Archivio per Bombardamenti
SYRIANA (I)
Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags Affari Esteri, Barack Obama, Bashar al-Assad, Bombardamenti, Brigata Scorpion, Califfato, Coalizione, Conflitto, Curdi, Decapitazioni, Esteri, Fondamentalismo, Geopolitica, Guardiani della Rivoluzione, Guerra, Helly Luv, Integralismo, Iran, Iraq, IS, ISIS, Islam, Jalal Talabani, James Foley, Kobane, Kurdistan, Liberthalia, Masud Barzani, Medio Oriente, Pasdaran, PDK, Peshmerga, PKK, Rojava, Siria, Turchia, UE, UPK, USA, YGP, Zbigniew Brzezinski on 4 ottobre 2014 by SendivogiusDel resto, nessun Mr President avrebbe potuto restare inerte dinanzi all’esecuzione a freddo di cittadini statunitensi, macellati in pubblico ed esibiti come trofeo, con tanto di trasmissione in mondovisione.
Di fatto, i raids aerei in Siria sono tanto più inutili quanto inefficaci, dal momento che non esiste alcuna pianificazione o strategia condivisa con le formazioni combattenti operanti sul territorio (e sull’argomento dovremo tornare con una trattazione a parte…), in assenza di una qualunque logistica degna di questo nome, e senza che intercorrano scambi di informazioni nel terrore di dover dare l’impressione di una qualche collaborazione col regime del dittaroe siriano Bashar al-Assad.
A maggior ragione che delle forze combattenti del cosiddetto “Califfato”, ad eccezione delle efferatezze e della brutalità dei suoi capi-banda, si conosce ben poco: non l’esatta consistenza numerica, non l’effettivo potenziale bellico a disposizione, non gli scenari di battaglia. È difficile infatti credere che 15.000-20.000 psicopatici omicidi possano controllare con successo un fronte di guerra di oltre 1000 km². E la sensazione dominante è che siano stati altamente sottovalutati.
Non serve essere un Rommel per capire come attacchi mirati e bombardamenti a distanza siano assolutamente inutili, contro uno schieramento tanto flessibile; oltre all’assurdo economico di sprecare missili per centinaia di migliaia di dollari, contro un minivan adibito al trasporto delle munizioni di riserva.
Certamente non è il caso del vaporoso e demoralizzato esercito iracheno, falcidiato dalle disfatte e dalle diserzioni, sconquassato dalle divisioni tribali al suo interno, nonché totalmente inaffidabile. Ma nell’ottica strategica di Washington,
Ovvio che le autorità centrali centellino al massimo sostegno economico ed aiuti militari, in attesa della resa finale dei conti. Per contro, le squadracce dell’ISIS devono essere state implicitamente viste da Baghdad come un utile strumento, per svolgere il lavoro sporco che Baghdad non è in forza di realizzare. È non è un caso che nessun supporto sia mai arrivato durante l’attacco a Mossul, abbandonata al suo destino come gli Yazidi del Sinjar o le comunità cristiane della Chiesa assiro-caldea.
E dunque indegna di qualsiasi protezione e sostegno da parte dei raid aerei,
UNITED BOMBER
Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags Ahmed Abdel Hadi Chalabi, Al Qaeda, Arabia Saudita, Armi chimiche, Armi di distruzione di massa, Barack Obama, Bill Clinton, Bombardamenti, CIA, Colin Powell, Congresso Nazionale Iracheno, Crimini di guerra, Dipartimento di Stato, Egitto, Esteri, Francia, Geopolitica, George W. Bush, Guerra, INC, Intesa Nazionale Irachena, Iran, Iraq, Iyad Allawi, Liberthalia, Libia, Medio Oriente, Mobile production facilities, Nord Africa, ONU, Siria, Smoking gun, Sudan, USA, WMD on 6 settembre 2013 by SendivogiusQualcuno di voi si ricorda del sig. Iyad Allawi?
Fondatore della “Intesa Nazionale Irachena”, sedicente capo dell’opposizione democratica in esilio, è stato l’inutile idiota pescato dalla CIA e sponsorizzato dal Dipartimento di Stato statunitense, per rappresentare quella solida democrazia che è l’Iraq pacificato dal dopo-invasione.
Peraltro si trattava di un uomo di paglia di seconda scelta, giacché inizialmente tutte le preferenze erano state accordate a tale Ahmed Chalabi ed al suo fantomatico “Congresso Nazionale Iracheno” (INC), la cui influenza e radicamento nella realtà irachena era tale quanto un pinguino può essere rappresentativo della fauna sub-sahariana.
Accreditatissimo presso l’amministrazione Bush, viene presentato come un eroe della democrazia (secondo il modello petrolifero-coloniale dei neocon) e definito contro ogni sprezzo del ridicolo il “George Washington dell’Iraq”, aggiungendo la farsa alla tragedia. Chalabi è in realtà un noto bancarottiere, truffatore internazionale, nonché mitomane conclamato, doppiogiochista e sospetto spione al soldo degli ayatollah iraniani, senza alcun seguito politico o legame con l’opposizione anti-saddamita in Iraq. Al contempo, l’INC è una protuberanza personale del furbo avventuriero levantino, che la usa per rastrellare (e mettersi in tasca) le decine di milioni di dollari destinati alla ricostruzione nel dopoguerra iracheno. Verrà subito nominato Ministro del Petrolio dai “Liberatori”, nel nuovo Iraq trasformato in colonia da estrazione.
D’altronde, Ahmed Chalabi è stato anche colui che ha prodotto le prove ‘inoppugnabili’ sui legami del regime laico ed ultra-nazionalista dei baathisti di Bagdhad con gli integralisti transnazionali di Al-Quaeda. Più facile che un cobra e una mangusta convivano insieme nella stessa tana. Altresì, sempre Chalabi è la fonte ‘incontrovertibile’ che a suo tempo fornì le
cartucce esplosive alla famosa “smoking gun”, creando la strampalata favoletta sui laboratori mobili per la produzione delle “armi di distruzione di massa”, montati dagli iracheni su tir in movimento, ed esposta al Consiglio di sicurezza dell’ONU con dovizia di particolari (05/02/93) da un Colin Powell senza alcuna ombra di imbarazzo.
Adesso, con dieci anni di distanza e di guerre infinite che dallo scacchiere mediorientale si trascinano senza soluzione di causa tra gli altipiani dell’Afghanistan e le valli dello Swat pakistano, la nuova amministrazione USA si prepara a trascinare nell’ennesimo conflitto una nazione che, con ogni evidenza, non riesce proprio a stare lontano dalla guerra.
Obiettivo di turno è la Siria dello stralunato Bashar al-Assad, nella convinzione che per alleviare le sofferenze della popolazione civile non ci sia niente di meglio che innaffiarla con una pioggia di bombe.
Se le motivazioni e le manovre che nel 2003 portarono alla seconda Guerra del Golfo furono oggetto di critiche serrate, l’operazione condotta all’epoca dall’amministrazione Bush rischia di apparire addirittura un capolavoro politico e diplomatico, a paragone della raffazzonatissima strategia messa frettolosamente in piedi da O’Banana e dai bravi ragazzi del suo groupthink, dopo i conclamati successi in Libia ed Egitto.
Il contestatissimo Bush jr, in flagrante violazione delle disposizioni ONU, riuscì comunque a mettere insieme una “coalizione di volenterosi” con una cinquantina di paesi compiacenti.
Il presidente “Hope & Change”, premio Nobel alle intenzioni per la pace, e attuale commander in chief della nazione più guerrafondaia del pianeta si accinge ad attaccare la Siria, ovviamente senza mandato ONU, con l’apporto delle due principali ex potenze coloniali della regione: una recalcitrante Gran Bretagna e la fanfaronesca Francia del ‘socialista’ Hollande.
Inoltre, l’intervento militare è fortissimamente caldeggiato da noti baluardi democratici, oltremodo famosi per la difesa dei diritti umani, come quel campione della laicità e della libertà religiosa che è l’Arabia Saudita. All’atto pratico, i diretti beneficiari dell’attacco saranno i simpatici tagliagole barbuti delle formazioni salafite: gli affidabili “ribelli” che combattono per l’instaurazione della sharia e si dedicano alla caccia delle minoranze (a partire dai cristiani) in tutti i territori ‘liberati’, che finora ci hanno deliziato col solito corollario di decapitazioni, mutilazione dei prigionieri, e (davvero ci mancavano!) atti di cannibalismo immortalati nei loro filmini amatoriali orgogliosamente caricati su internet.
L’America dei neocon, traumatizzata dagli attentati del 9/11, pensò comunque di dover fornire le “prove” a legittimazione del proprio intervento armato, spendendosi nella pantomima dei mobile production facilities for WMD all’ONU.
O’Banana ed il suo staff invece si guardano bene dal presentare, e tanto meno dall’esporre pubblicamente, le indiscutibili informazioni sull’uso indiscriminato di armi chimiche da parte del famigerato regime siriano. In tal modo non si corre il rischio di venire smentiti, o di fare incresciose figure come quella fatta all’epoca dallo zelante Colin Powell.
Nel 2013 come nel 2003, il referente naturale dell’amministrazione USA è un evanescente “Consiglio” dell’opposizione in esilio, di cui non si sa assolutamente nulla e di cui si ignorano totalmente gli interlocutori e le reali influenze.
Sarà meglio invece sorvolare sulle ipocrite giustificazioni all’ennesima “guerra umanitaria”. La motivazione ufficiale con la quale O’Banana sta cercando di ammansire un’opinione pubblica sempre più scettica, in soldoni, è: “in Siria è stata violata la linea rossa con l’uso delle armi chimiche”. A dire il vero, finora l’uso conclamato dei gas asfissianti è stato attribuito con una certa soglia di sicurezza ai sedicenti “ribelli”, che in Afghanistan ed in Iraq vengono chiamati “terroristi” ma che in Siria tornano utili come i talebani nella guerra contro i sovietici. La cosiddetta “linea rossa” era già stata violata a maggio, senza che l’amministrazione USA si sia impensierita troppo: non era il sanguinario regime di Assad ad aver premuto il bottone e dunque tanto valeva fare finta di nulla. Del resto, era già avvenuto nel 2009, quando Tsahal non si faceva certo remore ad usare il fosforo bianco su Gaza (la città più densamente affollata al mondo); tra gli obiettivi, la scuola dove aveva sede l’agenzia ONU per i rifugiati ed il principale ospedale della città. All’epoca gli USA intervennero eccome, con assoluta prontezza, per mettere il veto ad ogni risoluzione di condanna per i crimini di guerra perpetrati dal comando militare israeliano.
D’altra parte, armi chimiche sono state utilizzate dallo USArmy durante la cosiddetta battaglia di Falluja. Proiettili all’uranio impoverito (il miglior modo per liberarsi delle scorie radioattive) sono stati sparacchiati senza riserva un po’ ovunque: dalla Bosnia al Kosovo, e per tutto l’Iraq.
Su quali presupposti etici, il Paese che detiene il più grande arsenale di armi chimiche e batteriologiche del pianeta; l’unico che abbia mai usato la bomba atomica, nuclearizzando un paio di città; lo stesso che ha scaricato tonnellate di Napalm sui villaggi vietnamiti, inondando le campagne con il famigerato “Agente Orange”… si permetta di ergersi a giudice morale è cosa ben curiosa. In quanto a crimini di guerra, la più grande democrazia del mondo li ha perpetrati praticamente tutti, nella più assoluta impunità.
I tentennamenti di Obama, che si è infilato da solo in un cul-de-sac coi controfiocchi, sono stati sprezzantemente liquidati da un certo Bill Clinton come “vigliaccheria”. È certo prova di grande coraggio invece lanciare missili dal largo delle coste siriane, in acque internazionali, mentre si sta al sicuro a migliaia di chilometri dal teatro delle operazioni. Mr Clinton è lo stesso presidente (“democratico”) che nel 1998 i missili li lanciò su un deposito di medicinali in Sudan, scambiato per una fabbrica di armi chimiche, a dimostrazione di una politica particolarmente intelligente e coraggiosa.
Attualmente il problema si chiama Iran, divenuto senza colpo ferire una macropotenza regionale, dopo la scomparsa dei suoi principali nemici alle frontiere: l’Iraq di Saddam Hussein ad ovest ed il regime feudale dei talebani in Afghanistan, per provvidenziale intervento USA su entrambe i fronti di guerra. Abbattere il regime degli Assad in Siria, priverebbe Teheran di un prezioso alleato e ne ridimensionerebbe l’influenza nella regione, rassicurando i falchi della destra israeliana.
Insomma, parlare a nuora (Siria) affinché suocera (Iran) intenda . In fondo è da oltre un decennio che al Pentagono si studia una possibile guerra con gli eredi di Serse… Oramai non se ne fa mistero neppure nell’industria dell’intrattenimento: da film come “300” a videogame come “Battlefield”.
La scomparsa di uno dei pochi stati laici del Medio Oriente, con la creazione dell’ennesima ierocrazia di ispirazione wahabita, dove scorrazzano indisturbati gruppi di jihadisti armati fino ai denti che premono contro il fragilissimo Libano, e si incuneano nel bel mezzo di Stati amici come la Giordania ed Israele, con l’Egitto ridotto ad una polveriera pronta ad esplodere, denota invece una lungimiranza fuori dal comune. Straordinaria se si pensa che per ottenere l’eccezionale risultato, si vanno a pestare i piedi pure a superpotenze come la Russia e la Cina, irrompendo a suon di bombe in un paese da sempre sotto la loro influenza geopolitica.
Ma oramai Mr President mica può perdere la faccia. E dunque comincino i fuochi d’artificio!
1° MAGGIO
Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags Beatificazione, Bombardamenti, Chiesa, Giorgio Napolitano, Guerra, Italia, Karol Woytila, Lavoro, Liberthalia, Libia, NATO, ONU, Papa, Potere Temporale, Religione, Vaticano on 1 Maggio 2011 by SendivogiusNell’Italia dei senza lavoro e della crisi infinita è festa grande.
Finalmente restituito alla sua vera natura medioevale, un intero Paese è fermo nelle celebrazioni pubbliche dell’enorme autodafé pontificio: la più grande operazione commerciale a profitto ecclesiastico, mai organizzata dai tempi delle indulgenze giubilari.
In concomitanza con una delle poche feste laiche della Repubblica, rottamata in nome del profitto e per le tasche dei bottegari, si sovrappone la beatificazione del papa polacco, amico di dittatori e gran protettore dei pedofili (purché in tonaca), restauratore del potere temporale dei pontefici e campione della conservazione più intransigente. Però è stato un papa fotogenico, abile nell’autopromozione, e tanto basta a considerarlo “buono”.
Aperto ad ogni modernità, tanto per dire, è stato capace di istituire una commissione di studio per confutare (negli anni ’80!) la validità delle teorie di Galileo e valutare un’eventuale revisione della condanna. Ancora non era convinto..!
L’ennesimo revival sanfedista di una superstizione necrofila, fondata sull’esposizione di pezzi di cadavere, con l’adorazione di secrezioni ed umori colliquativi morbosamente conservati, è l’occasione per ribadire in pompa magna la supremazia del Papa-Re sul “giardino” italiano. Non per niente il piccolo imperatore è corso a presentare formale atto di sottomissione al primato del papato, seguito da tutto il resto dell’arco istituzionale.
TRIPOLI BEL SUOL D’AMOR…
Con spirito cristiano, le città libiche vengono benedette da una provvidenziale pioggia di bombe (però intelligenti) e in nome dell’accoglienza si respingono i profughi che si vorrebbero liberare da una feroce tirannia.
Come il generale von Clausewitz, il presidente Giorgio Napolitano ci ricorda, a modo suo, che “la guerra è una naturale prosecuzione della politica”… per l’esattezza, “un’evoluzione naturale”. Un ottimo modo per festeggiare il centenario della Guerra di Libia (1911-2011). Del resto abbiamo un’eccellente copertura giuridica perché, come gli antichi romani, noi aborriamo le iniusta bella.
Per questo i bombardamenti italiani (su una nostra ex colonia) sono cominciati con l’autorevole avvallo presidenziale, mai così solerte, prima ancora che se ne potesse discutere in Parlamento, in nome della sacra risoluzione n.1973 dell’ONU, mentre già si sussurra l’invio di truppe di terra. Peccato che la risoluzione delle Nazioni Unite non contempli l’eliminazione fisica del rais e lo sterminio della sua famiglia, non autorizzi l’uccisione dei suoi figli e dei suoi nipoti con attacchi notturni alle loro abitazioni private, non preveda la distruzione delle stazioni televisive del regime e delle infrastrutture.
Si tratta di gravi violazioni al mandato originario, che conferiscono agli attacchi l’infame natura di rappresaglie terroristiche. Tuttavia, questo il presidente Napolitano ha omesso di ricordarlo.
E del resto la situazione libica avrebbe richiesto un minimo di prudenza…
Innanzitutto, dopo mesi, non si è ancora ben capito chi siano i nuovi referenti politici… il fantomatico consiglio di Bengasi?!? L’ex ministro degli interni (un fedelissimo di Gheddafi) passato alla causa degli insorti insieme ad alcuni militari caduti in disgrazia?
A tutt’oggi, in Cirenaica non esiste un direttorio unificato; si ignorano chi siano questi “ribelli” né si conosce una linea programmatica precisa e soprattutto condivisa.
Manca completamente un vero centro di coordinamento, tanto meno è stato costituito un credibile governo provvisiorio. Ogni centro abitato e regione insorta ha il proprio consiglio cittadino improvvisato ed i vari comitati si muovono disordinatamente per proprio conto, irrimediabilmente divisi tra appartenenze claniche e gelosie tribali.
Se questa è la situazione politica. Ancora peggio è la realtà militare… qui mancano anche le basi minime e le più elementari nozioni di combattimento:
1) I combattenti improvvisati ci hanno messo un mese per capire che i pick-up bianchi in mezzo al deserto sono un bersaglio ideale per qualsiasi artiglieria e che quindi andrebbe improvvisata un minimo di mimetizzazione. Soprattutto non ci si muove asserragliati in mandrie tanto per farsi coraggio o incitarsi a vicenda. Non parliamo poi di formazione a ventaglio, disposizione allargata, e altre cosucce che a quelle latitudini sembrano fantascienza.
2) Qualcuno deve aver spiegato ai ribelli che le armi vanno tenute pulite e ben oliate. E giustamente abbiamo assistito a scene dove le mitragliatrici calibro 50 venivano lavate con acqua e sapone e gli AK-47 impastati di grasso. Il sistema migliore, e più rapido, per renderli inutilizzabili.
3) Non esiste alcuna logistica, né un comando unificato, nessun piano strategico. Ci si muove alla spicciolata, secondo l’ispirazione del momento; si sparacchia a casaccio, possibilmente davanti alle telecamere; ci si mobilita secondo il capriccio del giorno, né si concordano gli obiettivi con gli altri gruppi di combattimento, tanto meno ci si preoccupa di segnalare gli spostamenti. Non esistono ponti radio, né un sistema di comunicazione e coordinamento delle varie unità.
Come risultato immediato, è facilissimo incorrere nel cosiddetto “fuoco amico” e farsi annientare dalle sortite a sorpresa degli irregolari governativi.
Ne consegue che il prossimo ed inevitabile passaggio successivo ai bombardamenti su scala tattica della NATO sarà l’invio di una forza militare d’occupazione (o d’interposizione che dir si voglia), ad integrazione dell’inconsistenza politica e militare dei nostri nuovi “alleati” libici. Ma questo il solerte Napolitano che tanto si è sbrigato a sottoscrivere l’attacco, tuffandoci in questo pantano, preferisce non dirlo; meno che mai il ministerume e parlamentarucoli di ogni colore, assiepati intorno al dicastero della guerra, tutti in ben altro affaccendati…
Evviva l’Imperatore!! Evviva il Papa-Re e pure il Papi-Re!!
Piombo Fuso su Gaza
Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags Bombardamenti, Cisgiordania, Gaza, Guerra, Hamas, Israele, Medio Oriente, Merkava, Nazismo, Palestina, Piombo Fuso, Qassam, Terrorismo, Tsahal, USA, Wehrmacht on 16 gennaio 2009 by Sendivogius
“L’inaccettabile equazione”
Paragonare Israele al Nazismo è un atto assurdo e non tollerabile.
Non è soltanto un ossimoro scaturito da grande confusione ideologica, si tratta invece di un’infame provocazione che va respinta con forza!
Israele è un faro di libertà, che con la sua luce di civiltà illumina l’oscuro medioriente. Suo malgrado, è anche una nazione in guerra e come tale va sostenuta.
§ Combattendo per la vittoria, il soldato osserverà le regole della guerra cavalleresca, le crudeltà e le distruzioni insensate sono indegne di lui.
§ Il nemico che si è arreso, anche se ribelle o spia, non deve essere ucciso. Sarà debitamente punito dai tribunali.
§ I prigionieri di guerra non devono essere maltrattati o offesi. I loro oggetti personali non devono essere toccati.
§ Sono proibite le pallottole esplosive.
§ Le istituzioni della Croce Rossa sono sacrosante. I nemici feriti devono essere trattati umanamente. Il personale medico non può essere ostacolato nel compimento dell’attività medica.
§ La popolazione civile è sacrosanta. Al soldato non è permessa la rapina e la distruzione ingiustificata. Devono essere particolarmente rispettate le zone di valore storico o le costruzioni adibite ad uso religioso, artistico, scientifico, o di carità. La consegna di materiali o servizi forniti dalla popolazione può essere richiesta solo dietro ordine dei superiori e solo dietro compenso.
Quanto riportato è parte del ‘decalogo’, stampigliato sul libretto di paga, al quale si doveva attenere il buon soldato tedesco durante la II° Guerra Mondiale. A dimostrazione di quanta ipocrita discrepanza, quale solco incolmabile, ci possa essere tra ciò che ufficialmente si sostiene e quello che, di fatto, si mette in pratica.
Decisamente, Tsahal non è la Wehrmacht.
Per coloro che si ostinano a raffrontare la rivolta del Ghetto di Varsavia con l’Intifada palestinese, sforzandosi di cercare pretestuose analogie, in una assurda sovrapposizione di vittima e carnefice, citiamo un articolo esplicativo che finalmente fa chiarezza sulla questione. Si tratta di un editoriale, a firma di Norman G. Finkelstein, pubblicato sulla testata israeliana Ha’aretz nel lontano 2002:
“Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ‘ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’esercito tedesco combatté nel Ghetto di Varsavia’. A giudicare dal recente massacro dell’esercito di Israele nella Cisgiordania – ha colpito le ambulanze e i medici palestinesi, ha ucciso dei bambini palestinesi “per sport” (scritto da Chris Hedges, New York Times, ex capo della redazione al Cairo), ha rastrellato, ammanettato e incappucciato tutti gli uomini palestinesi dai 14 ai 45 anni, cui sono stati stampati i numeri di riconoscimento sulle braccia, ha torturato indiscriminatamente, ha negato l’acqua, l’elettricità, il cibo e l’assistenza medica ai civili palestinesi, ha usato dei palestinesi come scudi umani e ha abbattuto le loro case con gli abitanti ancora all’interno – sembra che l’esercito di Israele abbia seguito i suggerimenti di quell’ufficiale. Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti.”
Norman G. Finkelstein, “Prima la carota, poi il bastone: dietro la strage in Palestina”
(Titolo orginale: “First the Carrot, Then the Stick: behind the carnage in Palestine”)
Pertanto non si può comparare Israele, un moderno Stato di diritto, con chi bombarda scuole, ospedali, luoghi di culto, e centri di raccolta profughi.
Non si può identificare Israele con chi non rispetta le tregue (da lui stesso concesse), cannoneggiando i convogli di viveri.
Non si può paragonare Israele con chi mitraglia ambulanze e soccorritori; con chi spara su giornalisti e gente in fuga.
Non si può accostare Israele con chi effettua rastrellamenti di massa sulla popolazione civile, ne saccheggia le abitazioni, distruggendo case e beni.
Non si può equiparare Israele con chi fa ammassare gli sfollati in edifici che poi, per errore, vengono sistematicamente martellati dall’artiglieria.
Ieri il bombardamento delle città con Schegge Incendiarie e Bombe H. Oggi con Cluster bombs, Fosforo Bianco e le DIME. Come allora, l’utilizzo degli ultimi ritrovati della più micidiale tecnologia bellica pone, a pieno titolo, lo Stato israeliano nel novero delle ‘Grandi Democrazie’.
LE MODALITA’ DELLA GUERRA
“I palestinesi devono essere colpiti, e provare molto dolore. Dobbiamo infliggergli delle perdite, delle vittime, così che paghino un prezzo pesante.”
(Ariel Sharon, ex primo ministro, durante una conferenza stampa del 5 marzo 2002)
La saggezza e la comprovata ponderatezza delle parole di Sharon sono una eloquente risposta a chi sostiene che l’Operazione Piombo Fuso in corso su Gaza sia addirittura una “spedizione punitiva”, piuttosto che ‘un raffinato intervento militare dalla chirurgica precisione’, ponderato nella misura dell’attacco e dai collateral damages contenuti.
Alla circoscrizione millimetrica degli obiettivi ed alla loro distruzione controllata, in contesti urbani densamente popolati, si addice certamente l’impiego degli obici pesanti d’artiglieria campale semovente: i devastanti, quanto imprecisi, M 109.
Inoltre, come si può dubitare dell’esattezza balistica dei missili sparati dalle cannoniere e dalle motosiluranti che incrociano al largo delle coste di Gaza.
I carri Merkava, la versione economica del possente M1 A1 Abram, sono funzionali all’accesso ed agli spostamenti in città.
Ottimi quando si tratta di spianare a cannonate intere palazzine.
Per centrare ambulanze e auto in corsa lungo le tortuose vie cittadine, invece ci vuole qualcosa di più versatile e flessibile: per esempio, gli elicotteri d’attacco Apache.
Per i gusti più raffinati la ditta offre i sofisticati Predator: droni armati di tutto punto, a guida satellitare.
Mentre alle operazioni su vasta scala provvedono gli F 18 Hornet con bombardamenti rapidi e continui.
Sono tutte dotazioni militari che costano svariati milioni di dollari, dagli altissimi consumi energetici, che popolano gli arsenali di Tsahal su gentile concessione dello USArmy.
Questo per ribadire che le ‘Guerre di Israele’ sono possibili unicamente grazie alle forniture, ai finanziamenti, alla copertura dei costi, e all’appoggio politico incondizionato della superpotenza statunitense. In condizioni contrarie, qualsiasi altro Stato sarebbe al tracollo finanziario ed economico. Non lo scriviamo per anti-americanismo o peggio, ma per rassicurare le cassandre che paventano la “scomparsa di Israele” ed il suo presunto “isolamento mondiale”.
La vulgata corrente vuole che la misurata azione di autodifesa messa in atto dal governo di Tel Aviv sia l’inevitabile risposta al continuo lancio degli artigianali razzi Qassam contro il territorio israeliano da parte di Hamas: l’organizzazione, naturaliter ‘terrorista’, rea di non aver rinnovato la ‘tregua d’armi’ e di non voler riconoscere lo Stato di Israele. Da sottolineare le incredibili concessioni, la pace, e la prosperità di cui godono invece i territori della Cisgiordania. Senza per questo tacere di tutte quelle garanzie formali ed i riconoscimenti ottenuti da Al Fatah e dall’OLP, da quando Israele ha deciso che loro ‘terroristi’ non lo sono più. Il nemico si modella a seconda delle circostanze e le necessità politiche del momento; è l’applicazione pratica della Teologia politica di Carl Schmitt:
“Il nemico non è il concorrente o l’avversario in discussione, ma è l’altro in senso esistenziale con il quale è possibile il caso estremo di un conflitto, che non può essere risolto da un sistema di norme prestabilito […] nella sua irriducibile alterità.”
(Francesco Fusillo)
Il manuale di intervento è semplice e risponde ad una procedura standard:
1. Stabilito un perimetro di intervento, si cintura la zona di operazione sterilizzando ogni possibile infiltrazione nemica.
Quando però il settore strategico coincide con l’intera striscia di Gaza, in tutta la sua estensione territoriale, di fatto si impedisce l’allontanamento di tutta la popolazione non combattente che si ritrova imprigionata, suo malgrado, nel teatro operativo e senza alcuna reale via di fuga.
2. Onde limitare le perdite tra la popolazione civile ed isolare i miliziani ostili (leggi: ‘Terroristi di Hamas’), si intima agli abitanti di abbandonare le proprie case e di evacuare i quartieri oggetto delle operazioni di guerra.
In riferimento al precedente ragionamento, essendo gli abitanti chiusi in un recinto, non possono che scappare in circolo, sballotati da un quadrante all’altro, senza un vero piano di evacuazione. Usando una metafora cattiva, è come tirare mortaretti dentro un pollaio dopo aver bloccato le uscite: le galline possono scansarsi terrorizzate, ma non possono fuggire.
3. Chi non abbandona il territorio come da avvertimento, perché non vuole o perché non può, è un terrorista o un fiancheggiatore dei terroristi.
Ciò autorizza l’esercito a interventi duri, con scarso riguardo per la popolazione, rastrellamenti, perquisizioni, arresti indiscriminati, uccisioni ingiustificate.
4. Hamas non indossa divise.
Quindi ogni palestinese, in movimento o radunato in gruppo, è un sospetto terrorista. E ciò intensifica l’arbitrarietà degli interventi, con le possibilità di errore.
5. Non esistono “zone franche”.
Colpire di tanto in tanto, obiettivi umanitari, tipo le strutture dell’ONU, come monito e avvertimento. Ribadire la propria totale libertà di azione e la non vincolabilità delle disposizioni internazionali.
6. Colpire i ‘terroristi’ ovunque e comunque.
Quindi la metà e passa degli abitanti di Gaza City che ha votato Hamas in regolari elezioni, nonché tutti coloro che a vario titolo hanno a che fare con esponenti di Hamas: amici, parenti, vicini di casa, simpatizzanti… Distruggere Hamas in blocco. Chi ha a che fare con Hamas va colpito (e ucciso) senza eccezioni, a prescindere dal suo ruolo nel movimento: funzionari pubblici, impiegati e tecnici, che lavorano negli uffici, nei ministeri, negli ambulatori e nelle scuole del movimento, nella radio e nella TV locale… Ma anche netturbini, pompieri, polizia locale, ausiliari del traffico. A Rafah è stata bombardata la sala dove si discuteva una ‘conciliazione amichevole’ per un incidente stradale. A Gaza City, il primo giorno di guerra l’aviazione israeliana ha fatto saltare la caserma principale durante un’esibizione della banda musicale del corpo: 40 morti tra agenti di polizia e loro familiari.
Questa non è una guerra, ma la punizione collettiva di un popolo.
Tuttavia, ciò implica un pericoloso paradosso: a parti rovesciate, ogni cittadino israeliano diventa un obiettivo militare legittimo, in quanto obbligato a due anni di servizio di leva, in quanto “riservista” dell’esercito… In un’allucinante spirale di sterminio, che Israele fomenta con le sue stesse azioni. O davvero si crede che l’ulcerosa questione palestinese possa essere risolta unicamente con operazioni di interdizione e di intimidazione, per non dire esse stesse terroristiche?
I TEMPI DELLA GUERRA
Certo è che l’operazione chirurgica, in corso ormai da 20 giorni, era stata in realtà pianificata con largo anticipo, giacché un simile dispiegamento di forze non si improvvisa, e con una attenta programmazione dei tempi di attuazione:
– Le elezioni incombono e Kadima, il partito di governo, dopo l’inconcludente guerra contro Hezbollah in Libano, ha bisogno di mettere nel carniere una qualche vittoria militare, da capitalizzare con un elettorato fortemente deluso dalle scarse prestazioni e dai troppi scandali politici.
– Cominciare l’offensiva durante il periodo natalizio, durante la chiusura dei Parlamenti nazionali e di quello europeo. Ciò permette di guadagnare tempo prezioso, consolidando le posizioni sul terreno diplomatico e disinnescando le eventuali opposizioni (che non ci sono state) in ambito politico.
– A Natale e Capodanno non si parla di conflitti. La scarsa copertura mediatica dell’evento rende più facile la manipolazione della notizia ed il conseguente indirizzamento dell’opinione pubblica (o almeno di ciò che ne resta).
– Approfittare del passaggio di consegne tra G. W. Bush e Barak Obama. Gli USA sono un prezioso alleato e amici tradizionali; i titolari dell’unico diritto (imperiale) che Israele rispetti. Specie alla scadenza del proprio mandato, l’amministrazione Bush non si impegnerà certo in iniziative di rilievo per fermare il conflitto, né eserciterà pressioni atte a limitarne i danni. In compenso, si pone il nuovo presidente, l’abbronzato Obama, a fatto compiuto. Ciò conferisce un notevole margine di autonomia al governo di Tel Aviv, almeno fino all’insediamento di Barack alla Casa Bianca. Questo vuol dire che Tsahal ha tempo fino al 20 Gennaio per intensificare le sue operazioni di guerra, prima di addivenire ad una nuova tregua.
Perché in Medio Oriente nulla avviene che l’America non voglia.