Notiziona stagionata della settimana: la sedicente Corte Penale Internazionale (per gli amici, “CPI”), su richiesta dell’Ucraina (che non riconosce la CPI), con sommo compiacimento USA (che non riconoscono la CPI), ha incriminato per presunti “crimini di guerra”, il presidente della
Federazione Russa (che non riconosce la CPI). Si tratta del super-villain Vladimir Putin, in arte “The Butcher”: personaggio da fumetto pulp che dovrebbe essere già deceduto da tempo, per svariati malanni diagnosticati a distanza per mezzo stampa.
Dalle parti di Kiev, è invece tutto irreprensibile: tipo quello che cita Adolf Eichmann, per invocare lo “sterminio dei bambini russi” [QUI]; o lo stimato avvocato costituzionalista, esperto in diritto umanitario, e medico che ordinava l’evirazione dei feriti russi catturati [QUI], e altre goliardate così. No, non sono mica nazisti. E quello della CPI non è esattamente Strabismo di Venere.
Un altro macellaio, ben più che conclamato, presiede il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, col record di violazione dei diritti medesimi, nonché il “ricorso endemico” alla tortura tra le varie cosette che contraddistinguono il Rinascimeno Saudita magnificato dal Renzie d’Arabia.
Ma vabbé! Si tratta di quisquiglie insignificanti, che non scuotono minimamente l’ipocrisia monumentale del cosiddetto “Occidente” (una propaggine coloniale dell’impero americano).
A parte il piccolo dettaglio che il principe Bin-Salman non risulta minimamente inquisito dalla CPI per le sue pratiche tipicamente rinascimentali, alla Corte Penale Internazionale dell’Aja deve essere sfuggita l’incriminazione di almeno qualche centinaio di dittatorelli sparsi per il mondo, in massima parte intronizzati col beneplacito occidentale (perché saranno anche dei figli di puttana, ma sono pur sempre i ‘nostri’ dittatori), insieme ai loro sponsor e protettori ‘democratici’, che ne garantiscono la sopravvivenza politica e permanenza al potere, con buona pace di quei “diritti umani” validi a targhe alterne.
Se l’incriminazione di Vladimir Putin ha un qualche valore minimamente morale, assieme all’uso assolutamente strumentale della CPI che si presta a certi giochetti, accanto al cattivone di tutte le Russie, sul banco degli imputati per chiamata in correità dovrebbero sedere almeno una dozzina di presidenti degli Stati Uniti, tra cui la family dei Bush al gran completo, accompagnata dalla banda di neo-cons che pretendevano di ridisegnare l’ordine mondiale a propria immagine e somiglianza, con l’avvento di un nuovo secolo americano.
A 20 anni esatti della scellerata invasione dell’Iraq e dall’inizio delle guerre umanitarie (l’istituzionalizzazione di una bugia, nella certezza di farla franca), si dovrebbe avere la decenza di ricordare ed il pudore di risparmiarci lezioncine morali di diritto internazionale.
Strano che si permetta (ancora) ad un Domenico Quirico (che finalmente ha scoperto come menzogne e propaganda siano soprattutto ‘democratiche’) di ricordare l’infame impresa sulle paginette del quotidiano più fanaticamente atlantista, tra le sturmtruppen di invasati che invocano la terza guerra mondiale, e l’avvento di angeli vendicatori con tempeste di fuoco nella mistica dello sterminio, sbavando il loro furore guerriero sui divanetti dei tank show d’assalto.
“Iraq, 20 anni senza un perché”
L’invasione americana e inglese del 20 marzo 2003 si basava su prove false e ora sappiamo che menzogna e propaganda sono anche democratiche
«Le guerre sono quasi sempre mancanza di un perché, non hanno alcun significato, sono soltanto confusione e paura. Venti anni fa (le 23.30 ora di Washington, le 5. 30 ora di Baghdad), iniziò la invasione dell’Iraq da parte degli americani e degli inglesi. Il perché era semplicemente, desolatamente una gigantesca deliberata, pianificata, bugia. A ingannarci non fu Saddam, il dittatore, solo l’ultima delle canaglie psicopatiche del Novecento. Da lui con mani e sogni sporchi di sangue che altro potevamo aspettarci? Eravamo vigili, sospettosi con lui. Ci ingannò una democrazia, anzi la Democrazia, e ci incamminammo verso la peggiore delle catastrofi, la catastrofe morale. Con l’America eravamo fiduciosi, inermi, anche ad avere nari sottili non sentivamo odore di zolfo. Una avvelenata propaganda ci corruppe. Siamo entrati da allora in una epoca di liquidazione, di dissoluzione. Quella guerra ha distrutto molto, uomini sentimenti valori, non siamo stati in grado di ricostruire granché. E dopo venti anni siamo di nuovo in guerra. Incapaci di distinguere ormai verità e bugie.
Erano passati solo pochi minuti dalla scadenza dell’ultimatum: il presidente Bush aveva dato poche ore di tempo a Saddam Hussein per lasciare l’Iraq. In perfetto orario gli aerei americani iniziarono a colpire Baghdad per mostrare a Saddam, subito, che non era più invulnerabile. Guardavamo la CNN: ecco un’altra delle città che si smembrano davanti a noi, nei loro mattatoi. Poche ore dopo missili iracheni colpirono a caso il territorio del Kuwait. I soldati americani indossarono frettolosamente le maschera antigas e i completi per la guerra chimica. Già. L’angoscia per le micidiali armi chimiche del Rais… Precauzione inutile. Nessuno dei comandanti aveva spiegato loro che l’esistenza di quelle armi faceva parte della Grande Bugia.
Sugli schermi delle televisioni irachene apparve il dittatore: arrogante, violento come al solito. Per promettere “la vittoria” e “la gloria”, inveendo contro “gli invasori diabolici” e “i sionisti”. L’operazione si chiamava “Libertà per l’Iraq’’. Bush in un discorso alla nazione disse: “Ai soldati americani che vanno a combattere per noi dico buona fortuna e che dio vi protegga”.
Venti anni dopo che serve rievocare quella guerra: le avanzate rapide verso Bassora, Baghdad, Tikrit, le colonne dei soldati di Saddam in fuga calcinate dalle bombe al fosforo, la statua del dittatore trascinata al suolo con la faccia verso il cielo, qualche teppista iracheno che si avvicina, incerto, per sputare sul simbolo del dittatore e ingraziarsi i marines, tutti gli altri che osservano da lontano? Restano in silenzio. Un sintomo. Un segno. Ciò che si deve rievocare, scrupolosamente, bugia dopo bugia, senza dimenticar nulla è come ci ingannarono. Bush e i suoi sgangherati apostoli del Nuovo Ordine Globale. Che cosa era? Un violento, immorale, ipocrita imperialismo del caos, fatto di invasioni illegali, prepotenze diplomatiche, saccheggi economici, menzogne umanitarie.
Ripensiamo al tempo che precedette quel 30 marzo: le torri che crollano, i tre aerei trasformati in missili Cruise dal genio terrorista e suicida di Bin Laden, il patriottismo americano che vibra, in tutte le città le bandierine che sventolano senza posa dai finestrini di tutte le auto, dalle radio ossessiva la canzone di Tom Keith, il peana dei marines che prendono a calci nel sedere i cattivi di tutto il mondo: “… Perché è così che siamo fatti/così sono gli americani… “. E ancora: sul New York Times , la bibbia quotidiana dei ‘’liberal’’, i bugiardi servizi di Judith Miller sulle armi di distruzione di massa irachene “pronte all’impiego nel giro di 45 minuti!” diamine! È provato… lo giura anche Blair, il servizievole maggiordomo inglese. Thomas Friedman, a colpi di editoriali, garantiva che perfino la pace “impossibile’’ in Medio Oriente sarebbe arrivata come effetto collaterale, miracoloso alla fine di quella guerra.
Ah! Se avessimo ascoltato l’undici settembre, le torri ancora fumavano di morte, Rumsfeld al Pentagono già annunciava che bisognava attaccare non solo l’Afghanistan ma anche l’Iraq: “Quanto risulta dagli attentati alle torri gemelle deve consentirci di colpire oltre che Bin Laden anche Saddam. Dateci dentro di brutto, raccogliete tutto. Indicazioni che si legano agli attacchi ma anche quelle che non vanno bene”.
E sì, si diedero proprio da fare di brutto. Cheney, il vicepresidente, a garantire che in Niger c’erano le prove dell’acquisto dell’uranio da parte di Saddam per costruire l’atomica. Confermava, guarda guarda, Rasmussen premier danese: a Baghdad hanno l’atomica. Paziente passò all’incasso nel 2009: segretario generale della Nato. Vien da pensare a qualcun altro… fu la macchinazione perfetta, sfrontata, selvaggia di come anche in una democrazia si può inventare una guerra ancor più efficacemente che nelle tirannidi. Al segretario di Stato Colin Powell spettò la recita finale, in una seduta del Consiglio di sicurezza. Annunciò che avrebbe comunicato ciò che gli Usa sapevano sulle armi di distruzioni di massa e sulla partecipazione dell’Iraq ad attività terroristiche. Poi brandì davanti alle telecamere una provetta piena di polverina bianca.
Presiedeva la seduta il ministro degli Esteri tedesco Joscha Fischer. Lui sapeva che quella prova era una menzogna spudorata. Perché la fonte americana aveva solo un nome: il dottor ingegner Rafid al Janabi, un iracheno che per ottenere rifugio in Germania aveva fatto sensazionali rivelazioni ai servizi tedeschi: che in Iraq c’erano truppe già pronte a impiegare le armi chimiche nascoste alle ispezioni dell’Onu. I servizi avevano facilmente accertato che era un bugiardo, per di più un bugiardo mediocre. Berlino aveva avvertito gli americani. Ma “Cuverball’’, il suo nome in codice, era la principale fonte delle rivelazioni di Powell. Attese il 2005 il segretario di Stato per dire che quella recita lo “addolorava ancora”.
Non tutti si fecero ingannare. Chirac rifiutò di partecipare ritagliandosi un posto onorevole nella Storia. Le piazze si riempirono di manifestanti contro la guerra americana. E fu, purtroppo, l’ultima volta. Il 24 marzo furono consegnati gli Oscar e vinse, con metafisica indifferenza alla tristezza dei tempi, una commedia dal titolo “Chicago”. Molte star si vestirono austeramente di nero, qualcuno esibì perfino la spilla con la colomba della pace. Il regista Michael Moore accusò Bush di raccontar bugie: «Si vergogni!», gridò.
Il primo maggio sul ponte della portaerei Lincoln Bush proclamò la vittoria. Un anno dopo molti dei soldati che avevano “vinto’’ erano di nuovo in Iraq: cadevano nelle imboscate, venivano bombardati feriti mutilati uccisi come se nulla fosse accaduto. A Washington intanto annunciavano che in un anno il Paese sarebbe stato ricostruito. Mentire alla fine ti lega come una corda sempre più stretta. Non ti puoi fermare.
Saddam è stato impiccato, i mediocri e pericolosi ideologi della semplicità manichea dell’impero americano sono degli ex in pensione o sono morti. Ma da quella bugia è balzato fuori il disordine in cui viviamo, il califfato totalitario in Iraq e la guerra in Ucraina.
Dopo il 2003 non è più possibile dare un limite cronologico alle guerre, fissare un inizio con la sua proclamazione e la fine con la vittoria e la sottomissione dello sconfitto. La guerra in Iraq era iniziata sotto Bush padre, sospesa con l’embargo sotto Clinton e ripresa sotto Bush junior e non è ancora finita. Se un tempo la pace era lo scopo della guerra la bugia ci ha fatto scoprire che la guerra è diventata lo scopo della pace. Infettati dalla constatazione che menzogna e propaganda sono anche democratiche, è ormai impossibile dire: non possiamo immaginare che…»
Noi in realtà l’abbiamo sembre immaginato benissimo… Colpa di quella cosa brutta che chiamano “complessità” e che mal si abbina con l’elmetto d’ordinanza.
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