Archivio per Argentina

PATER PATRIAE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 dicembre 2015 by Sendivogius

master of puppets coloured by Zalines

Con la morte di Licio Gelli alla veneranda età di 96 anni, scompare l’ultimo (e più vero) padre costituente di questa protuberanza fascio-clerico-massonica, penzolante impotente alle propaggini inferiori dell’Europa, e meglio conosciuta come “Repubblica Italiana”.
Kiss the LicioElevato in forme mitologiche ad entità immanente, il Gran Maestro Venerabile (così si faceva chiamare) ha rappresentato per lunghissimo tempo l’incarnazione del “lato oscuro della forza” al servizio di uno Stato parallelo, in grado di incistarsi (peraltro con estrema facilità) nei gangli nevralgici dell’amministrazione pubblica dell’Italia ‘democratica’, determinandone spesso il corso e plasmandone l’identità in una sorta di doppia fedeltà istituzionale, col perseguimento dei più inconfessabili interessi. O almeno ciò è quanto avveniva prima di finire confinato nel buen retiro dorato di Villa Wanda, in quella sonnacchiosa provincia aretina improvvisamente sconquassata dall’ultimo scandalo della Banca Etruria: la stessa dove il Venerabile teneva i suoi conti fiduciari, potendo contare su una disponibilità di denaro in apparenza illimitata.
puparoConsiderato praticamente il “regista occulto” di tutte (o quasi) le trame eversive, che hanno sconvolto e condizionato il sottobosco della politica italiana per oltre mezzo secolo, non vi è stata inchiesta né scandalo in cui non sia comparso il nome del “grande burattinaio”, sempre defilato ma onnipresente, nella sostanziale ambiguità che ha contraddistinto la sua azione a tutti i livelli possibili di un contropotere nascosto, eppure palpabilissimo nella sua influenza costante, facendo della cospirazione ben più che un’arte di successo.
Istruzione elementare ed ambizioni smisurate, nel corso della sua lunghissima esistenza, Licio Gelli ha vissuto molte vite, rimanendo però coerente a quella che in fondo è sempre stata la sua estrazione ideologica di riferimento…
Licio Gelli - Tessera PNFFascista verace della prima ora, è attivissimo nelle repressione del dissenso. Con un ruolo mai chiarito (ci mancherebbe!) nei servizi segreti del duce, si dedica alle schedature di massa che redige con precisione maniacale. Nel 1943 aderisce convintamente ai “fasci repubblicani” della RSI di Salò; spione al soldo dei nazisti, fa il doppiogioco ed alla fine della seconda guerra mondiale solo per un soffio sfugge alla fucilazione per collaborazionismo, facendosi pure passare per partigiano (!). Ricostruita una verginità democratica, si ricicla senza problemi nella nuova Italietta democristiana (che gli garantirà protezioni e immunità), non venendo mai meno alla sua passione inveterata per l’intrigo e facendo più che tesoro delle sue esperienze pregresse. Gelli è in fin dei conti un uomo che si mette a disposizione, in un intreccio perverso di affarismo, complotti e politica, perseguendo un personalissimo disegno di potere…
LoggeLe sue ‘consulenze’ offrono la sponda alle pesantissime ingerenze della CIA di Allen Dulles e James Jesus Angleton nel dopoguerra. E non disdegnano i tentativi di colpo di stato (dal “Golpe Borghese” alla Rosa dei venti”) per l’instaurazione di un regime autoritario e parafascista, sulla falsariga della “Dittatura dei Colonnelli” in Grecia. Nell’intreccio di inchieste che lo Gladiolambiscono appena, durante la sua lunga epopea, il nostro piccolo eroe borghese compare nei misteri di “Gladio”. Bazzica l’eversione nera, insieme all’apertura di quella lunga stagione stragista che va sotto il nome di strategia della tensione (coi relativi depistaggi in istituzionale sede). Ma il personaggio fa capolino anche nei segreti del Caso Moro; rispunta nell’omicidio di Mino Pecorelli e nel crack del Banco Ambrosiano di Calvi e Sindona (entrambi suicidati), passando per la banca del OP- La Gran Loggia VaticanaVaticano (lo IOR). Il suo brand di riconoscimento più famoso resterà sempre la loggia massonica ‘coperta’ Propaganda 2, con ramificazioni in ogni articolazione possibile dell’apparato economico (dall’industria alla finanza) e militare. Praticamente controlla l’intero controspionaggio italiano, che una certa vulgata assolutoria definisce “deviato” quando l’infiltrazione era invece totale o quasi. E non disdegna incursioni nel mondo politico (inserendosi nella lotta tra correnti democristiane) e nell’editoria (dal Corriere della Sera, al controllo della Rizzoli, fino alla nascita delle tv commerciali di Silvio Berlusconi..). Perché Licio Gelli è forse uno dei primi in Italia a capire, meglio e più degli altri, l’importanza del ruolo dei mass-media nella manipolazione dell’opinione pubblica e conseguentemente del suo controllo. D’altronde e nonostante qualche fastidio, la P2 si rivela un’esperienza fortunata, destinata a rinnovarsi nel tempo…
loggia-P2-3-4-PnDemiurgo e ispiratore di un nuovo ordine, il Venerabile stilerà un vero e proprio manuale politico, con un cospicuo pacchetto di ‘riforme’, che chiamarà pomposamente “Piano di Rinascita democratica”. Va da sé che la parola “democratico” è presente solo nel nome del progetto e costituisce un ossimoro. A lungo osteggiato in Italia, il “Piano” troverà piena applicazione nei regimi dittatoriali dell’America Latina, dove peraltro Licio Gelli conduce un proficuo giro d’affari. Si scommette molto sull’Uruguay di Alberto Demicheli, ma è l’Argentina peronista il laboratorio più promettente… Il miglior interprete del piano di riforma sarà però la feroce giunta militare instaurata Jorge Videlanel 1976 dal generale Jorge Rafael Videla, e proseguita poi (fino al 1983) dai suoi subordinati con le stellette: Roberto Viola, Emilio Massera, Leopoldo Galtieri, Benito Brignone. È curioso notare come in pratica siano tutti o quasi oriundi italiani! La dittatura argentina rielabora quindi il “piano di rinascita“, che per la bisogna diventa “Processo di riorganizzazione nazionale” e che almeno non si ha l’ indecenza di chiamarlo “democratico”.
Giuramento della Giunta militare di MASSERA-VIDELA-AGOSTIBollato all’epoca senza indugio come progetto eversivo, il “Piano di Rinascita” elaborato da Gelli resterà a lungo relegato ai margini della vita politica italiana, come fantasia cospirativa per nostalgici mussoliniani. Bisognerà Ricevuta di pagamento per iscrizione alla P2aspettare il XXI secolo e l’avvento dell’ex confratello piduista Silvio Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, per veder tornare in auge l’antico prospetto restituito a nuova dignità ed inaspettata validità. Tuttavia, contro ogni previsione, è con l’instaurazione dell’ultimo governo abusivo di Laide Intese, ovviamente a prova di legittimazione elettorale, che il “Piano di Rinascita democratica” (ormai pienamente riabilitato) sembra trovare la sua massima legittimazione in ambito istituzionale, costituendo parte integrante nell’impianto ispiratore della nuova “riforma costituzionale” e “modernizzazione dello Stato”, pompata a colpi di decreti-legge e voti di fiducia a cadenza giornaliera, che sembrano essere diventati la prassi ordinaria del Governo Renzi.
Ce lo chiede LicioCol vezzo civettuolo del “padre nobile” in attesa del meritato riconoscimento, il Grande Vecchio non mancava di farlo notare, quanto mai compiaciuto da un così grande riconoscimento postumo, nel suo splendido esilio aretino dove si dedicava alle composizione poetiche, raccolte in edizioni autoprodotte di lusso per gli amici, fregiandosi del titolo di “conte”. A suo modo, Licio Gelli potrebbe essere considerato persino un “innovatore”, un “precursore” del nuovo millennio. E dunque andrebbe annoverato a pieno titolo tra i veri fondatori della sedicente Terza Repubblica (che assomiglia sempre più ad una merda rifatta e dipinta)  la quale, se tutto andrà come deve, sancirà in realtà il pieno trionfo di una lunga opera decennale, a coronamento del lavoro di una vita intera. Non per niente, a legittimazione della sua attività ‘sotterranea’, il personaggio ha sempre goduto di un’impunià pressoché totale.

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L’ORA FATALE

Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 11 dicembre 2013 by Sendivogius

Nel villaggio di Borgocitrullo, quando le cose vanno male, uno dei modi più sicuri per tirar su quattrini è travestirsi da santone o da tribuno (meglio se tutti e due insieme!) e proclamare il carnevale permanente per poter giocare al piccolo rivoluzionario, abbuffandosi della parola “popolo” con cui ci si riempie la bocca sputazzandone in giro gli avanzi.
La farsa di solito continua finché, a forza di evocarle le rivoluzioni, va a finire che qualcuno ci crede davvero e pensa di inscenare la propria fracassona sceneggiata, nel grande pascolo delle intelligenze bovine dove gli imbecilli abbondano, copiosi come la vacca perennemente gravida che li genera.
Capita così che in un eccesso di riflussi per sovraccarico fecale, saltino via tutti i tombini che comprimevano la glassa marronata di un paese allo sbando, che proprio non riesce ad elevarsi oltre il livello della propria cintola. Da sempre, nei momenti di crisi, l’Italia dà scioltamente corpo alla sua parte peggiore, in tutte le sfumature possibili del marrone…
Evidentemente, nel paese più destrorso d’Europa, che vanta il più alto numero di formazioni istituzionalizzate e partitini, con richiami più o meno espliciti all’eredità mussoliniana, e che occupano la quasi totalità dell’arco parlamentare, non bastava la destra “nazional-popolare” dei nostalgici Tilgher e Storace, del fascismo vasciaiolo delle pasionarie nere; la destra manesca ma tanto ‘virile’ dei Fratelli d’Italia; la destra etnica e razzista della Lega; la destra plebiscitaria e peronista dei papiminkia, insieme a quella post-berlusconiana e governativa di Alfano coi suoi cacicchi in disgrazia; la destra dorotea su innesto moroteo di Enrico Letta e della vecchia nomenklatura DS-DL, confluita nel PD; la destra furbastra e vetero-democristiana di Casini; la destra tecnocratica e padronale di Monti; la destra messianica e fanatizzata di Grillo…
Evidentemente, quello che offriva l’attuale panorama politico per alcuni non era ancora abbastanza populista, anti-europeista, “identitario”, reazionario, squadrista e soprattutto fascista, in una grande maratona del neo-nazismo di ritorno. È il Nazithon tutto italiano!
NazithonCi mancavano davvero gli eredi dei “guerrieri senza sonno”, i nipoti dei “Figli del Sole”: i catto-integralisti del misticismo evoliano, scampoli di “Terza Posizione” confluiti tra i raminghi di “Casa Pound” e “Forza Nuova”. Ma ancora più a destra abbiamo pure i neo-nazisti dell’Unione per il socialismo nazionale, le larve ordinoviste del Circolo Clemente Graziani, e perfino i redivivi rexisti del “Cristo Re”. A questi vanno aggiunti il movimentismo neo-völkisch della “Lega della Terra” (in pratica, la rinascita della Lega degli Artamani ad opera di Forza Nuova) ed i Comitati Agricoli Riuniti (con la sua costola “Dignità sociale”) degli agricoltori dell’Agro Pontino sotto il comando di Danilo Calvani, che pone tra le sue rivendicazioni l’instaurazione di una giunta ken-le-survivantmilitare, previo scioglimento del Parlamento e rimozione del Presidente della Repubblica, ovviamente sostituito da un generale con poteri assoluti. Non per niente, per l’inizio della protesta è stato scelto l’8 Dicembre in ricordo del Golpe dell’Immacolata, ad opera di Junio Valerio Borghese, il principe nero, nel 1970.
Ci mancava soprattutto l’ennesimo rigurgito del ribellismo siciliano e secessionismo isolano del sedicente Movimento dei Forconi: appendice neo-fascista del sottopotere mafioso e protestarismo qualunquista. Ma ci sono anche i neo-borbonici nostalgici dell’illuminato e sviluppato Regno delle Due Sicilie, ispirati dalla mitologia e dal meridionalismo Medioevopiagnone di Pino Aprile e dei suoi “Terroni”. Né manca la santa alleanza col clericalismo sanfedista dei vari gruppuscoli dell’integralismo cattolico, oltre ai vari comitati no-euro, i complottisti ed i mattoidi fissati col signoraggio bancario. Insomma, tutta la fauna che solitamente affolla le stalle dei vari Formigli-Santoro-Paragone.
Ci mancavano come non mai gli spurghi poujadisti dei truffatori del fisco: i padroncini del triveneto ed i furbetti delle quote latte. In una scarica diarroica che pare inarrestabile, ritornano a galla vecchi coproliti come Lucio Chiavegato della LIFE veneta (Liberi imprenditori federalisti europei), il fozanovista ex craxiano Martino Morsello ed il suo camerata Mariano Ferro (Forconi Siciliani), tutti uniti in nome del secessionismo e dell’evasione fiscale.

They're coming soon

Ed è con questi bei tomi che le sedicenti “Forze dell’Ordine” si sono sentite in dovere di solidarizzare.
IRON SKY (Locandina)Dopo aver a lungo evocato l’insurrezione, usando il giocattolo ‘movimentista’, per non essere scavalcato nonostante la sua deriva a destra, Beppe Grillo (ormai in ottima compagnia col suo nuovo amico di Arcore) si è messo ad inseguire la protesta di forconi & affini, cercando di apporre il suo logo su una simile schiuma montante. E nel farlo non trova niente di meglio che lanciare pubblici appelli ai comandanti delle forze armate:

“Combattenti di terra, di mare e dell’aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate!
Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili…. Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente, che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell’edificio, l’ignobile assedio societario di cinquantadue stati.
[…] L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all’Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo.”

MussoliniAh no! Scusate. Abbiamo confuso i discorsi. Questa era la dichiarazione di guerra del duce, il 10/06/1940.

Lettera aperta a Leonardo Gallitelli, Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Alessandro Pansa, capo della Polizia di Stato e Claudio Graziano, Capo di stato maggiore dell’Esercito italiano.

“Mi rivolgo a voi che avete la responsabilità della sicurezza del Paese. Questo è un appello per l’Italia. Il momento storico che stiamo vivendo è molto pericoloso. Le istituzioni sono delegittimate. La legge elettorale è stata considerata incostituzionale. Parlamento, Governo e Presidente della Repubblica stanno svolgendo arbitrariamente le loro funzioni. E’ indifferente che qualche costituzionalista, qualche giornalista, qualche politico affermi il contrario, questi sono i fatti, questo è il comune sentire della nazione.”

Beppe Grillo saluta le sue camicie nere - La solita vecchia merdaE siccome questo sarebbe il “comune sentire della nazione”, tutto il resto (Costituzione, Diritto, Leggi) non conta.
Anatole France, in circostanze del genere, anche se in questo caso gli idioti difficilmente superano i centomila, ebbe a dire…
Anatole FranceI proclami del Grullo a cinque stelle non sono nuovi agli appelli eversivi. Certo, invocare il Colpo di Stato supera di gran lunga la cialtronaggine già fuori competizione di questo avanzo acido di cabaret. Stupisce il continuo richiamarsi ai militari ed alle “forze di polizia”, che fanno molto atmosfera da caudillo sudamericano, che ricordano di molto i pronuciamientos delle giunte militari argentine…
Argentina - Junta militar de VidelaO meglio ancora l’appello alle “forze sane della nazione”, con la richiesta rivolta ai generali cileni di prendere il potere. Golpe de Estato peraltro propiziato dalle caceroladas, dallo sciopero degli autotrasportatori, ed il blocco delle derrate. Si sa poi come è andata a finire…

Il Cile di Pinochet

Qui abbiamo solo un lestofante dimissionato che insegue l’impunità e soprattutto un pericoloso ciarlatano che gioca al massimo sfascio e si diverte ad appiccare o alimentare incendi un po’ dovunque, tanto per vedere l’effetto che fa, senza curarsi troppo delle conseguenze, e godersi lo spettacolo dal balcone delle sue ville sulla riviera ligure.

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L’illusione populista

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 novembre 2013 by Sendivogius

Grillini si connettono al webbé

Noi parliamo alla pancia della gente. Siamo populisti veri. Non dobbiamo mica vergognarci. Quelli che ci giudicano hanno bisogno di situazioni chiare. Ad esempio prendete l’impeachment di Napolitano. Molti di voi forse non sono d’accordo, lo capisco. Ma è una finzione politica. E basta. Non possiamo dire che ha tradito la Costituzione. Però diamo una direttiva precisa contro una persona che non rappresenta più la totalità degli italiani. Noi siamo la pancia della gente. Abbiamo raddrizzato la situazione, siamo stati violenti per far capire alla gente.
Se andiamo verso una deriva a sinistra siamo rovinati.

  Beppe Grillo
  (30/10/13)

POPULIST PARTY Circoscritto alla sua dimensione premoderna, il “populismo” propriamente detto è stato un fenomeno limitato, ancorché velleitario, tipico di realtà preminentemente rurali: i narodniki della Russia zarista nella seconda metà del XIX secolo e, alle sue propaggini opposte, il People’s Party negli Stati Uniti di fine ‘800. Entrambi furono pervasi da confuse istanze progressiste, nella loro forma ibrida ancora in evoluzione.
Sostanzialmente, il populismo si configura come una forma di primitivismo politico, che si alimenta di suggestioni e pulsioni emotive.
Come reazione alla modernità, nel trionfo dell’irrazionalismo e nel culto dell’azione nutrito dal mito per la “rivoluzione”, si confonde spesso e volentieri col nazionalismo, contribuendo non poco a concimare il substrato ideologico dei fascismi europei.
In Sudamerica, il populismo si contraddistinguerà come il tratto distintivo dei vari caudillos latinoamericani, dal Brasile di Getulio Vargas al “Partito Giustizialista” nell’Argentina di Juan Domingo Peron. E, con tutte le sue varianti nazional-popolari, fornisce a tutt’oggi la forma di governo predominante nel continente.
Southpark peopleNei sistemi politici maturi, il “populismo” ha sempre costituito un fenomeno marginale, alimentato da insofferenze piccolo-borghesi e ribellismo fiscale. Con ondate regolari, si manifesta ad ogni vento di crisi, spinto dalla marea di un malcontento diffuso ma propositivamente effimero. Nella sua forma ricorrente, rappresenta una cesura polemica tra la rappresentanza elettorale ed il corpo votante, in cerca di rassicurazioni e soluzioni semplificate a problemi complessi. Si muove su una piattaforma trasversale, attingendo tra i delusi della politica tradizionale; oscilla a sinistra, ma quasi sempre finisce per collocarsi a destra lambendone le estreme.
Nell’Europa della post-democrazia, con la crisi della rappresentanza e lo svuotamento progressivo delle libertà costituzionali, il populismo è rapidamente assurto dalla sua posizione irrilevante, confinato com’era nella periferia del tribalismo protestatario, a espressione prevalente ed in rapida ascesa nell’asfittico panorama della politica tradizionale.

«Nati spesso dal nulla come movimenti di protesta, privi di strutture, di quadri e di organizzazione, mossi da un imprenditore politico, i partiti populisti – ma non solo – si identificano innanzi tutto con il loro leader. E nonostante la loro estrema varietà, tutti i populismi hanno almeno un elemento in comune: l’importanza della leadership, al punto che molti di questi movimenti mantengono la loro unità e sopravvivono solo finché perdura il carisma del fondatore.
[…] Il populismo non si riferisce al capo solo come incarnazione dell’autorità: il leader è anche colui che esprime attraverso la sua persona i valori di cui il “popolo” è portatore. Grazie al suo carisma è in grado di mobilitare le energie al servizio del popolo e della nazione.»

 Yves MENY e Yves SUREL
 “Populismo e Democrazia”
 Il Mulino (Bologna, 2001)

Per i limiti congeniti alla carica anti-sistemica, solitamente i movimenti populisti non riescono quasi mai ad “istituzionalizzarsi”, finendo con l’esaurire la loro spinta propulsiva per l’impossibilità intrinseca di realizzare la “missione” prefissata. Incentrati esclusivamente sulla figura carismatica del “capo politico”, al quale legano le sorti in un rapporto esclusivo, si dissolvono in fretta con l’eclisse politica del fondatore per difetto di organizzazione.
NSDAP poster - Free Saxony from Marxist trash In una comunità carismatica, l’unico ruolo riconosciuto è quello del leader, che individua e quindi distribuisce le mansioni all’interno del gruppo, avocando a sé la sostanza degli aspetti decisionali ed il controllo delle reti di finanziamento, decidendone le forme e l’indirizzo secondo propria discrezione.
La concentrazione dei poteri in un’unica figura, legittimata dal fascino totalizzante del suo carisma, presuppone una debolezza intrinseca delle strutture organizzative del movimento, funzionali all’esercizio del potere carismatico e non alla creazione di una struttura permanente. L’assenza di ruoli formali distinti da quelli del “Capo”, l’irregolarità del finanziamento, la mancata strutturazione di regole e procedure, con organismi interni di garanzia per la corretta applicazione delle norme, ne costituiscono una conseguenza endemica.
D’altronde un’organizzazione strutturata in forme più complesse è rifiutata a priori, in quanto identificata con l’aborrita forma-partito, e sostituita quindi con la leadership padronale ed il rapporto diretto, quasi messianico, tra il “capo politico” ed il “popolo”, inteso più che altro come collettore omogeneo di messaggi “contro”.
A partire dagli anni ’90 del XX secolo, le nuove paure legate all’immigrazione di massa ed alla globalizzazione selvaggia, hanno gonfiato il bacino elettorale di “movimenti” e partiti populisti, facendoli tracimare dal loro alveo tradizionale, tanto che la loro espansione sembra diventata una peculiarità nei Paesi dell’area mediterranea. In questo, ha trovato fertile terreno soprattutto in Italia, da sempre laboratorio ideale di tutte le degenerazioni politiche e gli avventurismi personalistici…
Nella sua Psicologia della folla (1895), Gustave Le Bon attribuiva la tendenza ad una naturale eccitabilità delle folle latine.

“Non essendo la folla impressionata che da sentimenti eccessivi, l’oratore che vuole sedurla deve abusare delle affermazioni violente. Esagerare, affermare, ripetere, e non mai tentare di nulla dimostrare con un ragionamento, sono i procedimenti di argomentazione familiari agli oratori di riunioni popolari.”

Un secolo dopo, in tempi non sospetti, dinanzi al preponderante affermarsi del fenomeno, il Taguieffsociologo francese Pierre-André Taguieff concentrò le sue attenzioni sull’insorgenza capillare dell’illusione populista, utilizzando come termine di riferimento per il suo studio: il Front National della famiglia Le Pen ed il FPO” austriaco del prematuramente scomparso Jörg Haider, nel rapporto tra nazional-populismo e nuova destra.
Nella sua ricerca, Taguieff distingue due tipi di populismo politico: il Protestario e l’Identitario.
E su questi delinea i tratti salienti del fenomeno analizzato nella sua complessità:

«Il populismo politico presuppone una dimensione polemica (essere populista significa innanzitutto “essere contro”). Occorre precisare che entrambe le forme di populismo possono collocarsi a destra o a sinistra, abbinarsi ad un orientamento liberale o ad una posizione conservatrice, mascherare un’ostentata posizione anticapitalista o un appello alla “libertà economica”, al “capitalismo popolare” ecc.
La retorica dei movimenti populisti di destra si caratterizza in particolare per il fatto di sfruttare quelli che alcuni politologi hanno chiamato i “sentimenti antipartitici”, tramite la denuncia del programma e dell’azione di altri partiti – dei “partiti di governo” prima di tutto – o dalla condanna del comportamento di questi ultimi. Questi partiti populisti, collocati a destra o all’estrema destra, si presentano non senza paradosso come “partiti antipartiti”. La traduzione in slogan di questa posizione paradossale è la denuncia del “sistema”, dell’establishment, della “classe politica”, del “sistema dei partiti”, e della “burocrazia”.»

 Pierre-André Taguieff
 “L’illusione populista”
 Mondadori, 2003

Il segreto intrinseco per sciogliere la dicotomia di “partito-antipartito” sta nella scelta volksgemeinschaftsemantica del nome, declinato col termine di “movimento”. L’anti-parlamentarismo si traduce come critica alla “democrazia rappresentativa”, a favore di una democrazia “diretta”. Ovvero una democrazia plebiscitaria, dove di “diretto” c’è solo il costante appello al “popolo”, enumerato nel suo insieme come massa anonima ed omogenea.
Secondo Taguieff, la forma decisionale per eccellenza della democrazia populista è il referendum:

«..e più particolarmente il referendum di iniziativa popolare, che permette di aggirare le mediazioni politiche o amministrative, di scavalcare cioè il sistema rappresentativo, dato che sono gli stessi elettori, a certe condizioni, a prendere l’iniziativa della legge. Questa prima forma di populismo politico ha quindi la principale caratteristica di essere incentrata sulla contestazione o sulla critica del sistema di rappresentanza politica e sociale. Un tale tipo di populismo lo si incontra negli atteggiamenti, nei movimenti, o nelle ideologie protestatarie che mettono in atto una funzione “tribunizia”.
[…] L’appello al popolo implica la denuncia del sistema costituito della rappresentanza politica, simbolizzato nel discorso di Jorg Haider dai “vecchi partiti”…. La sua forma di legittimazione più efficace consiste nell’esigere una sempre maggior democrazia. Il 31/08/1994, Haider può così dichiarare: “Non ricostituiremo lo stato di diritto se prima non la faremo finita con il regno dei partiti costituiti. La democrazia rappresentativa è superata”.
[…] A questa domanda talvolta iperbolica di “democratizzazione” si aggiungono altre caratteristiche del discorso populista, che permettono globalmente di collocarlo a destra.
1) L’antintellettualismo, che implica l’esaltazione del sapere spontaneo o della saggezza ancestrale del popolo, il quale sa meglio dei suoi lontani dirigenti che cosa gli conviene.
2) L’iperpersonalizzazione del movimento, attraverso la figura carismatica del leader: Haider in Austria, Le Pen in Francia, Bossi nel Nord Italia, senza dimenticare Berlusconi. Nella maggior parte dei casi viene diffusa una leggenda oleografica ed edificante, che mette in evidenza la vita esemplare e la virilità del leader, il suo successo sociale e perfino la sua “onestà” o “sincerità”…. Del leader viene anche messa in rilievo l’esemplare capacità di contatto o di comunicazione con il popolo, qualità che gli permette di mostrarlo vicino “a chi sta in basso” e di distinguerlo dagli altri uomini politici, trattati come esemplari di un’unica e identica casta lontana dal popolo.
3) La difesa dei “valori del liberalismo economico”, indistinguibile da quella della piccola impresa e della proprietà privata; di qui anche la preferenza per certe categorie sociali: professioni liberali, piccoli e medi imprenditori, contadini ecc. (in realtà le classi definite medie a esclusione dei lavoratori dipendenti). Le altre categorie sociali tendono ad essere stigmatizzate come parassiti (gli impiegati pubblici in primo luogo) o come pericolosi deviati (gli artisti, tendenzialmente drogati e/o omosessuali). Si riconosce qui la tematica del “capitalismo popolare” (presente nel poujadismo ma anche nel lepenismo delle origini), che più o meno si avvicina al protezionismo economico ed è accompagnato da dichiarazioni antimondialiste o antiliberoscambiste. Questo populismo di difesa dei privilegiati specula sulla paura del declassamento sociale e si presenta, secondo l’espressione consueta, come “sciovinismo del benessere”, se non addirittura un “razzismo dei ricchi”.
[…] Un nuovo tipo ibrido è nato: il tribuno-proletario-miliardario.»

A maggior ragione, l’appello diretto al “popolo” del capo carismatico..

«implica non solo la sua intenzione di fare a meno delle mediazioni istituzionali e delle elite intermedie, ma anche di guarirlo contro queste ultime. In tale atto, che è anche l’espressione di un desiderio, si riconosce la dimensione anti-establishment, che può tradursi in una posizione anti-parititica, se non addirittura anti-politica. Di qui l’autodefinizione di una simile forza politica come “movimento”, come raggruppamento popolare incarnato dal leader carismatico e orientato contro il sistema politico, preso di mira nel suo insieme o solo in certe figure. Il Front National si colloca così sia tra i partiti antipartitici che in quelli antisistema.
[…] L’appello diretto al popolo corrisponde a due orientamenti: da una parte, il sogno di un ordine politico privo di mediazioni, liberato dagli astratti e complessi sistemi di rappresentanza, che apre uno spazio utopico in cui il principio della sovranità del popolo si ritraduce in un suo puro autogoverno (la “democrazia diretta”); dall’altra, la cristallizzazione dei sogni di fiducia, trasparenza, purezza e unità fusionale del faccia a faccia idealizzato tra il “capo” ed il “suo” popolo (la democrazia diretta illustra allora il tipo di autorità carismatica, diventando indistinguibile da una democrazia plebiscitaria). L’autenticità del popolo è così costruita attraverso una duplice denuncia di potenze ostili, più o meno invisibili…. Il sogno di trasparenza reso evidente dall’appello alla democrazia diretta (che si riduce a referendum di iniziativa popolare) ha come rovescio il ricorso alla “teoria del complotto”

 Pierre-André Taguieff
 “L’illusione populista”
 Mondadori, 2003

A soggetti inversi il prodotto non cambia. Si parla dei fascisti del Fronte Nazionale (ed altre deiezioni sparse), ma sembra la descrizione di qualcun altro…

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Una Modesta Proposta

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 ottobre 2013 by Sendivogius

Il Razzo Supposta

Cosa fare della salma di Erich Priebke?
Jorge Videla L’Argentina, che dopo il 1945 ha offerto rifugio e protezione a migliaia di criminali nazi-fascisti, a chi chiede di riprendersi colui che ha ospitato per quasi 50 anni, dichiara a bocca del suo ministro degli esteri: l’Argentina non può accettare un tale affronto alla dignità umana. Evidentemente il nazista Priebke creava loro meno imbarazzi in vita, piuttosto che da morto. Fintanto che Priebke gironzolava nella più totale impunità a Bariloche e dintorni, “l’affronto alla dignità umana” non si poneva minimamente.
Gestapo La Germania, dove il capitano delle SS è nato (Hennigsdorf, 29/07/1913) e del quale è a pieno titolo un cittadino, fa platealmente finta che la faccenda non la riguardi, fingendo di non sapere che Erich Priebke non era un killer psicopatico ricercato dall’Interpol, ma un funzionario di polizia in regolare servizio presso l’ambasciata tedesca a Roma, su esplicito mandato del governo tedesco.
Poliziotti tedeschi a BerlinoSi tratta di un vizietto antico, a quanto pare assai diffuso dalle parti dell’algida Germania dalle grosse coalizioni (e dai miserabili ipocriti), abilissima a declinare le proprie responsabilità e nascondere le colpe, salvo crocifiggere il resto d’Europa ai dogmi teutonici dell’austerità, nella ritrovata supremazia a spese del resto del continente.

Esecuzione «Nel corso dell’Olocausto i tedeschi tolsero la vita a sei milioni di ebrei e, se la Germania non fosse stata sconfitta, ne avrebbero annientati altri milioni.
Gli uomini e le donne che insieme davano vita a quelle inerti forme istituzionali, che occupavano le strutture del genocidio…. erano in larghissima e schiacciante maggioranza tedeschi. Se è vero che nello sterminio degli ebrei furono affiancati da esponenti di diverse comunità nazionali, questi però non furono indispensabili per il compimento del genocidio, né venne da loro l’iniziativa e la spinta a portarlo avanti. Certo, se i tedeschi non avessero trovato negli altri paesi d’Europa (soprattutto orientale) persone disposte ad aiutarli, l’Olocausto si sarebbe svolto in maniera differente ed è probabile che essi non sarebbero riusciti ad uccidere tanti ebrei. Ma furono comunque tedesche le decisioni, la pianificazione e le risorse organizzative; tedeschi la maggior parte degli organizzatori […] perché quello che vale per loro non vale per nessun’altra singola nazione né per tutte le altre nazioni considerate insieme: cioè, senza tedeschi non si dà l’Olocausto.
[…] Alcuni erano “nazisti” perché iscritti al partito nazionalsocialista o per convinzione ideologica; altri non lo erano. Alcuni appartenevano alle SS; altri no. Il minimo comun denominatore tra loro era di essere tedeschi, impegnati a realizzare gli obiettivi nazionali della Germania, che in questo caso coincidevano con il genocidio degli ebrei

 Daniel J. Goldhagen
 “I volenterosi carnefici di Hitler”
 (Mondadori, 1998)

fossa comuneDimmi chi sono e non chi sono stato. Ai tedeschi in genere non piace si faccia riferimento al loro passato recente… Tutt’al più, hanno un’inclinazione insuperabile a reputarsi vittime delle circostanze.
L’accoglienza nella patria d’origine del feretro del nazista Erich Priebke è motivo di imbarazzo, perché ricorda un passato scomodo e rammenta ai tedeschi il lato oscuro della Germania, opportunamente sopito e celato dietro la patina di un benessere fittizio.
Ma le reticenze tedesche sono ancor più ipocrite (e ignobili), se si pensa che Priebke, per quanto zelante, fu innanzitutto un gregario: un ufficiale subalterno agli ordini del ben più famigerato Herbert Kappler.
Kappler Sarà il caso di ricordare le pesanti pressioni che negli anni ’70 le autorità tedesche, ed in particolar modo del cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, esercitarono con ripetuta insistenza sul governo italiano per allentare il regime di custodia applicato al criminale Kappler.
Nel 1977, il premio nobel ed ex cancelliere Willy Brandt firma una petizione per la liberazione di Kappler insieme ad altri 232 deputati tedeschi. È nota l’amicizia di Brandt con Annelise Gertrude Walter Wenger, moglie di Kappler ed influente attivista della SPD.
Pare che la liberazione di Kappler fosse tra le condizioni implicite imposte dalla Germania all’Italia, oggi come allora alle prese con una crisi spaventosa ed in disperata ricerca di liquidità, per un prestito capestro su base biennale per due miliardi di dollari, pretendendo come garanzia il trasferimento del 40% delle riserve auree della Banca d’Italia in Germania (quasi 1200 tonnellate in lingotti d’oro) ad un tasso di interessi dell’8%. E la vergognosa fuga di Kappler sarà il prezzo da pagare per la concessione del credito teutonico.
HIAGOvviamente Kappler troverà rifugio e accoglienza in Germania, che rifiuterà categoricamente ogni (timida) richiesta di estradizione e sepolto senza alcun problema nel cimitero di Lüneburg. Il criminale nazista verrà celebrato con tutti gli onori dall’HIAG: associazione filo-nazista di ex reduci delle SS, assolutamente legale e regolarmente finanziata dal governo di Bonn.
In parte la vicenda ricorda la sottrazione dell’oro della Banca d’Italia, da parte dei nazisti dopo l’armistizio dell’8 Settembre. È superfluo dire che l’operazione di rapina venne affidata proprio ad Herbert Kappler, che al contempo si distinguerà nel saccheggio del Ghetto di Roma. All’epoca, l’oro sottratto (rubato) dalla Banca consisteva in ‘sole’ 120 tonnellate, che peraltro finiranno di essere restituite soltanto nel 1958 dalla nuova Germania democratizzata. Ovviamente senza corresponsione di interessi per l’indebito trattenimento.

Gestapo - Foto di gruppo

E torniamo al dunque: cosa fare del feretro di Priebke…
Caricarlo su un aereo e sganciarlo direttamente sopra il Bundestag, tanto per ricordare alla nuova razza sedicente padrona l’eredità del nonno!

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Argentina mi amor

Posted in Business is Business, Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 febbraio 2013 by Sendivogius

Zio Tibbia

A noi il presidente del consiglio Mario Monti, tuttora premier ‘tecnico’ (poiché, seppur dimissionario, è ancora in carica e piena attività) di un governo mai eletto, sfiduciato e privo di maggioranza, che lungi dal limitarsi all’amministrazione corrente continua imperterrito a legiferare per decreto, e con un parlamento pressoché assente perché in campagna elettorale, senza che su una simile anomalia costituzionale il sommo Garante abbia nulla da ‘monitare‘, ha sempre ricordato per rigidità rigorista e strategie economiche Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932. Della preoccupante analogia, avevamo già parlato in dettaglio QUI.
Carlos Saul Menem (Retrato Oficial 1989)Ora, scopriamo invece (QUI ma anche QUI) che il vero modello della politica montiana è in realtà l’Argentina del presidente Carlos Menem: sconcertante emulo berlusconiano del populismo sudamericano, invischiato in traffici illeciti e plurinquisito, principale responsabile del crollo economico dell’Argentina e della vendita dissennata ai privati delle maggiori industrie produttrici nazionali, insieme al suo ministro delle finanze Domingo Cavallo. Quest’ultimo divenne famoso per la rocambolesca fuga in elicottero, assediato da una folla di migliaia di argentini inferociti e ridotti sul lastrico dalle sue catastrofiche ricette ultra-liberiste.

LA STAMPA - Monti e Menem

In una rara intervista pubblicata su La Stampa del 13/08/1994 era già racchiuso in tutta la sua attuale freschezza il Monti-pensiero, giunto fino ad oggi imperturbabile ed immutato…
Fiducia messianica nel potere auto-regolatore della “finanza”; primato assoluto e sacrale dei “mercati” che non sono una creazione umana, ma emanazione divina a cui piegare le leggi degli uomini e consacrare la vita dei popoli.
Dalla scelta cinica a “scelta civica”, c’è quasi un richiamo straussiano alla “nobile menzogna”: un’elite di sapienti che finge di conformarsi ai voleri delle moltitudini ignare; ne asseconda le illusioni per indirizzarne le credenze e con l’inganno carpirne il consenso, per rimettere tutto il potere nella disponibilità assoluta di pochi “eletti”.

I Racconti della Cripta

A proposito del primo Governo Berlusconi, incalzato dall’intervistatore, il banchiere prestato alla propaganda chiosa serafico:

«Il governo, alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del Paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”»

Domingo Cavallo Domingo Felipe Cavallo, oriundo italiano della provincia piemontese (Buriasco), è un banchiere prestato alla politica. Ça va sans dire!
Nel 1991, in qualità di ministro dell’economia, Cavallo fa approvare uno speciale piano di convertibilità che fissa la parità di cambio tra il peso argentino ed il dollaro statunitense, con il preciso scopo di ridurre l’altissimo tasso di inflazione del paese sudamericano, in una prospettiva monetarista. Il piano di convertibilità presenta però un inconveniente di natura pratica: la perdita di sovranità monetaria e l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, mentre le sorti di una valuta debole come il pesos argentino vengono legate alle fluttuazioni di una moneta forte come il dollaro, tramite il cambio fisso, con l’impossibilità da parte del governo centrale di controllarne le oscillazioni e di orientarne le dinamiche macroeconomiche.
Per stare in piedi, un simile piano è sostenibile solo attraverso politiche fortemente liberiste, incentrate su un’austerità ad oltranza, tramite la riduzione costante del debito e saldo di bilancio proiettato ben oltre l’avanzo primario. Se si vuole mantenere l’agganciamento alla moneta forte, la ricetta rigorista implica altresì l’accettazione di parametri rigidi e speciali “agende” appositamente confezionatr dal FMI e dalla Banca Mondiale, con la supervisione interessata di organismi privati. Per dirla col prof. Mario Monti, l’intera politica economica di uno Stato sovrano è ispirata e rimessa alle autorevoli opinioni espresse nei mercati e nei bollettini delle principali banche d’investimento, tutte analisi che hanno un gran peso nel determinare i comportamenti degli operatori del mercato.
Impropriamente, è quanto avvenuto in Italia (e non solo) con il passaggio dalla lira all’euro, tramite l’adozione di parametri transnazionali e non negoziabili.
Per garantire la stabilità monetaria ed il mantenimento del cambio fisso, senza ripercussioni sull’andamento monetario, il piano di stabilità voluto dal ministro Cavallo ed imposto dal presidente Menem prevede una massiccia serie di privatizzazioni, con la totale dismissione del patrimonio pubblico ed il taglio radicale della spesa sociale. In pochi anni, vengono (s)vendute sul mercato tutte le risorse pubbliche e nazionali, con valutazioni (al ribasso) affidate alle principali banche d’investimento private, tra le quali si distingue la statunitense Merrill Lynch, specializzata in finanza strutturata.
Grazie all’improvvisa liquidità affluita dalla privatizzazioni selvagge, nell’arco del triennio 1991-1994, l’economia argentina conosce un aleatorio quanto illusorio incremento del PIL, con un effimero rilancio degli investimenti produttivi e con la ripresa dell’industria automobilistica (che coincide con gli investimenti FIAT).
Sul piano sociale, le politiche economiche attuate dal duo Menem-Cavallo si concretizzano attraverso uno smantellamento progressivo delle tutele contrattuali ed occupazionali, con la compressione dei sindacati, la liberalizzazione dei contratti ed una sostanziale contrazione dei salari per rendere “più competitive le imprese sui mercati” “incrementare la produttività”. Nella pratica ciò si traduce in condizioni di lavoro peggiori e salari più bassi. La liquidazione del settore pubblico ed il taglio radicale dei servizi provoca sul medio periodo un aumento costante della disoccupazione che raddoppia in pochi anni, in parallelo con l’impoverimento della classe media. 
Tra le privatizzazioni più interessanti, c’è il caso della vendita della compagnia aerea di bandiera, ovvero le Aerolìneas Argentinas. Si tratta di uno dei primi esempi conclamati di bad company: la società viene regalata a prezzi stracciati ai privati, mentre tutti i debiti vengono accollati allo Stato che si fa carico delle passività. Ma il sistema viene universalizzato all’intero piano di dismissioni: risanamento e debiti rimessi al pubblico; profitti interamente privati e depurati da oneri.
Augusto Ugarte PinochetUn altro punto di forza risiede nella riforma pensionistica, che ricalca fedelmente quella promossa sotto la dittatura cilena del generale Pinochet dal ministro José Piñera. Ispirata alle politiche neo-liberiste dei Chicago Boys, la Riforma Piñera è sostanzialmente identica al suo omologo italiano, la Riforma Fornero, che insieme alla famosa Agenda Monti molto sembra attingere dal vecchio “Progetto Cile” (Proyecto Chile), riscritto nel 1990 e aggiornato al 2010, dal golpista Piñera frettolosamente riciclato in democrazia.
Tornando in Argentina, il prosciugamento degli investimenti pubblici, non compensati da quelli privati, insieme al crollo dei redditi, si traduce in una drastica riduzione della domanda aggregata con una crisi economica senza precedenti, accompagnata ad una esplosione delle disuguaglianze sociali ed una ripresa del debito pubblico, una volta esaurita l’onda corta delle “liberalizzazioni”.
Nel 2001 Domingo Cavallo, il notevole ministro dell’economia, viene ripescato nel governo del presidente Fernando de la Rúa. La crisi economica si evolve presto in crisi finanziaria col crollo del sistema bancario, la fuga di capitali, e la corsa agli sportelli di credito da parte dei correntisti per ritirare gli ultimi spiccioli dalle banche. Cavallo non ha niente di meglio che imporre il blocco dei prelievi ed il limite all’uso del contante, provocando una rivolta su scala nazionale e sfuggendo per poco al linciaggio. Ciò non impedirà allo straordinario Cavallo di accreditarsi come grande economista e di far parte del cosiddetto Gruppo dei Trenta, peraltro in buona compagnia visto che in questa organizzazione di banchieri centrali e finanziari internazionali fa parte anche Mario Draghi. E non senza polemiche [QUI].
Nel Novembre 2001 con la fuga di De la Rua ed un triennio di cure da Cavallo, il notevole ministro dell’economia lascia un paese stremato da tre anni di recessione e sprofondato nella depressione economica con un tessuto sociale in pezzi.
I redditi medi degli argentini sono precipitati ai livelli del 1976 (con un arretramento trentennale).
Sempre nel 2001, nonostante i tagli selvaggi e le privatizzazioni radicali, il debito pubblico argentino passa dagli 8.000 milioni di dollari a circa 160.000 milioni. Nello stesso periodo, l’Argentina ha rimborsato intorno ai 200.000 milioni di dollari, vale a dire circa 25 volte quello che doveva nel marzo del 1976. Questo perché gran parte dei prestiti e dei capitali affluiti con le privatizzazioni sono stati utilizzati per rifinanziare debiti e titoli scaduti e impegnati come garanzia per i creditori esteri, mentre il gettito fiscale viene usato per ripagare gli interessi sul debito, per l’80% detenuto da istituti finanziari internazionali.
Questa è l’eredità di Cavallo e delle agende neo-liberiste.

Com’è ovvio, attualmente il principale problema dell’Argentina è il governo di sinistra dei Kirchner, non certo le politiche della destra liberista (e golpista) che hanno portato il Paese allo sfascio e che anzi ‘qualcuno’ vorrebbe esportare in Italia, magari col partito serio e riformista a tenergli il moccolo per “senso di responsabilità”.
Licoreria Francisco Monti y HermanosDel resto, Mario Monti conosce bene l’Argentina, dal momento che la sua famiglia storicamente in tale paese ha vissuto e prosperato… Il papà Giovanni è nato a Luijan nel 1888, dove nonno Abramo aveva fondato un’omonima distilleria, per la produzione locale di birra e liquori, salvo rientrare in Italia nel 1907. A proposito, è curioso notare come l’uomo che aborre il posto fisso e predica il ricambio sociale, provenga da una dinastia di funzionari di banca giunti alla quarta generazione nella trasmissione ereditaria del mestiere. Manco nel feudalesimo!
Father & Son - Abramo e Giovanni MontiMa Monti sembra conoscere ancor meglio le potenzialità sudamericane… Non per niente sembra accompagnarsi a personaggi come Ugo Di Martino, che parrebbe essere il referente delle cosche calabresi in America Latina [QUI], esperto in brogli elettorali e voto di scambio.
È il nuovo che avanza. E non promette niente di buono.

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Il Nuovo Ordine

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 luglio 2010 by Sendivogius

Solitamente non uso la ‘prima persona singolare’, ma in questo caso farò un’eccezione…
In merito all’ultima pubblicazione
(“Il Sugo della Storia”), come spesso capita, ho ricevuto un’interessante commento da parte di Midhriel, autrice di un ottimo blog che seguo spesso e con particolare piacere:

 Proprio l’altro giorno parlavo con un amico che conosco dai tempi del liceo (praticamente *nta anni) e che ha una figlia ventenne come mio figlio. Mi diceva: “noi a vent’anni non eravamo così: gli effetti rincitrullenti della televisione si vedono!”.
Sono d’accordo con lui, fatte salve le debite eccezioni individuali. Per il resto, è vero sicuramente che l’italiano vuole ammantarsi di apparenze e nascondere il suo status reale, è vero che non si possono leggere le parole di Curzio Maltese senza un sussulto di indignazione, è vero anche che il popolo italiano ha una essenza da baciapile che lo rende servile e che queste sono probabilmente le ragioni per cui siamo nella situazione socio-politica attuale… tuttavia la lettura del tuo post mi ha richiamato anche scenari più complessi, che secondo me sono ben riassunti in un articolo di Furio Colombo sul Fatto Quotidiano:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/04/l%E2%80%99opposizione-sonnambula/36367/.

Grazie alla segnalazione di Midhriel, ho avuto modo di leggere un irrequieto editoriale di Furio Colombo, pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 04/07/2010, (QUI) che diversamente sarebbe sfuggito alla mia attenzione.
Inutile dire che la lettura dell’articolo, mi ha ispirato alcune considerazioni che riporto qui di seguito, in una risposta che desidero rendere maggiormente pubblica:

Non avendo il dono della divinazione, quando cerco di intuire il futuro dell’Italia guardo sempre all’Argentina di Juan Domingo Peron e soprattutto al successivo “Processo di Riorganizzazione nazionale”, che tanto ricorda il nostrano “Piano di Rinascita nazionale” redatto a cura della Loggia P-2 del venerabile Licio Gelli: organizzazione massonico-eversiva alla quale risulta iscritta una parte consistente  dell’attuale Governo Berlusconi, premier incluso.
E se ogni fenomeno storico resta unico ed irripetibile nel suo genere, certe analogie danno da pensare:

«In Argentina (1976-1983), la giunta prese il potere in un contesto di crisi politica e violenza sempre più aspra nel paese. Dopo la frattura in destra e sinistra del movimento peronista, i gruppi terroristici e paramilitari anticomunisti e di destra crearono un clima di instabilità ed insicurezza nel paese, a cui risposero le organizzazioni guerrigliere e sovversive clandestine di sinistra. L’inasprimento del clima ed il continuo innalzamento del livello dello scontro erano finalizzati a creare un terreno di paura ed insicurezza sul quale poi l’esercito avrebbe posto le basi della propria brutale autocrazia.
[…] La politica economica era finalizzata al contenimento dell’inflazione e all’incoraggiamento degli investimenti stranieri, tramite la privatizzazione delle industrie nazionali, l’abbassamento delle tasse sulla produzione industriale e la garanzia di manodopera a buon mercato. In conformità con quella che è la dottrina economica liberista statunitense, lo smantellamento dei sindacati e l’abolizione dei diritti civili e dei lavoratori, contribuì a garantire ampi margini di profitto alle aziende straniere, che accorsero numerose durante la dittatura. I salari furono congelati, e, nonostante la recessione e la crescita dell’inflazione, rimasero uguali, facendo precipitare il potere d’acquisto della maggior parte delle categorie lavorative. Nessuno poteva scioperare o organizzarsi in sindacati, poiché l’esercito interveniva puntualmente facendo sparire gli “scontenti”. Le aziende straniere e le alte gerarchie della dittatura si arricchirono a dismisura, mentre il paese ed i suoi lavoratori si impoverirono.»

La citazione  è tratta da Wikipedia solo per praticità di consultazione, ma sembra essere abbastanza eloquente…
Non per niente, circa un argentino su due è di origine italiana; la quasi totalità della giunta golpista era costituita da oriundi italiani
(Massera, Galtieri, Agosti, Viola, Lambruschini, Graffigna…). Persino il generale Peron pare fosse di origini sarde.
Personalmente, tornando all’attuale situazione italiana, non sento rumore di sciabole alle porte, e non credo che una eventuale svolta autoritaria possa essere puntellata da un improbabile potere militare. Per quanto, la “professionalizzazione delle F.A.” e l’evidente fascistizzazione delle forze di Polizia (Memento Genova) favorisce la creazione di una certa ‘disponibilità’ repressiva…
Quello che però mi sembra possibile, è la preparazione di un humus sempre più fertile, coltivato con tenacia nel corso dell’ultimo quindicennio, sul quale far germinare soluzioni extra-ordinarie. E, con la scusa di “eventi drammatici”, giustificare l’istituzionalizzazione allargata di uno “stato d’eccezione”: tra decreti-legge, procedure d’urgenza, ordinanze speciali, commissari straordinari
Al raggiungimento di un simile obiettivo è speculare l’apatia di massa, tramite il costante intorpidimento delle coscienze; complice anche un’informazione manipolata ed il continuo filtraggio delle notizie.
Il timore risiede nel progressivo instaurarsi di una sorta di
“Cesarismo tecnocratico-autoritario” (se così si può definire) fatto di potentati economico-finanziari, lobbies affaristiche (Mafia), e demagoghi politici che facciano da collante con una massa acritica, destrutturata in plebe questuante.
Un nuovo ordine che non elimina la ‘democrazia’ ma la depotenzia progressivamente; la svuota di sostanza, elimina le garanzie ed esautora gli organismi di controllo, lasciando in piedi strutture vuote ma funzionali al mantenimento di una finzione democratica, come ipocrita rassicurazione da usare all’estero. E in questo, l’esempio più calzante che mi viene in mente è la tarda 
Respublica romana, timocratica e oligarchica, con i suoi Comitia, fondati su clientele e voto di scambio, ed i suoi gruppi di pressione organizzati (collegia e sodalicia).
A mio personalissimo giudizio, queste pulsioni in Italia ci sono sempre state. Sono insite nel DNA di un atomizzato microcosmo piccolo-borghese; nel provincialismo endemico di un intero Paese; nel familismo amorale che come un tratto distintivo è impresso nel carattere nazionale. Diciamo che per ipocrisia, forse per un residuo di pudore, certe “pulsioni” non venivano esternate troppo in pubblico. E certamente non venivano rivendicate con orgoglio. In proposito, il berlusconismo ha compiuto una vera mutazione antropologica: è il trionfo del bifolco, dell’uomo qualunque, che non avendo altri meriti, finalmente liberato da ogni inibizione residuale, può esibire tutta la sua mediocrità elevata a pregio assoluto.
Sempre secondo me, l’argine si è rotto con la scomparsa di una qualsivoglia parvenza di Sinistra in Italia, fosse essa comunista, socialista, socialdemocratica, repubblicana e azionista, o anarchica e libertaria
Non solo la Sinistra non ha più alcuna cittadinanza politica, ma sembra che ogni sforzo sia proteso alla sua completa cancellazione anche all’interno della società in ogni suo ambito. In questo, il contributo del PD (l’incollocabile Partito Democratico) è stato davvero eccezionale ed irreversibile. Come ho già detto in passato, Veltroni & Co. sono riusciti a fare in un solo anno ciò che a Mussolini non era riuscito di realizzare in 20 anni di dittatura.
Penso che qualcosa di simile sia riuscito soltanto alla SPD nella Repubblica di Weimar… sappiamo bene chi è arrivato dopo…!

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Chi l’ha visto?

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 novembre 2008 by Sendivogius

 

MACELLERIA ITALIANA

TAGLIATA ARGENTINA

 

 polizia-democratica

 

“Stavamo tutto il giorno sdraiate per terra, una accanto all’altra, incappucciate e bendate. Mani ammanettate e piedi legati. Non potevamo parlare né muoverci. Se lo facevamo ci prendevano a calci. (…) Se ce la facevamo addosso ci picchiavano. Se chiedevamo la bacinella non la portavano. E se la portavano ci costringevano ad esibirci. Intorno solo lamenti, sempre sotto una musica assordante.

(…) per tutta la notte, giocarono con me dicendo che la mattina dopo mi avrebbero ucciso. Anche quella notte la guardia mi fece sfilare per un’ora davanti a tutti i militari, nuda e bendata. Mi toccavano, facevano di me quel che volevano. E se mi lamentavo minacciavano ritorsioni sulla mia famiglia.

 

Buenos Aires 1976, Centro di detenzione clandestina dell’ESMA. Testimonianza di Hebe Lorenzo

Aula bunker di Rebibbia, gennaio 2007, processo contro gli ufficiali del Grupo de Tarea 3.3.2 per crimini contro l’umanità (Argentina 1976-1983).

 

Da dove dovrei cominciare? Devo raccontare le manganellate. Oppure gli schiaffi, i calci. L’umiliazione di spogliarsi davanti a uomini e donne che ridono di te. Che ti guardano, che scrutano ogni centimetro del tuo corpo, che ti penetrano con i loro occhi. Tu sei nuda, e ti senti così fragile. Sola. E tutto intorno a te è sporco, corrotto, nero. Appoggi i piedi sul pavimento e ti fa schifo, ti spingono da una parte all’altra e ti fa schifo, ti ticono alza braccia, e girati, e allarga le gambe, e accucciati e ti fa schifo.

(…) Ho visto un ragazzo per terra in un corridoio. Privo di conoscenza. Era a faccia in giù, in una posizione così innaturale. E poi ho scorto il sangue che gli usciva dalle orecchie. Fuori dalla cella ne ho visto pestare uno di brutto. Pugni, calci, bastonate. Sembrava un fantoccio, ad un certo punto ha smesso persino di provare a ripararsi dai colpi con le braccia. Uno dei poliziotti ha ‘sentitò che qualcuno li stava osservando. Ha alzato lo sguardo, ha incrociato il mio. E’ entrato in cella come una furia, mi ha preso per il collo, mi ha sbattutto con la faccia al muro.

(…) Un funzionario di polizia mi ha preso il passaporto, lo ha sfogliato. Mi ha mostrato le fotografie dei bambini. ‘Li vuoi davvero rivedere? Allora firma questo verbale. Altrimenti gli puoi dire addio’.

 

Genova 2001, Caserma di Bolzaneto. Testimonianza di Valérie Vie.

Brano estratto da “Bolzaneto. La mattanza della democrazia” di Massimo Calandri (Edizioni DeriveApprodi)

 

Riportare tutte le violenze, gli abusi, le continue violazioni ai danni degli internati nelle caserme di Bolzaneto e Bixio, sarebbe impresa troppo ardua per uno spazio così ristretto. Senza tacere le vessazioni e le minacce psicologiche, tramite i percorsi di umiliazione e degradazione sessuale che ogni sadico e aguzzino professionista ben conosce e pratica per annichilire ogni reattività nella sua vittima:

– A.F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: “Troia, devi fare pompini a tutti”.

– Ester Percivati, una giovane turca, ricorda che le guardie la chiamavano puttana mentre veniva condotta in bagno, dove un agente donna le spinse la testa in giù nella tazza e un maschio la derideva:”Bel culo! Vuoi che ti ci infili un manganello?” Diverse donne raccontarono di minacce di stupro, sia anale che vaginale.

È difficile condensare in poche righe la lunga catena di orrori che, con la loro cruda brutalità, hanno dimostrato come in Italia possano esistere ed essere tollerate delle enclave di non-diritto e, con complice omertà, istituzionalizzate tramite prassi perversa come nelle più truci dittature sudamericane.  

Non così hanno pensato i magistrati chiamati giudicare le violenze di Bolzaneto, che hanno sostanzialmente contestato il reato di “abuso di autorità” a carico degli imputati, comminando condanne irrisorie che grazie agli effetti della prescrizione e dell’indulto non genereranno conseguenze a carico dei pochissimi condannati.

 

Fratture multiple della scatola toracica. Polmoni perforati da schegge di costole rotte. Trauma cerebrale. Frattura della scatola cranica. Rottura scomposta degli arti. Frantumazione della mandibola.

Non è “Saw”, non è “Hostel”. Sono solo alcuni dei referti medici stilati per i ragazzi rastrellati durante l’irruzione alla scuola Diaz, dopo il trattamento speciale riservato loro dai poliziotti impegnati nel blitz: “autentici galantuomini e servitori delle istituzioni (P.F. Casini) che “meritano la gratitudine di tutti” (Alfredo Mantovano).

Dei 93 ospiti della “Diaz-Pertini” arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee.

Per farsi una pallida idea di che cosa è stato il raid in questione, leggete questo piccolo estratto:

 

Due tra gli ultimi ad essere catturati furono un paio di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un’armadio per le pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia avvicinarsi, battendo i manganelli contro le pareti delle scale. La porta dell’armadio si aprì, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una dozzina di agenti disposti a semicerchio intorno a lui. Zuhlke corse in corridoio e si nascose in gabinetto. Alcuni agenti la videro, la inseguirono e la trascinarono fuori per i capelli.

Nel corridoio la puntarono come cani con una lepre. Fu colpita alla testa e presa a calci da tutti i lati sul pavimento, dove sentì la sua gabbia toracica collassare. Fu trasportata fino al muro dove un poliziotto le puntò il ginocchio all’inguine, mentre altri continuavano ad assalirla con i manganelli. Lei scivolò lungo il muro e continuarono a colpirla a terra: “Sembrava che si stessero divertendo, quando ho gridato di dolore, la cosa sembrò dare loro ancora più piacere”. Alcuni agenti di polizia trovarono un estintore e spruzzarono schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna fu sollevata per i capelli e gettata giù per le scale a testa sotto. Infine trascinarono Zuhlke nella sala al piano terra, dove avevano radunato decine di prigionieri provenienti da tutto l’edificio in un caos di sangue e di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone.

“Non vedevo niente, soltanto macchie nere. Credo di essere per un attimo svenuta. Ricordo che sono stata gettata su altre due persone, non si sono mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non hanno risposto, sono stata sdraiata sopra di loro e non riuscivo a muovermi e mi sono accorta che avevo sangue sulla faccia, il braccio destro era inclinato e non riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si muoveva ma non ero più in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e pensavo che sicuramente mi avrebbero ammazzata”

(…) Passava un gruppo di agenti, ed ognuno di loro sollevò il fazzoletto che gli nascondeva il volto, e si chinò a sputarle in faccia.

 

Genova, 21 Luglio 2001. Blitz della Polizia alla scuola Diaz. (www.rinopruiti.it)

 

A proposito dei fatti della Diaz e di Bolzaneto, l’ex Ministro dell’Interno Giuliano Amato commentò che si trattava di “una gran brutta storia… bruttissima storia”, denunciando una “colpevole indifferenza”. Infatti quasi tutti i funzionari di polizia coinvolti nelle violenze di Genova sono stati promossi a massimi livelli dirigenziali. Molte delle promozioni sono avvenute durante il governo di centrosinistra del quale Amato era per l’appunto ministro.

Il tribunale di Genova, per il massacro alla Diaz, ha assolto 13 dei 29 imputati. Come nella precedente sentenza riguardo ai fatti di Bolzaneto, tutti i reati andranno in prescrizione nel corso del 2009 e le condanne non avranno effetto a causa dell’indulto. Quindi eventuali ricorsi in Appello all’atto pratico sono inutili.

Assolti i vertici della Polizia; dobbiamo dedurne che siano capitati alla Diaz così per caso, ritrovandosi coinvolti in un blitz senza pianificazione, improvvisato sul momento.

Assolti i funzionari che firmarono i farsi verbali d’arresto. Mica possono leggere tutto quello che sottoscrivono.

Assolti anche gli agenti Massimo Nucera e Maurizio Panzieri che simularono la coltellata ricevuta dal Nucera, assalito da feroci no-global nell’eroico espletamento delle sue funzioni. Si scoprì poi che d’accordo con Panzieri, il celerino Lucera si lacerò la giubba d’ordinanza per giustificare la durezza degli interventi. Per i giudici questo non costituisce un problema: per loro non c’è simulazione di reato, né falsa testimonianza, né alterazione delle prove. Infatti Nucera e Panzieri sono stati accusati di “calunnia”, e siccome il calunniato è sempre restato anonimo, era giusto che i due eroi venissero assolti con formula piena. Logico e lineare no?!?

In pratica, gli unici condannati sono stati Vincenzo Canterini (intanto promosso dirigente all’Interpol), il suo vice Michelangelo Fournier (che pure è stato l’unico a collaborare alle indagini) ed una manciata dei loro picchiatori dell’VII gruppo Celere di Roma.

Per l’episodio delle molotov il tribunale ha condannato Pietro Troiani (3 anni) e Michele Burgio (2 anni e mezzo) per la calunnia e per il porto illegale di armi da guerra. Pena interamente condonata. In compenso resta oscuro il misterioso ufficiale della DIGOS che mise materialmente in mano le molotov a Troiani e Burgio.

A tutti i condannati sono state concesse le attenuanti generiche e la non menzione della pena.

A “pagare” saremo innanzitutto noi cittadini, in quanto il Ministero si assumerà i costi dei risarcimenti a carico degli agenti condannati.

 

water-e-orso-bubi “TOC-TOC?!? C’è qualcuno in casa?”

 

Nella loro sconcertante condiscendenza, le sentenze di Genova sembrano riconoscere l’esistenza di una sorta di “diritto di polizia”, funzionale all’instaurazione discrezionale di uno stato d’eccezione contraddistinto dalla sostanziale impunità dei suoi fautori.

È alquanto inquietante che vengano mantenuti in servizio attivo e permanente, con mansioni di “ordine pubblico” una banda di pregiudicati e di psicopatici in divisa, che pensano di detenere un primordiale ius vitae necisque in una sorta di fratellanza guerriera che li pone al di sopra delle leggi e al di fuori del diritto.

Il quotidiano tedesco Tagesspiegel, nel commentare la sentenza genovese, è stato esplicito: “una tale brutalità può essere esercitata solo da una polizia aizzata dai suoi dirigenti. Picchiare in quel modo può osarlo solo chi si sente sicuro di avere le spalle coperte dalla politica. Le manipolazioni delle prove sono concepibili solo se chi le compie è convinto che in seguito la giustizia non gli creerà problemi. E la cosa in effetti ha funzionato“.

In Italia, se si esclude il giubilo entusiasta di Casini e della sua UDC, nell’opposizione parlamentare è giunto solo un sommesso bofonchio di Giulietti per conto dell’IdV che “auspica” una commissione parlamentare d’inchiesta (sì, magari a presidenza Gasparri-Mantovano) insieme ad una snocciolata di timide dichiarazioni sparse da parte di singoli esponenti del PD (quasi tutti ex “democratici di sinistra”). L’irruento Di Pietro, ex poliziotto ed ex PM, ha giustamente evocato lo spettro di Videla… peccato si riferisse a Berlusconi ed alla mancata elezione di Orlando alla commissione di Vigilanza RAI. In compenso si fanno imporre dal governo il margherito Villari che, in attesa di consultare anche il papa e i capitani reggenti della Repubblica di S.Marino, si guarda bene dal dare le dimissioni. Attendiamo con pazienza, che il tenero Walter finisca di gingillarsi con la vittoria di Obama, rammentandosi di vivere in Italia e di essere (suo e nostro malgrado) a capo della maggiore forza di opposizione. Almeno per ora. Perciò, imponga a Villari dimissioni o espulsione, finisca di consultare le 18 e passa correnti che compongono il suo partito e ci onori anche lui di una dichiarazione ufficiale sulla questione.