Argentina mi amor

Zio Tibbia

A noi il presidente del consiglio Mario Monti, tuttora premier ‘tecnico’ (poiché, seppur dimissionario, è ancora in carica e piena attività) di un governo mai eletto, sfiduciato e privo di maggioranza, che lungi dal limitarsi all’amministrazione corrente continua imperterrito a legiferare per decreto, e con un parlamento pressoché assente perché in campagna elettorale, senza che su una simile anomalia costituzionale il sommo Garante abbia nulla da ‘monitare‘, ha sempre ricordato per rigidità rigorista e strategie economiche Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932. Della preoccupante analogia, avevamo già parlato in dettaglio QUI.
Carlos Saul Menem (Retrato Oficial 1989)Ora, scopriamo invece (QUI ma anche QUI) che il vero modello della politica montiana è in realtà l’Argentina del presidente Carlos Menem: sconcertante emulo berlusconiano del populismo sudamericano, invischiato in traffici illeciti e plurinquisito, principale responsabile del crollo economico dell’Argentina e della vendita dissennata ai privati delle maggiori industrie produttrici nazionali, insieme al suo ministro delle finanze Domingo Cavallo. Quest’ultimo divenne famoso per la rocambolesca fuga in elicottero, assediato da una folla di migliaia di argentini inferociti e ridotti sul lastrico dalle sue catastrofiche ricette ultra-liberiste.

LA STAMPA - Monti e Menem

In una rara intervista pubblicata su La Stampa del 13/08/1994 era già racchiuso in tutta la sua attuale freschezza il Monti-pensiero, giunto fino ad oggi imperturbabile ed immutato…
Fiducia messianica nel potere auto-regolatore della “finanza”; primato assoluto e sacrale dei “mercati” che non sono una creazione umana, ma emanazione divina a cui piegare le leggi degli uomini e consacrare la vita dei popoli.
Dalla scelta cinica a “scelta civica”, c’è quasi un richiamo straussiano alla “nobile menzogna”: un’elite di sapienti che finge di conformarsi ai voleri delle moltitudini ignare; ne asseconda le illusioni per indirizzarne le credenze e con l’inganno carpirne il consenso, per rimettere tutto il potere nella disponibilità assoluta di pochi “eletti”.

I Racconti della Cripta

A proposito del primo Governo Berlusconi, incalzato dall’intervistatore, il banchiere prestato alla propaganda chiosa serafico:

«Il governo, alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del Paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”»

Domingo Cavallo Domingo Felipe Cavallo, oriundo italiano della provincia piemontese (Buriasco), è un banchiere prestato alla politica. Ça va sans dire!
Nel 1991, in qualità di ministro dell’economia, Cavallo fa approvare uno speciale piano di convertibilità che fissa la parità di cambio tra il peso argentino ed il dollaro statunitense, con il preciso scopo di ridurre l’altissimo tasso di inflazione del paese sudamericano, in una prospettiva monetarista. Il piano di convertibilità presenta però un inconveniente di natura pratica: la perdita di sovranità monetaria e l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, mentre le sorti di una valuta debole come il pesos argentino vengono legate alle fluttuazioni di una moneta forte come il dollaro, tramite il cambio fisso, con l’impossibilità da parte del governo centrale di controllarne le oscillazioni e di orientarne le dinamiche macroeconomiche.
Per stare in piedi, un simile piano è sostenibile solo attraverso politiche fortemente liberiste, incentrate su un’austerità ad oltranza, tramite la riduzione costante del debito e saldo di bilancio proiettato ben oltre l’avanzo primario. Se si vuole mantenere l’agganciamento alla moneta forte, la ricetta rigorista implica altresì l’accettazione di parametri rigidi e speciali “agende” appositamente confezionatr dal FMI e dalla Banca Mondiale, con la supervisione interessata di organismi privati. Per dirla col prof. Mario Monti, l’intera politica economica di uno Stato sovrano è ispirata e rimessa alle autorevoli opinioni espresse nei mercati e nei bollettini delle principali banche d’investimento, tutte analisi che hanno un gran peso nel determinare i comportamenti degli operatori del mercato.
Impropriamente, è quanto avvenuto in Italia (e non solo) con il passaggio dalla lira all’euro, tramite l’adozione di parametri transnazionali e non negoziabili.
Per garantire la stabilità monetaria ed il mantenimento del cambio fisso, senza ripercussioni sull’andamento monetario, il piano di stabilità voluto dal ministro Cavallo ed imposto dal presidente Menem prevede una massiccia serie di privatizzazioni, con la totale dismissione del patrimonio pubblico ed il taglio radicale della spesa sociale. In pochi anni, vengono (s)vendute sul mercato tutte le risorse pubbliche e nazionali, con valutazioni (al ribasso) affidate alle principali banche d’investimento private, tra le quali si distingue la statunitense Merrill Lynch, specializzata in finanza strutturata.
Grazie all’improvvisa liquidità affluita dalla privatizzazioni selvagge, nell’arco del triennio 1991-1994, l’economia argentina conosce un aleatorio quanto illusorio incremento del PIL, con un effimero rilancio degli investimenti produttivi e con la ripresa dell’industria automobilistica (che coincide con gli investimenti FIAT).
Sul piano sociale, le politiche economiche attuate dal duo Menem-Cavallo si concretizzano attraverso uno smantellamento progressivo delle tutele contrattuali ed occupazionali, con la compressione dei sindacati, la liberalizzazione dei contratti ed una sostanziale contrazione dei salari per rendere “più competitive le imprese sui mercati” “incrementare la produttività”. Nella pratica ciò si traduce in condizioni di lavoro peggiori e salari più bassi. La liquidazione del settore pubblico ed il taglio radicale dei servizi provoca sul medio periodo un aumento costante della disoccupazione che raddoppia in pochi anni, in parallelo con l’impoverimento della classe media. 
Tra le privatizzazioni più interessanti, c’è il caso della vendita della compagnia aerea di bandiera, ovvero le Aerolìneas Argentinas. Si tratta di uno dei primi esempi conclamati di bad company: la società viene regalata a prezzi stracciati ai privati, mentre tutti i debiti vengono accollati allo Stato che si fa carico delle passività. Ma il sistema viene universalizzato all’intero piano di dismissioni: risanamento e debiti rimessi al pubblico; profitti interamente privati e depurati da oneri.
Augusto Ugarte PinochetUn altro punto di forza risiede nella riforma pensionistica, che ricalca fedelmente quella promossa sotto la dittatura cilena del generale Pinochet dal ministro José Piñera. Ispirata alle politiche neo-liberiste dei Chicago Boys, la Riforma Piñera è sostanzialmente identica al suo omologo italiano, la Riforma Fornero, che insieme alla famosa Agenda Monti molto sembra attingere dal vecchio “Progetto Cile” (Proyecto Chile), riscritto nel 1990 e aggiornato al 2010, dal golpista Piñera frettolosamente riciclato in democrazia.
Tornando in Argentina, il prosciugamento degli investimenti pubblici, non compensati da quelli privati, insieme al crollo dei redditi, si traduce in una drastica riduzione della domanda aggregata con una crisi economica senza precedenti, accompagnata ad una esplosione delle disuguaglianze sociali ed una ripresa del debito pubblico, una volta esaurita l’onda corta delle “liberalizzazioni”.
Nel 2001 Domingo Cavallo, il notevole ministro dell’economia, viene ripescato nel governo del presidente Fernando de la Rúa. La crisi economica si evolve presto in crisi finanziaria col crollo del sistema bancario, la fuga di capitali, e la corsa agli sportelli di credito da parte dei correntisti per ritirare gli ultimi spiccioli dalle banche. Cavallo non ha niente di meglio che imporre il blocco dei prelievi ed il limite all’uso del contante, provocando una rivolta su scala nazionale e sfuggendo per poco al linciaggio. Ciò non impedirà allo straordinario Cavallo di accreditarsi come grande economista e di far parte del cosiddetto Gruppo dei Trenta, peraltro in buona compagnia visto che in questa organizzazione di banchieri centrali e finanziari internazionali fa parte anche Mario Draghi. E non senza polemiche [QUI].
Nel Novembre 2001 con la fuga di De la Rua ed un triennio di cure da Cavallo, il notevole ministro dell’economia lascia un paese stremato da tre anni di recessione e sprofondato nella depressione economica con un tessuto sociale in pezzi.
I redditi medi degli argentini sono precipitati ai livelli del 1976 (con un arretramento trentennale).
Sempre nel 2001, nonostante i tagli selvaggi e le privatizzazioni radicali, il debito pubblico argentino passa dagli 8.000 milioni di dollari a circa 160.000 milioni. Nello stesso periodo, l’Argentina ha rimborsato intorno ai 200.000 milioni di dollari, vale a dire circa 25 volte quello che doveva nel marzo del 1976. Questo perché gran parte dei prestiti e dei capitali affluiti con le privatizzazioni sono stati utilizzati per rifinanziare debiti e titoli scaduti e impegnati come garanzia per i creditori esteri, mentre il gettito fiscale viene usato per ripagare gli interessi sul debito, per l’80% detenuto da istituti finanziari internazionali.
Questa è l’eredità di Cavallo e delle agende neo-liberiste.

Com’è ovvio, attualmente il principale problema dell’Argentina è il governo di sinistra dei Kirchner, non certo le politiche della destra liberista (e golpista) che hanno portato il Paese allo sfascio e che anzi ‘qualcuno’ vorrebbe esportare in Italia, magari col partito serio e riformista a tenergli il moccolo per “senso di responsabilità”.
Licoreria Francisco Monti y HermanosDel resto, Mario Monti conosce bene l’Argentina, dal momento che la sua famiglia storicamente in tale paese ha vissuto e prosperato… Il papà Giovanni è nato a Luijan nel 1888, dove nonno Abramo aveva fondato un’omonima distilleria, per la produzione locale di birra e liquori, salvo rientrare in Italia nel 1907. A proposito, è curioso notare come l’uomo che aborre il posto fisso e predica il ricambio sociale, provenga da una dinastia di funzionari di banca giunti alla quarta generazione nella trasmissione ereditaria del mestiere. Manco nel feudalesimo!
Father & Son - Abramo e Giovanni MontiMa Monti sembra conoscere ancor meglio le potenzialità sudamericane… Non per niente sembra accompagnarsi a personaggi come Ugo Di Martino, che parrebbe essere il referente delle cosche calabresi in America Latina [QUI], esperto in brogli elettorali e voto di scambio.
È il nuovo che avanza. E non promette niente di buono.

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15 Risposte to “Argentina mi amor”

  1. scorpionedargento Says:

    interessante il parallelismo con l’Argentina.

  2. Il Ribelle Says:

    Credo comunque che ci siano, delle differenze sostanziali. Per esempio, non si può paragonare l’annessione di una moneta alla creazione di una moneta unica creata in base a regole condivise. E si parte comunque da paramentri differenti (inflazione a altro). Ci sono sì delle similitudini, le analizzo da anni, ancora non siamo a quei livelli ma i prossimi 2-3 anni saranno fondamentali e difficili da affrontarte. Ci si può arrivare, le scelte del prossimo governo saranno strategiche, un solo errore si pagherà caro..

    • Più che di ‘scelte’, l’opzione principale prevede l’obbedienza ad un copione già scritto da altri, secondo una pantomima prestabilita.

      🙂 Non entrerò nel merito della questione… dirò solo un nome:
      Robert Mundell, conosciuto anche come “il padre dell’euro“.
      In concreto, si tratta di un grasso stronzo canadese di cui invito caldamente a leggere la biografia economica e politica.

      E aggiungerò solo tre parole: “Area valutaria ottimale”.
      Controlla tu quanti e quali requisiti vengono rispettati nella zona euro, che dovrebbe rappresentarne il modello realizzato.

      • Il Ribelle Says:

        Conosco Mundell, e tutta la teoria dei requisiti (teorici), riportati su wiki abbastanza scarni e semplicistici, del modello su cui si basa l’euro. Ci sono parecchi libri (di economisti americani) che trattano la questione. La questione dal punto di vista teorico è abbastanza complessa. Però come ci insegna l’economia, le teorie servono prevedere gli impatti e le conseguenze, poi bisogna valutare gli effetti ed eventualmente intervenire quanto le cose non vanno come si era ipotizzato. Questo è il reale valore aggiunto che si può dare e quello, se vogliamo, più difficile da gestire e manipolare al di là di tutti i trattati teorici. Quindi in sostanza valutare benefici e non, e i margini di manovra rispetto al modello economico.

        Fammi però capire quali sono i punti che non condividi, nello specifico, così ne discutiamo.

      • Il Ribelle Says:

        “:) Non entrerò nel merito della questione… dirò solo un nome:”

        Sorry…non avevo letto….fai finta che non abbia scritto:

        “Fammi però capire quali sono i punti che non condividi, nello specifico, così ne discutiamo.”

        🙂

  3. scorpionedargento Says:

    il problema secondo me è che si è fatta l’unione monetaria ma non l’unione politica e fiscale (solo che penso gli altri paesi europei non avrebbero voluto condividere il debito pubblico dei pigs) e quindi i paesi come ad esempio la Polonia visto sistemi fiscali e di costo del lavoro più favorevoli del nostro stanno sostituendo la nostra industria.

    • Un’area monetaria incentrata sul cambio fisso presuppone una perfetta integrazione sistemica delle rispettive economie di zona, tramite l’armonizzazione delle politiche fiscali, dei prelievi e della redistribuzione dei redditi, onde contenere gli shock asimmetrici.
      Laddove questo non avviene, la crisi diventa endemica aggravando la posizione degli anelli più esposti (non necessariamente più deboli) della catena.

      Una favoletta molto comune vuole che l’Economia sia una scienza “triste” ma esatta, piuttosto che una pluralità di teorie macroeconomiche a validità relativa.
      L’euro è il prodotto di una visione economica di stretta osservanza monetarista: una derivazione della vecchia scuola classica di economia, con nome e cognome Milton Friedman, in rivalsa contro gli odiati modelli keynesiani.
      Si tratta di principi economici talmente ‘tecnici’, nella loro asetticità oggettiva, che da 30 anni sono alla base della prassi politica della destra anglosassone, della reaganomics, e dei governi conservatori europei.
      E quindi l’impianto politico ed il retroterra ideologico è chiarissimo.
      Per funzionare, l’euro (in assenza di una unione di tipo federale) ha bisogno per l’appunto di un’area valutaria ottimale; cosa che oggi la UE a tutti gli effetti NON è. Questo, se vuole fronteggiare con successo gli shocks recessivi dei singoli paesi aderenti al regime di cambio fisso.
      In caso contrario, in presenza di shock negativi, è necessario allentare i vincoli di bilancio se si vuole uscire dalla crisi senza innestare spirali recessive.
      Se ciò non è possibile, perché si teme di destabilizzare in tal modo l’area macroeconomica del cambio fisso nella sua totalità, allora bilanci, debiti, e risorse, devono essere comuni e redistribuiti per armonizzare il sistema nella sua piena integrazione.
      Mi sembra che attualmente, non ultimo l’accordo sul bilancio europeo (tutto tagli e distribuzioni clientelari), vada nella direzione esattamente opposta. Quindi il sistema euro non sta funzionando come dovrebbe e l’attuale crisi economica potrebbe aggravarsi al punto da diventare, oltre che endemica, ‘sistemica’.
      Per l’appunto, uno degli esempi possibili di fallimento di un regime di cambi a tasso fisso, con l’impossibilità di gestire liberamente le proprie politiche economiche e monetarie, è l’Argentina dei Menem e Cavallo e De la Rua….

      • Il Ribelle Says:

        “Un’area monetaria incentrata sul cambio fisso presuppone una perfetta integrazione sistemica delle rispettive economie di zona, tramite l’armonizzazione delle politiche fiscali, dei prelievi e della redistribuzione dei redditi, onde contenere gli shock asimmetrici.”

        Questo è vero fino ad un certo punto. Gli Stati Uniti, che sono un sistema federale, hanno in parte una tassazione federale ed in parte una tassazione governativa. Alcuni Stati (degli States) hanno economie più forti altre molto meno, alcuni sono piccoli altri molto grandi. E’ proprio l’unità monetaria che tende a compriemere questo fenomeno, non è il contrario.

        “Laddove questo non avviene, la crisi diventa endemica aggravando la posizione degli anelli più esposti (non necessariamente più deboli) della catena.”

        Non sono d’accordo. Le crisi economice tendono ad essere smorzate da una unione monetaria. Nel caso della Grecia, per esempio, si sarebbe raggiunto sicuramente il default con effetti molto simili a quelli argentini, ad oggi fortunatamente, ancora non ci si è arrivati.

        “Una favoletta molto comune vuole che l’Economia sia una scienza “triste” ma esatta, piuttosto che una pluralità di teorie macroeconomiche a validità relativa.”

        Concordo pienamente.

        “L’euro è il prodotto di una visione economica di stretta osservanza monetarista: una derivazione della vecchia scuola classica di economia, con nome e cognome Milton Friedman, in rivalsa contro gli odiati modelli keynesiani.”

        E’ questa la sfida. Qui si può ridiscutere e rivedere il Fiscal Compact e cercare una convergenza sulle politiche fiscali. Qui peseranno molto le elezioni di Germania e Italia. Non dimentichiamoci che l’Italia, dato il peso della sua economia, ha diritto di veto sulle scelte economiche dell’area Euro.

        “Si tratta di principi economici talmente ‘tecnici’, nella loro asetticità oggettiva, che da 30 anni sono alla base della prassi politica della destra anglosassone, della reaganomics, e dei governi conservatori europei.”

        Vero.

        “E quindi l’impianto politico ed il retroterra ideologico è chiarissimo.
        Per funzionare, l’euro (in assenza di una unione di tipo federale) ha bisogno per l’appunto di un’area valutaria ottimale; cosa che oggi la UE a tutti gli effetti NON è.”

        E’ quello il “sogno europea”, gli Stati Uniti d’Europa.
        Questo come detto, dipenderà dagli assetti politici dei vari governi. Se Germania Italia e Francia avranno governi socialdemocratici, la musica cambierà, e su questo sono pronto a scommeterci.

        “Questo, se vuole fronteggiare con successo gli shocks recessivi dei singoli paesi aderenti al regime di cambio fisso.
        In caso contrario, in presenza di shock negativi, è necessario allentare i vincoli di bilancio se si vuole uscire dalla crisi senza innestare spirali recessive.”

        Concordo pienamente.

        “Se ciò non è possibile, perché si teme di destabilizzare in tal modo l’area macroeconomica del cambio fisso nella sua totalità, allora bilanci, debiti, e risorse, devono essere comuni e redistribuiti per armonizzare il sistema nella sua piena integrazione.”

        Questo forse non è possibile, non avviene neanche negli Stati Uniti.

        “Mi sembra che attualmente, non ultimo l’accordo sul bilancio europeo (tutto tagli e distribuzioni clientelari), vada nella direzione esattamente opposta.”

        Vero.

        “Quindi il sistema euro non sta funzionando come dovrebbe e l’attuale crisi economica potrebbe aggravarsi al punto da diventare, oltre che endemica, ‘sistemica’”.

        Questo non l’ho ancora capito. Il problema è che non abbiamo “Exit Strategy”, per poter far fronte ad una crisi sistemica.

        “Per l’appunto, uno degli esempi possibili di fallimento di un regime di cambi a tasso fisso, con l’impossibilità di gestire liberamente le proprie politiche economiche e monetarie, è l’Argentina dei Menem e Cavallo e De la Rua….”

        Per tutto quello che abbiamo detto credo che questo paragone non calzi, se non avessero creato il cambio fisso, visti gli errori macroscopici politici del paese, sarebbere arrivati al default ugualmente. Anche se, la politica del cambio fisso in quella situazione economica, è stato sicuramente un errore. Completamente diverse le problematiche dell’Euro e della crisi “sistemica”. Anche se, come abbiamo detto, similitudini con l’Italia ce ne sono.

    • Il Ribelle Says:

      “il problema secondo me è che si è fatta l’unione monetaria ma non l’unione politica e fiscale (solo che penso gli altri paesi europei non avrebbero voluto condividere il debito pubblico dei pigs) e quindi i paesi come ad esempio la Polonia visto sistemi fiscali e di costo del lavoro più favorevoli del nostro stanno sostituendo la nostra industria.”

      Concordo pienamente.

      E qui la sfida europera. Quello che possono portare governi socialdemocratici europei, in oppsizione ai partiti popolari. In tal senso le elezioni in Germania saranno fondamentali, anche più di quelli italiane.

    • Il Ribelle Says:

      “(solo che penso gli altri paesi europei non avrebbero voluto condividere il debito pubblico dei pigs)”

      Permettimi però un ulteriore precisazione. Questo non è possibile e forse neanche giusto. Non si può condividere il Debito, quello che si può fare però è condividere gli interessi sul debito, questà è la vera sfida, dove stati un interessi sul debito più bassi non hanno alcun interesse a “condividere gli interessi sul debito”. Cioè in sostanza, non dovrebbe esistere “Spread” all’interno dell’area Euro. Questo è il vero punto cardine, su cui tutti i governi socialdemocratici europei dovrebbero fare fronte comune.

  4. jaycanto Says:

    Quale sarebbe il parallelismo tra il sistema pensionistico (pan)americano, che è a capitalizzazione, e quello della riforma Fornero, che rimane a retribuzione?

    • Ottima e semplice osservazione, ad evidenza di un mio errore marchiano.
      Sono i rischi, ed i limiti impliciti, quando si confida troppo nella propria memoria e scrivendo a braccio si trascura la verifica di un dettaglio fondamentale.
      L’errore (perché di questo si tratta) scaturisce dall’aver considerato parte integrante della riforma le bozze circolate in merito alla conversione del decreto legge 201/2011, inerenti il cap.IV (Disposizioni in materia di trattamenti pensionistici). A tal proposito, la Fornero aveva ipotizzato il prelievo di un’aliquota contributiva dell’8% da impegnare come capitalizzazione nella previdenza integrativa gestita da fondi privati (nella riforma cilena mi pare che la capitalizzazione individuale si aggiri attorno al 10%), nonché l’estensione dei c.d. pip anche agli “esodati”…

      La riforma Fornero contempla infatti tra i suoi obiettivi di breve periodo l’introduzione ed il rafforzamento di forme di previdenza complementare e dei piani individuali pensionistici legati alla previdenza integrativa privata, giacché è ovvio che così com’è concepita la riforma previdenziale non garantisce una copertura pensionistica adeguata ai nuovi contribuenti.

      In tal senso, le intenzioni esplicite sono contenute nei commi 28 e 29 all’Art.24 del DL 201 e successiva legge di conversione (n.214 del 22/12/11):

      28. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, costituisce, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, una Commissione composta da esperti e da rappresentanti di enti gestori di previdenza obbligatoria nonché di Autorità di vigilanza operanti nel settore previdenziale, al fine di valutare, entro il 31 dicembre 2012, nel rispetto degli equilibri programmati di finanza pubblica e delle compatibilità finanziarie del sistema pensionistico nel medio/lungo periodo, possibili ed ulteriori forme di gradualità nell’accesso al trattamento pensionistico determinato secondo il metodo contributivo rispetto a quelle previste dal presente decreto. Tali forme devono essere funzionali a scelte di vita individuali, anche correlate alle dinamiche del mercato del lavoro, fermo restando il rispetto del principio dell’adeguatezza della prestazione pensionistica.
      Analogamente, e sempre nel rispetto degli equilibri e compatibilità succitati, saranno analizzate, entro il 31 dicembre 2012, eventuali forme di decontribuzione parziale dell’aliquota contributiva obbligatoria verso schemi previdenziali integrativi in particolare a favore delle giovani generazioni, di concerto con gli enti gestori di previdenza obbligatoria e con le Autorità di vigilanza operanti nel settore della previdenza.

      29. Il Ministero del Lavoro e della Politiche Sociali elabora annualmente, unitamente agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, un programma coordinato di iniziative di informazione e di educazione previdenziale. A cio’ concorrono la comunicazione da parte degli enti gestori di previdenza obbligatoria circa la posizione previdenziale di ciascun iscritto e le attivita’ di comunicazione e promozione istruite da altre Autorita’ operanti nel settore della previdenza. I programmi dovranno essere tesi a diffondere la consapevolezza, in particolare tra le giovani generazioni, della necessità dell’accantonamento di risorse a fini previdenziali, in funzione dell’assolvimento del disposto dell’art.38 della Costituzione. A dette iniziative si provvede attraverso le risorse umane e strumentali previste a legislazione vigente.

      Diciamo che il progetto si è interrotto (provvisoriamente) con la provvidenziale caduta della legislatura. Ma le intenzioni erano quelle, così come i propositi c’erano tutti, con tanto di marketing istituzionale a favore di compagnie assicurative private. Ovviamente nell’interesse esclusivo delle “giovani generazioni”.

      Stavolta, spero di essere stato meno approssimativo.

  5. @ Ribelle

    Ti ringrazio per l’interessante confutazione e, da assoluto profano quale io sono, mi permetto di dire in merito agli USA che lì, in quanto federazione, esiste per l’appunto un bilancio federale, che la FED ha poteri decisionali e di intervento che la BCE non osa nemmeno sognare… E in quanto tale può agire sui tassi di cambio, sull’emissione di titoli pubblici, e sulla compravendita dei medesimi, tanto sul mercato primario tanto sul secondario, per mantenerne il valore costante e cercare di contenere le speculazioni ribassiste.
    La Federal Reserve può decidere inoltre se apprezzare il dollaro o favorire svalutazioni competitive in grado di rilanciare le esportazioni, mantenendo basso il valore della moneta. Per dire, è quanto sta facendo l’Amministrazione Obama (su suggerimento di Krugman e Stiglitz) ed è alla base della ripresa economia ed occupazionale degli Stati Uniti.
    Ciò che fa funzionare il sistema statunitense è la riallocazione delle risorse federali, con una compensazione indotta degli scompensi socio-economici dei singoli stati della federazione (almeno in linea ipotetica). Ovviamente le politiche fiscali sono unificate e coordinate, volte come sono alla piena integrazione di sistema, con trasferimenti bilanciati e costanti.
    E naturalmente non è una questione legata alla sola gestione del ‘debito pubblico’…
    In proposito, credo che l’osservazione più sensata e utile sia proprio questa:

    «Non si può condividere il Debito, quello che si può fare però è condividere gli interessi sul debito, questa è la vera sfida, dove stati con interessi sul debito più bassi non hanno alcun interesse a “condividere gli interessi sul debito”. Cioè in sostanza, non dovrebbe esistere “Spread” all’interno dell’area Euro. Questo è il vero punto cardine, su cui tutti i governi socialdemocratici europei dovrebbero fare fronte comune.»

    E che con ogni probabilità, nonostante le belle parole, non faranno mai.

    • Il Ribelle Says:

      “Ti ringrazio per l’interessante confutazione”

      E’ un piacere confrontarmi con te…. 🙂 confronto sincero e civile pur avendo delle idee a volte drasticamente differenti.
      I toni rimangono sempre quelli giusti. Ti ringrazio anche io.

      “in merito agli USA che lì, in quanto federazione, esiste per l’appunto un bilancio federale, che la FED ha poteri decisionali e di intervento che la BCE non osa nemmeno sognare… E in quanto tale può agire sui tassi di cambio, sull’emissione di titoli pubblici, e sulla compravendita dei medesimi, tanto sul mercato primario tanto sul secondario, per mantenerne il valore costante e cercare di contenere le speculazioni ribassiste.”

      Questo è il sogno (almeno per me) degli Stati Uniti d’Europa. Esattamente questo….devo dire che ci credono in molti….avverra? chi può dirlo….

      “La Federal Reserve può decidere inoltre se apprezzare il dollaro o favorire svalutazioni competitive in grado di rilanciare le esportazioni, mantenendo basso il valore della moneta. Per dire, è quanto sta facendo l’Amministrazione Obama (su suggerimento di Krugman e Stiglitz) ed è alla base della ripresa economia ed occupazionale degli Stati Uniti.”

      Tutto corretto.

      “Ciò che fa funzionare il sistema statunitense è la riallocazione delle risorse federali, con una compensazione indotta degli scompensi socio-economici dei singoli stati della federazione (almeno in linea ipotetica). Ovviamente le politiche fiscali sono unificate e coordinate, volte come sono alla piena integrazione di sistema, con trasferimenti bilanciati e costanti.”

      Hai detto bene, in linea ipotetica. I trasferimenti non sono così massicci, in realtà qualcosa di simile avviene anche in Europa ma “i numeri” sono ancora più bassi.
      Unificate sì forse coordinate no. Alla fine ogni governatore ha forte autonomia a livello economico e le aberrazioni tra stati ci sono.

      Non ci dimentichiamo comunque che anche gli USA hanno e hanno avuto una forte crisi economica che poi si è ripercossa in Europa e loro comunque non hanno il “Welfare” (costossisimo) che abbiamo noi europei (per gli americani repubblicani è una bestemmia) unito ad una politica sociale ultra-liberista.
      Fatti, a mio avviso non trascurabili, che mi fanno comunque preferire un paese come l’Italia (con tutte le sue aberrazioni) ad un paese come gli Stati Uniti d’America.

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