Archivio per Bologna
L’altro 25
Posted in A volte ritornano with tags Alessio Cesareo, Azione Frontale, Bologna, Fascismo, Forza Nuova, Impunità, Italia, Liberthalia, Marsala, Matteo Salvini, Milano, Nazifascismo, Provocazioni fasciste, Roma on 26 aprile 2019 by SendivogiusA Milano, Irriducibili della Lazio, quelli gemellati coi nazisti dell’Hellas Verona (“siamo una squadra fantastica, fatta a forma di svastica”) inscenano un picchetto d’onore a Benito Mussolini, con tanto di marcetta per le vie del centro e saluti romani à gogo.
In compenso, a Prato, il solerte questore Alessio Cesareo ha denunciato i manifestanti dell’ANPI che il 25 Aprile si sono permessi di intonare “canti tipici della lotta partigiana, non consoni alla solennità delle celebrazioni“(!) e
IL VERDE E IL NERO
Posted in Ossessioni Securitarie with tags Apologia di reato, Bologna, Fascismo, Italia, Lega, Liberthalia, Matteo Salvini on 10 novembre 2015 by SendivogiusIn ritardo di una settimana dalla ricorrenza di Ognissanti, va in onda a reti unificate in una Bologna militarizzata la giornata dei morti (viventi): arnesi vecchi e nuovi del neo e post fascismo di ritorno, assurti a seconda Giovinezza; incanutiti nazisti in verde della Val Padana, rimasti orfani della secessione annegata nelle ampolle del dio Po; padroni, padroncini ed aspiranti tali, del cialtronismo bottegaro da piccolo-borghese incanaglito; paranoici ossessivi dal cervello rettiliano in eccesso di amigdala e revolver sul comò; esteti del linciaggio in cappuccio bianco… insomma tutto il classico armamentario della reazione fascio-clericale dalla provincia con rancore, con lo straordinario patrocinio di un patetico papi, ridotto a salma ambulante in pubblica esposizione, a sciorinare l’ormai ferale repertorio di scena. Sono gli antichi rigurgiti di fogna sedimentati sul fondo oscuro dell’Italia che risalgono ad ogni vento di crisi.
Il fatto che poi una città venga blindata affinché la marea possa risalire indisturbata nell’esposizione di se medesima è la misura di quanto la contaminazione sia profonda, con la sua muta di cani guardiani in tenuta blu a proteggerne la fermentazione e segnare la separazione dai cittadini bolognesi che, giustamente, simili rigurgiti proprio non li tollerano…
Certo poi ognuno ha i suoi idoli, dai quali farsi pienamente rappresentare con ritrovato orgoglio: se milioni di mosche si affidano alle virtù taumaturgiche di fumanti coproliti in sovrappeso, un buon motivo ci sarà pure…

Meglio ci si riconosce e più volentieri ci si accompagna insieme…
In una repubblica che ufficialmente ripudia il nazifascismo e formalmente ne proibisce la riorganizzazione in partito politico, la pratica del medesimo è ampiamente praticata e tollerata tanto da meritare un rigoroso cordone di polizia in assetto da combattimento, per permettere la libera espressione di un’apologia di reato, in un paese che a tutt’oggi ha fatto del fascismo l’atto fondante della sua identità reazionaria.
Certo, nella sua ennesima riproposizione, non sono mancati momenti esilaranti, come quando un Salvini parla di “produttori” e “parassiti”, nella vana attesa che qualcuno gli sveli l’insondabile mistero del verbo “lavorare”, mentre grugnisce il suo disprezzo per una giustizia che gli fa schifo, a consumo dei beoti intruppati che gli reggono il moccolo, mentre gira travestito da sbirro. Lui preferisce di gran lunga le esecuzioni sommarie sul posto (se con tortura è meglio) e le pulizie etniche a colpi di ruspa, nelle sue esibizioni di ordinario razzismo appena riverniciato con qualche spennellata (finto) legalitaria in blu di Prussia.
E dobbiamo ammettere che anche a noi fa schifo una certa ‘giustizia’ che dimostra un’incredibile difficoltà a comprendere:
«quando un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.»
La chiamano apologia di reato, nella costante reiterazione dello stesso. Ovvio che nel mondo alla rovescia, la repressione sia esercitata con gusto nel contrasto dell’antifascismo: la vera anomalia nazionale.
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BOLOGNA 2015
Posted in Kulturkampf with tags 2 Agosto 1980, Art.375 del Codice Penale, Bologna, Depistaggio, Destra, Eversione Nera, Fascismo, Governo, Italia, Liberthalia, NCD, reato di inquinamento processuale e depistaggio, Renato Brunetta, Società, Stato, Strage della Stazione di Bologna, stragismo on 2 agosto 2015 by Sendivogius
Nel giorno in cui si ricorda (?) la strage fascista alla Stazione di Bologna, con un premier come di consueto assente, che per la circostanza non trova niente di meglio che parlare di ramazze e pulizia urbana dal Giappone, mentre si sbrodola addosso dall’ennesimo pulpito universitario blaterando di riforme e crescite favolose, nell’illusione di addivenire in un giorno impossibile ai
complici ed i mandanti del massacro bolognese, alcuni si chiedono come poté maturare un simile crimine e su quali coperture politiche e istituzionali abbia mai potuto contare e su quali ambienti abbiano fatto riferimento…
Per esempio, basterebbe volgere lo sguardo ad un Presidente della Repubblica che dinanzi alle vittime si sentì in dovere di scusarsi con gli assassini, riservando la sua sensibilità democratica nel riconoscimento dell’onorabilità dei fascisti.
Basterebbe ricordare gli esecutivi “post-fascisti” del papi costituente, diretti eredi dell’esperienza repubblichina, che hanno sempre boicottato la ricorrenza, nella riabilitazione dei carnefici e nei rapporti più che amichevoli intrattenuti con gli esponenti dei NAR elevati a starlette mediatiche.
E volgere l’attenzione a quanti si oppongono rabbiosamente alla modifica dell’Art.375 del Codice Penale, con l’introduzione del cosiddetto “reato di inquinamento processuale e depistaggio“ che si prefigge di punire con la reclusione fino a quattro anni, con l’aggravante di pena se i responsabili sono pubblici ufficiali,
“chiunque compia una delle seguenti azioni, finalizzata a impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale:
– mutare artificiosamente il corpo del reato, lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone connessi al reato;
– distruggere, sopprimere, occultare o rendere inservibili, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento;
– formare o alterare artificiosamente, anche in parte, elementi di prova o elementi comunque utili alla scoperta di un reato o al suo accertamento.
Sono poi previste alcune aggravanti del nuovo reato, qualora sia stato commesso: nell’esercizio delle funzioni di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (aumento della pena da un terzo alla metà); in relazione a procedimenti per un catalogo di delitti di particolare allarme sociale, tra cui associazione mafiosa, terrorismo, strage, traffico di armi o di materiale nucleare chimico o biologico (reclusione da 6 a 12 anni).”
Scopo della nuova norma (peraltro piuttosto blanda, tanto è stata annacquata) è sanzionare quei comportamenti omissivi, volti all’inquinamento degli elementi probatori, messi in atto per pregiudicare il corso delle indagini ostacolando l’accertamento dei fatti: dalla falsa testimonianza, alla calunnia e all’autocalunnia; dal favoreggiamento personale, al falso ideologico; dalle false informazioni fornite all’autorità giudiziaria, fino alla distruzione, manipolazione o occultamento delle prove.
Contro il provvedimento, attualmente bloccato al Senato, si sono espressi i papiminkia al gran completo ed il NCD di Angelino Alfano: l’imprescindibile alleato del “governo del cambiamento”.
Nel mondo alla rovescia della cleptocrazia berlusconiana, Renato Brunetta, dall’alto della sua etica superiore, ha definito la normativa un “provvedimento liberticida, un abominio per il nostro stato di diritto” (sic!).
Questo per rispondere a chi si chiede di quali favoreggiamenti ideologici e di quale humus ‘culturale’ abbiano potuto godere i mandanti della strage, a garanzia della propria impunità che si perpetua intatta da 35 anni.
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Giobbakt!!
Posted in Muro del Pianto with tags Bologna, CGIL, Generazione X, Italia, Lavoro, Liberthalia, Licenziamento senza giusta causa, Matto Renzi, Padroni di merda, Peter Griffin, Quarantenni, Sciopero, Servi, Sindacato, Solidarietà, Unione on 12 dicembre 2014 by Sendivogius
In un’Italietta cristallizzata nella giovinezza prolungata di un’eterna adolescenza, che non conosce vecchiaia e non vuole responsabilità, ma si lascia dominare da una gerontocrazia che si reputa “diversamente giovane”, la folla anonima dei 30-40enni è stata definita in molti modi, a seconda del brand pubblicitario del momento: Generazione X.. Generazione Mille Euro… e, per i cultori del melodrammatico, “generazione perduta”…
A livello sociale e culturale, non è stata capace di produrre nulla o poco più. Il suo insuperato modello di riferimento resta “L’ultimo bacio” di Muccino.
A livello politico, il massimo che ha saputo esprimere è la sfilata dei Salvini, delle Meloni, e del bolso pinguino fiorentino che garrula ciarliero e festoso, nella sua camicetta bianca da contabile schizzato in un giorno di ordinaria follia, mentre se ne va in giro travestito da Peter Griffin.

Generazione per X elevato allo zero, incapace di una qualsiasi forma di impegno costruttivo, al massimo si riuniscono in una
piazza a gridare “vaffanculo!”, per scaricare le proprie frustrazioni in autodafé collettivo, accontentandosi di fare i followers per la setta di un vecchio comico fallito, che campa di rendita coi soldi incassati dai suoi ingaggi pubblici in RAI.
In alternativa, ci sono sempre i “negri”, gli “immigrati”, i “froci”, i “politici”, la “ka$ta”, le “scie chimiche”, nonché i “sindacati”… che nel Paese delle auto-assoluzioni un ‘nemico’ si trova sempre, funzionale com’è al mantenimento di ogni statu quo, che si voglia immutabile nel tempo.
A livello pratico, si tratta nella sua fenomenologia prevalente di una querimoniosa generazione di petulanti peter pan. Tutti troppo occupati a piangersi addosso, per impegnarsi in qualcosa che non sia incentrata nell’esibizione narcisistica della propria autocommiserazione. Pensano che tutto gli sia dovuto e che la tutela dei diritti si ottenga, non estendendoli a chi non li possiede, nella salvaguardia di un principio, ma togliendoli a chi ancora li ha, negandoli a tutti gli altri. È il prigioniero che non si ribella ai suoi carcerieri, ma si compiace che la sua sorte venga condivisa da tutti gli altri sventurati reclusi insieme a lui. Non ricerca alcuna unità, non pianifica alcuna azione, non è disposto a rischiare e condividere nulla. Nei casi più estremi, solidarizza coi suoi carnefici. Perché siamo tutti sulla stessa barca. Così come esistono schiavi innamorati delle loro catene.
Sono quelli che hanno sempre rifuggito ogni forma di coordinamento e di mobilitazione, sul posto di lavoro e per la tutela del medesimo. Sono quelli che hanno sempre negato ogni forma di solidarietà; quelli che quando ad un collega precario/a come loro non veniva rinnovato il contratto, perché s’è ammalato, perché è rimasta incinta, perché non abbastanza remissivo, si giravano dall’altra parte sospirando “meglio a te che a me”, nella rouletta russa del rinnovo a tempo. Ed ora plaudono al job-acts che cancella l’idea stessa che il lavoro possa essere garantito e null’altro concede. Sono quelli, che il sindacato fa schifo, sono tutti venduti, e a me non m’ha mai difeso… Ma se non combatti tu stesso la tua battaglia, chi altri dovrebbe mai battersi e rischiare per te?!?
Accade così che una riforma oscena, che smantella scientificamente ogni tutela e diritto dei lavoratori, che non cancella assolutamente il precariato ma lo perfeziona in forme paraschiaviste da inizio ‘900, venga accolta dai diretti interessati come una grande opportunità all’insegna della “modernizzazione”.
Prima dell’Art.18
(di Alexik)“Se ci trovavano con un volantino della Cgil venivamo licenziati in tronco. Quando entravamo in fabbrica ci perquisivano le borse, per vedere se avessimo materiale politico. E se ci beccavano a parlare di questioni sindacali prima ci sospendevano, o ci demansionavano a tempo indeterminato. Poi poteva arrivare la perdita del lavoro.”
(Ernesto Cevenini, licenziato per rappresaglia alla Maccaferri di Bologna).«Dal 1947 al 1966 nelle fabbriche italiane si contarono più di 500.000 licenziamenti, di cui circa 35.000 per rappresaglia politica e sindacale contro ex partigiani, attivisti di reparto, membri delle commissioni interne. Era questo il modo in cui gli industriali dimostravano la propria riconoscenza verso coloro che, pochi anni prima, gli avevano salvato le fabbriche, impedendo il trasferimento dei macchinari in Germania, ricostruendo mattone su mattone i capannoni bombardati.
Nel corso degli anni ’50 e ’60 centinaia di migliaia di operai scesero in piazza a fianco dei licenziati, lasciando compagni morti sul terreno o chiusi nelle galere. Fu il prezzo da pagare per ottenere nel 1966 la prima legge contro i licenziamenti senza giusta causa.
Bologna con la sua provincia subì 8.550 licenziamenti per rappresaglia dal 1947 al 1966, di cui 3800 lavoratori metalmeccanici, 1000 tessili, 900 nell’abbigliamento, 1.500 nell’alimentare, 600 nel chimico, 500 nel comparto legno e 250 nel pubblico impiego. Si trattò di ritorsioni contro singoli militanti o gruppi politicizzati, ma in vari casi anche dell’espulsione dell’intero corpo operaio delle fabbriche ritenute troppo conflittuali: punizioni individuali o collettive per le lotte contro il cottimo, per il salario e il contratto, per la sicurezza, per gli asili nido, per la libertà di riunione e di parola.
Veniva punita la solidarietà di classe (che all’epoca si esprimeva in dimensioni vastissime) e soprattutto la politicità operaia, la capacità di andare oltre i confini della propria vertenza e di praticare obiettivi di ordine generale.
[…] Dal ‘48 al ’56 il bilancio della repressione contro il movimento operaio nel bolognese fu pesantissimo, con due morti, 795 feriti, 5.092 arrestati e fermati, 15.835 processati (di cui quasi la metà assolti, ma dopo anni di carcere) e 8.369 condannati a 5 ergastoli, 1.959 anni e 7 mesi di reclusione, 49.960.766 lire di multe.
Su questa Storia collettiva fatta di solidarietà e coraggio, di sbarre, fame e lutti, sputa oggi la fatua gioventù renziana e la sua meno fatua corte di ministri emanati da Confindustria, Legacoop e Fondo Monetario Internazionale. Una Storia collettiva che va di nuovo raccontata, per aver chiaro in quali tenebre vogliono sprofondarci, il valore di quello che ci stanno togliendo e quanto ci costerà riconquistarlo.»
QUI trovate l’articolo per intero. Leggetelo! E ricordate che nulla si conquista senza sacrificio, né solidarietà, né unione.
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PARTE OFFESA
Posted in Masters of Universe, Stupor Mundi with tags Berlusconismo, Bologna, Crocifisso, DC, Fabio Garagnani, Feccia, Inquisizione, Istituzioni, Istruzione, Italia, Laicismo, Laicità, Libertà, Liberthalia, Paolo Bolognesi, Parlamento, PdL, Reazione, Religione, Sanfedismo, Stato, Strage di Bologna, stragismo, Sussidiarietà, Università, Valore legale della laurea, Villipendio on 6 agosto 2011 by SendivogiusNella sovrabbondanza di fenomeni da studio, che affollano le generose riserve assistite della politica per professione, rischiava di passare inosservato lo straordinario talento di Fabio Garagnani da S.Giovanni in Persiceto.
In politica da una vita, comincia giovanissimo nelle file della Democrazia Cristiana, dove milita per oltre un ventennio (1972-1996) prima di confluire per osmosi naturale in “Forza Italia”.
Dalla provincia felsinea con furore, nel 2001 approda in Parlamento, dove peraltro staziona benissimo da almeno un decennio. A tempo perso sarebbe anche ‘funzionario’ della Camera di Commercio bolognese, onde assicurare un solubile legame col duro mondo del lavoro, ad integrazione dei magri emolumenti parlamentari.
Bastione dell’anticomunismo viscerale, l’on. Garagnani è un altro di quegli orfani disperati per la scomparsa del Comunismo… Siccome non trova più bolscevichi in giro, li và cercando ovunque con lo zelo fanatico dell’inquisitore che, in mancanza di eretici, se li inventa o si accanisce sulle loro misere spoglie (come ai bei tempi antichi: QUI) pur di non rinunciare ai roghi dei suoi sacri furori.
Noi, assai ingenerosamente, avevamo liquidato troppo in fretta la figura di Garagnani come un semplice “fascista” (N.29 di Cazzata o Stronzata?): l’ennesimo nella galassia nerissima e piduista dell’universo berlusconiano… Ci sbagliavamo di grosso!
Ignoravamo infatti l’attivismo compulsivo di questo campione misconosciuto della più cupa reazione sanfedista, all’ombra del partito delle libertà littorie. Possiamo solo immaginare quali terribili traumi psicologici abbia sofferto questo povero famiglio dell’Inquisizione, nato purtroppo con svariati secoli di ritardo su frate Aldobrandino de’ Cavalcanti, pur avendo ereditato la tempra teutonica di un Corrado di Marburgo, e costretto a subire le tremende persecuzioni staliniste in un’Emilia satanica, insanabilmente corrotta dalle perfidie del “laicismo”.
Come ama presentarsi, l’onorevole Garagnani (classe 1951) è un “grande appassionato di storia con particolare riferimento ai rapporti fra Stato e Chiesa”, evidentemente declinati a esclusivo vantaggio di quest’ultima. Campione indefesso (e incompreso) della Libertà, è un crociato del sedicente “principio di sussidiarietà” (dalla Scuola alla Sanità): ovvero lo smantellamento dei servizi di cittadinanza, da affidare a società private di ispirazione rigorosamente ‘cristiana’ e soprattutto ciellina, con relativo storno di risorse pubbliche per foraggiare i profitti dei privati.
D’altra parte, già in passato Fabio Garagnani ci aveva offerto un illuminante saggio sulla sua personale concezione della “libertà della persona” e dell’accoglienza cristiana in tema di immigrazione:
«Se vengono per lavorare, bene: ma sappiano che sono ospiti di un paese che ha proprie leggi e propri valori, non possono imporre le loro opinioni. Su questo sono davvero intransigente. Gli immigrati vengono da culture molto diverse, non conoscono la mediazione, non hanno il concetto della laicità dello Stato!»
(07/04/2000)
Coerentemente, proprio in nome della “laicità dello Stato” è assolutamente contrario alla costruzione di luoghi di culto diversi da quello cattolico (neanche li pagasse lui), arrivando a mettere in discussione il concetto stesso di “libertà religiosa”, chiaramente in nome di una libertà più grande:
«[i luoghi di culto diversi da quelli cattolici] rischiano di scardinare le certezze culturali proprie della collettività nazionale, che ha storicamente visto nella religione cristiana un fattore aggregante non solo sotto il profilo fideistico, ma anche e soprattutto sotto quello culturale e sociale.
[…] Potrebbero paradossalmente pregiudicare il rispetto dei valori e delle tradizioni da parte della maggioranza della popolazione nazionale soprattutto alla luce della impropria commistione in esse contenuta tra i valori sociali e culturali nazionali con quelli di altre fedi religiose.»
(06/11/2006)
L’on. Garagnani motiva la discriminante con un formidabile assioma: “la religione di una minoranza, pregiudica significativi diritti della maggioranza dei cittadini italiani”.
Questo perché tutti i cittadini sono uguali, ma ebrei, valdesi, buddisti, induisti… e (peggio di tutti!) musulmani, sono meno uguali degli altri.
In virtù di ciò, il Garagnani delle libertà si scaglia anche contro l’Istruzione pubblica, con una serie di contorsionismi barocchi da gesuita secentesco:
«L’insegnamento scolastico impartito nel rispetto della libertà di coscienza e della pari dignità, senza distinzione di religione […] potrebbe limitare, in quanto contrastanti con i valori di altre religioni, il rispetto di tradizioni secolari proprie della cultura nazionale, che invece devono essere tutelate, come ad esempio la presenza del crocifisso all’interno delle aule degli edifici pubblici…»
..Che lungi dall’essere una “tradizione secolare”, è una disposizione introdotta ai tempi del Fascio, al principio degli anni ’30 dopo la firma dei Patti Lateranensi, su pressione vaticana per ribadire il simbolico primato della Chiesa sullo Stato, per ripicca anti-savoiarda.
Prima di allora l’esposizione di crocifissi, ed altri arredi sacri, in edifici dello Stato non era prevista e di fatto inesistente.
Ma poco importa. Questa è la democrazia secondo Garagnani: cattolica (solo nella forma), confessionale, imbavagliata; dove è chiaro come l’unica opinione lecita sia la sua. Tutto il resto è laicismo, s’intende!

Tra le coraggiose iniziative, che contraddistinguono l’attività politica dell’austero restauratore liberale, vale la pena di ricordare pure la proposta di abolizione del valore legale della laurea:
«Oggi le lauree sono sostanzialmente tutte uguali, hanno lo stesso peso per legge. Che si ottenga il titolo in economia alla Bocconi o in un ateneo telematico via Internet poco conta […] Il valore legale del titolo livella la qualità e la meritocrazia verso il basso.»
(20/07/2010)
Evidentemente, per l’ineffabile deputato, una specializzazione in cardiochirurgia vascolare conseguita all’Università di Bologna, vale come un corso on line al CEPU. Sarebbe curioso sapere, in caso di necessità, da chi mai si farebbe operare a cuore aperto questo esteta della “sussidiarietà” universitaria…

Già capogruppo PdL in commissione parlamentare per “Cultura, Scienza ed Istruzione”, attualmente fa parte della Commissione “Giustizia”. In tale ambito, da tipico ‘garantista’ berlusconiano, l’on. Garagnani si è distinto per il suo appoggio incondizionato a tutte le leggi ad personam pro duce: dal Lodo Alfano, al “legittimo impedimento”; dal “processo breve” al “processo lungo”; fino al divieto dell’uso delle intercettazioni ambientali… che molto contribuiscono ad assicurare la certezza del diritto (e della pena).
Di converso, è un sostenitore convinto della militarizzazione delle città, dell’istituzione delle ronde e del reato di immigrazione clandestina (con 18 mesi di carcerazione preventiva, in assenza di qualsivoglia fattispecie criminale).
Sempre in tema di libertà e diritti, si è espresso contro la legge sull’omofobia e sul razzismo, e contro l’introduzione delle cosiddette “quote rosa”.
Sensibile ai costi della politica, ha votato contro la soppressione delle Province.
Liberista convinto, fautore delle privatizzazioni (dai servizi pubblici, all’acqua), ed intransigente alfiere della stabilità di bilancio, tra i vari provvedimenti, ha espresso il suo pieno favore al:
miliardario “salvataggio” dell’Alitalia, affidata alle premurose cure della CAI;
Finanziamento pubblico degli Istituti di Credito (privati);
Incentivi pubblici all’industria privata;
“scudo fiscale” per i grandi evasori;
Pagamento a carico dello Stato circa le multe per la truffa delle quote latte, a dispetto delle migliaia di allevatori onesti.

Da segnalare inoltre le personali crociate di Garagnani contro gli enti cooperativi (presumibilmente ‘rossi’); contro i “professori politicizzati”, naturalmente ‘di sinistra’ e per di più iscritti alla famigerata CGIL, con sospensione dallo stipendio e dall’insegnamento.
Tuttavia, è proprio nel corso del 2011 che l’Uomo ci regala i suoi contributi migliori, specialmente in questi ultimi mesi estivi, ispirato come non mai, nel suo iperattivismo militante contro gli ultimi alieni della rossa minaccia marxiana.
Dell’on. Fabio Garagnani ci ha impressionato l’aspetto quasi funereo delle foto ufficiali… l’espressione contrita, in perenne sofferenza… una via di mezzo tra il costipato ed il caro estinto.

In compenso sembra sfogare il disturbo in altro modo, eiettando per vie traverse il bolo che l’opprime…
Il nuovo bersaglio d’eccezione, e da bonificare, si trova direttamente all’interno della città di Bologna dove risiede una sacca di irriducibili con il vizio della memoria e non disposti a tacere. Sono i familiari delle vittime della strage del 02/08/1980, rei evidentemente di essere sopravvissuti ai propri cari, improvvidamente martoriati dall’esplosione casuale (come lo scoppio di una caldaia a ferragosto?) nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria. Soprattutto, sono colpevoli di reclamare la verità sui mandanti del massacro, a distanza di 31 anni, nel totale disinteresse del Governo Berlusconi che infatti diserta sistematicamente le commemorazioni pubbliche, come se la cosa non lo riguardasse minimamente. E certo una compagine governativa di (ex?) fascisti e piduisti, non ha il miglior pedigree né la moralità istituzionale (sì, usiamolo il termine!) per commemorare le vittime di una strage eseguita da fascisti, con coperture e depistaggi messi in atto dai principali vertici militari dei servizi di sicurezza nazionale, iscritti in massa alla Loggia eversiva P2, mentre documenti fondamentali per l’accertamento delle responsabilità sono a tutt’oggi coperti dal ‘Segreto di Stato’.
Con 85 morti ed oltre 200 feriti, Bologna è stata l’ultima tappa, la più feroce, di una lunga stagione stragista, cominciata a Milano nel lontano Dicembre del 1969: quarantadue anni di eccidi indiscriminati, depistaggi, insabbiamenti, trame eversive, coperture istituzionali, complicità insospettabili e protezioni inconfessabili… Una breve parentesi e poi una nuova stagione di bombe tra il 1992 e il 1993, con immutato copione di occultamento delle prove e collusioni mai chiarite. Uno Stato ostile e assente, che si accanisce sulle vittime invece che contro i colpevoli.
Contro questo ha pubblicamente protestato Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime:
“Il 9 maggio di quest’anno, Berlusconi disse solenne: ‘Apriamo gli armadi della vergogna’. Invece niente, non un documento è stato trasmesso alla Procura di Bologna. Vuol dire che quelle parole le ha pronunciare solo per apparire sui giornali.
[…] Non c’è pulpito da cui un esponente della loggia P2 può permettersi di esprimere simili giudizi sui giudici.“
Tuttavia ai cittadini di Bologna, oltre al diritto di avere giustizia, adesso viene negata anche la possibilità di contestazione, giacché all’on. Garagnini, come al piduista Berlusconi, quei fischi non
piacciono proprio… Per questo proponeva di far intervenire l’esercito, contro i potenziali contestatori, durante la commemorazione del 2 Agosto, a scopo intimidatorio se non repressivo: la democrazia ai tempi del berlusconismo. Non contento dell’abnormità di una simile proposta, questo residuato sanfedista ha pensato bene di rilanciare la posta, spalleggiato da tutto il pretorio dei piduisti di governo, denunciando Mario Bolognesi per “villipendio dello Stato”…
Probabilmente, Garagnani deve essere uno che non conosce i confini del demenziale, altrimenti al ridicolo non aggiungerebbe l’oscenità dell’indecenza:
«Le sue gravi affermazioni [di P.Bolognesi] non possono essere lasciate sotto silenzio, non tanto perché contenenti critiche di natura politica, quanto perché delegittimano in modo inconfutabile lo Stato e le istituzioni democratiche.
Certe affermazioni non possono essere tollerate, pena il venir meno della credibilità delle istituzioni medesime. Non è in questione il diritto di critica a qualunque livello e da chiunque espresso, che io pure ho esercitato in varie occasione e che non nego a nessuno, bensì atteggiamenti potenzialmente eversivi dell’ordine democratico che mirano a delegittimare i principi fondamentali dello Stato e della democrazia rappresentativa […] Non si può dire che sostanzialmente lo Stato è mandante o spettatore passivo di stragi.»
Confutare i deliri del Garagnani furioso è una causa persa oltre che disperata. Dinanzi al tanfo di così immani stronzate, non si può far altro che trattenere il respiro sperando invano che svanisca il lezzo. Oppure, in alternativa, accendere un fiammifero..!
Poi, in un mondo capovolto, ci si rende conto di trovarsi in piena realtà orwelliana:
“Spacciare deliberate menzogne e credervi con purità di cuore, dimenticare ogni avvenimento che è divenuto sconveniente, e quindi, allorché ridiventa necessario, trarlo dall’oblio per tutto quel tempo che abbisogna, negare l’esistenza della realtà obiettiva e nello stesso tempo trar vantaggio dalla realtà che viene negata”
E allora si comprende di assistere solo ad una pessima parodia, ad un modesto esercizio di piaggeria, nel vano tentativo di eguagliare gli irraggiungibili modelli originali: i due didimi brianzoli che ogni giorno onorano le Istituzioni democratiche…
Quello che predica (e pratica) la secessione; che usa la bandiera nazionale per scopi igienici assai poco istituzionali, e dai più alti scranni governativi offende chiunque risieda a sud del Po…
Quell’altra barzelletta deambulante, che ormai sembra un involtino alla plastilina immersa nel cerone, la cui massima espressione culturale è il bunga-bunga…
Le due “istituzioni” viventi nelle quali Fabio Garagnani, e tutti quelli come lui, degnamente si riconoscono!
E Cossiga se ne andò all’Inferno
Posted in Stupor Mundi with tags Aldo Moro, Autonomia Operaia, Bologna, Ciro Cirillo, Francesco Cossiga, Giorgiana Masi, Gladio, Italia, Liberthalia, Loggia P2, Movimento del 77, Partito Comunista, Partito Radicale, PCI, Picconatore, Pierfrancesco Lorusso, Presidente della Repubblica, Repressione, Studenti on 18 agosto 2010 by Sendivogius
”La verità è che la menzogna, ben più della verità è all’origine della vita, perché se gli uomini si sono evoluti è stato solo grazie alla loro capacità di mentire agli altri e a sé stessi”
Tuttavia, più che le menzogne, sono le verità non dette, surrogate dalle esternazioni salaci di un professionista della provocazione, a caratterizzare la vita e le ‘opere’ di Francesco Cossiga: presidente emerito, e dimissionario, della Repubblica; l’Intransigente; il Picconatore; il Gladiatore; il KoSSiga, massacratore di studenti; il guerriero anticomunista più amato dal PCI… È stato altresì l’uomo dei misteri della “Ragion di Stato”, tutta democristiana, e delle mezze rivelazioni, sputate con l’irruenza mordace di chi ha fatto del primato di una certa politica una scelta non negoziabile.
Quello che di Cossiga non si poteva accettare da vivo, e che non si riesce a perdonare da morto, è stato il suo ergersi ad oracolo danzante, castigatore e moralizzatore di un sistema del quale è stato parte integrante e dal quale, specialmente negli ultimi anni, ha più volte finto di distaccarsi con l’assunzione fittizia di responsabilità, declinate in progressione per moto auto-assolutorio. Ad essere insopportabile era quel gusto narcisistico della polemica referenziale, nell’appagante indulgenza di sé, che sorvolava volentieri sulle sue gravi responsabilità personali per muovere assalti all’arma bianca, brandendo il piccone del risolutore, con divertita irruenza e parole taglienti come lame, dal cinico esibizionismo verbale. E in questo modo appagare nell’anticonformismo di soliloqui sprezzanti, e ricercatamente provocatori, le bramosie celebrative di un Ego smisurato, nella demistificazione della sostanza, dove la sfrontatezza delle reiterate invettive presidenziali sfocia spesso nell’offesa gratuita verso coloro che di determinate decisioni politiche portano un pesante tributo di sangue.
La sostanza è che Cossiga è stato un protagonista della politica italiana, assolutamente organico al Potere, articolato nelle sue forme più repressive e violente, sempre rivendicate con malcelato orgoglio e sottile compiacimento, dove i (pochi) dubbi non hanno mai lasciato spazio ad alcun pentimento in chi, con ogni evidenza, si credeva esente da colpe gravi.
E questo risulta ancora più insopportabile per uno che, vuoi per scelta vuoi per ventura, si è ritrovato a gestire (male quando non malissimo) alcuni dei più delicati incarichi di governo in momenti difficilissimi della storia repubblicana, che (dati gli esiti) avrebbero richiesto un maggior pudore nel loquace presidente dimissionato. Ma la convinzione di essere una specie di immacolato era talmente radicata in Cossiga, da fargli credere di aver diritto ad un posto speciale nell’empireo dei giusti ed un posto riservato in Paradiso.
Una passione antica per i servizi segreti e di sicurezza, conduce infatti quest’ennesimo Grande Statista nei gorghi oscuri delle Leggi straordinarie, nella creazione di corpi speciali, nella difesa di organizzazioni segrete paramilitari, sempre sul filo sottile della legalità costituzionale. L’ordine pubblico, nella visione manichea dei blocchi contrapposti, è inteso dal Cossiga ministro come cristallizzazione immutabile dell’esistente, nella preservazione dello statu quo democristiano, con un’unica finalità: controllare, reprimere, e in caso sopprimere, ogni movimento spontaneo che esuli dal gioco partitocratico delle elite dominanti. È una convinzione che Cossiga persegue con convinzione e cinica determinazione, nel corso della sua carriera istituzionale.
Soprattutto, sembra quasi che l’esistenza di Francesco Cossiga sia stata caratterizzata da una sorta di odio viscerale nei confronti dei giovani e contro ogni forma di idealismo anarcoide, non veicolato nella forma partito. Istanze giovanili e studenti sono infatti l’oggetto prediletto del disprezzo di un uomo nato vecchio (come quasi tutti i professionisti della politica), che non ha mai vissuto una vera giovinezza, imbalsamata nelle grisaglie del potere perseguito e praticato, in una società irreggimentata in una concezione da caserma.
Durante il III° Governo Andreotti, che gode dell’appoggio esterno del PCI di Berlinguer, in una delle tante brillanti tattiche che condurranno la sinistra italiana all’autodistruzione, Francesco Cossiga è Ministro dell’Interno (12/02/1976 – 11/05/1978).
L’11 Marzo 1977, lo studente universitario Pierfrancesco Lorusso viene ucciso dai Carabinieri durante la rivolta studentesca di Bologna, nata durante la protesta contro un’assemblea degli integralisti di ‘Comunione e Liberazione’ all’interno della facoltà di Medicina dell’università felsinea.
Per il ministro Cossiga si tratta di un’ottima occasione per “dare una lezione” agli studenti e stroncare i movimenti dell’ultrasinistra extraparlamentare (in particolare, Autonomia Operaia e Lotta Continua).
«E la disposizione che avevo dato alla Polizia era: se sono operai, giratevi dall’altra parte; se sono studenti, picchiate tosto e giusto»
Il PCI naturalmente si schiera a favore della repressione più brutale, per far bella figura coi moderati e spazzare via ogni possibile “concorrente”.
Rassicurato dall’acquiescenza del Parlamento, il ministro mobilita persino gli M-113: veicoli cingolati da combattimento per il trasporto truppe, in dotazione all’Esercito, e mitragliatrici pesanti.
Il risultato fu che le frange più estreme del ‘movimento’ optarono per la lotta armata, vista come l’unica scelta possibile contro la repressione dello Stato ed il totale autismo degli organi di rappresentanza parlamentare.
Il dubbio deve aver sfiorato anche l’energico Cossiga, perché anni dopo dichiarerà in un’intervista al Corriere della Sera (25/01/07):
«Ho uno scrupolo. Io ho stroncato definitivamente l’autonomia: mandando i blindati a travolgere i cancelli dell’università di Roma e rioccuparla dopo la cacciata di Lama; poi inviando a Bologna, dopo la morte di Lorusso, i blindati dei Carabinieri con le mitragliatrici, accolti dagli applausi dei comunisti bolognesi. Tollerammo ancora il convegno di Settembre; poi demmo l’ultima spazzolata, e l’autonomia finì. Ma la chiusura di quello sfogatoio spostò molti verso le Brigate rosse e Prima Linea»
Il 12 Maggio 1977, il copione di ripete a Roma dove viene uccisa la 19enne Giorgiana Masi durante una manifestazione non autorizzata del Partito Radicale, intento a raccogliere le firme per l’abrogazione (tra gli altri) dei reati di opinione, previsti dal vecchio codice Rocco di stesura fascista, e delle leggi speciali di Polizia. Da sottolineare che per disposizione ministeriale dello stesso Cossiga, il divieto di manifestare era stato imposto a tutti i partiti o movimenti esterni all’arco costituzionale (cioè senza una rappresentanza in Parlamento). La tattica utilizzata dalla Polizia diventerà una prassi consolidata: infiltrazione di agenti provocatori nel corteo, poliziotti in borghese che sparano ad altezza uomo tra la folla. Ai pistoleri con la divisa, si aggiungono anche i vigili della Polizia Municipale di Roma, ai quali il sindaco Alemanno ha recentemente restituito l’arma.
Ad ogni modo, è lo stesso Cossiga a spiegarci la tecnica nei dettagli, consegnandoci un’efficace ricetta democratica, o almeno quello che lui intende per democrazia:
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perchè pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito… Lasciarli fare. Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì… questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio.»
(24 Ottobre 2008, in merito alle proteste studentesche sulla riforma Gelmini)
Ogni riferimento ai fatti di Genova (Luglio 2001) è puramente casuale…
Per ribadire meglio il concetto, il presidente emerito, preso dall’incontenibile nostalgia dei bei tempi che furono, chiarisce il pensiero sulle colonne de La Repubblica:
«Un’efficace politica dell’ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti […] L’ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita.
Io aspetterei ancora un po’ e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella Ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell’ordine contro i manifestanti.»
(Dalla lettera aperta alle forze dell’ordine dell’8 novembre 2008; citato in “I consigli di Cossiga”, la Repubblica, 08/11/08)
Ultimamente, questa specie di mamutones sardo travestito da Bava Beccaris ha dichiarato di aver sempre saputo l’identità di chi ha assassinato la giovane Giorgiana Masi, ma siccome sono passati tanti anni e si tratta di un buon padre di famiglia sarà mica il caso di rovinargli la vita proprio ora?!? Perciò silenzio totale, con buona pace di chi quella vita l’ha persa nel fiore degli anni senza mai capirne il perché. Anzi sì! Perché Cossiga voleva giocare alla guerra contro i sovversivi ed ergersi a salvatore della Patria.
Il 1978 è l’anno del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Tra i massimi sostenitori della “linea della fermezza”, Cossiga rivendica lucidamente di aver determinato la condanna a morte di Moro, rifiutando ogni compromesso o minima possibilità di accordo coi sequestratori.
Qualche anno (1981) ed il fronte della fermezza si discioglie come neve a Ferragosto, con un collettivo calo di braghe, nel caso di Ciro Cirillo: assessore ai Lavori Pubblici per la Regione Campania. Ciò che non si fa per il presidente della DC, Aldo Moro, lo si fa per un oscuro assessore democristiano. Per l’occasione, non ci si fa scrupolo a mobilitare pure camorristi e piduisti. Cirillo verrà rilasciato col pagamento di un riscatto, dopo 3 mesi di prigionia.
Nel 1979, Cossiga diventa presidente del Consiglio (04/08/1979 – 18/10/1980) in uno dei più infausti governi della Repubblica.
Il 27 Giugno 1980 viene abbattuto il DC-9 ITAVIA sopra i cieli di Ustica. È nota l’interminabile serie di depistaggi, insabbiamenti, morti sospette di testimoni chiave, occultamento di prove, che hanno visto coinvolti militari, servizi di sicurezza e intelligence di mezzo mondo, senza che i sempre lungimiranti politici italici muovessero un solo ditino.
Il 2 Agosto 1980 è il giorno terribile della strage alla Stazione di Bologna. Per il Governo Cossiga e la Polizia le cause sono assolutamente accidentali, attribuibili allo scoppio di una caldaia difettosa.
Della strage di Bologna ci siamo già occupati QUI.
Successivamente, nominato Presidente della Repubblica, il 15/03/1991 Francesco Cossiga decide che la matrice della strage non è “fascista” e si affretta a chiedere scusa ai diretti interessati ed eredi del MSI, chiedendo che la lapide commemorativa delle vittime venga corretta. È evidente che in tutti gli anni precedenti (e successivi) il presidente Cossiga non abbia mai ritenuto necessario rivolgere invece le sue scuse ai familiari degli 85 morti e degli oltre 200 feriti, per 30 anni di “segreti di Stato”, depistaggi, omissioni, e silenzi portati avanti dai vertici dei servizi segreti dell’epoca, che una ipocrita vulgata vorrebbe deviati.
Si scoprirà che tutti gli alti ufficiali del SISMI, massimamente coinvolti nella manipolazione delle indagini, sono affiliati alla Loggia P2. Naturalmente, Cossiga ha qualcosa da dire anche su questo:
«Io non so se alcune persone che sono state messe nelle liste ci fossero o no, io ho detto semplicemente che alcune di quelle persone le conosco, sono dei grandi galantuomini e per i servizi che hanno reso, essendo io al governo del Paese, sono dei patrioti.»
Infatti, seppur cattolicissimo, Cossiga ha sempre avuto una grande passione per le organizzazioni segrete e per la massoneria. Perciò, quando nel 1990 un giovane magistrato siciliano osa indagare sulle notorie connessioni che sull’isola (e non solo) intercorrono tra mafia e massoneria, il Presidente sbotta furente:
«Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno? … Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta.»