Archivio per BCE

HYBRIS

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 febbraio 2015 by Sendivogius

MordorNell’autistico isolamento della gelida fortezza di Asgard, dove dimorano le vestali norreniche dei conti ordinati e dei compiti a casa, il riverbero del sole sui ghiacci deve aver finito con l’accecare gli spiriti minimi, che dall’alto dei loro piedistalli si ergono come statue di sale e di pietra, vegliando nella preservazione del dogma del rigore.

Beccamorto«Ha un’idea poco chiara della realtà chi dice di non vedere che noi, attraverso i due programmi di aiuto europei, finalmente abbiamo portato la Grecia sulla strada della crescita, della riduzione della disoccupazione e abbiamo reso progressivamente sostenibili sul lungo periodo le finanze pubbliche.»

  Wolfgang Schäuble
  (05/02/2015)

Se i bramini dell’Austerity di tanto in tanto sfogliassero i Classici invece di dare i numeri, scoprirebbero come gli dei confondono la mente di coloro che peccano di tracotanza, nella presunzione di poter diventare essi stessi divinità. Aristotele ed i poeti della tragedia greca la chiamavano Hýbris. E di solito si ritorceva sempre contro il superbo, con effetti terribili nell’ineludibilità del fato, dopo che questo era stato colmato di potere e ricchezze destinate a crollare.

Malcom Morley - Flight of IcarusPiù prosaicamente, nel caso di Schäuble siamo dinanzi all’ennesima forma di distorsione cognitiva, secondo il bias mutuato da una formazione che prima ancora che ‘culturale’ è religiosa, condizionata com’è da un rigidissimo impianto luterano nel più cupo protestantesimo evangelico. La mistica di Schäuble in fondo è semplice: si nutre di una dimensione tutta tedesca, che vive nell’etica della punizione attraverso la pedagogia del castigo, vissuto come momento di espiazione della colpa (il debito), nell’irrimediabilità del peccato per il quale non esiste perdono né redenzione possibile. La macchia rimane ed è indelebile. Per questo il castigo deve essere inflessibile, mortificante, ed il più severo possibile, servendo come esempio morale e monito per tutti i trasgressori.
Luca_signorelli,_compianto,_cortona,_predella,_04_flagellazioneQuello della Grecia non si configura infatti come un “contagio”, ma una forma di contaminazione mediterranea contro la purezza contabile dei laboriosi popoli norreni, minacciandone l’integrità morale. Ogni deroga al dogma del rigore è una forma di eresia, che va immediatamente ricondotta all’ortodossia monetarista.

Inquisizione Monaco

Schäuble è l’inquisitore che veglia sul mantenimento di un ordine che reputa immutabile. Ogni concessione è un intollerabile cedimento al peccato.
Wolfgang Schäuble Come poi questa brutta copia carrozzata di Gollum prestata alla politica, che a suo tempo paragonò Gorbaciov e la sua Perestroika (grazie al quale fu possibile la riunificazione tedesca) a Joseph Goebbels (!), invischiato in un giro di tangenti organizzato dal trafficante d’armi internazionale Karlheinz Schreiber, sia potuto diventare ministro plenipotenziario in Europa, tanto da condizionarne l’intera politica finanziaria, la dice lunga sullo spirito tedesco e sull’identità di questa UE mercatista a trazione franco-germanica.
Gollum Evidentemente, nei club esclusivi dove si danno convegno l’inflessibile ministro e tutti gli altri ragionieri contabili, che amano immaginarsi élite dominante, deve essere sfuggita qualche piccola variabile…
Vampires di John CarpenterNei cinque anni di prestiti a strozzo imposti dalla troi(k)a vampirica a tutti coloro che si sono rimessi alle sue ‘cure’ estreme, tra i principali segnali di una insostenibile ripresa, la Grecia può vantare primati eccitanti. Ad esempio, può godere dei benefici effetti di un PIL diminuito del 25% insieme alla distruzione del 18% dei posti di lavoro, su un tasso di disoccupazione del 27% che supera il 50% tra i più giovani. E per chi ancora non condivide la ritrovata libertà dalla schiavitù del lavoro, c’è sempre il taglio dei salari che per i più fortunati può arrivare anche ad una riduzione del 40% (insieme all’eliminazione di altri inutili privilegi come la “tredicesima”). In cantiere vi è pure la riduzione del 22% del salario minimo. Tanto per restare più ‘sereni’, sono stati cancellati i contratti collettivi di lavoro, avviate privatizzazioni di massa e smantellato l’intero sistema di tutele sociali, che certi lussi non ce li si può più permettere.

Matteo Renzi, Alexis Tsipras

Altrimenti bisognerebbe iniziare ad incidere sui margini di profitto dei grandi trust armatoriali e cominciare a far pagare le tasse ai super-ricchi, che invece hanno avuto tutto il tempo di far sparire i loro capitali all’estero. Soprattutto, Francia e Germania avrebbero dovuto rinunciare alle lucrose commesse militari, affidate loro in linea diretta dai compiacenti governi ellenici degli amici Karamanlis e Samaras, che tra reazionari ci si intende sempre.
Vacanze in Grecia - Karamanlis-MerkelCome risultato tangibile, circa 1/3 dei greci vive sotto la soglia di povertà, ed il 40% di questi sono minori, mentre il 20% manifesta problemi di denutrizione.
Secondo statistiche piuttosto contestate, la mortalità infantile sarebbe balzata al 43%. Ma solerti commentatori ‘liberali’ vi spiegheranno come questo non sia assolutamente collegabile ai tagli imposti alla spesa sanitaria. Sarà per questo che, a fronte di un crollo radicale della natalità, in un quinquennio il numero dei bambini abbandonati negli ospedali e negli orfanotrofi è aumentato del 336% (!): percentuali da quarto mondo nell’Europa dei G20.
Quantomeno, e nonostante i danni collaterali, le ricette macroeconomiche imposte dalla infamissima trinità BCE-FMI-UE sono servite almeno a rilanciare il tessuto produttivo ellenico, aiutando il paese a contenere i suoi deficit strutturali… E invece no. Sbagliato! Visto che il debito greco ha superato il 175% in rapporto al prodotto interno lordo di un paese schiantato da una depressione senza uscita.
Per questo bisogna perseverare negli errori con diabolica determinazione, continuando ad applicare pedissequamente i “programmi di aiuto europeo” (ma sarebbe più appropriati definirli piani di rientro bancario dalla truffa dei derivati) approntati a Berlino, con la collaborazione altrettanto interessata di Parigi.
Secondo gli osservatori più maliziosi, ovvero quel Wall Street Journal noto in tutto il mondo per il massimalismo marxista dei suoi editoriali, la concessione dei prestiti franco-tedeschi sarebbe stata condizionata dall’imprescindibile acquisto di dotazioni militari. Ad ogni nuova tranche della troi(k)a per il rifinanziamento del debito ellenico, uno stock di acquisti obbligati per una di quelle offerte che non si può rifiutare, secondo lo stile ‘austero’ dei Vito Corleone seduti nei board delle tecnoburocrazie europee.
Vito CorleoneSarà per questo che Berlino e Parigi si sono aggiudicati rispettivamente il 22,7% ed il 12,5% delle forniture belliche della Grecia, per oltre 10 miliardi di euro. In particolare, se la Francia si è accaparrata la vendita di sei fregate e 15 elicotteri per la Marina da guerra, a sbancare è la Germania che riesce a piazzare persino i suoi fondi di magazzino, sottraendoli alla rottamazione, come i 223 vecchi obici di artiglieria da dismettere. Ma anche 170 panzer Leopard-2-A6 di ultima generazione ed il fondamentale acquisto di quattro nuovi sottomarini a fabbricazione ThyssenKrupp: sì, proprio quella del rogo degli operai di Torino e nata dalla fusione con quelle Acciaierie Krupp, che furono tra i principali finanziatori (e beneficiati) dell’ascesa nel nazismo.
Gruppo KruppQuando l’effimero governo socialista ha provato a tagliare l’acquisto delle forniture, nell’ambito della politica di bilancio ed in ottemperamento ai tagli della spesa statale, ha ricevuto un secco NEIN! insieme all’ingiunzione a confermare l’acquisto e pagare quanto prima il saldo. In merito, a perorare la causa dell Thyssen, è intervenuta fraulein Merkel in persona, abbaiando qualcosa sul rispetto degli impegni, che culminarono con la pronta rimozione del premier disubbidiente. Perché ci sono spese che si possono tagliare (sanità e servizi sociali) ed altre invece che sono intaccabili; specialmente quando queste interessano Berlino.
nazi_uboot_grToglietegli tutto ma non il mio U-Boot!

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De finibus bonorum et malorum

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 26 agosto 2014 by Sendivogius

Panlora's Donnie Darko Rabbit

In attesa del prossimo vertice della UE, che per certo sarà “storico”… “epocale”… “determinante”… secondo la scoppiettante salva di iperboli, che di solito accompagnano i giri di valzer europei e che di consueto vengono utilizzati per coprire la voragine della loro inconsistenza, una cosa sembra abbastanza chiara: la cosiddetta ‘Unione Europea’ (omaggio alle intenzioni nella contraddizione della pratica) appare sempre più come un guscio vuoto, priva di un animus fondativo che non sia mero esercizio contabile in tempi di post-mercantilismo. E questo al di là delle fumose dichiarazioni d’intenti ad usum populi, peraltro in piena crisi di rigetto nella sua disillusione per un’istituzione percepita sempre più come estranea ed invasiva, con la sua tecnocrazia oligarchica, consacrata alle divinità profane di un ‘mercato’ ormai cannibalizzato dai morsi di una crisi finanziaria, mai davvero affrontata se non con cataplasmi tardivi. In proposito, è interessante notare come la BCE si muova sul filo del rasoio, ottemperando a tutti i passaggi fondamentali per incappare come da manuale nella più classica trappola della liquidità.
Scacco al Re Del tutto sprovvista di una qualsivoglia visione strategica, la sedicente “unione” manca praticamente di quanto è più necessario per potersi definire tale: non ha una politica immigratoria, rimessa com’è all’improvvisazione dei singoli stati; non ha una politica estera condivisa (non è capace neanche di tutelare gli interessi economici continentali, figuriamoci la gestione delle emergenze umanitarie!); né una politica di difesa, al di fuori del coordinamento NATO. Nonostante sia alla base della sua costituzione, la UE non possiede una vera politica economica e finanche nemmeno il tanto decantato “mercato comune integrato”, a meno che non si voglia considerare tale il modello neo-camerale di ispirazione teutonica in un’Europa sempre più simile ad una sorta di Lebensraum, per incrementare la bilancia commerciale del nuovo reich germanico. Ed il surplus delle partite correnti sta lì a testimoniarlo, in barba ai sacralizzati “trattati” interpretabili (e violabili) a discrezione e senza timore di sanzioni che evidentemente, quando riguardano Berlino, sono sempre derogabili…
merkelSono gli inconvenienti nei quali si incorre quando si pretende di costituire un’entità (con)federale attorno ad una moneta (creata in laboratorio) e non viceversa, pensando di compensare tale carenza con la costruzione di un’area valutaria ottimale (optimum currency area), fortemente integrata a livello economico e commerciale. In riferimento all’eurozona, è superfluo dire che l’area è assai meno ‘integrata’ di quanto non si vuole ammettere e tutt’altro che ‘ottimale’, incapace com’è di fronteggiare i cosiddetti “choc asimmetrici”.
elite-daily-european-crisis1A dodici anni dall’immissione in circolazione dell’euro, è un fatto che l’Europa stia entrando nel suo ottavo anno di recessione e langua a tutt’oggi nella più grave depressione economica (peggiore persino di quella del 1929) della sua storia, senza che si intravedano concrete prospettive di ripresa. Se l’obiettivo della moneta unica era quello di favorire i processi di integrazione ed unificazione europea, si può dire senza falsi pudori che ha miseramente fallito nel suo scopo: mai gli stati europei sono stati tanti divisi nella reciproca diffidenza, negli egoismi nazionali, e nella totale assenza di coesione e solidarietà tra di loro, dalla fine della seconda guerra mondiale.
Tiounine-Guardian-2Succede, quando si imposta un matrimonio unicamente sui soldi, combinando le nozze nell’interesse dei pochi e tirando di conto sulla dote da versare.
Biglietto consorzialeA contrario di quanto vanno affermando gli stucchevoli filmini (per influenzare non per informare), che il nuovo Min.Cul.Pop per la propaganda manda in onda col nome di Cantiere Europa, l’esperimento monetario Orounitario era già stato tentato in passato con modalità totalmente diverse (il parametro fondamentale era il gold standard), rivelandosi ogni volta un fallimento. È stato il Unione monetaria Latinacaso dell’Unione Monetaria Latina, che nell’ignoranza dei più rimase in vigore per oltre 60 anni (dal 1865 al 1927), e delle ancor meno conosciute “Unione monetaria scandinava” (1872-1914) e quella austro-germanica. Quest’ultima, stipulata a Vienna il 24/01/1857 nell’ambito della Deutscher Bund, includeva gli statarelli dello Zollverein germanico, il Regno di Prussia, l’Impero Austriaco ed il Principato del Liechtenstein, con l’introduzione di un rigido sistema di cambi fissi e, sul modello del tallero, l’adozione di una moneta comune da affiancare alle valute nazionali: il Vereinstaler, o anche Vereinsmünze.
Preußischer Vereinstaler von 1866Tali accordi monetari (perché di questo e nient’altro si trattava) rimasero in piedi, più per gli oneri legati alla loro liquidazione che non per la loro effettiva efficacia, alla stregua di contratti con clausole di rescissione non convenienti. A dimostrazione che nessun processo è “irreversibile”, se non nella crisi che ne decreta la fine.

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LE PAROLE E I FATTI

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 20 novembre 2012 by Sendivogius


Ci sono due modi per smantellare l’impalcatura sociale di un Paese:

1) Da una parte, l’impeto fracassone e la cialtroneria ducesca delle nuove oclocrazie populiste, che si alimentano dell’esibizionismo pornografico e dell’arroganza pacchiana dei provinciali arricchiti, attraverso il saccheggio compulsivo della respublica.
2) Dall’altra, il mondo fluttuante della finanza globalizzata, il verbo liberista sceso ad ispirare i teatrini della post-democrazia, che diventa carne geneticamente modificata nell’austerità tecnocratica di distinti signori borghesi, provenienti delle aristocrazie timocratiche e dalle sagrestie della finanza bianca d’ispirazione confessionale.
In entrambe i casi, a perderci è la Democrazia.
Solitamente, il primo sistema si nutre del gigionismo esasperato di vecchi avanzi da cabaret. Spesso, la loro eccitazione istrionica attira troppe attenzioni e viene reputata sconveniente nei salotti che contano: gli utili idioti hanno in genere tempi di scadenza ravvicinati. Perciò, la tendenza a strafare e l’eccessiva sovraesposizione finiscono quasi sempre con l’annullare gli effetti desiderati. Nei casi più estremi, si rischia di mandare a puttane intere nazioni. E mai metafora fu interpretata alla lettera come in Italia!

Al contrario, il secondo sistema punta all’esatto opposto del primo: liquidata la volgarità dei servi, concentra tutto sulla sobria austerità della nobiltà padronale, travestita da buon fattore. Se il trucco riesce, si finisce con lo scambiare la tutela di una serie di interessi proprietari per interessi comuni. La prassi ordinaria rifugge da gesti eclatanti e da ignobili pagliacciate. Piuttosto, si nutre di imperativi categorici, quasi sempre provenienti da entità astratte di eterea collocazione: Ce lo chiede l’Europa… Bisogna assecondare le percezioni dei mercati… Ce lo chiedono gli investitori
È un po’ come Mosé che sente le voci e convince il popolo a seguirlo nella “Terra Promessa”, salvo girare a vuoto per 40 anni in un deserto inospitale!
Il paradosso più eclatante di una situazione surreale, che la dice lunga sulla maturità democratica di un popolo e l’intelligenza politica degli italiani, è di aver considerato come una cosa assolutamente normale la presenza in cucina di un pornomane che grufola, mangia con le mani e flatuleggia, mentre si ingozza insieme alla sua vorace corte dei miracoli. Secondo i moderati nostrani, non c’era niente di meglio disponibile sulla piazza. Invece, si è reputata un’eccezione la presenza di un’ospite che a tavola si serve di coltello e forchetta, sa come si usano e conosce le basi della buona educazione.
È il caso fortunato del prof. Mario Monti: antitetico nei modi e nell’aspetto al suo predecessore, ne eredita il programma di governo e la prassi emergenziale, insieme a certe estemporaneità promozionali: come il Pornonano, va in giro per il mondo a rilanciare l’immagine del Paese e la propria (fortunatamente con effetti diametralmente opposti!). Avido di complimenti e di riconoscimenti, ad un anno dal suo insediamento al governo, se li tributa da solo con manifesti celebrativi pubblicati on line sul sito del governo: 14 pagine di indulgente auto-sbrodolamento. Naturalmente, non perde occasione di incensare il suo operato, con un’opera dal titolo evocativo: Le Parole e i Fatti. Evidentemente, il magnifico professore non sa che chi si loda s’imbroda. E magnifiche sono state le circostanze di promozione editoriale: all’Università Bocconi, davanti una platea di privilegiati, mentre all’esterno dell’ateneo privato gli studenti della scuola pubblica in protesta contro i tagli del governo all’Istruzione venivano manganellati dalla polizia.
Raccoglie il copione dal passato, ma reinterpreta il tutto in maniera “sobria” all’insegna dell’Austerità. Ad un anno dall’insediamento del professore e del suo direttorio tecnocratico, così com’era comparsa inaspettata, come per incanto la famigerata crisi è svanita.
I risultati ci sono, ma non si vedono (è sempre un problema di percezione!). E dunque, ad un anno di distanza vediamoli questi risultati così eclatanti…
I dati sono desunti dalla Banca d’Italia ed elaborati dal Sole 24 Ore (noto foglio bolscevico). Giudicate da soli:

DER PROFESSOR
Dalla sua realtà parallela, Mario Monti interpreta il triplice ruolo di Commissione, Studente e Professore, si valuta da solo e ovviamente si promuove a pieni voti.
In un afflato rassicurante, ci fa sapere che l’Italia è una grande potenza industriale (ma va?!?) dai solidi fondamenti economici e sopratutto (udite! udite!):

L’Italia non è un paese debitore, non deve neanche un euro ai fondi ‘salva-Stati’ ed è il terzo contributore non solo dei bilanci Unione Europea, ma anche dei salvataggi verso Atene e il Portogallo.
 (18/11/2012)

Ad un anno dalla terapia ‘tecnica’ che sta stroncando il nostro tessuto produttivo e sociale, apprendiamo dunque che l’Italia non solo non è mai stata a rischio default e che, nonostante un debito pubblico nel frattempo lievitato a 2.000 miliardi (in massima parte pregresso), il Paese non è esposto verso i creditori esteri, ma si può altresì permettere di foraggiare gli anelli deboli della UE. E dunque la famosa emergenza?

«Il governo ha cercato di mettere in sicurezza i propri conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Banca Centrale Europea […] Per farlo si sono messe in atto politiche rigorose ma necessarie sia in termini di consolidamento di bilancio che di riforme strutturali. Il governo ha proseguito in questo senso l’impegno preso nell’estate del 2011 dal precedente esecutivo di portare il bilancio dello Stato in pareggio già nel 2013, cioè prima rispetto a tutti gli altri stati dell’Unione Europea

Praticamente, in base al necrologio celebrativo per la prossima dipartita di questa pestilenza tecnocratica, il direttorio bocconiano ci sta dicendo che ha guidato l’Italia verso la peggiore recessione degli ultimi 80 anni, con incipienti fenomeni di stagflazione e depressione economica, per fare bella figura con la BCE ed i tecnoburocrati di Bruxelles, quando poteva negoziare condizioni meno draconiane?!?
E se al contrario la crisi congiunturale del Paese era così grave, perché non si è intervenuto in anticipo per la rimozione del Pornocrate e la sua banda di predoni? Perché non si è intervenuti finché la situazione era ancora recuperabile, nel lontano Dicembre 2010, quando il governo del pornonano fu salvato con la più scandalosa compravendita di voti della storia parlamentare e grazie ai temporeggiamenti del Monitore dall’alto del Colle, che nulla ebbe a dire sulla circostanza, né prima, né durante, né dopo?!?
In compenso, è consolante sapere cheforse alcuni errori sono stati commessi, ma che tutte le misure prese, a partire dalla fantomatica ‘riforma del lavoro’, sono state finalizzate “a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani”. E la differenza si nota! Sarà per questo che, da quando i tecnici sono arrivati al governo, sono aumentati i pestaggi legalizzati della polizia?

UN ANNO DI SUCCESSI
 Ad ogni modo, usando le “parole”, vediamoli in sintesi questi “fatti” del Governo Monti, i cui fautori millantano la prosecuzione ad libitum, in una sorta di monarchia tecnocratica per investitura oligarchica.

1. CREDIBILITÀ
Gli ostensori del direttorio tecnico sottolineano come l’Italia avesse un problema di “credibilità” in ambito internazionale… Succede, quando hai un gangster plurinquisito come premier, che fa cambiare le leggi in parlamento dai suoi avvocati-deputati, per mandare in prescrizione i processi che lo riguardano; si circonda di una corte di lenoni, papponi, faccendieri e mafiosi che gli riempiono le ville di mignotte, ripagandoli con commesse pubbliche e creste milionarie sugli appalti di Stato. E ciò è avvenuto senza che peraltro l’opinione pubblica, né stampa benpensante, né vertici istituzionali se ne scandalizzassero più di tanto.
Forse, i ‘mercati internazionali’ più che ai vizi privati del caligola brianzolo, erano molto più interessati alla solvibilità creditizia dell’Italia ed alla quantificazione del suo debito strutturato in prodotti derivati, da parte di amministrazioni locali (Regioni e Comuni) completamente fuori da ogni controllo contabile. Al contrario che da noi, gli investitori stranieri il problema se l’erano posto eccome. E cercavano rassicurazioni in proposito. Bastava sfogliare la stampa specializzata in questioni finanziarie per comprenderlo, così come certi provvedimenti scaturivano più da una ideologia neo-mercantilista del capitale finanziario, che non da un’esigenza dell’economia reale.
Noi ne avevamo parlato QUI e ripreso il discorso QUI.

2. Lo SPREAD impazzito
 Protagonista indiscusso delle disamine economiche degli ultimi mesi, è praticamente scomparso dalle valutazioni dell’agenda del Governo Monti.
Se pensate che la febbre degli spread sia stata debellata da una massiccia cura di antibiotici e dall’inoculazione di un valido vaccino, vi sbagliate di grosso.
La cura approntata per placare l’esplosione dei differenziali dei titoli di Stato assomiglia un po’ ai rimedi medioevali in caso di influenza: qualche pannicello caldo, brodo di pollo, e tante preghiere confidando nella guarigione per intercessione divina.
Una ‘ricaduta’ è possibile in qualsiasi momento…
Innanzitutto, perché le armi di distruzione di massa in dotazione alla speculazione finanziaria non sono state affatto disinnescate, o messe in condizioni di non nuocere, da chi avrebbe potuto e dovuto. Per farvi una piccola idea sull’argomento, potete leggere QUI.
E poi perché al momento c’è una sorta di tregua in armi da parte dei famigerati speculatori senza volto, i quali tutto sono tranne che sconosciuti, travolti per troppa ingordigia e attualmente in attesa (non si uccide la pecora che si vuole tosare).
Se volete avere una piccola panoramica sulle loro identità e la potenza di fuoco a loro disposizione, potete dare un’occhiata QUI.
Valutate quindi quale sia il reale potere di contrasto dei raffazzonati provvedimenti, messi in piedi dalla UE e sistematicamente boicottati da Berlino.

3. Le RIFORME EPOCALI
 Ovvero come produrre fuffa, ma venderla bene spacciandola per oro colato…
Un prodotto di marketing, per essere vendibile, richiede sempre un nome ad effetto. Nella pioggia di decreti-leggi, che ha fatto del ricorso alla decretazione d’urgenza la prassi ordinaria del Governo Monti, ci sono certamente il “Salva-Italia” ed il “Cresci-Italia”.

Il SALVA-ITALIA arriva in tempi di spread alle stelle, una voragine di discredito internazionale grazie al Grande Statista di Arcore, ed il totale fallimento della finanza creativa targata Tremonti. Quindi si concede al Governo Monti il beneficio delle buone intenzioni, sotto le pressioni fortissime del momento, con l’urgenza di mettere in sicurezza i conti pubblici.
E infatti, per non far torto a nessuna delle elite cooptate al governo nazionale, si provvede subito a garantire le banche, con la presa in carico del loro debito privato da parte dello Stato. Innanzitutto, si proroga e si amplia la concessione di garanzie dello Stato sulle passività degli Istituti di Credito. Quindi con la scusa della lotta all’evasione fiscale, si riduce il limite della tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro per far impazzire gli uffici di tesoreria delle grandi aziende e spingere i correntisti a usare la carta di credito (il miglior strumento di indebitamento individuale che esista). Ma ci si guarda bene dall’introdurre il registro clienti-fornitori, che permetterebbe invece di tracciare qualunque flusso ingente di denaro.
Quindi, si provvede a fare cassa, aumentando il gettito delle entrate…
In ossequio alla conformazione classista di tipo ottocentesco di un esecutivo, che sembra uscito fuori tempo massimo da un gabinetto sabaudo, NON vengono toccati i costosissimi giocattolini dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola, nel frattempo transitato alla Difesa.
Stipendi ed emolumenti dei super-manager e boiardi di Stato vengono appena lambiti dalla riforma, mentre tutte le politiche fiscali del governo vengono modulate in segno restrittivo, con il ricorso ad un fiscalismo bizantino che ha il suo punto di forza nella tassazione indiretta e, contro ogni principio di equità, è completamente sbilanciato a carico dei ceti medi e medio-bassi. Soprattutto, colpisce i consumi delle famiglie piuttosto che i redditi e meno che mai le rendite di posizione, innescando una micidiale spirale recessiva, ulteriormente aggravata dalla perdita di potere d’acquisto e contrazione salariale.
Anni di studi e ricerche specializzate nell’olimpo accademico della teoria economica, hanno prodotto risultati eclatanti e provvedimenti altamente tecnici come l’aumento delle accise sui carburanti, l’aumento di due punti dell’IVA, delle sigarette e degli alcolici.
Sono queste alcune delle riforme epocali che hanno stupito il mondo!
Al contempo, il Governo Monti esclude categoricamente ogni forma di ‘patrimoniale’ o di reale contributo da parte dei redditi più alti, con prelievi sui patrimoni mobili e finanziari. La motivazione ufficiale è che una patrimoniale, sui valori mobiliari e non, in realtà è stata già introdotta.
La tutela castale dei ceti sociali di riferimento è talmente evidente nella protervia di salvaguardia di classe, da risultare quasi provocatoria nell’irrisorietà degli atti…
 TASSAZIONE IMMOBILIARE. Si introduce l’IMU, con la tassazione della prima casa e delle proprietà immobiliari, ma si rimanda ad un secondo momento la revisione degli estimi catastali, col risultato che gli immobili vengono tassati a prescindere dal reddito, dalla composizione del nucleo familiare e di eventuali persone a carico, senza alcuna progressività nel calcolo delle aliquote né la possibilità di esenzioni. Si tassano i vani, ma non l’estensione in mq. In compenso, fino ad ora è escluso dal pagamento dell’IMU l’immenso patrimonio immobiliare del Vaticano, beneficiato da anacronistiche guarentigie.
In pratica, un disoccupato che ha perso il lavoro, ma con il mutuo da pagare e una famiglia da mantenere, deve versare la tassa di proprietà sulla casa in cui vive. Un convento trasformato in albergo extralusso invece non paga nulla.
 RENDITE FINANZIARIE. Dopo molte insistenze, il Governo Monti ha introdotto una tassazione sui cosiddetti “capitali scudati”, ovvero sui soldi riciclati all’estero da delinquenti ed evasori fiscali, rientrati in Italia grazie al condono di Giulio Tremonti [QUI].
L’aliquota aggiuntiva di bollo è fissata al 10 per mille (avete letto bene!) per l’anno 2012, al 13,5 per mille per l’anno 2013 e al 4 per mille a decorrere dall’anno 2014 dei capitali, che rimangono così anonimi. Ma per coloro che decidono di rinunciare all’anonimato non è dovuto alcun importo!
Viene introdotta la revisione del bollo su titoli, strumenti e prodotti finanziari, con la strabiliante aliquota dell’1,5 x mille. È un’imposta di tipo regressivo: più soldi hai e meno paghi.
In pratica, per un conto titoli di 50.000 euro si pagano circa 50 euro. Ma in ogni caso la tassa non può superare un importo massimo di 1.200 euro: sia che si abbia un patrimonio da un milione di euro, o da dieci o da cento milioni, il contribuente continuerà a versare sempre lo stesso importo per non più di 1.200 euro.
Al contrario, l’imposta sui conti deposito (in pratica i libretti postali al risparmio) sale allo 0,15% col risultato che i risparmiatori si trovano a pagare più tasse di chi specula in Borsa.
Quantomeno, è stata reintrodotta l’addizionale erariale per i veicoli oltre i 185 kw. Il Pornocrate aveva circoscritto il pagamento ai veicoli superiori a 225 kw. Ma l’imposta diminuisce sensibilmente in base all’anno di immatricolazione.
 Ed è stata ripristinata altresì l’imposta erariale su aerei ed elicotteri privati e barche. Berlusconi l’aveva abolita nel 1994 con un occhio alla sua flotta privata e l’altro a quella dei suoi amici. E’ ovvio che in assenza di controlli supplementari ed una migliore definizione della norma, la tassa può essere facilmente elusa, registrando aerei e yacht all’estero. E quindi è inefficace
Ci si richiama genericamente ad una lotta senza quartiere contro gli evasori fiscali, ma a tutt’oggi non è stato ancora approntato lo strombazzato “redditometro”, per la verifica incrociata dei dati tra reddito dichiarato e patrimonio posseduto. Né è stato firmato, nonostante le profferte della controparte elvetica, il patto con la Svizzera per la consegna dei nominativi degli evasori che nascondono i soldi nei caveau d’oltralpe. In compenso, si lanciano messaggi in codice agli evasori: forse, non so quando, dovrò fare una patrimoniale o scovare i vostri capitali anonimi… perciò, fate sparire il malloppo finché siete ancora in tempo! In ogni caso, il povero evasore può sempre contare sul pagamento di una aliquota ridotta al 25% e comunque trattabile

 Nel cosiddetto Decreto CRESCI-ITALIA si ravvisano tanti buoni propositi, ma nel concreto risultati risicati. A meno che non si voglia credere davvero che la soluzione alla disoccupazione giovanile consista nell’improvvisarsi tutti imprenditori, con capitale sociale di un euro, ma 45 giorni per aprire un C/C alle Poste e 5.000 euro o più da versare in contributi annuali, a prescindere dalle entrate e dal ritorno economico dell’attività commerciale, anche se a gestione unica.
Le liberalizzazioni delle tariffe e la revisione degli Ordini professionali rimangono nel novero delle buone intenzioni e più che altro si esplicano in una presa in giro che rasenta la farsa.
In merito alla crescita, più che intravedere la luce alla fine del tunnel, sembra di osservare la luna dal fondo di un pozzo… Freschi di giornata sono gli ultimi dati ISTAT, su fatturato e ordinativi dell’industria, in riferimento al Settembre 2011. Nell’ordine, rispetto al mese di Agosto (un periodo di solito fiacco), l’industria registra una riduzione del 4,2% dei fatturati, con una diminuzione del 3,7% sul mercato interno e del 5,3% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano cali congiunturali per l’energia (-9,6%), per i beni strumentali (-4,7%), per i beni intermedi (-4,5%) e per i beni di consumo (-1,5%).
La diminuzione più pesante si verifica nel settore della metallurgia, con un devastante -15,5%. Che nei fatti si traduce in licenziamenti di massa per un’industria in via di dismissione. Fino a pochi anni fa, prima dei vincoli UE, eravamo uno dei principali produttori europei, in concorrenza con la Germania. Coincidenze?
Da notare che il crollo della fabbricazione di lavorati in metallo comporta una flessione delle nostre esportazioni (che costituiscono ormai la voce più importante del nostro PIL), con un abbassamento delle vendite di macchinari e apparecchi in Cina, Francia e Germania (a tutto vantaggio di quest’ultima). La diminuzione tendenziale di tali esportazioni comporta un punto in meno del PIL.
Prodotto Interno Lordo che in alternativa si è pensato di incrementare con una serie di proposte demenziali, tipiche dei nostri ‘economisti’ da salotto, che nulla hanno capito della crisi ma hanno le idee chiarissime su chi debba pagarne le conseguenze: più ore lavorate a parità di salario, riduzione della pausa pranzo; eliminazione delle pause da 10 minuti in catena di montaggio dopo 4 ore di lavoro; cancellazione delle feste nazionali, ma solo quelle laiche! Si elimina la celebrazione di fondazione della Repubblica, la Festa dei Lavoratori (che di questi tempi hanno poco da gioire)… In compenso si festeggia la Befana, per non dispiacere il Vaticano.
Altri bagliori nel buio hanno illuminato in tempi recenti l’operato dei professoroni di finanza e governo [QUI].
Sulla famigerata controriforma del lavoro, fatta per rispondere ad una percezione dei mercati piuttosto che ad una serie di problematiche e distorsioni oggettive, che spaccia per nuove alcune normative e tutele già esistenti, ma cancella tutte le altre senza minimamente incidere sulla precarietà lavorativa, abbiamo già parlato diffusamente QUI e anche QUI.
Tuttavia, la parola d’ordine è sempre la stessa: “Monti ha salvato l’Italia”.
C’è da chiedersi chi salverà gli italiani…

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Finanza Creativa (V)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 luglio 2012 by Sendivogius

Neanche una settimana!
Tanto è durata l’euforia dei cosiddetti ‘mercati’, dinanzi all’effimera “svolta epocale” del già dimenticato vertice di Bruxelles (29/06/12)… quello che doveva rivoluzionare la stessa architettura politica della UE e spuntare gli artigli della speculazione con un grande piano di rilancio economico. Ovvero, l’eurosummit che avrebbe dovuto sancire la difesa della moneta unica; realizzare un cordone sanitario volto al contenimento degli interessi sui titoli di Stato; mettere in sicurezza il sistema bancario, onde evitare che la crisi del credito iberico inneschi un devastante effetto a catena su scala continentale.
Infatti, coerentemente con quanto avevamo già scritto QUI, il valore dell’euro è ai suoi minimi storici (1,24 sul dollaro), mentre il differenziale tra i BTP italiani e Bund tedeschi è schizzato a quota 470, con un onere del debito da pagare per interessi superiore al 6%. Il risultato peggiore di sempre, alla faccia delle strombazzate controriforme del Governo Monti.
Eppoi c’è il bel venerdì nero, con tutte le Borse in picchiata libera.
I rendimenti decennali dei titoli spagnoli sono invece schizzati al 7%, con l’aggravante che le banche iberiche non potranno beneficiare del fantomatico piano di salvataggio e di ricapitalizzazione previsto dal nuovo fondo salva-stati (ESM), che non sarà operativo prima della metà del 2013 o altra data da rinviarsi. In assenza dei necessari organismi di vigilanza, nulla di fatto anche per lo scudo anti-spread: il grande trionfo di Montinator (e delle sue intelligenze aliene), destinato a rimanere nel limbo dei trofei di latta (ma ben lucidati) dei quali il professorone ama fregiarsi.

«Mario Monti è stato il protagonista numero uno […] quello che è riuscito a impedire un finale generico e senza risultati come molti prevedevano sarebbe avvenuto, è stato Monti. È andata esattamente così. Il nostro premier ha portato a casa quanto aveva promesso, non soltanto per far fronte alle necessità impellenti del nostro Paese ma anche per rafforzare l’Europa modificandone il quadro generale e le prospettive di fondo.»

  Eugenio Scalfari
  (01/07/2012)

Poi, si sa, mentre nonno Eugenio continua a sognare il suo Principe in nutrita compagnia, la notte porta (cattivo) consiglio…

L’inconfondibile Angela Merkel si è rimangiata tutte le promesse, rinnegando gli impegni presi neanche 48h prima. Si tratta di una costante tedesca, secondo la più classica “Teoria dei Giochi”. Quindi, fedele ad un copione ormai collaudato, ha scatenato le sue Schutztruppe di complemento (Olanda e Finlandia), senza esporsi direttamente ma boicottando nella sostanza l’accordo brussellese.
Al contempo, il prof. Monti ha trascorso metà della settimana a rassicurare Angelona, che mai avrebbe richiesto l’applicazione dei provvedimenti anti-spread, quasi a scusarsi dei risultati ottenuti al vertice. O, più probabilmente, per non rendere palese l’aleatorietà delle decisioni (non) prese.
Nel frattempo, a complicare ulteriormente le cose, si è ‘scoperto’ pure che le banche di Sua Maestà britannica taroccavano allegramente i tassi del Libor, aprendo un nuovo fronte nella crisi del Credito… E tutto il fragile castello di carte è venuto giù alla prima raffica di vento, travolto dall’ennesima onda lunga della recessione USA, a dimostrazione di quanto fragile sia l’intera costruzione, e inutile il vertice con le sue intese scritte nella sabbia, nella medesima inconcludenza decisionale che accomuna le due sponde dell’Atlantico.
Intanto, per non parlare dell’esercito dei sottoccupati, in Italia, la disoccupazione giovanile ha toccato vette del 36%. La Recessione (ormai prossima ad evolversi in Depressione), dopo l’eurozona, ha ormai raggiunto la Gran Bretagna e la sua sterlina; blocca le aspirazioni della ripresa USA e le ambizioni alla rielezione di Obama (vai a casa pure te, bello!); investe in pieno i Brics: i nuovi giganti (d’argilla) dell’economia globale…

Coerentemente, Banca Centrale Europea (BCE), Federal Reserve statunitense (FED), insieme alle banche centrali britannica e cinese, si sono messe a tagliare i tassi di interessi a tutto spiano nell’illusione di rianimare i propri sistemi creditizi in funzione anti-recessiva, senza ottenere alcun sollievo tangibile. In compenso, rischiano di innescare gli effetti irreversibili (e devastanti) di un’enorme Trappola della Liquidità su scala globale.
Sul ‘fronte interno’ invece, la Guerra del Credito va persino peggio… In pratica il debito privato delle banche (non solo spagnole), sovresposte e a rischio insolvenza, viene appoggiato al Tesoro nazionale e rifinanziato dall’erogazione del FMI e BCE, che però accolla il debito alle casse pubbliche dello Stato e non agli istituti che beneficiano del prestito. Lo Stato poi rigira i fondi agli istituti bancari, con interessi minimi, facendosi garante del debito e iscrivendo il medesimo nei propri registri di bilancio. In tal modo, si incide sui livelli (fittizi) di indebitamento pubblico e si determina l’aumento dei tassi di interessi sui nuovi titoli emessi per rifinanziare il “debito sovrano” (in realtà il debito bancario garantito dal Pubblico). Finora, non si sono viste né l’apertura di nuove linee di credito, né la concessione di prestiti d’impresa (e tanto meno una dilazione dei pagamenti per i debitori in difficoltà), né la concessione di mutui o condizioni meno onerose per i clienti. Gli istituti di credito si limitano, come contropartita per l’aiuto ricevuto, ad acquistare i titoli del debito pubblico lucrando sugli spread e speculando sul rialzo dei rendimenti.
È un circolo vizioso che, una volta innestato, è in grado di portare al tracollo qualsiasi economia, anche nel Paese più virtuoso (e non parliamo certo dell’Italia!)… Perché un valido governo può anche avere una buona gestione di spesa, garantendo servizi pubblici efficienti, ma in totale assenza di regole non può controllare il sistema bancario con i suoi flussi di denaro internazionali, né intervenire per impedire le operazioni di credito più spregiudicate, salvo poi far fronte alle eventuali perdite con i soldi dei cittadini. Un debito collaterale (per svariati miliardi di euro!), indotto per salvare le banche, e in nome del quale si spazzano via 50 anni di conquiste sociali, improvvisamente diventate “troppo onerose”…
Ancora una volta, privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite. Solitamente, non manca mai in tali frangenti l’utile idiota matricolato che straparla di “meritocrazia”, rotea il ditino ammonitore al cielo dicendoci che “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità” e predica “l’austerità”, mentre i CEO della finanza assistita si spartiscono i finanziamenti pubblici e si aumentano il bonus di fine anno, a dispetto di prestazioni miserrime.
Tanto per dire, la Barclays bank di Londra, specializzata in operazioni su derivati, è stata appena alleggerita di 450 milioni di dollari di multa per aver manipolato i tassi che regolano le transazioni interbancarie sui mercati internazionali (sterlina-dollaro), condizionando indirettamente le oscillazioni di 360 trilioni di dollari in obbligazioni, con l’immissione di dati falsi. Ciò non ha impedito a Bob Diamond, dimissionario chief executive officer della Barclays, cacciato a furor di popolo, di portarsi a casa nel 2011 oltre 20 milioni di dollari di stipendio (con un incremento dell’11%) a fronte di perdite in borsa (per la banca) del 21,6% nell’anno 2011. A queste si aggiunge l’attuale 32,7% di perdite di valore, dopo l’esplosione dello scandalo.
E non meglio se la passa la JPMorgan che, grazie al suo trader più spregiudicato, l’anglo-francese Bruno Iksil, soprannominato “Lo Squalo” ma meglio conosciuto nella City londinese come “Voldemort”, è riuscita a cumulare un passivo di 9 miliardi di euro facendo incetta di CDS e scommettendo compulsivamente sul default di Spagna e Italia e Grecia.
È bene sapere per pagare chi stiamo facendo i famosi “sacrifici” e perché le nostre tutele sociali vengono smantellate.

Poi, certo, una trattazione a parte meriterebbero i raiders della turbo-finanza… gli Oscuri Signori degli hedge funds, specialisti in “derivati” e prodotti finanziari… Ovvero, i famosi “speculatori senza volto” dei quali, a volerli cercare (e a riprova di un’idiozia diffusa come l’ignoranza), si conosce praticamente tutto:
Carl Icahn, signore e padrone della omonima Icahn Associates con un pacchetto da guerra di quasi 10 miliardi di dollari a disposizione per speculazioni selvagge, lo scorso anno ha guadagnato qualcosa come 2,5 miliardi di dollari, giocando coi CDS e scommettendo sul tracollo dell’euro.
James H. Simons, esperto matematico (meglio di Ricucci!) e fondatore della Renaissance Technology: 2,1 miliardi di dollari di ricavi personali.
Poi ci sono i mostri sacri della BRIDGEWATER che, con un portafoglio in assets per 122 miliardi di dollari, dispone di una potenza di fuoco praticamente illimitata.

«E non muoiono di fame neanche Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Pure Apha (1,9 miliardi l’incasso personale 2011 e 72 miliardi di dollari il patrimonio gestito dalla sua società) e Stephen Schwarzman, il chief executive di Blackstone che si è messo in tasca 1,6 miliardi. Un po’ in sordina nell’anno scorso il mitico John Paulson, l’uomo che guadagnò 3,5 miliardi secchi speculando al ribasso con il suo Advantage Fund sui Cdo costruiti con i subprime all’inizio del 2008 (e 4,9 miliardi nel 2010 “ritagliandosi” profitti stavolta sulla ripresa statunitense), oppure il “filantropo” George Soros, l’uomo che sbancò la Bank of England (e la Banca d’Italia) nel 1992, settima persona più ricca d’America con 36 miliardi di fortuna personale. Soros si è preso una specie di anno sabbatico limitandosi a fare il guru sull’eurozona in pagatissime conferenze in giro per il mondo, senza trascurare naturalmente di sovrintendere alla gestione del suo Quantum Endowment Fund forte di 31,2 miliardi di dollari di asset under management al 31 dicembre 2011. Benvenuti nell’iperuranio degli hedge fund. Se siete scandalizzati per gli stipendi dei banchieri, qui entrate in un’altra dimensione. E’ vero che non ci sono azionisti di minoranza da tutelare, regole Sec o Consob da rispettare, codici morali e parametri etici cui attenersi, ma certo qui saltano tutti gli standard, tutti i paragoni con noi poveri stipendiati, qualunque riferimento al “capitale lavoro” o simile. In questo mondo ingovernabile si annidano gli speculatori che mandano sull’ottovolante i titoli europei: proprio il redivivo Paulson ha gelato tutti annunciando senza falsi pudori che stava giocando al ribasso sui titoli di Stato tedeschi nelle ore del vertice europeo di Bruxelles, giovedì notte, quando è emerso che la Merkel stava facendo qualche concessione. I tentativi di mettere ordine in questo funambolico settore sono sempre stati vani e poco significativi.»

 Eugenio Occorsio
 Affari e Finanza – (02/06/2012)
 Articolo completo QUI.

Sono questi gli scogli contro cui si infrangono i ruttini del fiscal compact e della spending review, con gli statarelli europei in ordine sparso e senza coordinamento, ed i nein della Germania che per il solo fatto di essere stata finora graziata dagli squali della finanza  si illude di condurre i giochi e scampare all’ecatombe, imponendo sacrifici umani al Minotauro della finanza nel labirinto osceno dei “mercati”…

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RIGOR TEUTONICUS

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 18 Maggio 2012 by Sendivogius

Se l’Europa doveva immolarsi sull’altare dello strapotere germanico per la prosperità del Quarto Reich di Angelona Merkel, tanto valeva dargliela vinta a tavolino direttamente nel 1914 alla Germania… Almeno ci risparmiavamo due guerre mondiali!
Ah che cosa sarebbe l’Europa (unita?) senza il micidiale apporto del contributo tedesco….
La lungimirante politica di austerità per esportazione della Germania è riuscita a trasformare un piccolo problema di contabilità, circoscritto ad un piccolo paese economicamente insignificante e facilmente contenibile come la Grecia, in una voragine capace di inghiottire il resto dell’Unione. La draconiana cura da cavallo prescritta su ricetta della Bundesbank alla Grecia è riuscita a stroncare il malato, facendo collassare l’intero paese. Tra i brillanti effetti collaterali in assenza di risultati, la terapia teutonica è riuscita ad estendere il contagio a tutta l’area mediterranea, mentre il debito ellenico schizzava a 320 miliardi di euro di interessi da pagare alle banche, dopo aver prostrato l’intero sistema economico della piccola nazione balcanica.
Dati gli straordinari risultati, la formula magica è stata estesa all’intero continente coi mirabolanti effetti che tutti possiamo apprezzare. Tuttavia, provate voi ad imporre ai tedeschi 1/1000 della cura lacrime e sangue, prescritta dall’inflessibile cancelliera al resto dell’Europa, e vedrete se i crucchi non vi marciano con lo stahlhelm del nonno calcato sulla crapa bionda!
Del resto, l’azione politica della Germania nella (catastrofica) gestione della crisi economica rasenta la parafilia. E, nella sua intransigenza dogmatica, sembra improntata a “rieducare” piuttosto che “curare”, in virtù di una supposta superiorità etica (ed un tempo razziale), tramite una sorta di propedeutica della punizione a scopo rieducativo, volta a riaddrizzare castigando quelle che ai rigidi spiriti teutonici appaiono come le cicale del sud.
Del resto, il legame che unisce la Germania al resto dei paesi dell’Unione europea si può a tutti gli effetti configurare come un rapporto distorto di natura sado-masochista tra slaves e master. A quanto pare, questo è quanto di meglio il sentimentalismo a buon mercato (gefühlsduselei), che i tedeschi amano ostentare, riesce a produrre a livello di empatia transnazionale verso i nuovi untermenschen del terzo millennio.
 Per provocazione, ci si potrebbe chiedere se la Germania sia davvero un paese “europeista” e fino a che punto… Altrettanto provocatoriamente ci si potrebbe rispondere che l’europeismo dei tedeschi è valido fintanto che conviene ed è funzionale agli interessi della volkgemeinschaft nella sua esclusività prettamente tedesca. Storicamente, questa non sarebbe una novità: settant’anni fa sterminarono mezza dozzina di milioni di cittadini europei di religione ebraica e ne massacrarono qualche altro milione in giro per il continente, perché ciò era “necessario” al benessere ed alla salvezza del popolo tedesco. In fondo, se il paradosso vi sembra eccessivo, stiamo solo parlando dei papà e dei nonni nazisti degli attuali tecnocrati tedeschi, i quali attualmente dominano e determinano le decisioni della UE. E d’altra parte l’Europa unita ai tedeschi piace…
Piace loro fintanto che ne possono dettare l’agenda, imponendo le proprie prescrizioni al resto dei parteners europei tenuti in posizione subordinata.
Piace loro perché l’euro ed i relativi valori di cambio sono stati costruiti ad immagine e somiglianza del vecchio marco tedesco.
Piace loro perché la Banca Centrale Europea (BCE) ricalca perfettamente le linee e le architetture monestariste della Deutsche Bundesbank.
Piace loro perché l’adozione di una moneta unica, strutturata sulla falsariga del marco, con l’imposizione di un’unica politica monetaria, impedisce ai Paesi in difficoltà all’interno dell’Unione di modificare i tassi di interesse o di svalutare la moneta, incidendo sui tassi di inflazione in caso di congiuntura sfavorevole, per favorire le esportazioni o rilanciare le proprie economie durante i cicli recessivi.
L’Unione Europea piace ai tedeschi perché la bilancia dei pagamenti, insieme ai saldi commerciali, sono completamente sbilanciati a favore della Germania la cui economia può prosperare e le cui esportazioni possono crescere solo attraverso la contrazione recessiva dei suoi potenziali concorrenti. D’altra parte, gli altri paesi in difficoltà della zona euro non possono assolutamente gestire liberamente le proprie politiche macroeconomiche, proprio in virtù dei vincoli comunitari.
L’Unione piace ai tedeschi perché l’imposizione del famigerato fiscal compact rende impossibile il ricorso a politiche espansive per la crescita e per il rilancio economico, condannando gli altri paesi della UE ad una posizione subordinata agli interessi tedeschi.
In assenza di una politica redistributiva e di una riallocazione delle risorse verso le regioni più deboli dell’Unione, insieme alla mancanza di un bilancio federale e di una corretta redistribuzione fiscale con una maggior uniformità degli standard comunitari, i finanziamenti messi a disposizione dei tedeschi sono solamente briciole e le loro contumelie in proposito sono totalmente fuori luogo, dal momento che la Germania dalla UE percepisce il massimo dei vantaggi contribuendo in minima parte agli oneri che scarica sul resto dei partners europei.
Ci sarebbe da chiedere se il resto d’Europa avesse applicato lo stesso rigore fiscale ed intransigenza contabile ai tempi della riunificazione tedesca, dove sarebbe la Germania oggi. Ci sarebbe altresì da chiedere se, nel 1947, gli USA avessero serrato i cordoni della borsa, invece di investire miliardi di dollari nel Piano Marshall per la ricostruzione, in nome dell’austerità di bilancio, dove sarebbe l’Europa oggi. E con essa la Germania, che per i suoi ‘danni’ (crimini di guerra!) non ha mai pagato; troppo abituata (oggi come ieri) ad auto-assolversi in fretta dalle sue responsabilità. 

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PACCATA & FUGA

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 marzo 2012 by Sendivogius

A chi serve la ‘strutturale’ riforma del lavoro, targata Monti-Fornero?
Certamente non ai ‘giovani’, la categoria più citata ed abusata da una elite siderale di septuagenari nati già vecchi; iperborei ‘tecnici’ lontanissimi anni luce dai problemi e dalle aspettative delle nuove generazioni, praticamente estromesse da ogni prospettiva futura.
Meno che mai tale Riforma migliorerà le condizioni dei forzati a vita del lavoro precario. E di sicuro cambierà ben poco le magre sorti dei disoccupati di lungo corso, estromessi ai margini più infimi del mondo del sub-lavoro.
A parte la fondamentale estensione dei licenziamenti facili a tutte le tipologie da lavoro dipendente, semplificando oltre misura le norme che rendono assai conveniente ed immediati i licenziamenti individuali (una sicurezza in tempi di disoccupazione cronica), svincolando i datori da ogni responsabilità sociale ed i lavoratori da ogni forma di tutela residua, non si avvertono miglioramenti di rilievo. Ovviamente, rimane esclusa la possibilità di ricorso ai licenziamenti discriminatori.
Come in una notte oscura in cui tutte le vacche sono nere, è evidente che nessun padrone si rivolgerà mai alle sue maestranze dicendo: ti licenzio perché sei negro… perché odio i terroni… perché ti sei iscritto al sindacato… perché sei rimasta incinta… È chiaro che i motivi ufficiali del licenziamento saranno sempre di natura rigorosamente “economica”. Perché non tutti sono coglioni come chi firma e vota simili leggi.
Per contro, vengono estese le tutele “a tutti i lavoratori”… ad eccezione di coloro che non raggiungeranno il tetto delle 52 settimane lavorative, ovvero la fascia più debole ed esposta dell’universo ultra-flex (ma senza security) delle occupazioni para-subordinate.
L’importo dei nuovi sussidi sarà inferiore a quelli attuali, per una minor durata di tempo, e vincolato all’accettazione obbligatoria di qualsiasi tipologia occupazionale provvisoria, a prescindere dal precedente background professionale, sul modello americano.
In sintesi, se si esclude la cancellazione parziale dello scandaloso “contratto di associato in partecipazione”, terrore delle commesse, ed una ipotetica verifica sulle partite IVA individuali, rimane praticamente intonsa l’intera pletora di contratti atipici, con tutte le relative forme di sfruttamento legalizzato, che umiliano e schiacciano l’occupazione giovanile. In fondo si tratta soltanto di 45 diverse tipologie contrattuali, le quali rimarranno quasi totalmente escluse dall’estensione dei nuovi ‘ammortizzatori sociali’, ossia la paccata di miliardi tutta da trovare. Però vuoi mettere la noia di un “posto fisso”, con l’ebbrezza di quasi 50 posizioni diverse, altamente flessibili… e senza protezioni!
In compenso ai famosi gggiovani laureati in cerca di impiego, dovrebbe essere garantita una retribuzione minima per gli stage. Il meglio che si può concedere ai famosi ‘cervelli in fuga’… Il condizionale tuttavia è d’obbligo. Infatti, tra le varie iniziative dei professoroni, si prevedeva anche un rimborso per i praticanti negli studi legali, costretti a lavorare schiavizzati a gratis per i milionari Principi del Foro… Naturalmente, al di là delle buone intenzioni, non se ne è fatto poi nulla.
Soprattutto ci sono i nuovi “contratti di apprendistato”, ulteriormente estesi negli anni. E l’inflessibile ministra Fornero si guarda bene dal rivelare che i sedicenti “apprendisti”, a parità di ore lavorate e di mansioni, percepiscono uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi stabilizzati.
Non per niente, ci troviamo dinanzi al genio incompreso di menti superiori…

  Intelligenza Artificiale Governativa
  di Piergiorgio Odifreddi
  (19/03/2012)

«Maurizio Crozza ha fin da subito individuato, nelle sue imitazioni, la caratteristica principale del presidente del Consiglio: di essere un automa, in grado di simulare alcuni aspetti meccanici del pensiero, ma non i sentimenti di empatia e simpatia tipici degli umani: meno che mai, ovviamente, di provarli.
La sua ministra del Lavoro e delle Politiche Antisociali non è da meno, anche se la sua release al femminile conteneva agli inizi un bug, subito corretto, che le ha causato, alla sua prima simulazione pubblica, la perdita di liquido oculare (per rimanere all’imitazione di Crozza).
Entrambi i due automi governativi hanno in questi giorni confermato la loro natura meccanica, emettendo a Torino affermazioni sul mercato del lavoro che, se fossero uscite dalla bocca di qualche umano, sarebbero risultate agghiaccianti.
Monti ha spiegato, tanto suadentemente quanto può un robot, che la Fiat è sì “sempre stata governativa”, come diceva Gianni Agnelli. E dunque ha sì sempre ricevuto ingenti sovvenzionamenti statali, all’insegna del motto “i nostri guadagni sono privati, i nostri debiti pubblici”. Ma, ciò nonostante, non ha alcun obbligo di sentirsi in debito con la nazione. Anzi, ha non solo il diritto, ma addirittura il dovere, di andare a cercarsi altrove nuovi polli da spennare, visto che ormai noi di piume non ne abbiamo più.
Quanto alla Fornero, ha pure lei confermato che “a Fiat non può fare ciò vuole”: da intendere, ovviamente, nel senso che il mercato non è affatto “libero”, come i liberisti avevano proclamato fino a ieri, ma costringe i rapaci a comportamenti coatti. Quanto alla riforma del lavoro che sta preparando, la ministra ha concesso che l’accettazione del piano da parte delle parti sociali sarebbe ”un valore aggiunto”, ma non è comunque una necessità.
Persino il presidente della Repubblica, che pure è il primo responsabile della transizione da un governo di subumani a un governo di non-umani, ha dovuto ammettere che “sarebbe grave” se si facesse un accordo contro i lavoratori e i loro rappresentanti. Ma anche lui ha inteso le sue apparentemente ovvie parole non nel senso che il governo dovrebbe presentare un piano accettabile, bensì che i sindacati dovrebbero “far prevalere l’interesse generale su qualunque calcolo particolare”.
Che sia un ex-comunista a considerare “calcolo particolare” le lotte sindacali, e “interesse generale” quello dei mercati, è un segno dell’abisso nel quale siamo caduti, con la scusa della crisi economica. Da Rifondazione Comunista siamo passati alla Fondazione di Asimov, ma è ai romanzi di Philip Dick che dovremo ormai rivolgerci, per trovare descrizioni adeguate di un mondo che noi umani non potevamo immaginare, e meno che mai prevedere.»

A tal proposito, è interessante constatare l’iper-attivismo ritrovato di un Presidente della Repubblica, finalmente destatosi da un lungo sonno; specialmente se paragonato al torpore catatonico del suo imbalsamato predecessore: il silente e men che mai presente Carlo Azeglio Ciampi.

In seguito all’apparente dipartita di B., il presidente Napolitano, dopo anni di assoluto mutismo, sembra finalmente aver ritrovato la favella (e il coraggio), troppo a lungo smarrita durante la stagione felice della finanza creativa, all’ombra del bunga-bunga tra le mutandine delle nipoti di Mubarak. Prima evidentemente non aveva nulla da eccepire.
Seppellito prematuramente l’imbarazzante Pornonano, tutto ciò che ai tempi del berlusconismo dominante sembrava ai limiti dell’abuso di potere  oggi è diventato la norma, quasi che la sostanza prescinda dalla persona: esautorazione delle prerogative parlamentari; abuso della decretazione d’urgenza; cancellazione della famigerata “concertazione” (fintanto che ha fatto comodo a Fiat e confindustriali però andava bene); sostanziale approvazione di tutti i provvedimenti speciali in materia di lavoro, giustizia, libertà di stampa, del precedente governo… Il tutto reso possibile grazie alla straordinaria partecipazione dell’ormai irrecuperabile Partito Democratico, che ora garantisce il suo appoggio incondizionato a proposte di legge fino a pochi mesi fa considerate inammissibili. Infatti, senza alcun imbarazzo, il PD siede nella stessa maggioranza governativa insieme a Cicchitto e Gasparri, Verdini e Dell’Utri… ma il campionario è ben fornito. ‘Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei’. 
E comunque questa riforma del lavoro è indispensabile. Non parliamo poi del resto del companatico…
Ce lo chiede l’Europa, ovvero Angela Merkel che si guarda bene dall’imporre le stesse misure draconiane ai tedeschi.
Ce lo chiedono i mercati (finanziari) e certo mica puoi permetterti di scontentare le loro pretese. I “Mercati”… ovvero le banche d’affari in overdose da derivati… ovvero Goldman Sachs ed i vari emuli di Morgan il pirata… ovvero gli speculatori dei grandi fondi di investimento (hedge funds)… tutti insieme appassionatamente sotto l’ombrello munifico della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, e della Banca Centrale Europea (la troika). Tutte così arcigne nei confronti del “debito sovrano”, inflessibili nei confronti degli anelli deboli dell’UE (si tratta di popoli da castigare in funzione rieducativa), ma così incredibilmente generose nell’erogare miliardi di euro con interessi irrisori a tutto vantaggio degli istituti del credito privato, all’origine della più devastante crisi economica degli ultimi 80 anni. Perché c’è debito e debito…
In pratica è come se, dopo essersi affidati incautamente ad una banda di strozzini per risolvere i propri problemi economici, magistratura e polizia imponessero al taglieggiato di ripagare con tanto di interessi centuplicati i proprie estorsori, con un’ulteriore aggravante: gli strozzini non si accontentano di ricevere indietro la somma maggiorata, ma pretendono di imporre anche COME procurarsela.
E si spaccia per “tecnica” una ricetta che in realtà è tutta politica, nella sua pretesa di validità universale, e che così straordinari risultati sta comportando in Grecia, ma anche al Portogallo: l’alunno modello della troika condotto per mano al collasso sociale….

  L’OBIETTIVO INDICIBILE
  di Carlo Clericetti
  (20 marzo 2012)

«Tra le misure imposte alla Grecia c’è stata anche la riduzione del 30% del salari minimi, oltre ai vari tagli a indennità e mensilità aggiuntive dei dipendenti pubblici. Per la Spagna non c’è stato bisogno di imposizioni così plateali: la riforma del lavoro approvata dal nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy (tanto lodata dal nostro presidente del Consiglio) prevede tra l’altro che, dopo due trimestri di riduzione dei ricavi, le aziende possano decidere unilateralmente di ridurre le retribuzioni. Per i dipendenti c’è una finta scelta: o accettano, o se ne vanno ottenendo un modesto indennizzo monetario.
Vogliamo fare qualche ipotesi su come si comporteranno, in un paese dove la disoccupazione supera il 20%?
Se in Italia fosse rimasto Berlusconi, la cui credibilità era sottozero, anche a noi sarebbe stato imposto un diktat in proposito. Ora che c’è Monti, di cui la signora Merkel si fida, si può lasciare a lui il compito – che però resta lo stesso – in modo da salvaguardare almeno l’apparenza del mantenimento di una sovranità ormai di fatto evaporata.
[…] Quando un paese perde competitività (ed è il caso dell’Italia e di tutti gli altri paesi colpiti dalla “cura”), se non può svalutare la moneta – e nessuno dei paesi euro può prendere questa decisione – deve procedere a una “svalutazione interna”, cioè deve fare in modo che prezzi e salari si riducano fino a quando la sua economia non torna competitiva. A quel punto, sostiene questa teoria, il paese aumenta le esportazioni, la bilancia commerciale ritorna in equilibrio, l’economia riparte e tutti tornano felici.
Ma, appunto, di una teoria si tratta, e molti economisti di primo piano sostengono che è completamente sbagliata. Perché nel frattempo il paese in questione entra in recessione, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta, cadono i redditi e il Pil, i conti pubblici peggiorano nonostante i tagli: si alimenta, cioè, una spirale perversa. Lo abbiamo visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Portogallo, in Spagna, in Italia. Molto probabilmente tra poco la Francia si unirà al gruppo. Ma finché non se ne convincono i tedeschi, che in questa fase di fatto comandano in Europa, la linea non cambierà.
E veniamo alla nostra “riforma”. Al di là degli escamotage che saranno inventati dai sindacati per salvare la faccia, l’articolo 18 sarà reso completamente inefficace. Dal momento che è ormai scontato che il licenziamento potrà essere motivato da ragioni “economiche o organizzative”, nessun imprenditore sarà così sprovveduto da attuare licenziamenti discriminatori o persino disciplinari: un problema organizzativo – con la necessità di ristrutturazione che hanno tutte le aziende in questa fase – si trova molto facilmente. E allora, con i licenziamenti praticamente liberi, succederà una di queste due cose, o meglio tutt’e due. In parte verrà posta la scelta tra riduzioni di salario o un certo numero di licenziamenti; in parte ci si libererà di una parte di lavoratori più anziani per sostituirli, a minor costo, con giovani che nel migliore dei casi entreranno con il contratto di apprendistato, tre anni – estendibili a cinque – a salario ridotto e con la possibilità di esser mandati via. Ci saranno un po’ di ammortizzatori sociali, ma con una durata inferiore agli attuali e con meno gente che avrà la possibilità di passare – alla loro scadenza – alla pensione, visto che l’età è stata aumentata. Un meccanismo poco appropriato, ma che finora aveva sostituito, anche se non per tutti i lavoratori, le carenze delle protezioni dalla disoccupazione.»

Naturalmente, secondo la vulgata ufficiale, tutte le preoccupazioni sono per i “giovani” che i vari ministri del Governo Monti, tanto per non smentirsi, prendono per il culo un giorno sì e l’altro pure.
Bisogna dire che una parte consistente della categoria anagrafica in questione sembra però gradire il particolare ‘servizio’…

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Finanza Creativa (III)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 febbraio 2012 by Sendivogius

LA RICETTA PERFETTA

Prendete l’8^ potenza economica globale, ma con la più indecente classe ‘dirigente’ del mondo occidentale; un elevato (ma non enorme) debito pubblico, speculare ad un altissimo livello di evasione fiscale, insieme ad una corruzione pressoché strutturale. Considerate uno dei Paesi più prosperi del pianeta, ma con un’estesa sperequazione nella distribuzione della ricchezza, un fortissimo immobilismo sociale, all’ombra di un insanabile familismo amorale, e radicate sacche di neo-corporativismo.
Lasciate frollare il tutto per almeno una ventina d’anni, spargendo un po’ di aromi profumati là dove più forte si avverte l’odore della putrefazione. Speziate il resto con ingredienti coloriti, meglio se presi dal folklore locale.
Poi, aggiungete un pugno di economisti cresciuto alla scuola dei supply-siders e convertito alle formule politiche del “riformismo” consociativo. Appesantite il tutto con un indebitamento esponenziale verso le principali banche d’affari, senza tralasciare una crisi recessiva lasciata montare come una maionese impazzita. A questo punto, spruzzate ampie manciate di professori d’economia ed “esperti” (meglio se laureati alla Bocconi), che di quelle banche hanno fatto parte a vario titolo, certificandone strategie speculative ed investimenti finanziari.
Aggiungete ancora una troi(k)a di inflessibili creditori franco-tedeschi, pronti però a sottoscrivere nuove cambiali in cambio dell’acquisto di armamenti. Aggiungete infine gli immancabili sciacalli del Fondo Monetario Internazionale per il prestito a strozzo di ultima istanza: privatizzazioni selvagge, smantellamento delle politiche sociali, contrazione salariale e cancellazione delle tutele sul lavoro, alti tassi di interesse sul credito erogato. Naturalmente, non dimenticate i condimenti classici del liberismo neo-monetarista, all’origine della grande recessione.
Avvolgete il tutto con la rassicurante sfoglia di un “governo tecnico”. Quindi immergete il preparato in una abbondante salsa greca e agitate per bene prima dei tagli.
Avrete lo sformato Grecia applicato all’Italia; ovvero: come parlare ad Atene perché Roma intenda.
Ciò che non funziona in periodi normali, può risultare efficace in frangenti straordinari…
Terrorizzate un intero Paese, sventolategli sotto il naso l’incubo del default, paragonandolo ad una piccola nazione alle propaggini meridionali della penisola balcanica. Prendete un commissario europeo e un nugolo di banchieri interessati al recupero crediti; fate loro scrivere una letterina minatoria all’abominevole governo in carica, con una serie di condizioni non negoziabili, in nome di interessi privati travestiti da “richieste europee”. Scatenate con opportune imbeccate gli speculari finanziari, che di quegli istituti di credito detengono titoli e consultano i ratings di agenzie ad essi collegate. Costringete il suddetto governo alle dimissioni e insediate un nuovo esecutivo “tecnico” con gli stessi autori dell’ultimatum elevato a programma. Avrete il governo del prof. Mario Monti.
Perché poi il famigerato spread (divenuto ormai il termometro dei governi), ovvero il differenziale dei titoli di Stato con i buoni del tesoro tedesco, continui a viaggiare sostenuto, dopo le spaventose impennate dell’ultimo trimestre 2011, e nonostante una raffica di manovre correttive, è un piccolo ‘mistero’ che richiede comode bugie…
In tempo di crisi, quando dinanzi ad un paziente pieno di metastasi il chirurgo non sa bene dove incidere, la soluzione può risiedere nella creazione di diversivi verso i quali stornare l’attenzione.
In Italia, la principale questione che affligge il Governo Monti sembra essere l’estensione della libertà di licenziamento, a totale discrezione dei padroni assistiti delle nuove ferriere.
Si comprende bene che il problema non è la recessione economica.. non il ritorno dell’inflazione.. non l’esplosione del prezzo dei carburanti (e dei beni al consumo), grazie all’aumento delle accise voluto dai professoroni.. non una disoccupazione record.. non l’impressionante impoverimento dei lavoratori dipendenti (che pagano le tasse)… non la scandalosa persistenza di cartelli assicurativi e bancari… non l’intollerabile stretta creditizia ai danni del tessuto produttivo… non gli sprechi insopportabili di una Pubblica Amministrazione sempre più inefficiente…
Infatti, i diritti di chi lavora pare siano diventati la fucina estrema da cui scaturisce ogni male.
Annichilita l’opposizione e tutto il resto del Parlamento, raggrumato nella nuova adunanza dell’ABC (Alfano-Bersani-Casini), allineati i media dell’editoria assistita in unico peana prezzolato, per paradosso, sembra quasi di assistere ad una nuova “lotta di classe”, stavolta attraverso la dichiarazione di guerra unilaterale dei ricchi e potenti, contro la parte più debole e maggioritaria della nazione.
Eppure, a preoccupare quelli che qualcuno ha chiamato “speculatori senza volto” (in realtà notissimi: QUI nella seconda parte del commento), suscitando in particolar modo le ansie della finanza anglosassone, non è tanto il bistrattato Art.18, ma la sovraesposizione creditizia di alcune importanti banche d’affari statunitensi nei confronti di Stati a rischio solvibilità.
Gli istituti di credito in questione sono l’immancabile Goldman Sachs insieme alla JPMorgan Chase. Le due investment bank sono infatti al centro di accorate disamine da parte della stampa statunitense che, al contrario del rivoltante “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch, hanno ben chiaro dove risiede il fulcro del problema.
Utilizzando in sostanza lo stesso modello dei mutui subprime che ha portato all’esplosione della bolla speculativa, Goldman e JPMorgan hanno esteso il sistema al debito sovrano degli Stati, erogando crediti per svariati miliardi di dollari a Paesi con un altissimo deficit pubblico e scarsa solvibilità, tramite il massiccio acquisto di prodotti strutturati della finanza derivata.
In pratica, le due banche hanno erogato cospicui crediti, in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, e Italia, appioppando loro una massa di obbligazioni a garanzia dei debiti collaterali (CDO). Si tratta di uno strumento finanziario che solitamente racchiude in un unico pacchetto i crediti inesigibili, a carico di debitori individuali considerati insolventi o ad altissimo rischio di mancato pagamento. Sostanzialmente, sono compresi nel gruppo i titoli tossici rimasti nella pancia delle banche dopo la crisi dei sub-prime.
L’apertura di queste speciali linee di credito bancario veniva sottoscritto tramite la stipulazione di swap; nella fattispecie, si tratta di interest-rate-swap e currency-swap: scambio di flussi di cassa e di obbligazioni creditorie, con riporto valutario in euro-dollaro, a garanzia degli interessi sul capitale in prestito.
Il problema insito nel rilascio di questo tipo di crediti è che costituiscono un indebitamento costante per gli Stati, esponenziale nel tempo, che non viene però messo a registro nei bilanci. In pratica, non risultando registrati come nuovi debiti, è impossibile avere una panoramica certa dell’ammontare dell’asse debitorio (e degli interessi da pagare sul nuovo debito contratto), generando incertezza ed apprensione tra gli investitori che, nel dubbio, evitano di sottoscrivere i titoli degli Stati coinvolti nella transazione.
La questione è stata sollevata in tempi recenti da broker trading come “Bloomberg”, con informative dal titolo assai evocativo:

JPMorgan si unisce alla Goldman Sachs per tenere all’oscuro gli investitori sui rischi dei derivati italiani.

  di Christine Harper & Michael J. Moore
  (16/11/2011)

JPMorgan Chase & Co. e Goldman Sachs Group Inc, tra i principali operatori al mondo di prodotti derivati al credito, hanno comunicato agli azionisti di aver venduto garanzie su più di 5 miliardi di dollari a copertura del debito su scala globale.
Ma non chiedete loro come gran parte di queste siano state emesse a copertura dei debiti di Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, e Spagna, conosciuti come PIIGS.
Riguardo alla possibilità che questi Paesi potrebbero non essere in grado di onorare i crediti erogati, gli investitori sono stati tenuti all’oscuro in merito al rischio che le banche statunitensi siano esposte ad un possibile default. Gli istituti come la Goldman Sachs e la JPMorgan non forniscono un quadro completo sulle perdite potenziali ed i profitti di un simile scenario, dando solo cifre nette o escludendo del tutto alcuni derivati.

L’articolo integrale, ed in lingua inglese, lo trovate QUI.

Per tutelarsi dall’eventuale mancato pagamento dei debiti, a loro volta gli istituti coinvolti emettono a garanzia dei loro crediti inevasi i famigerati CDS (credit default swap); in pratica, si vendono ai potenziali investitori dei contratti di assicurazione sull’eventuale fallimento dei debitori (in questo caso gli Stati), ad altissimo rendimento, incrementando di fatto la speculazione sui debiti sovrani e sulle possibilità di bancarotta di un intero paese.
Sul ruolo della Goldman Sachs nella crisi europea e nell’esplosione del caso Grecia, è opportuno riscoprire un lungo reportage, pubblicato sul New York Times il 13/02/2010 [QUI], dove si solleva il sospetto (neppure troppo velato) che l’Italia, come la Grecia, possa aver truccato lo stato delle proprie finanze…
Se vi fidate della traduzione:

WALL STREET AIUTÒ A MASCHERARE IL DEBITO, ALIMENTANDO LA CRISI EUROPEA

  di LOUISE STORY, LANDON THOMAS Jr. & NELSON D. SCHWARTZ

«I guai della Grecia scuotono i mercati mondiali, documenti ed interviste dimostrano che con l’aiuto di Wall Street, il paese ellenico intraprese uno sforzo decennale per aggirare le disposizioni europee sul controllo del debito. Si tratta di un’operazione messa in atto dalla Goldman Sachs, che ha aiutato ad occultare miliardi di debito dal controllo degli ispettori di bilancio di Bruxelles.
Nel momento in cui la crisi si stava avvicinando al suo punto critico, le banche si misero a cercare il modo per aiutare la Grecia ad evitare la resa dei conti. Ai primi di Novembre (tre mesi prima che Atene diventasse l’epicentro delle ansie della finanza globale), in base a quanto riferito da due persone che furono presenti alla riunione, una squadra della Goldman Sachs giunse nell’antica città con una proposta molto moderna per un governo che fatica a far quadrare i bilanci.
I banchieri, guidati dal presidente della Goldman, Gary D. Cohn, tirarono fuori uno strumento di finanziamento che avrebbe spinto lontano nel futuro il ripianamento del debito greco, allo stesso mondo con cui i proprietari insolventi di un’abitazione accendono una seconda ipoteca, pensando di poterla estinguere con le loro carte di credito.
L’opera era già cominciata in precedenza. Nel 2001, subito dopo l’ammissione della Grecia nell’unione monetaria europea, come ci è stato riferito da persone informate sulla transazione, la Goldman aiutò segretamente il governo greco a prendere in prestito svariati miliardi.
L’operazione finanziaria, nascosta all’attenzione pubblica perché gestita come un commercio di valuta piuttosto che come un prestito, aiutò Atene a venire incontro alle regole sul deficit imposte dall’Europa, mentre continuava a spendere oltre le proprie possibilità.
Atene non seguì fino in fondo il piano di rientro della Goldman, ma in seguito allo scricchiolamento della Grecia sotto il peso dei suoi debiti e con i suoi ricchi vicini impegnati a correre in suo aiuto, le operazioni intercorse negli ultimi dieci anni hanno sollevato domande sul ruolo di Wall Street nell’ultimo dramma della finanza mondiale.
Così come è avvenuto per la crisi americana dei subprime e per l’implosione dell’American Internationl Group, i prodotti della finanza derivata hanno giocato un ruolo nell’incremento del debito greco. Gli strumenti finanziari sviluppati dalla Goldman Sachs, JPMorgan Chase e da un nutrito gruppo di altre banche hanno aiutato i politici a mascherare l’ulteriore indebitamento di Grecia, Italia, e probabilmente di qualche altro Paese.
In dozzine di accordi stipulati per tutto il continente, le banche hanno provveduto a fornire finanziamenti anticipati in cambio di pagamenti pubblici per il futuro, senza che le passività venissero messe a registro.
La Grecia, per esempio, ha ceduto i diritti di riscossione delle tasse aeroportuali e gli introiti delle lotterie per gli anni a venire.
I critici sostengono che simili accordi, proprio perché non sono registrati come prestiti, traggono in inganno gli investitori e le autorità di controllo in merito all’entità dei passivi di bilancio degli Stati.
Ad alcuni dei prodotti finanziari ellenici è stato dato il nome dei personaggi della mitologia. Uno di questi, per esempio, è stato chiamato Eolo, il dio dei venti.
La crisi greca costituisce la sfida più significativa alla moneta unica europea, l’euro, e all’obiettivo di una unità economica del continente. Il paese è, nel gergo bancario, troppo grande per fallire. La Grecia deve al mondo 300 miliardi di dollari e molti dei più importanti istituti di credito si trovano sulle spine per quel debito. Un eventuale default avrebbe ripercussioni in tutto il mondo.
Una portavoce del Ministero delle Finanze ellenico ha detto che il governo si è incontrato con diverse banche negli ultimi mesi e non ha sottoscritto alcuna delle loro offerte. L’intero debito finanziario “è stato gestito nella massima trasparenza”, ha riferito. Goldman e JPMorgan hanno evitato di commentare.
Mentre l’opera svolta da Wall Street in Europa ha ricevuto poche attenzioni su questa sponda dell’Atlantico, tale operato è stato criticato aspramente in Grecia e da riviste come Der Spiegel in Germania.
“I politici vogliono calciare la palla in avanti, e se un banchiere può mostrare loro il modo con cui rimandare il problema in futuro, essi ci cadranno”. Così dice Gikas A. Hardouvelis un economista ed ex funzionario governativo che ha aiutato a scrivere il recente rapporto sullo stato delle politiche finanziarie delle Grecia.
Wall Street non ha creato il problema del debito europeo. Ma i banchieri hanno fatto in modo che la Grecia, insieme ad altri paesi, si indebitasse stipulando prestiti oltre la propria portata, tramite una serie di operazioni perfettamente legali. Poche regole stabiliscono come le nazioni possano chiedere soldi in prestito per finanziare le spese militari ed il sistema sanitario. Il mercato dei debiti sovrani (il termine con cui la Borsa definisce i prestiti ai governi) è tanto vasto quanto libero da vincoli.
“Se un governo vuole truccare i conti, può farlo”, dice Gerry Schinasi, un veterano dell’unità di controllo dei mercati finanziari del Fondo Monetario Internazionale.
Le banche hanno sfruttato avidamente quella che per loro era una simbiosi ad altissimo profitto con la libertà di spesa dei governi. Mentre la Grecia non riceveva alcun vantaggio dall’offerta della Goldman Sachs nel Novembre 2009, versava in ogni caso alla banca una parcella di circa 300 milioni di dollari per mettere in ordine i propri saldi contabili del 2001, secondo quanto riferito da alcuni banchieri che hanno avuto a che fare con l’operazione.
Tali derivati, che non vengono apertamente documentati o resi pubblici, aggiungono ulteriore incertezza su quanto siano profondi i guai della Grecia e su quali altri governi possano aver utilizzato simili artifici contabili fuori bilancio.
L’ondata di panico adesso sta travolgendo anche altri paesi in difficoltà economica alla periferia dell’Europa, rendendo molto costoso per Italia, Spagna e Portogallo, contrarre nuovi prestiti.
Nonostante tutti i vantaggi di unire l’Europa con un’unica moneta, la nascita dell’euro sconta un peccato originale: paesi come l’Italia e la Grecia sono entrati nell’unione monetaria con un debito molto più grande di quanto fosse loro consentito dal trattato di adesione alla moneta unica. Tuttavia, piuttosto che aumentare le tasse o ridurre la spesa, questi governi hanno ridotto artificialmente i loro debiti ricorrendo alla finanza derivata.
I prodotti derivati non sono necessariamente negativi. Le transazioni del 2001 hanno visto l’utilizzo di un derivato conosciuto come swap. Uno di questi strumenti, conosciuto come interest-rate swap (scambio del tasso d’interesse), può aiutare imprese e stati a fronteggiare le variazioni del costo del debito, tramite lo scambio di pagamenti a tasso fisso con pagamenti a tasso variabile, o viceversa. Un altro tipo, il currency swap (scambio di titoli in valute differenti), può minimizzare l’impatto dei tassi di cambio per valute estere particolarmente volatili.
Ma con l’aiuto della JPMorgan, l’Italia è stata capace di fare molto di più. Malgrado la persistenza di un alto debito pubblico, nel 1996 i prodotti della finanza derivata hanno aiutato l’Italia a portare il bilancio in linea, tramite uno scambio di valuta con la JPMorgan ad un tasso di cambio favorevole che in effetti ha messo nelle mani del governo un bel po’ di denaro.
In cambio, l’Italia si è impegnata per futuri pagamenti che non sono stati contabilizzati come passività.
“I derivati sono strumenti molto utili”, ha detto Gustavo Piga, un professore di economia che ha stilato un rapporto per il Council on Foreign Relations sullo stato dei conti pubblici italiani. “I derivati diventano un male se usati come una vetrina per far apparire i conti migliori di quanto non siano”.
In Grecia, le magie finanziarie sono andate anche oltre. In quella che ormai assomiglia ad una svendita di oggetti usati su scala nazionale, i funzionari greci hanno in sostanza ipotecato gli aeroporti nazionale e le autostrade nel disperato tentativo di racimolare soldi.
Eolo, un titolo legale creato nel 2001, ha aiutato i greci a ridurre il debito di bilancio sui saldi dell’anno corrente
Come parte dell’operazione finanziaria, i greci hanno ottenuto contanti, impegnando come garanzia gli introiti futuri delle tasse aeroportuali.
Nel 2000, un’operazione simile chiamata Arianna, ha divorato le entrate che il governo ellenico aveva raccolto attraverso la lotteria nazionale. Tuttavia, i greci classificano queste transazioni come vendite e non come prestiti [con relativi interessi da pagare in futuro, N.d.T.], nonostante i dubbi di molti critici. Questo genere di operazioni commerciali hanno suscitato parecchie controversie all’interno dello stesso governo per anni. Già nel 2000, i ministri delle finanze di vari paesi europei hanno dibattuto ferocemente se gli strumenti derivati, utilizzati nella finanza creativa, debbano essere registrati in bilancio oppure no.
La risposta è stata NO. Ma nel 2002 è stata richiesta una verifica contabile su molti prodotti come Eolo e Arianna, che non appaiano nei bilanci nazionali, costringendo i governi a registrare tali operazioni come prestiti piuttosto che come vendite.
In tempi più recente, nel 2008, l’Eurostat, l’agenzia statistica europea, ha riportato che “in diversi casi, le operazioni di cartolarizzazione prese in esame sembrano essere state gestite in modo tale da garantire un gettito immediato, senza tenere conto del valore economico dell’operazione”.
Simili artifici contabili possono portare benefici nel breve periodo, ma sul lungo periodo possono comportare effetti disastrosi.
George Alogoskoufis, che è diventato ministro delle finanze dopo il patto con la Goldman, ha criticato l’accordo in Parlamento nel 2005. L’operazione, ha argomentato Alogoskoufis, avrebbe gravato il governo greco con pesanti pagamenti da versare alla Goldman fino al 2019…»

È interessante notare che, nel periodo interessato, a gestire la divisione europea per la Goldman Sachs era l’allora vicepresidente Mario Draghi e attuale governatore della BCE. È un’altro di quei salvator patriae giunti a portarci fuori dal guado di una crisi da loro stessi innescata!

Sull’argomento potere anche leggere:

Finanza Creativa (I) – Canis edit canem
Finanza Creativa (II) – Lo schema di Ponzi

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