnistia generale voluta da Palmiro Togliatti, con conseguenze grottesche…
«I fascisti che hanno militato nell’esercito di Salò passano nell’Aprile del ’45 per una prima discriminazione generale. […] Gli ufficiali ed i militi delle formazioni di partito vengono internati in una ventina di campi di prigionia, assieme ai civili più compromessi del regime mussoliniano. Il primo campo sorge presso la Certosa di Padula: i prigionieri comuni stanno in grandi stanzoni, ma ci sono ospiti di riguardo come Achille Lauro, l’armatore, il principe Vittorio Massimo, il generale Ezio Gariboldi, l’ex comandante del corpo di spedizione italiano in Russia, e il principe Francesco Ruspoli per il quale si preparano alloggi accoglienti.
[…] Il campo di Terni, affidato ad un colonnello inglese filofascista, è qualcosa che sta a metà tra il mercato nero e un bordello di lusso: la principessa Maria Pignatelli ha il permesso di organizzarvi cerimonie celebrative, le evasioni in massa sono pagate in valuta pregiata. Diciamo che qui si forma il primo nucleo di neofascismo aristocratico e alto borghese, il neofascismo dei principi romani e dei grandi costruttori edili, dell’alta burocrazia militare e ministeriale. Il campo più noto però è quello di Coltano, il più duro, dove vengono per mesi rinchiusi i fascisti meno colpevoli, quelli che hanno militato nelle formazioni regolari della Repubblica Sociale.
Il neofascismo militaristi ha i suoi capi naturali negli alti ufficiali prigionieri a Procida: Rodolfo Graziani, ministro della guerra nella repubblica di Salò, e il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, la più agguerrita delle compagnie di ventura della repubblica mussoliniana.
[…] Occorre recuperare i capi carismatici con dei processi solenni. Quello al maresciallo Graziani inizia l’11/10/1943 a Roma. La sua autodifesa nel peggior stile fascista è tutta un elogio al suo senso dell’onore, della fedeltà, della lealtà, con cui opportunamente nasconde gli aspri conflitti avuti durante la guerra con Mussolini che è stato sul punto, dopo la catastrofe libica, di deferirlo al tribunale militare. La farsa giudiziaria continua fino al 26/02/1949 quando la Corte d’Assise si accorge, improvvisamente, di non essere competente…… Il Tribunale militare lo condanna a 19 anni, gliene condona 14, e siccome ne ha già scontati quasi quattro lo manda anticipatamente libero. Per finire, gli si riconosce di “aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale”.
Il processo di Junio Valerio Borghese è una burletta: presiede la Corte d’Assise il dottor Caccavale, amico della famiglia Borghese e vecchio gerarca, mentre nel collegio giudicante ci sono ex fascisti notori. La sentenza del 17/02/1947 supera ogni livello di impudenza: vengono concesse a Borghese le attenuanti al valor militare, per il salvataggio delle industrie del nord, perché si è battuto per salvare la Venezia Giulia, per l’assistenza ai deportati dai tedeschi. Insomma, sarebbe meritevole di aver assistito i partigiani e gli antifascisti che ha catturato e mandato nei lager nazisti. Con tutte le attenuanti e gli indulti, a Borghese restano ancora nove anni. Su suggerimento dei difensori si studiano ancora altri indulti, finché al principe resta un solo anno. E su questa condanna ad un anno di reclusione il processo farsa sta per concludersi, quando un avvocato difensore ricorda al presidente che per la legge del 1946 il condono deve essere superiore ad un anno e allora il dottor Caccavale torna in fretta in camera di consiglio, toglie l’ultimo anno come dal conto del salumaio, e Borghese esce libero, portato in trionfo.
[…] Si aggiunga che l’organico di polizia resta in mano a funzionari di formazione fascista: due soli prefetti non sono stati funzionari del ministero degli interni fascista. I viceprefetti, 241, tutti, senza neppure un’eccezione, hanno fatto parte della burocrazia fascista. […] Dei 135 questori, 120 provengono dalla polizia fascista: se si contano i commissari, i commissari capi aggiunti si arriva a 1642 dirigenti, solo 34 dei quali hanno partecipato in qualche modo alla guerra di liberazione.»
Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982
In compenso nelle prigioni rimangono gli antifascisti, e massimamente gli anarchici che, subito dopo le caduta di Mussolini da capo del governo, vengono rinchiusi nel Campo di Renicci ad Anghiari (campo di internamento badogliano n.97), nella provincia aretina, prima del tana libera tutti in seguito all’armistizio dell’8 Settembre 1943.
Ma il vero paradosso viene raggiunto dopo la formazione della Repubblica italiana, quando i fascisti vengono liberati in massa e riammessi in senso all’amministrazione del nuovo Stato, che si vuole democratico e antifascista, mentre partigiani ed ex resistenti vengono perseguitati un po’ ovunque; arrestati e rinchiusi in prigione o, peggio ancora, nei manicomi criminali col beneplacito dei governi democristiani che si susseguiranno al potere. La Resistenza come malattia dello spirito.
“Se qualcuno quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto esser chiamati davanti ai tribunali, per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso francamente in faccia”
Dante Livio Bianco
(11/12/1947)
Perché nell’immediato dopoguerra, l’offensiva giudiziaria con la promulgazione di ‘sentenze esemplari’ sembra interamente indirizzata in funzione anti-partigiana, mentre i vecchi fascisti opportunamente amnistiati e riabilitati possono riallacciare il
filo delle loro carriere provvisoriamente interrotte. Le epurazioni semmai funzionano al contrario e vengono portate avanti con estrema solerzia. In parallelo, per l’opera di repressione ci si affida a funzionari di comprovata fede mussoliniana: i personaggi che offrono maggior affidabilità e garanzie alla giovane ‘democrazia’ italiana ed ai nuovi padroni del Paese da ‘stabilizzare’.
«Il tracollo della democratizzazione della polizia è personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto,
destituito e riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso a direttore tecnico della scuola di polizia. In compenso, i partigiani immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine pubblico.
Nel 1946 ad essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane.
[…] La discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena con la sconfitta fascista.
Nella transizione dal regime mussoliniano a quello democratico – osserva Vladimiro Zagrebelsky – l’ordinamento giudiziario e l’orientamento culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio della Corte suprema di Cassazione, decisiva anche per la selezione dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e potere.
[…] Il sistema giudiziario rimane quello forgiato nel ventennio; le carriere dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della magistratura.
Vincenzo Eula, il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927 ha fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati, scansata l’epurazione (invocata dal ministro della giustizia Togliatti, negata dal presidente del consiglio De Gasperi) diviene procuratore generale della Cassazione.
Luigi Oggione, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana (RSI), nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi giudice della Corte costituzionale.
L’artefice della legislazione antiebraica della RSI, Carlo Alliney, capogabinetto all’Ispettorato della Razza, è promosso consigliere della Corte d’Appello a Milano, procuratore della repubblica a Palermo, e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura alla presidenza della Corte costituzionale.
Il fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia del Novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo – osserva il giurista Achille Battaglia – furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate col massimo dell’indulgenza man mano quella andò declinando”. Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla RSI, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Il 22/06/1946 le esigenze di pacificazione nazionale si concretizzano nell’amnistia Togliatti. La sua applicazione estensiva e selettiva da parte di molti giudici (sensibili alle direttive della Cassazione) giova anzitutto ai fascisti, che ne beneficiano generosamente. Le “sevizie particolarmente efferate”, previste quale circostanza ostativa, sono aggirate con interpretazioni pirotecniche e sottili disquisizioni dottrinarie sull’essenza della tortura. Nemmeno l’omicidio e la strage rappresentano una barriera invalicabile…. La spietata giustizia sommaria dei giorni della Liberazione è rimpiazzata dal perdono sommario, metodico e generalizzato.
In riferimento all’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 Marzo del 1944, nel giro di un biennio vengono amnistiati sia il commissario di PS Raffaele Aniello, che ha fornito ai tedeschi la lista dei cinquanta detenuti politici da fucilare, sia i delatori di decine di antifascisti venduti ai tedeschi e trucidati nelle cave della periferia di Roma.
[…] Liberazioni scandalose si coniugano con il mancato accertamento giudiziario di reati gravi, determinando oltre alla denegazione della giustizia enormi vuoti conoscitivi, che deformeranno la percezione per i lutti del 1943-45. Vuoti che la storiografia non ha colmato e sui quali si è costruita la vulgata del “sangue dei vinti”.
Il 30/06/1946, a otto giorni dall’emanazione, l’amnistia Togliatti è stata applicata a 7106 fascisti e 153 partigiani. La giustizia della neonata Repubblica italiana con una mano rialza i collaborazionisti, con l’altra percuote i partigiani.»
Mimmo Franzinelli
Nicola Graziano
“Un’odissea partigiana.
Dalla Resistenza al manicomio”
Feltrinelli, 2015
In pochi anni la Corte di Cassazione così costituita annulla il 90% delle condanne contro collaborazionisti e criminali di guerra. Vengono mandati assolti pure i comandanti della XXXVI Brigata nera “Mussolini”, in precedenza condannati all’ergastolo per le stragi della Garfagnana.
Per i fatti di sangue ed i reati troppo gravi da poter beneficiare dell’amnistia che riguardano ufficiali dell’esercito, nei tribunali militari vengono predisposte “archiviazioni provvisorie”, ancorché illegali vista l’obbligatorietà dell’azione penale, finché i fascicoli non vengono ‘dimenticati’ o fatti sparire.
Nella provincia di Modena, a venire processati (e condannati) sono i partigiani: 3.500 su 18.411.
Il 14 Luglio del 1958 è il giorno dell’attentato a Togliatti, segretario del PCI, l’attentatore è un fascista siciliano con simpatie neo-naziste, Antonio Pallante, che nel 1949 viene condannato a tredici anni e otto mesi, poi ridotti a dieci anni e otto mesi nel 1953, e infine portati a cinque per essere subito dopo assunto nel Corpo forestale dello Stato. I militanti comunisti che protestano contro l’attentato (e le coperture politiche che vi furono) vengono invece puniti con estrema severità: dalle lunghe carcerazioni preventive prima del prosciogliemento, o condanne fino a dieci anni di reclusione.
Nella primavera del 1955, decennale della vittoria sul fascismo, gli ex partigiani posti in stato di fermo di polizia sono 2474, dei quali 2189 vengono processati e 1007 condannati.
Per l’erogazione delle pene e dei provvedimenti ci si basa sul Codice penale del 1930, emanato da Alfredo Rocco, il ministro fascista della giustizia sotto il governo Mussolini, e rimasto in vigore fino al 1988.
Vengono imbastiti veri e propri teoremi accusatori, con montature grossolane, mentre atti di guerra e azioni militari vengono rubricati a delitti comuni e quindi sottoposti a procedimento penale con processi ad hoc, appositamente strombazzati sulla stampa reazionaria. Delle indagini e della produzione delle ‘prove’ d’accusa si occupano con particolare zelo i Carabinieri. Gli accusati vengono indotti ad una “piena confessione” con minacce, pestaggi a sangue, ed il
ricorso alla tortura. Nel modenese è particolarmente attivo il maresciallo Silvestro Cau che comanda la stazione di Castelfranco Emilia. Il sottufficiale è solito calcare sulla faccia degli arrestati delle maschere antigas, col filtro imbevuto di acqua salata che provoca il soffocamento. Il tenente Nilo Rizzo che denuncia gli abusi del suo subordinato, descrivendolo come un sadico criminale, viene sottoposto a provvedimento disciplinare da parte dei comandi dell’Arma e trasferito a scopo punitivo.
Seguendo un strategia difensiva demenziale, su consiglio degli avvocati messi a disposizione dal PCI e dal PSI, molti degli inquisiti si fanno dichiarare parzialmente infermi di mente, per poter beneficiare delle attenuanti di pena. La pratica si rivelerà un espediente suicida, perché ciò comporta l’internamento nei manicomi criminali con trattamento sanitario obbligatorio che all’epoca, oltre a prevedere l’eventuale interdizione delle visite esterne, consisteva in camicie di forza, letti con cinghie di contenimento, bagni ghiacciati e sedute di elettrochoc, mentre i tempi di pena sono indefiniti e prolungabili dal personale medico delle strutture fino ad avvenuta ‘guarigione’.
Tra i fondamentali motivi del mancato rilascio rientra anche “l’avversità alla religione”. Insomma, anche l’ateismo è una malattia. Da punire prima ancora che ‘curare’.
Ne consegue che molti dei reclusi ne escono devastati, dopo lunghi anni di internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Si consideri che nel 1953 a vagliare le richieste di dismissione
dalla detenzione manicomiale, con l’accettazione di eventuali misure di “clemenza”, vi è Antonio Azara, guardasigilli della Repubblica nel Governo Pella (un monocolore democristiano che può vantare l’appoggio di fascisti e monarchici), già presidente di Cassazione e membro eminente sotto il regime fascista (di cui è un estimatore convinto) del “comitato scientifico” per prestigiose riviste come “La nobiltà della stirpe” ed il “Diritto razzista”.
Ma in fondo parliamo di eventi e situazioni oramai superate dalla storia e dai fatti: tortura, razzismo, autoritarismo, fascismo, abuso detentivo, repressione poliziesca, trattamento psichiatrico della malattia mentale e riforma degli OPG… tutte cose assolutamente sconosciute nell’Italia del 2015.
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L’ORA FATALE
Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags Anatole France, Anti-politica, Argentina, Augusto Ugarte Pinochet, Benito Mussolini, Beppe Grillo, Carabinieri, Cile, Colpo di Stato, Comitati agricoli riuniti, Cultura, Danilo Calvani, Democrazia, Destra, Esercito, Eversione, Fascismo, Forconi, Forza Nuova, Giunta militare, Golpe dell'Immacolata, Junio Valerio Borghese, Lega della Terra, Liberthalia, Life, Lucio Chiavegato, Mariano Ferro, Movimento dei Forconi, Neo-borbonici, neo-fascisti, Peronismo, Polizia, Popolo, Populismo, Poujadismo, Protestarismo, Qualunquismo, Ribellione, Ribellismo siciliano, Rivolta, Rivoluzione, Secessionismo, Società on 11 dicembre 2013 by SendivogiusNel villaggio di Borgocitrullo, quando le cose vanno male, uno dei modi più sicuri per tirar su quattrini è travestirsi da santone o da tribuno (meglio se tutti e due insieme!) e proclamare il carnevale permanente per poter giocare al piccolo rivoluzionario, abbuffandosi della parola “popolo” con cui ci si riempie la bocca sputazzandone in giro gli avanzi.
La farsa di solito continua finché, a forza di evocarle le rivoluzioni, va a finire che qualcuno ci crede davvero e pensa di inscenare la propria fracassona sceneggiata, nel grande pascolo delle intelligenze bovine dove gli imbecilli abbondano, copiosi come la vacca perennemente gravida che li genera.
Capita così che in un eccesso di riflussi per sovraccarico fecale, saltino via tutti i tombini che comprimevano la glassa marronata di un paese allo sbando, che proprio non riesce ad elevarsi oltre il livello della propria cintola. Da sempre, nei momenti di crisi, l’Italia dà scioltamente corpo alla sua parte peggiore, in tutte le sfumature possibili del marrone…
Evidentemente, nel paese più destrorso d’Europa, che vanta il più alto numero di formazioni istituzionalizzate e partitini, con richiami più o meno espliciti all’eredità mussoliniana, e che occupano la quasi totalità dell’arco parlamentare, non bastava la destra “nazional-popolare” dei nostalgici Tilgher e Storace, del fascismo vasciaiolo delle pasionarie nere; la destra manesca ma tanto ‘virile’ dei Fratelli d’Italia; la destra etnica e razzista della Lega; la destra plebiscitaria e peronista dei papiminkia, insieme a quella post-berlusconiana e governativa di Alfano coi suoi cacicchi in disgrazia; la destra dorotea su innesto moroteo di Enrico Letta e della vecchia nomenklatura DS-DL, confluita nel PD; la destra furbastra e vetero-democristiana di Casini; la destra tecnocratica e padronale di Monti; la destra messianica e fanatizzata di Grillo…
Evidentemente, quello che offriva l’attuale panorama politico per alcuni non era ancora abbastanza populista, anti-europeista, “identitario”, reazionario, squadrista e soprattutto fascista, in una grande maratona del neo-nazismo di ritorno. È il Nazithon tutto italiano!
Ci mancavano davvero gli eredi dei “guerrieri senza sonno”, i nipoti dei “Figli del Sole”: i catto-integralisti del misticismo evoliano, scampoli di “Terza Posizione” confluiti tra i raminghi di “Casa Pound” e “Forza Nuova”. Ma ancora più a destra abbiamo pure i neo-nazisti dell’Unione per il socialismo nazionale, le larve ordinoviste del “Circolo Clemente Graziani”, e perfino i redivivi rexisti del “Cristo Re”. A questi vanno aggiunti il movimentismo neo-völkisch della “Lega della Terra” (in pratica, la rinascita della “Lega degli Artamani” ad opera di Forza Nuova) ed i “Comitati Agricoli Riuniti” (con la sua costola “Dignità sociale”) degli agricoltori dell’Agro Pontino sotto il comando di Danilo Calvani, che pone tra le sue rivendicazioni l’instaurazione di una giunta
militare, previo scioglimento del Parlamento e rimozione del Presidente della Repubblica, ovviamente sostituito da un generale con poteri assoluti. Non per niente, per l’inizio della protesta è stato scelto l’8 Dicembre in ricordo del Golpe dell’Immacolata, ad opera di Junio Valerio Borghese, il principe nero, nel 1970.
Ci mancava soprattutto l’ennesimo rigurgito del ribellismo siciliano e secessionismo isolano del sedicente Movimento dei Forconi: appendice neo-fascista del sottopotere mafioso e protestarismo qualunquista. Ma ci sono anche i neo-borbonici nostalgici dell’illuminato e sviluppato Regno delle Due Sicilie, ispirati dalla mitologia e dal meridionalismo
piagnone di Pino Aprile e dei suoi “Terroni”. Né manca la santa alleanza col clericalismo sanfedista dei vari gruppuscoli dell’integralismo cattolico, oltre ai vari comitati no-euro, i complottisti ed i mattoidi fissati col signoraggio bancario. Insomma, tutta la fauna che solitamente affolla le stalle dei vari Formigli-Santoro-Paragone.
Ci mancavano come non mai gli spurghi poujadisti dei truffatori del fisco: i padroncini del triveneto ed i furbetti delle quote latte. In una scarica diarroica che pare inarrestabile, ritornano a galla vecchi coproliti come Lucio Chiavegato della LIFE veneta (Liberi imprenditori federalisti europei), il fozanovista ex craxiano Martino Morsello ed il suo camerata Mariano Ferro (Forconi Siciliani), tutti uniti in nome del secessionismo e dell’evasione fiscale.
Ed è con questi bei tomi che le sedicenti “Forze dell’Ordine” si sono sentite in dovere di solidarizzare.
Dopo aver a lungo evocato l’insurrezione, usando il giocattolo ‘movimentista’, per non essere scavalcato nonostante la sua deriva a destra, Beppe Grillo (ormai in ottima compagnia col suo nuovo amico di Arcore) si è messo ad inseguire la protesta di forconi & affini, cercando di apporre il suo logo su una simile schiuma montante. E nel farlo non trova niente di meglio che lanciare pubblici appelli ai comandanti delle forze armate:
“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate!
Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili…. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue stati.
[…] L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.”
Ah no! Scusate. Abbiamo confuso i discorsi. Questa era la dichiarazione di guerra del duce, il 10/06/1940.
Lettera aperta a Leonardo Gallitelli, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato e Claudio Graziano, Capo di stato maggiore dell’Esercito italiano.
“Mi rivolgo a voi che avete la responsabilità della sicurezza del Paese. Questo è un appello per l’Italia. Il momento storico che stiamo vivendo è molto pericoloso. Le istituzioni sono delegittimate. La legge elettorale è stata considerata incostituzionale. Parlamento, Governo e Presidente della Repubblica stanno svolgendo arbitrariamente le loro funzioni. E’ indifferente che qualche costituzionalista, qualche giornalista, qualche politico affermi il contrario, questi sono i fatti, questo è il comune sentire della nazione.”
E siccome questo sarebbe il “comune sentire della nazione”, tutto il resto (Costituzione, Diritto, Leggi) non conta.
Anatole France, in circostanze del genere, anche se in questo caso gli idioti difficilmente superano i centomila, ebbe a dire…
I proclami del Grullo a cinque stelle non sono nuovi agli appelli eversivi. Certo, invocare il Colpo di Stato supera di gran lunga la cialtronaggine già fuori competizione di questo avanzo acido di cabaret. Stupisce il continuo richiamarsi ai militari ed alle “forze di polizia”, che fanno molto atmosfera da caudillo sudamericano, che ricordano di molto i pronuciamientos delle giunte militari argentine…
O meglio ancora l’appello alle “forze sane della nazione”, con la richiesta rivolta ai generali cileni di prendere il potere. Golpe de Estato peraltro propiziato dalle caceroladas, dallo sciopero degli autotrasportatori, ed il blocco delle derrate. Si sa poi come è andata a finire…
Qui abbiamo solo un lestofante dimissionato che insegue l’impunità e soprattutto un pericoloso ciarlatano che gioca al massimo sfascio e si diverte ad appiccare o alimentare incendi un po’ dovunque, tanto per vedere l’effetto che fa, senza curarsi troppo delle conseguenze, e godersi lo spettacolo dal balcone delle sue ville sulla riviera ligure.
Le Parole e gli Atti
Posted in A volte ritornano, Masters of Universe with tags Attentato, Carabinieri, Casta, Complotto, Demagoghi, Folle, Follia, Guerra, Italia, Liberthalia, Marco Bracconi, Odio, Palazzo Chigi, Politici, Roma, Società, Sparatoria, Squilibrato, Vittimismo on 29 aprile 2013 by Sendivogius«C’è una grande differenza tra il gesto isolato e un attentato organizzato da un gruppo eversivo. E c’è una altrettanto grande differenza tra un gesto spiegabile con l’estremismo politico e uno riconducibile a forme estreme di disagio personale.
Ma sarebbe ottuso e cieco consolarsi con la formula del “gesto isolato”.
In tempi di crisi delle appartenenze, nell’epoca della finta socialità di Facebook, negli anni della solitudine personale e politica dissimulata attraverso l’inganno tecnologico, l’azione individuale – che sia frutto di uno squilibrio o meno – è una inedita ma non per questo meno pericolosa forma di attacco alle istituzioni.
Sempre di una forma di terrorismo si tratta, inutile girarci attorno. La rabbia e la voglia di vendetta contro la politica è ormai una ideologia, un clima, un appartenere ad un “certo sentire”. Che diventi violenza vera e propria da parte di soggetti magari psicologicamente non saldissimi non cambia la sostanza.
Quello che veramente conta, quando si parla di terrorismo, non sono i pochi che sparano, o l’organizzazione clandestina che li raccoglie, o i comunicati politici che portano o non portano in tasca. E’ l’habitat culturale in cui l’azione – singola o di gruppo – matura.
L’odio per la casta sta diventando, nell’Italia del 2013, una ideologia. Per questo, dispiaccia o no e con tutte le dovute differenze, quello che è accaduto oggi non riguarda un caso umano di disperazione o follia. E’ anche un fatto politico.»Marco Bracconi
“Il terrorismo dei soli”
(28/04/2013)
Le parole di Marco Bracconi non sono tanto interessanti per una riflessione che condividiamo in pieno, bensì per la natura sbracata (ai limiti dell’apologia di reato) di certi commenti in seguito…
Tanto per chiarirci, chi si avvicina con l’inganno a persone ignare (chiunque esse siano) e spara loro a bruciapelo, a tradimento, è un INFAME ed un VILE, che si rende artefice di un atto spregevole e che non merita alcuna giustificazione.
Dunque, nella mattinata primaverile di una placida domenica romana, un bastardo con la pistola, troppo frettolosamente bollato come “squilibrato”, si metta a sparare all’impazzata contro i carabinieri che controllano i varchi di sicurezza a Palazzo Chigi, dove si tiene il giuramento del Consiglio dei Ministri, svuotando il caricatore addosso ai due militari e colpendo tra gli altri anche una donna incinta. Obiettivo dichiarato: colpire i “politici”, quale soggetto anonimo e indistinto (tutti uguali), in totalità onnicomprensiva della categoria elevata a fucina di ogni male.
Ci interessa poco e niente che lo sparatore sia un fallito che cerca di attribuire ad altri le responsabilità di una vita sbagliata e scelte fallimentari che riguardano lui solo, che sia un potenziale suicida, o uno psicopatico che si crede “rivoluzionario” e tenta in solitaria l’assalto al Palazzo d’Inverno, pensando che in democrazia un governo sgradito si abbatta a pistolettate.
Ci limitiamo a ricordare come le parole siano pietre; a maggior ragione, l’uso che se ne fa è importante. Ad abusarne troppo a lungo, possono avere spiacevoli effetti collaterali… può anche accadere che queste si possano trasformare persino in proiettili.
E in questa Italietta, ripiegata nei propri rancori e frustrazioni, sempre più abbrutita in un’ignoranza becera, ormai troppo spesso capita che arruffapopoli improvvisati e aizzatori professionisti di folle, giocando sugli istinti irrazionali e pulsioni rabbiose di masse amorfe incarognite dalla crisi, sguazzino con disinvolta faciloneria tra gli umori più fetidi di piazze più o meno virtuali, rimestando con poca coscienza e molto opportunismo nel calderone dei livori impazziti, illudendosi di poter cavalcare la tigre di un odio alimentato ad arte e apparentemente addomesticato alle furberie di istrionici tribuni.
Quando, perdendo ogni senso della realtà e delle proporzioni, si grida ininterrottamente al “golpe” ed al “colpo di stato”…
Quando i propri avversari diventano “casta”.. “zombies”.. “mostri”.. “morti che camminano”… da “spazzare via”, “da cacciare a calci nel culo”… da andare a “prendere nelle loro case”…
Quando si invocano le “ghiogliottine”, la “forca” ed i “forconi” (in senso metaforico, s’intende!)… quando si paragona se stessi a Robespierre (che le teste le faceva rotolare sul serio)…
Quando si evoca la “marcia su Roma” e tutto si riduce a “guerra”…
Quando si rivendica per sé il 100% dei consensi, e che in caso contrario si scatenerà la “violenza nelle strade”… quando le uniche parole interattive della ‘piazza’ sono: “vaffanculo!”, “vergogna!”, “buffoni!”, “tutti a casa!”, a parte ovviamente i propri…
Quando ogni forma di dialogo, o confronto critico ma civile, vuol dire “sporcarsi di merda”…
Quando tutto si riduce ad un “bagno di sangue”, ad una lotta titanica e mortale tra “NOI” (i puri) e “LORO” (gli infetti)…
Allora può accadere, tra le menti più labili, che qualcuno smarrisca il senso della metafora e cominci a baloccarsi con idee balzane… Può succedere allora che tra le psiche più disturbate, e sconquassate dalla precarietà di tempi difficili, certe parole e certi inviti vengano presi terribilmente sul serio e tramutati in atti malsani.
Ovviamente, quando la tigre sfugge al controllo dei suoi ambiziosi domatori, vedrete che questi prenderanno immediatamente le distanze, declinando ogni responsabilità. Scandalizzati e indignati, grideranno al complotto dei loro nemici (reiterando la farsa nella tragedia) e di occulti poteri, attivati per bloccare la loro “rivoluzione” gastrica. Urleranno alla cospirazione, che da sempre è l’arma abusata di qualunque cialtrone. E si aggrapperanno come disperati al vittimismo di chi ha la coda di paglia e nessuna coscienza da poter sporcare.
ONORE AL MERITO!
Posted in Masters of Universe, Roma mon amour with tags Alessandro Causi, AMA, Amos Spiazzi, AN, Andrea Cappelli, Anna Iannuzzi, ATAC, Banda della Magliana, Carabinieri, Comune di Roma, Consorzio Pegaso, Constantinian University, Corruzione, Corte dei Conti, Destra, Enrico De Castro, Enrico Nicoletti, Eugenio Tissarant, Fabrizio Montali, Fascisti, Forza italia, Francesco Storace, Franco Cerretti, Gianni Alemanno, Giulio Gargano, Giunta Alemanno, Istituti di Vigilanza privata, Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma, IVRI, Liberthalia, Licio Gelli, Loggia P2, Mafia, Marco Buttarelli, Marco Verzaschi, Niccolò Pollari, PdL, Regione Lazio, Renato Mongillo, Roma, Salvatore Di Gangi, Sanità, Sebastiano Montali, Security Service, Sergio De Gregorio, Sipro, Sveva Belviso, UDC, Udeur, Università degli Studi Costantiniana, Valter Lavitola on 4 agosto 2012 by Sendivogius«In linea di principio potrei anche assumere mia madre, non mi pare inopportuno»
È quanto ha dichiarato Sveva Belviso (il 31/07/12), vicesindaco di Roma già assessore alla Politiche Sociali, in merito all’assunzione della… cognata!
Ormai, è quasi impossibile tenere il conto dell’infornata di assunzioni al Campidoglio e “chiamate dirette” nelle aziende municipalizzate del Comune. Del resto, il vero fondamento della Repubblica italiana non risiede certo nel ‘Lavoro’, bensì nella ‘Famiglia’ alla quale gli italiani (politicanti inclusi) sono estremamente legati. Per questo non se ne separano mai.
La parola magica si chiama intuitu personae; è la formula prediletta per la pronta sistemazione di parenti, famigli e sodali, nell’accogliente greppia capitolina, a prescindere da titoli e competenze e fedina penale.
Per il resto dei comuni mortali, che protettori non ne hanno o non ne cercano, le cose funzionano molto diversamente…
Per esempio, è prevista:
a) L’immunità da condanne penali o procedimenti penali in corso che impediscano la costituzione di un rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.
b) L’idoneità allo svolgimento delle mansioni relative al posto da ricoprire.
Tali prescrizioni costituiscono soltanto una parte dei requisiti di ammissione, per le “procedure di selezione pubblica per titoli ed esami”, in teoria obbligatorie, per l’assunzione (tramite concorso) al Comune di Roma. E in ogni caso:
“Non possono partecipare alla procedura selettiva coloro che siano dichiarati decaduti dall’impiego per aver conseguito dolosamente la nomina, mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità insanabile [per esempio, una laurea falsa] o che abbia riportato condanne penali con sentenza passata in giudicato.”
Le disposizioni sono contenute nella delibera comunale n.424 del 22/12/2009, a cura della giunta Alemanno la quale, con ogni evidenza, applica sulla carta i principi che bellamente ignora al proprio riguardo. Mentre il Civetta e la sua cricca piazzava vecchi squadristi e avanzi di galera, cubiste e semianalfabeti, ad incarichi di responsabilità, con infornate di masse e lauti stipendi, è divertente notare la scrupolosa attenzione con la quale vengono selezionati i travet comunali…
I principi che devono orientare l’azione amministrativa della P.A. nell’espletamento della funzione amministrativa sono riconducibili a tre tipologie di fonti normative (comunitarie, costituzionali, l.241/1990). Quale tra quelli indicati è individuato nel capo I della legge n. 241/1990?
A) Principio di semplificazione.
B) Principio del decentramento amministrativo.
C) Principio democratico.
D) Nessuna delle altre risposte è corretta.Con riferimento alla realtà australiana, una delle seguenti non è tra le ragioni individuate da Savage nel 2006 per spiegare la scarsa attenzione degli operatori museali riguardo alle ricerche sul pubblico:
A) Convinzione che la missione del museo non è il pubblico ma la conservazione delle opere.
B) Convinzione di conoscere il proprio pubblico.
C) Convinzione di non poter sostenere le spese per un’indagine appropriata.
D) Mancanza di fiducia in qualsiasi tipo di ricerca sociale.Secondo la definizione di Simona Bodo, i modelli di policy per il “museo relazionale” sono:
A) 3.
B) 4.
C) 5.
D) 6.Con riferimento ai principi e/o criteri individuati nel Capo I della legge n. 241/1990 indicare quale affermazione sul principio della semplificazione del procedimento è corretta.
A) Per semplificazione si intende l’organizzazione del procedimento amministrativo che tende a valorizzare le esigenze di trasparenza e concentrazione dell’azione amministrativa, unitamente a quelle del giusto procedimento, attraverso l’introduzione di istituti e regole operative a tutti i livelli del procedimento.
B) Comporta che l’azione amministrativa deve svolgersi nei limiti dell’autorizzazione legislativa e nel rispetto dei principi che presiedono all’esercizio della funzione amministrativa.
C) Comporta l’obbligo per le P.A. di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso sia quando il procedimento è iniziato ad istanza di parte sia quando è iniziato d’ufficio.
D) Comporta per la P.A. l’obbligo di esporre le ragioni di fatto e di diritto (giustificazione), nonché delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta.
Sono alcuni dei quesiti (neanche tra i più difficili), contemplati nella prova preselettiva per il posto di “Istruttore Servizi Culturali, Turistici e Sportivi” al Comune di Roma, durante l’ultimo grande concorso pubblico. Sono domandine semplici, che presuppongono una certa preparazione giurisprudenziale, per un profilo professionale riservato a candidati con diploma di maturità liceale.
FOGNA SENZA FONDO
L’incompetenza genera sempre costi supplementari. Il vantaggio di una giunta bulimica, che non riesce a controllare gli appetiti dei troppi gerarchi, è quello di poter addebitare le spese sul conto della cittadinanza. Infatti, oltre allo spropositato aumento della seconda rata dell’IMU (la più cara d’Italia), i Romani si sono visti aumentare il prezzo del biglietto di autobus e metropolitane, a fronte di un servizio trasporti che, con un pietoso eufemismo, si potrebbe definire ‘carente’. Va inoltre aggiunto l’aumento della tassa sulla (pessima) raccolta rifiuti, in una città oramai assediata dalle sue stesse immondizie. E non andrebbero dimenticati i continui disservizi di ACEA (acqua ed elettricità), che sembra sempre più incapace di emettere bollette con gli importi al consumo esatti.
E questo nonostante le migliaia di assunzioni clientelari nelle municipalizzate (tutte con i bilanci pesantemente in passivo): 1.400 assunzioni in AMA (raccolta rifiuti); 854 in ATAC (trasporto urbano), 600 assunzioni in ACEA (gestione idrica). L’aggravante risiede nel fatto che ACEA è una società quotata in borsa, che ha visto crollare in poco più di una anno i rendimenti azionari a seguito di una gestione a dir poco indecente.
Dopo aver infilato raccomandati ovunque e posto cialtroni incompetenti ai vertici aziendali, prosciugando le casse, la giunta fascista (hic et nunc e tutt’altro che post) ha provato inutilmente di svendere ACEA ai privati (leggi: Gruppo Caltagirone) e privatizzare la rete idrica nonostante l’esito del referendum sull’acqua pubblica. I palazzinari a Roma hanno sempre prosperato con le giunte di qualsiasi colore. Il loro sostegno è imprescindibile. Pertanto, coccolati i Caltagirone (e P.F.Casini, parente acquisito) non poteva certo mancare una lauta contropartita per il Gruppo Parnasi, a carico stavolta dell’ATAC. Si tratta di una delle tante sorprese lasciate in eredità dalla catastrofica gestione di Adalberto Bertucci [QUI] e che la nuova governance aziendale sta cercando disperatamente di contenere, limitando i danni fin dove possibile:
«L’ATAC ha un bilancio in rosso fisso. Eppure, l’azienda che gestisce la mobilità della Capitale, pensa a comprare una nuova sede da 24mila metri quadrati (che ancora deve essere costruita) sborsando 119 milioni di euro. Ma non solo. Decide di farlo con una modalità di pagamento che è estremamente vantaggiosa per il venditore (il fondo Sgr di BNP Baripas che ha come soggetto attuatore il gruppo di costruzioni Parnasi) e ad alto rischio per l’acquirente: un anticipo di 20 milioni e il resto in base all’avanzamento dei lavori. Un’operazione pericolosa fermata, solo per il momento, dalla nuova governance dell’Atac che è riuscita a trasformare il contratto di compravendita in un contratto di affitto. Ma il rischio resta.
[…] Decorsi 30 mesi dalla data di efficacia del contratto di affitto, infatti, il fondo che gestisce l’immobile vicino al Grande raccordo anulare può tornare a chiedere ad Atac di acquistare il complesso a 94 milioni di euro (pari alla differenza tra il nuovo prezzo ribassato e i 20 milioni versati per il canone) utilizzando anche come pagamento un’eventuale permuta. Magari proprio una delle attuali sedi, come quella strategica in via Tiburtina rimasta deserta per via del trasferimento del personale nel nuovo immobile. Operazioni finanziare ad altissimo rischio, effettuate con i soldi dei cittadini.»Davide Desario
Il Messaggero – 03/08/2012
(Articolo integrale QUI)
Inoltre, trasformare il Campidoglio e le sue aziende in una enorme ‘casa del fascio’, per il collocamento dei camerati in disarmo e dei democristiani in transumanza, con la creazione di nuovi bacini di voto clientelare, non ha portato fortuna al podestà barese subissata da una sequenza di scandali a ciclo continuo, con cadenza settimanale.
Nell’indecente farsa senza fine della parentopoli romana, non poteva certo mancare il classico siparietto assenteista, con gli impiegati che timbrano il cartellino per poi dileguarsi. Palcoscenico di turno: ACEA.
Peccato che i due furbacchioni colti sul fatto non siano dipendenti qualsiasi… Si tratta infatti di Enrico De Castro (classe 1965) e Alessandro Causi (classe 1963), rispettivamente capo della sicurezza informatica e responsabile della vigilanza il secondo. I due utilizzavano le ore d’ufficio per dedicarsi all’autosalone di famiglia, facendosi rimborsare peraltro le “spese di trasferta” direttamente dall’ACEA.
Nel 2010 la loro assunzione, naturalmente con chiamata diretta su segnalazione (pare) del Campidoglio, a suo tempo aveva suscitato più di un mugugno scandalizzato. Il loro primo ingresso nella partecipata pubblica risale al 2008, quando imboccano entrambi con un contratto di consulenza a cinque mesi (rinnovabili), come ‘esperti della sicurezza’ per conto della “Security
Service”. Di rinnovo in rinnovo, il contratto originario si trasforma in assunzione diretta a tempo indeterminato, non prima di aver intascato quasi 150.000 euro in consulenze e nonostante in Acea esistesse già una più che avviata divisione per la sicurezza. E se Enrico De Castro ha esperienze lavorative alla Ericsson ed alla British Telecom, Alessandro Causi può vantare una laurea in “Scienze Investigative” conseguita presso la famosissima Constantinian University, ateneo cattolico con sede nel Rhode Island (USA).
La prestigiosa istituzione viene costituita nel lontano agosto del 1966, da mons. Eugenio Tissarant, arcivescovo di Ostia, come Università degli Studi Costantiniana. La sede originale si trova alla Giustiniana (oscillando ai due estremi della periferia romana), ma la vocazione è internazionale e il trasferimento negli USA a partire dal 2000 solleva il presunto ateneo da fastidiose verifiche ministeriali.
Una curiosità: il ‘senato accademico’ della sedicente università vanta tra le sue “autorità” anche il gen. Amos Spiazzi. Il vecchio generale monarchico è stato un anello delle trame eversive, attraverso il quale sono passati i fili della sottile linea nera del golpismo italiano, dalla Rosa dei Venti al Golpe Borghese, dalla Strage di Piazza Fontana all’adesione alla Loggia P2 di Licio Gelli, contraddistinto da un’ambiguità di fondo mai dissolta.
Il Business delle Sicurezza
La furbissima accoppiata Causi e De Castro, i due consulenti diventati dirigenti ma venditori d’auto a tempo pieno, sembra si avvalesse pure dei servigi degli (ex) colleghi della Security Service, ovvero l’istituto di vigilanza che ha in appalto la sicurezza di Acea.
Nella selva dei nomi più improbabili, per un’inflazione delle sigle più disparate, quello delle agenzie private per la vigilanza e per la sicurezza è un business tutto particolare, pompato da commesse quasi sempre pubbliche, quasi sempre su assegnazione politica, per stipendi miserrimi e assunzioni su ‘segnalazione’. Insieme alle cooperative di facchinaggio e di pulizie, costituiscono una riserva strategica di assunzioni clientelari. Specialmente per quanto riguarda i servizi di portierato e reception, tali agenzie costituiscono un pratico supplemento occupazionale, per la creazione di personali bacini di ritorno elettorale. È questa a Roma una pratica soprattutto ad uso UDC, come si conviene ad una specialità d’origine democristiana.
È un intreccio di rapporti sotterranei e commistioni politiche tutt’altro che limpido e con interessi non sempre leciti, nel suo impianto dalla facciata legalitaria e dall’impronta fascistoide.
La “Security Service”, dalla quale Alessandro Causi proviene e deve le sue fortune nel pubblico impiego, non è affatto sconosciuta alla cronaca recente, essendosi guadagnata una certa notorietà in ambito giudiziario…
LA CUCCAGNA SANITARIA
Forse pochi ricordano come l’agenzia privata sia stata coinvolta nel mega-scandalo della Sanità laziale, ai tempi allegri della giunta regionale del fascistissimo Francesco Storace, che molto ha contribuito alla voragine contabile della Regione Lazio: questo nero deretano al centro della Penisola, capace di defecare da 70 anni e senza vergogna alcuni dei peggiori politicanti nazionali.
Nel corso del 2007, il NAS dei Carabinieri smantella un sistema di corruzione scientifica, che gravita attorno ad un pugno di manager pubblici e imprenditori privati, fondato sulla manipolazione delle gare d’appalto, il sovrapprezzo delle forniture ospedaliere, l’assegnazione dei servizi di vigilanza privata per i presidi ospedalieri, e i rimborsi truccati della cosiddetta sanità convenzionata.
Al centro della truffa c’è la Asl RM/C. Tra gli ospedali invischiati nello scandalo c’è il presidio dell’Addolorata (interno all’Ospedale S.Giovanni), il Sant’Eugenio, l’Istituto Zooprofilattico del Lazio, il Presidio ospedalierio Sant’Anna…
Si falsifica tutto: dai numero dei pasti forniti ai conti della lavanderia, dai rimborsi spese alla contabilità ordinaria, fino al numero dei ricoverati e delle prestazioni fornite… Dal 2002 al 2006, verranno conteggiati 280.000 degenti fantasma per ricoveri mai avvenuti.
Sono coinvolti dirigenti sanitari, imprenditori, ma anche grossi esponenti politici. Per esempio, c’è Marco Buttarelli, ex capo di gabinetto di Storace; Giulio Gargano, ex assessore ai Trasporti. Soprattutto, c’è Marco Verzaschi, transfuga democristiano specialista in riciclaggio presso il vincitore del momento: candidato in “Forza Italia” (1995), assessore alla Sanità del Lazio nella giunta regionale di Francesco Storace, eppoi riciclato nell’UDEUR di Clemente Mastella (2005), pronto per diventare sottosegretario alla Difesa nel Governo Prodi.
Tra le personalità di rilievo della truffa, c’è Anna Giuseppina Iannuzzi, soprannominata Lady Asl. Figlia di un ambulante dell’avellinese, fa la sua fortuna a Roma e insieme al marito, l’ing. Andrea Cappelli, gestisce il “Centro Romano San Michele”.
Secondo le accuse, Marco Verzaschi si sarebbe fatto versare 200.000 euro, per l’accreditamento della struttura in convenzione. Il condizionale è d’obbligo visto che non c’è una sentenza definitiva e Verzaschi ha sempre respinto ogni addebito.
Altri 200.000 euro l’onorevole se li sarebbe fatti dare, tra il 2004 ed il 2005, da Renato Mongillo, titolare della Security Service, per l’assegnazione della vigilanza privata all’Ospedale S.Giovanni. Altri 20.000 euro Mongillo li avrebbe dati a Franco Cerretti, il direttore amministrativo del S.Maria Addolorata.
“Nel sistema, secondo i carabinieri, c’era anche Luigi Moriccioli, il ciclista ucciso sulla pista ciclabile nell’estate del 2007, dipendente del San Giovanni, che avrebbe collaborato con Cerretti. Altre irregolarità sarebbero emerse anche in alcuni appalti della società “Innova” presso gli ospedali Sant’Eugenio e Cto che fanno capo alla Asl RmC.”
Cecilia Cirinei
L’Espresso – 10/06/2009
Luigi Moriccioli è il ciclista massacrato a Tor Di Valle, da due balordi rumeni il 17/08/2009.
Il delitto verrà poi strumentalizzato oltre ogni decenza (pareva l’avesse ammazzato Veltroni), durante la campagna elettorale di Gianni Alemanno, insieme ad qualsiasi altro fatto di cronaca nera. Salvo poi glissare ogni responsabilità per l’escalation criminale a elezione avvenuta. La figlia di Moriccioli, aveva trovato pronta candidatura nelle file di AN, come una dei “garanti per la sicurezza”. E d’altra parte le preoccupazioni securitarie del sindachetto barese sono ridotte ormai a propagandistici raid notturni contro il meretricio da marciapiede (peraltro dilagante).
SECURITY SERVICE & dintorni…
Renato Mongillo è il grande accusatore. Arrestato nel Luglio del 2007 è colui che permette di scoperchiare i gangli del sistema, rivelando le corruttele politiche.
“Il direttore amministrativo del S.Giovanni [Franco Cerretti] è stato incastrato da Renato Mongillo, titolare della Security Service, arrestato a luglio 2007 in uno dei filoni dell’inchiesta su Lady Asl: l’imprenditore ha rivelato di aver dato 20 mila euro a Cerretti in cambio dell’aiuto che avrebbe avuto per vincere l’appalto per la sicurezza del San Giovanni. Dopo la confessione, sono iniziate le intercettazioni telefoniche e ambientali. In quella del 2 dicembre 2007 un’impiegata spiega a una collega: «Loro li alteravano i conteggi, sia Cerretti che Moriccioli. Li alteravano perché consideravano sempre che su un letto mangiavano due persone, quello che usciva e quello che entrava. L’aggiustavano a modo loro. Carta vince e carta perde». Sarebbero stati 283.896, tra il 2002 e il 2006, i pazienti fantasma, conteggiati solo per far lievitare il costo di pasti e lenzuola.”
Alessandro Fulloni e Ilaria Sacchettoni
“Tangenti in ospedale”
Corriere della Sera del 10 Giugno 2009
La collaborazione però non gli risparmia il rinvio a giudizio e una condanna di risarcimento erariale, da parte della Corte dei Conti (Sent. N.775/2011).
In pratica, la Security Service, per i suoi servizi di vigilanza, incassa dalla Asl Roma/C pagamenti non dovuti per 1.142.000 euro.
“trattandosi di interessi legali e fatture non ancora liquidate o liquidate solo parzialmente, per le quali erano stati commessi grossolani errori di calcolo, oltre che basati solo sulla documentazione presentata dalla società, senza alcun riscontro con quanto risultante agli atti della A.S.L.”
Inoltre, si legge nella sentenza che:
“gli accertamenti condotti nell’ambito di altro procedimento penale avevano riscontrato diversi episodi di corruzione in cui erano stati coinvolti gli amministratori della ASL RM/B (alcuniimprenditori mediante la corresponsione di tangenti, miravano ad ottenere l’aggiudicazione di appalti o il rinnovo di contratti per la fornitura di beni e servizi); considerato che la medesima società aveva svolto servizi di vigilanza anche per la ASL RM/C, venivano svolti accertamenti che permettevano l’emersione di ulteriori irregolarità consistenti nella emissione di falsi mandati di pagamento, formalmente registrati in favore di società contraenti con la medesima ASL, mentre di fatto le somme di denaro venivano accreditate su c/c intestati ad altre società di comodo riconducibili ai componenti del sodalizio criminale; le informazioni acquisite dai titolari delle società destinatarie dei mandati di pagamento consentivano di accertare che le loro ditte non vantavano i crediti riportati nei mandati e non avevano mai delegato per la riscossione le società sui conti delle quali erano state effettivamente versate le somme di denaro.”
La vicenda, assai poco edificante, non ha impedito alla filiazione meridionale della ‘Security Service’ (la Security Service Sud) di aggiudicarsi nel 2010 un mega-appalto da 45 milioni di euro in tre anni, per i servizi di vigilanza presso la Asl di Napoli 1. La gara al ribasso è stata vinta per un solo centesimo di differenza (sul pagamento ogni singola ora di lavoro), rispetto alle offerte delle concorrenti.
A Roma invece, in un afflato di rigorismo legalista senza precedenti, con raffiche di ricorsi al TAR contro le assegnazioni di appalti pubblici (dall’Acea alle Asl regionali) alla Security Service, si è distinta una battagliera alleanza di alcune delle principali agenzie della Capitale, capitanate dall’Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma…
Montali & Friends
L’Istituto di Vigilanza Nuova Città di Roma, insieme alla Securitas Metronotte, la Roma Union Security (che fa capo a Claudio Lotito), Italpol, Capitalpol… costituiscono un’associazione temporanea d’impresa (ATI); al contempo, non mancano partnariati anche con la SIPRO di Salvatore Di Gangi. In pratica, si spartiscono la quasi totalità delle commesse pubbliche a Roma e per conto della Regione Lazio. Di fatto, anche se non è lecito dirlo, secondo i malevoli, costituirebbero quasi una sorta di cartello, rimpallandosi a turno gli appalti più ghiotti: i depositi dell’ATAC; il centro RAI di Saxa Rubra; la vigilanza nelle stazioni della metropolitana; il portierato nelle sedi ministeriali, non ultimo, il ministero dei Beni Culturali.
Il responsabile per lo “Sviluppo Partecipazioni e Controllo Gestione” per conto della Nuova Città di Roma è Fabrizio Montali. Figlio di un ex esponente socialista di epoca craxiana: Sebastiano Montali, siciliano trapiantato a Roma, presidente della Regione Lazio (1985-1987), sottosegratario alle partecipazioni statali (il regno degli appalti pubblici), invischiato nel caso della maxi tangente Enimont, e (manco a dirlo!) approdato in “Forza Italia”.
Montali junior, quello che tanto si è indignato per le fortune della rivale Security Service, non sembrerebbe essere esattamente un immacolato…
Nel 2010 viene denunciato da Mauro Brinati, segretario territoriale della Fisacat Cisal di Roma, per tentata corruzione, nell’ambito di una presunta truffa e falsificazione dei bilanci aziendali per 32 milioni di euro.
Ma le prime indagini sul suo conto risalgono al 2003, nell’ambito del cosiddetto “Vip-Gate”, una delle prime inchieste condotte da Henry John Woodcock, per conto della Procura di Potenza.
“[L’inchiesta] nota come «Vip-gate» nel dicembre del 2003 portò all’iscrizione nel registro degli indagati di 78 persone tra cui politici, due ministri, personaggi dello spettacolo e del giornalismo, funzionari di Ministeri, Comuni, enti pubblici per una serie di reati che andavano dall’associazione per delinquere per la turbativa di appalti all’estorsione, alla corruzione, al millantato credito ed al favoreggiamento. Un’inchiesta che si concluse con l’archiviazione degli indagati più noti ma alcuni fascicoli sono ancora aperti in altre Procure. Il Vip gate era un filone di una precedente indagine incentrata sulle «tangenti Inail» e sulle «tangenti del petrolio» del maggio dell’anno precedente che aveva decapitato i vertici nazionali dell’Inail e coinvolto anche politici lucani di primo piano.”
Il Tempo – 17/06/2006
Nel 2006 invece è coinvolto in una storiaccia di estorsioni e minacce con l’intramontabile Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana, per conto del quale pare faccia il prestanome per l’intestazione fittizia dei beni. L’intera vicenda la trovata riassunta QUI.
Per questo,
«E’ indagato per tentata estorsione dal pm Lucia Lotti della Procura di Roma che ne ha già chiesto il rinvio a giudizio per riciclaggio, corruzione e intestazione fittizia di beni con l’aggravante di mafia. Montali sarebbe stato il prestanome di Enrico Nicoletti, accusato di essere il cassiere della banda della Magliana.»
Paolo Forcellini
“I boss della vigilanza”
L’Espresso (09/10/2006)
Pertanto, nell’autunno del 2006, tramite il Consorzio Pegaso di cui è presidente, Montali rileva dal fallimento l’Istituto Urbe.
«Nel consorzio Pegaso è presente anche Salvatore Di Gangi, il re della vigilanza privata al vertice di un impero di 5 mila vigilantes. Anche lui in passato si è incrociato con Nicoletti: è stato socio al 50 per cento di un’immobiliare che, per l’altra metà, è stata sequestrata a don Enrico. Nonostante tutto, la politica asseconda il consorzio Pegaso. Montali ha partecipato alle riunioni convocate dal ministero dello Sviluppo in qualità di salvatore dell’Urbe.»
Paolo Forcellini
“I boss della vigilanza”
L’Espresso (09/10/2006)
Salvatore Di Gangi, gran patronus di un colosso della vigilanza privata come la SIPRO, è uno di quei personaggi che meriterebbe una trattazione a parte…
«Salvatore Di Gangi, siciliano, inquisito per una lunga serie di reati. E ciò nonostante dominus di una delle più emergenti tra le aziende che si occupano di sicurezza privata in Italia. L’azienda di Di Gangi si chiama Sipro, e nasce nel segno della P2. A fondarla, infatti, è Antonino Li Causi, tessera 526 della loggia guidata da Licio Gelli, un siciliano trapiantato a Roma. Nel 1994 la Sipro viene rilevata da un altro isolano di stanza nella capitale: è lui, Di Gangi, nato nel 1946 a Canicattì. Quando rileva la Sipro, Di Gangi a Roma si è gia ben ambientato, ha amici politici e rapporti d’affari. E anche frequentazioni oscure: suo fratello Vittorio detto Er Nasca bazzica gli ambienti della Banda della Magliana, l’altro fratello Aldo detto Buscetta inanella denunce. Ma ciò non impedisce alla Sipro, sotto la guida dell’ energico siciliano, di crescere, espandersi, conquistare appalti privati e pubblici: questi ultimi soprattutto nelle Poste e nella Difesa, da anni feudo della destra. Per allargarsi, Di Gangi non disdegna metodi sbrigativi, come truccare gli appalti mettendosi d’accordo con i concorrenti. Ed è così che entra nella indagine da cui, filiando come amebe, scaturiscono quasi tutte le inchieste successive, compresa quella che oggi colpisce Storace. L’inchiesta-madre è quella sull’Ivri, il più grosso istituto di vigilanza privata italiano, accusato di comprare appalti a suon di tangenti. Di Gangi finisce inquisito per avere addomesticato in combutta con Ivri una gara per la vigilanza sulle caserme dell’esercito.
[…] Ma di certo l’imprenditore della Sipro ha amicizie che portano dritto nel cuore del mondo delle intercettazioni: è lui stesso a vantarsi di avere un “contatto” ai vertici di Telecom, i suoi rapporti con alcuni alti ufficiali della Guardia di finanza sono notori. Meno notorie, e ormai ingiallite dal tempo, sono le tracce che lo legavano, anche se meno direttamente del fratello Vittorio, ad ambienti criminali dell’ estrema destra romana: in via Magliano Sabina 22, dove hanno sede le società di Di Gangi, risultava anche la Immobiliare Generale Sarda, una società controllata da Enrico Nicoletti, che della Banda della Magliana era accusato di essere il cassiere. Vicende remote e vicende recenti, insomma, sembrano incrociarsi intorno a questo sessantenne riservato e alacre. Oggi Di Gangi è un imprenditore talmente rispettabile che il 27 aprile dell’anno scorso l’Unione Industriali di Roma lo ha designato alla guida della nuova associazione di settore dedicata al mondo della security aziendale, la Sezione Sicurezza. E, a dispetto dei dispiaceri giudiziari, la Sipro sta allargando a vista d’ occhio il suo giro d’affari. A Milano, per esempio, ha ottenuto un contratto per la sicurezza della Fiera, andando ad occupare lo spazio lasciato libero dai rivali di Ivri: gli stessi con cui, secondo la Procura milanese, si accordava per taroccare le gare d’appalto.»
“Segreti e appalti milionari gli affari del re dei vigilantes”
Luca Fazzo – La Repubblica (13/03/2006)