Breaking Point

«Ciò che s’intende generalmente per aristocrazia, prendendo la parola nel suo significato corrente, è l’insieme delle classi superiori. La nobiltà francese era un corpo aristocratico; ma si avrebbe avuto torto di dire che essa formava da sola l’aristocrazia del paese, perché accanto ad essa si trovavano delle classi altrettanto istruite, altrettanto ricche e su per giù egualmente influenti. […] Essa formava una casta, e non un’aristocrazia.»

 Alexis de Tocqueville
 L’Ancien Régime et la Révolution (1856)

Ogni cosa ha un suo naturale “punto di rottura”: la tensione non più sostenibile, la frattura irreversibile, la sollecitazione estrema che precede il collasso…
Ciò vale tanto per gli oggetti, quanto per gli ordinamenti sociali.
La questione non è il ‘come’ ciò sia possibile, ma quando e perché. In tutti i casi, il principio è strettamente collegato con il “livello di sopportazione”, a suo modo, applicabile nella fisica come nella psicologia.
Alla fine del XVIII° secolo, i francesi vivevano rattrappiti sotto il peso di un Régime che, lungi dall’apparire ancien, sembrava ai contemporanei eterno ed immutabile nella mediocrità ereditaria della sua nobiltà intorpidita dai privilegi e dalle rendite parassitarie. Né lasciava meglio sperare un’amministrazione piagata dagli sprechi e dagli arbitri dei pomposi funzionari regi, insieme ai capricci dell’assolutismo autocratico.
Condannato ad un eterno presente, l’intero Paese risultava saldamente ancorato al peso dei suoi retaggi feudali, soffocato dal conformismo e dal tradizionalismo religioso, frazionato al suo interno da divisioni regionali e forti localismi territoriali.
Elementi distintivi del Paese erano:
1) Un’economia sostanzialmente arretrata, dove agli investimenti produttivi si prediligono le grandi concentrazioni finalizzate alla rendita da capitale;
2) Una devastante recessione economica, che pregiudica ulteriormente la fragile tenuta delle attività manifatturiere già in crisi;
3) Una disoccupazione crescente che, insieme all’aumento esponenziale dei prezzi dei beni al consumo, grava inesorabilmente sui ceti più deboli;
4) Un gigantesco debito pubblico, incrementato dalle crescenti spese di guerra;
5) Un governo debole con un monarca screditato dagli scandali;
6) Una pressione fiscale esasperata, che risparmia i ricchi e colpisce unicamente i più poveri.

Alle disuguaglianze di un sistema corrotto e profondamente iniquo, si aggiungeva poi la scandalosa compravendita delle cariche pubbliche e degli uffici di Stato, venduti al miglior offerente con l’intermediazione di faccendieri senza scrupoli. Sempre più intollerabili risultavano poi le esenzioni fiscali e le immunità di una “casta” autoreferenziale di intoccabili, esentati da ogni sacrificio.
Ad un certo punto, per fronteggiare la grave crisi finanziaria dello Stato, un intraprendente ministro, in anticipo sui tempi della ‘finanza creativa’, ricorse all’emissione in massa di titoli pubblici, rastrellando i crediti dei risparmiatori. A dire il vero si provò ad ipotizzare una riduzione dei cosiddetti “costi della politica” dell’epoca, come il contenimento delle spese della Casa del Re, insieme alla revisione dei “vitalizi” alla casta aristocratica ed il cumulo delle pensioni pubbliche. Si pensò anche ad una redistribuzione più equa del carico fiscale, a partire dai ceti esonerati ma maggiormente beneficiati dalle prebende, come per esempio il Clero.
Naturalmente, tutti i tentativi di ‘riforma’ vennero bloccati dalla ferrea opposizione dei ceti privilegiati, uniti nella difesa ad oltranza della “casta”.
Il popolo ed i ceti produttivi, sui quali ricadeva la quasi totalità degli oneri, erano soliti presentare una fitta sequela di lamentele dettagliate e raccolte in appositi quaderni, chiamati cahiers de doleance, sistematicamente ignorati dalle autorità di governo. E il giochino sembrava destinato a durare all’infinito… ma in una calda giornata d’estate gli eventi precipitarono, quando la plebe indignata della Capitale prese d’assalto la Bastiglia: evento di cui si è celebrato l’anniversario giusto pochi giorni fa (14 Luglio 1789).
Poi sappiamo come sono andate a finire le cose: la “casta” cacciata via coi forconi; il Re decapitato; i nobili braccati casa per casa e ghigliottinati; con la fuga di massa dei sopravvissuti all’estero. Eppoi il ‘Terrore’, il colpo di stato termidoriano, la dittatura militare e la catastrofe della disfatta bellica, a consueta chiusura di tutti i moti circolari nei processi di rivoluzione e restaurazione.

Oggi, XXI° secolo, dall’altra parte delle Alpi abbiamo una nuova casta oligarchica altrettanto pervicace nella difesa ad oltranza dei suoi privilegi abnormi e non più tollerabili:
1) L’intangibilità degli “ordini professionali” che altro non sono se non un retaggio fascista delle corporazioni medioevali.
2) Un mondo del lavoro asfittico, schiacciato da una crisi economica che sembra irreversibile.
3) Un’evasione fiscale non più sostenibile nella sua sperequazione tributaria.
4) Un nuovo temporalismo ecclesiastico che si nutre di esenzioni fiscali e prebende tutte a carico pubblico.
5) Agevolazioni per ricchi e ricchissimi (condoni, sanatorie, defiscalizzazioni, tassazione regressiva..)
6) Una pletora di corrotti e parassiti, in massima parte riuniti sotto l’acronimo di un Partito Di Ladri, insieme ad un Monarca che sembra attivarsi unicamente pro domo sua.


Tuttavia, nel Titanic che affonda, c’è già chi ha calato le scialuppe per portare in salvo i passeggeri della prima classe.
L’Italia non è terra di rivoluzioni. Eppure, nel 1789, nessuno credeva che ciò fosse possibile in Francia…

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16 Risposte to “Breaking Point”

  1. Caro Sendivogius, sapessi quante volte – tra me e me – ho fatto questi pensieri… (ovviamente, in termini meno eruditi)

    A volte, ne ho anche parlato con conoscenti, che però, nella loro (tele)visione della realtà, escludono a priori che ciò possa riaccadere, perché non capiscono che un evento del genere, non nasce dalla sera alla mattina, ma è il frutto di secoli di malcontento che dapprima è solo sussurrato di nascosto, poi comincia ad essere sussurrato alla luce del sole e piano piano, arriva ad essere gridato e condiviso da molti individui e lì, iniziano le rivoluzioni.

    Dal canto mio invece, sono convinto che non manchi ancora molto (qualche annetto) all’esplosione di una gigantesca sommossa popolare – internazionale (le caste hanno globalizzato i loro interessi economici, ed ora i popoli cominciano ad averne consapevolezza ed a globalizzare le loro recriminazioni) – perché i tempi cominciano ad essere maturi. Sono trentanni ormai, che i vari regnanti dei tanti feudi – oggi chiamati nazioni, ma in realtà sempre feudi restano – non hanno più fatto neanche finta di fare qualcosa per i loro popoli e soprattutto stanno commettendo l’errore, di ostentare la loro bella vita, imponendola come traguardo da raggiungere. Però, sempre più gente capisce – e sempre più gente capirà – che è solo un miraggio e questo creerà tanta frustrazione, che si trasformerà, dapprima in reazioni violente tra pari (e questo stadio lo abbiamo già raggiunto, basta vedere i dati sugli episodi cruenti, sugli stupri, sugli assassinii…), poi in reazioni violente contro le decisioni politiche (e anche questo stadio lo abbiamo già raggiunto, basta guardare i dati sulle manifestazioni che si sono succedute negli ultimi due o tre anni…), in seguito, arriverà il giorno in cui le reazioni violente saranno dirette contro i rappresentanti di queste classi dominanti ed infine, scoppierà una nuova rivoluzione epocale.

    Un detto del luogo in cui vivo, recita: Quando l’acqua scarseggia, la papera non galleggia! A me pare che l’acqua, inizi a scarseggiare davvero, un po’ dappertutto…

    Purtroppo i popoli – da sempre – perdono 2 a 1: prima erano i nobili ed il clero contro il popolo, in tempi più recenti, sono le caste politiche-economiche-finanziarie ed il clero contro il popolo…

    Democraticamente è difficile cambiare le cose, poiché come diceva Benjamin Franklin, La democrazia è due lupi ed un agnello, che votano su cosa mangiare a colazione. La libertà è un agnello bene armato, che contesta il voto.

    Ciao…

  2. L’implosione di un “sistema”, solitamente, richiede tempi di ruminazione assai lunghi… Se fosse possibile assegnare una data specifica per l’inizio della crisi italiana (sociale; politica; economica), sceglierei il 1964. Sottratti gli eventi alla loro cornice storica in chiave anti-comunista, è stupefacente notare le analogie con la situazione presente, insieme ai nodi irrisolti di una crisi sistemica che sembra trascinarsi intatta da oltre mezzo secolo: crisi del parlamentarismo e strapotere dei partiti, accentramento dei poteri e repubblica autoritaria, “governo del Presidente”, statalismo e privatizzazioni, “stagione riformista”, intraprendenza politica di certi settori militari (i Carabinieri al posto della Guardia di Finanza), conflitto tra gli organi costituzionali dello Stato…

    E’ una eterna “transizione” che, lungi dall’essere temporanea, si è stabilizzata a tal punto da divenire ordinaria, superata indenne la stagione effimera del “Sessantotto”.
    Può capitare dunque che le analisi e le soluzioni apparenti proposte all’epoca, per quella che, a tutti gli effetti, appariva come una crisi irreversibile dello stesso sistema occidentale, siano in massima parte applicabili (e riciclabili) nella comprensione del tempo presente.

    Se mi passi il citazionismo d’autore, la metafora del Titanic con tutto il suo valore simbolico era già stata fatta propria dal poeta tedesco H.M.Enzensberger (“La fine del Titanic”, 1969). Per rimanere in Germania, non si potrebbe poi trascendere dagli eretici marxisti della cosiddetta ‘Scuola di Francoforte’…
    A tal proposito, è impossibile non fare riferimento al pensiero di Herbert Marcuse: fallimentare nelle soluzioni, ma eccezionale nell’analisi della società contemporanea.
    In fin dei conti, la nostra non è che una variante pratica della “società unidimensionale”, che nella sua liquidità pervasiva ingloba e disinnesca le potenziali minacce, ricorrendo all’occorrenza ai meccanismi della “tolleranza repressiva”.

    «Le tendenze totalitarie della società unidimensionale rendono inefficaci le vie ed i mezzi tradizionali di protesta; forse persino pericolosi, perché mantengono l’illusione della sovranità popolare. Questa illusione contiene qualche verità: “il popolo”, un tempo lievito del mutamento sociale, è salito sino a diventare il lievito della coesione sociale. E’ qui, nella redistribuzione della ricchezza o nella progressiva uguaglianza delle classi, che occorre vedere la nuova stratificazione caratteristica della società industriale avanzata

    “L’uomo a una dimensione” (1964)

    Non sono la televisione, ed il “berlusconismo”, ad ottundere le menti ed imbrigliare le coscienze individuali: esse non sono che una variante della malattia (a lunga degenza) e non certo la causa scatenante.

  3. confrontare i corsi e ricorsi storici crea sempre una certa sensazione di disagio. Perché, e scusate la frase inflazionatissima, non impariamo mai una phawa da niente.
    Però mi sono sempre chiesta, alla fine, queste rivoluzioni cosa portino di positivo sul lungo periodo – forse gli ideali che le hanno scatenate sono d’ispirazione per le generazioni future? Prendiamo la riv.francese o il Sessantotto… dopo la fibrillazione iniziale, com’è finita? La Restaurazione e gli anni Ottanta. Bello.

    A proposito, sembra che a contribuire al malcontento (e a farci arrivare al rispolvero di monsieur Guillotin?) sia anche il fantomatico Spidertruman, di cui si parla un sacco e che mi vede scettica – voi che ne pensate?

    • 🙂 Voglio essere ottimista: se in Italia ci fossero almeno 500.000 LadyLindy, ci sarebbero serie speranze di diventare il migliore dei mondi possibili..!

      Le due più grandi, e famose, rivoluzioni degli ultimi due secoli:
      quella francese (1789) e quella russa (1917).
      Cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.
      La prima ha spazzato via il vecchio ordine “naturale” di origine medioevale, incardinato sul potere assoluto dei re; ha cancellato il predominio della nobiltà con i suoi privilegi fondati sul titolo ereditario e sulla nascita. Soprattutto ha tenuto a battesimo e sancito la supremazia di una nuova classe dominante: les burgeois, con la loro visione del mondo ed un nuovo assetto di valori.
      La rivoluzione bolscevica è nata in contrapposizione a quel nuovo mondo di sperequazione e disuguaglianze che la “borghesia” trionfante ha edificato a sua immagine e somiglianza… E, in alternativa, ci ha ‘regalato’ lo stalinismo.
      In mezzo al guado, annacquati gli ideali, rimangono le Idee (in massima parte tradite nella pratica).

      E però oggi c’è una differenza sostanziale rispetto ai grandi afflati ‘rivoluzionari’ del passato: uno scetticismo cronico e diffidente, che nei casi migliori si accompagna ad un’ironia illuminata e dissacratoria.
      Certo è una forma mentis che non contribuisce all’azione e alla “mobilitazione delle masse” delle quali il pensiero individualista e razionale massimamente diffida.
      Manca di quella carica fideistica, furore iconoclasta, ed autoesaltazione collettiva.
      E, visti i precedenti, questo non è solo un bene ma anche il suo più grande punto di forza e di originalità: è la goccia piccola ma costante che nel lungo periodo finisce però con il bucare la roccia. O almeno sarebbe bello crederlo..:)

      Sinceramente, in merito alla tua domanda, non ho ancora inquadrato il fenomeno “Spidertruman”: troppo pubblicizzato a livello mediatico per essere davvero genuino e non costruito.
      Scrive benissimo; sa usare ottimamente gli artifici della comunicazione (troppo) e ne amplifica al massimo gli effetti: post brevi e mirati; battute riuscite; toni garbati, depurati da certo qualunquismo protestatario; chiasmo crescente, fino a raggiungere l’effetto desiderato.
      La documentazione che appone ai post non è certo un “segreto di stato”: sono informazioni, a volerle cercare, accessibili a chiunque e non da oggi… per un esempio pratico: QUI.

      Ma Spidertruman rielabora i contenuti e li ri-confeziona splendidamente, cercando di incalanare in un sentimento collettivo, degli umori dall’odore che non mi piace affatto: basta leggere il tenore dei commenti.
      Al contempo, insieme alle critiche genuine (“Il Nichilista” su tutti), Spider True Man sta catalizzando su di sé anche le invidie e le gelosie di molti sedicenti bloggers, che già denunciano filtri e censure ai loro indispensabili contributi sul blog dell’anonimo ragnetto delle verità, gridando alla “bufala”.
      Ma non sarebbe male preoccuparsi anche della qualità delle proprie ‘mozzarelle’…

      Ciò che importa è che “I segreti della casta” non riporta documenti falsi, non dice bugie sui fatti denunciati, non si atteggia (per il momento) a guru o web-tribuno, né si è ancora inventato movimenti stellati più o meno certificati.
      Per me, conta soprattutto il valore della denuncia (e mi sembra che il materiale ci sia).
      Poi la reale identità dell’Autore mi interessa assai poco.
      Staremo a vedere gli sviluppi futuri….

  4. Anonimo Says:

    Mah … indicare il clero e le libere professioni come i baluardi del privilegio mi pare più frutto del “senso comune” che della reale conoscenza dei fatti.

    Io per esempio sono un libero professionista iscritto ad un ordinte (per la cronaca quello dei commercialisti).
    Mi guardo attorno e mi chiedo quale privilegio abbiamo. Da un lato sottostiamo ad un ordinamento che ci richiede preparazione di base (esame di stato), aggiornamento (formazione continua), rispetto di tariffe, codice deontologico … ecc… tutte cose corrette che sono contento di avere.
    Dall’altro non ho sostanzialmente esclusive: il mio lavoro dai CAF, alle società di revisione, ai non iscritti può essere esercitato senza difficoltà da una amplissima platea di persone, più o meno professionalizzate.
    Tutto ciò è un male?
    Forse … ma anche un motivo (ed ogni collega serio lo fa, vi assicuro) per chiederci cosa offriamo ai nostri clienti, che qualità del servizio riusciamo a garantire, che contributo professionale offiano alle imprese.
    L’ordine professionale (parlo di quello che conosco) non è una casta. E’ semplicemente un modo di intendere la professione, dentro un contesto di regole precise e condivise.
    Quindi l’abolizione del nostro ordine sarebbe l’apertura di uno spazio di libertà o, invece, l’ennesima occasione di omologazione ad un mercato dei servizi assolutamente distratto dai contenuti reali?

    Ma non è che a molti piacerebbe una società senza corpi intermedi … senza capacità di elaborare un pensiero alternativo … se vuoi senza ordini professionali e senza preti???

    Un saluto da Pepito

  5. Caro Pepito,
    Ci tengo a precisare, a scanso di spiacevolissimi equivoci, che in alcun modo mi permetterei di mettere in discussione la tua serietà professionale ed onorabilità personale.
    D’altra parte, le mie considerazioni sono soggettive e dunque possono essere assolutamente fallaci. I tuoi interventi hanno il pregio di sottolinearne tutta la relatività.
    Piuttosto, da profano mi chiedo e ti chiedo, approssimativamente:
    Cinque e più anni di università, uniti ad un periodo di praticantato, e naturalmente con un aggiornamento continuo, non sono sufficienti per svolgere una libera professione?
    Non dovrebbe essere il famoso (e da tutti invocato a parole) “mercato” a fare la selezione, premiando i più “meritevoli”?

    Scendendo invece nel dettaglio, è chiaro che nel momento in cui si entra in un Ordine professionale, nel quale (è bene ribadire) si accede, nella maggioranza dei casi, dopo dura selezione e dispendio di energie, si ha tutto l’interesse a non svilire l’organismo a cui si aderisce, cogliendo le opportunità e le tutele che questo potenzialmente può offrire.
    E su ciò non ho nulla da eccepire: siamo umani.
    D’altronde, mi confermi come l’Ordine dei Commercialisti sia in realtà tra i più ‘elastici’.
    Altresì, ritengo indispensabile l’esistenza di un Ordine dei medici, degli architetti, e degli ingegneri. Ma tutti gli altri?!?

    Sono costretto a generalizzare per non scrivere un poema, tuttavia si ha spesso l’ingenerosa sensazione che molti Ordini, più che valorizzare la professione, tendano a funzionare da filtro, ritardando l’ingresso nel mondo del lavoro di molti potenziali concorrenti. Più che tutelare la categoria professionale sui generis, sembrano spesso salvaguardare gli iscritti a discapito degli aspiranti professionisti nel settore.
    E l’immutabilità della tariffa minima, stabilita dall’ordine pena l’espulsione, non è certo un servizio al cliente.
    Come può un giovane avvocato alle prime armi, battere la concorrenza dei “principi del foro” se è costretto per legge ad applicare lo stesso piano tariffario?
    Facciamo inoltre un piccolo esempio (ho conoscenze nella categoria): l’Ordine degli Psicologi.
    5 anni di università
    1 anno di tirocinio post-lauream (gratuita e obbligatoria)
    Esame di Stato per accedere all’Ordine
    5 anni di scuola di specializzazione (a pagamento, facoltativa).
    L’esame di Stato abilita alla professione di psicologo, ma per poter fare psicoterapia è necessario specializzarsi (altri 5 anni a pagamento).
    Tuttavia, secondo la recente riforma dell’Ordine promossa in Parlamento (tra i relatori c’è un odontotecnico e una diplomata alle magistrali) l’abilitazione viene estesa però a dentisti e psichiatri (che sono laureati in Medicina). Sull’istituzione dello “Psicologo di base” ci si può fare un’idea QUI. L’Ordine in merito non ha avuto nulla da eccepire, giacché il provvedimento non intacca le professionalità già consolidate e apre un vorticoso giro di cattedre in ambito accademico per chi è già solidamente inserito nel settore.
    E’ forte il sospetto che gli unici beneficiari siano quei professionisti che in tal modo si vedono tutelati da ogni nuovo ingresso concorrenziale, di fatto procrastinato sine die, e depotenziato con tariffe impossibili (35 euro minimi per il consulto di un’ora) e obbligatorie.
    In economia, questo si chiama “cartello” ed è alla base di ogni oligopolio.

    Non si capisce poi perché in Italia la professione di notaio sia, agli effetti, ereditaria e sia limitata a qualche centinaio scarso di professionisti. E non sempre i limiti in entrata presuppongono “serietà” e “professionalità”.
    Nel mio piccolissimo, la mia personale esperienza col mondo dei notai è stata ottima. Ma, come nelle migliori famiglie, esistono le eccezioni. Tanto più gravi quanto più è ristretto il numero dei componenti…. Casi estremi dove persone di mia conoscenza hanno scoperto mesi dopo il rogito di aver acquistato immobili gravati da ipoteche e con piani catastali completamente sballati (appartamenti in condominio, non stalle condonate).
    Oppure pratiche affidate a non laureati, capaci di confondere la documentazione dei clienti, scambiando un documento per un altro. Conosco bene il “ragioniere” (pluri-ripetente) in questione e di cui chiaramente non faccio il nome.
    Ho potuto visionare testamenti olografi palesemente FALSI, ma comprovati dalla firma di notai compiacenti. Condannati in giudicato e MAI sospesi dall’Ordine.
    Non parliamo poi dell’ultimo, scandaloso (e annullato), esame tenuto a Roma per l’accesso alla professione…

    Altresì, come potrei non definire “corporativa” la resistenza ad oltranza dei farmacisti ad ogni ipotesi di liberalizzazione?
    E devo ancora capire la funzione di un’ordine dei giornalisti: invenzione tutta fascista, istituita per porre sotto controllo l’intera categoria a fini squisitamente politici.
    Non parliamo poi di altre assurdità come la creazione di un ordine dei Sociologhi. Si ventila infatti l’ipotesi da anni, nonostante la fiera resistenza dei diretti interessati.

    Personalmente (lo confesso!) a me piacerebbe una “società senza corpi intermedi”… specialmente se i “corpi” in questione costituiscono più un impaccio che una opportunità.

    Io poi non ho niente contro i “preti” (figuriamoci!). A patto però che non pretendano di “evangelizzarmi” e convertirmi, imponendomi la dottrina della (loro) fede. Quando si dice che le leggi italiane e persino i comportamenti individuali devono conformarsi ai dettami morali della Chiesa, evidentemente non sono io quello che preclude la possibilità di elaborare un pensiero, ed una condotta di vita, “alternativi”.
    Non tiriamo in ballo gay, transgender e affini… Sono rigorosamente “etero”.
    Parliamo invece di:
    a) Contraccezione femminile e prescrizione del Norlevo;
    b) Aborto terapeutico e distribuzione della Ru486;
    c) Ricerca sulle cellule staminali e procreazione eterologa;
    d) Diritti delle coppie conviventi (permessi di lavoro, possibilità di assistere il partner malato, donazioni e lasciti testamentari);
    e) Divorzio “breve”, più che altro in tempi ragionevoli (senza dover aspettare 10 anni o ricorrere alla Sacra Rota);
    f) Possibilità di poter usufruire di un’ora alternativa a quella di religione, con attività didattiche integrative e non un parcheggio nei corridoi della scuola;
    g) Testamento biologico;

    Pare invece che debba prima chiedere il permesso (negato) al confessore.
    E in ambito economico vorrei che le attività del clero, in rispetto tra l’altro a quanto prevede la Costituzione, fossero “senza oneri per lo Stato”:
    h) Esenzione totale dell’ICI per tutti gli immobili di proprietà ecclesiastica;
    i) Il regime di extraterritorialità, esentasse, applicato a tutte le attività commerciali, presenti sul territorio italiano ma riconducibili allo “Stato del Vaticano”, (Alberghi e convitti, agenzie di viaggi, ristoranti, cinema, teatri, negozi) ogni volta che si tratta di pagare le imposte d’esercizio;
    l) Spese per visite pastorali, viaggi ecumenici, celebrazioni religiose, manutenzioni immobiliari e restauri architettonici, interamente a carico dello Stato;
    m) Il pagamento dello spurgo delle fogne vaticane e il consumo di acqua (in questo caso “l’extraterritorialità” non vale più), che costituiscono una delle principali voci nel passivo di ACEA;
    n) Il calcolo dell’8 per mille, con l’attribuzione farlocca delle preferenze non espresse (la maggioranza) a Santa Romana Chiesa. Si tratta di un meccanismo “creativo”, inventato a suo tempo da Tremonti (guarda un po’ il caso), con una bilancia assolutamente truccata.
    o) Assunzione dei sacerdoti per il conforto religioso dei degenti, da parte della Sanità pubblica della “rossa” Toscana (1700 euro mensili cadauno), che in compenso taglia posti letto e infermieri. Personalmente, in ospedale preferirei avere un buon medico che mi curi, piuttosto che un prete per l’estrema unzione!

    E potrei continuare, completando una sorta di alfabeto della Laicità, che in Italia si preferisce spregiativamente chiamare “laicismo”.

    Ciò detto, caro Pepito, credo che nessuno di noi due abbia bisogno di “intermediari” che ci dicano cosa e come pensare… Solitamente, preferisco attingere alle fonti originarie e farmi un’idea, giusta o sbagliata che sia, irrobustendo i miei rudimenti culturali. Felicissimo di correggerla in caso di errore.

    • Anonimo Says:

      Non abbiamo bisogno di intermediari?
      Ma veramente pensi che la tua cultura sia tutta farina del tuo sacco? Veramente pensi che senza un ambito culturale si possa costruire un pensiero?
      Io voglio intermediari … voglo ambiti in cui delle cose che mi interessano si possa parlare, ci possa discutere, dove posso trovare una proposta, un’ipotesi di lavoro …
      Certo il luogo dell’ultimo paragone tra esigenze originali e relatà è l’io … nessuno può (deve) essere strappato a questo rapporto … ma senza la mediazione di tuo padre e tua madre tu non saresti tu. Non saresti letteralmente tu!!!

      Inotre accusare la chiesa di imporre la propria visione del mondo in proposte legislative è un’accusa sottile come la carta velina …
      Perchè è vietato l’omicidio? Perchè consideriamo il furto un reato? Tutto il sistema legislativo (anzi qualsiasi sistema legislativo) trae origine da una visione etica, per forza orientata. Non crediamo che il lasciare fare una cosa non sia un’opzione culturale tanto quanto vietarla.
      Quindi avanti con la discussione ed il dibattito, ma nessuno accusi la controparte di “illegittimità” quando propone le sue idee.

      Sui benefici agli enti ecclesiastici … retorica … anche sindacati, partiti, fondazioni, associazioni hanno benefici e nessuno strepita. O lo Stato permette ambiti per i corpi intermedi o la società è dominata dall’individualismo che tu stesso deplori in altri post. A voi la scelta.

      Sugli ordini ho già detto.
      Un saluto
      Pepito

      • Pepito…
        Più volte mi hai bonariamente bacchettato richiamandomi all’evidenza dei fatti.
        Ebbene, dal mio punto di vista relativo, io ho cercato di produrre esempi concreti… Perché ora storni la discussione sui massimi sistemi, con incursioni nel campo della sofistica?

        La mia cultura è farina delle migliaia di letture, frutto del genio di centinaia di intelletti diversi. Io mi limito a rimeditarli (bene o male che sia). Posso scegliere i miei maestri; posso scegliere di farmi guidare nell’esegesi dei testi; posso scegliere di essere orientato negli studi. Ma non posso accettare che mi si dica cosa posso o non posso leggere; quale scuola di pensiero seguire o rinnegare. Sono io che scelgo il mio ambito culturale. Si chiama libertà. O, se preferisci, “libero arbitrio”. Il resto è dogma. E non mi piacciono filtri preventivi e soprattutto obbligatori. Tu chiamali “intermediari” se vuoi.
        In merito alla mediazione tra padre e madre… be’ io prosaicamente la chiamo in altro modo..:)))

        Non so, né ho voglia di aggiungere altro… tanto comunque mi muova, qualsiasi cosa possa replicare è “carta velina”.. “retorica”…”comizio”…”propaganda”… e che palle però, Pepito!
        Ci sono una quindicina di punti, portati a mo’ di esempio critico (“retorica”..vabbé!), e tu mi tiri in ballo “sindacati”, “associazioni”, “partiti”… e mica posso sfogliare tutto il vecchio manuale di diritto privato, sottilizzando su enti di fatto e di diritto!
        Non era il tema in oggetto, mi pare…
        Se parliamo di calcio, non è che si possa rispondere “eh però nel rugby”.. solo perché anche lì si calcia una palla (per di più ovale).

        “Quindi avanti con la discussione ed il dibattito, ma nessuno accusi la controparte di “illegittimità” quando propone le sue idee.”

        ?!?!?E quando mai avrei parlato o minimamente accennato alla “illegittimità” di una idea?!?!?

        Forse è l’ora tarda.. ‘Notte Pepito!

        • Anonimo Says:

          Questa la frase che commentavo.
          “Quando si dice che le leggi italiane e persino i comportamenti individuali devono conformarsi ai dettami morali della Chiesa, evidentemente non sono io quello che preclude la possibilità di elaborare un pensiero, ed una condotta di vita, “alternativi”.

          Mi pare che la funzione legislativa sia necessaria in uno stato a definire in quali limiti l’autonomia del singolo possa esercitare il proprio diritto di scelta.
          La comunità sociale definisce comportamenti ammessi e coportamenti puniti (se non scegliamo l’anarchia come organizzazione sociale questo è inevitabile).
          Quindi ogni impianto legislativo sottende un concetto etico. Per questo mi stupisce che tutte le volte che i cattolici propongono la lori visione etica si alzano steccati.

          Faccio un esempio banale: un tempo non era punito il maltrattamento agli animali. Ora la legge vieta comportamenti lesivi. Potremmo anche dire che la legge ha tolto delle possibilità. In realtà è intervenuto un mutamento della coscenza collettiva che ha portato a segnalare come non ammissibili certi comportamenti. Un esempio di applicazione di un criterio etico sul piano legislativo.

          Perchè l’etica cristiana non dovrebbe, quindi, poter partecipare alla costruzione di un consenso comune. Partecipare come elemento, magari anche dialettico, di un sistema democratico?
          Potrà essere contestata (come potrebbero esserlo altre …), ma perchè non può ambire a influenzare la coscienza collettiva?

          Forse qualcuno pensa, invece, che sia oggettivamente sbagliata e non abbia diritto di cittadinanza.

          Un saluto
          Pepito
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          null La replica al commento è riportata nella sezione inferiore, per motivi di spazio e di impaginazione [QUI]

  6. annxgonz Says:

    Come ho scritto in un post precedente, la situazione italiana è facilmente riassumibile così: finché potremo prenderci l’aperitivo e potremo avere uno Smartphone (anche senza traffico) nulla accadrà. Bello il paragone comunque, azzeccatissimo. Ma aggiungerei che esistono altre caste.

    • Io infatti preferisco chiamarle “oligarchie”; rigorosamente declinate al plurale.
      In merito, esiste una vasta pubblicistica, tutta italiana, che raggiunge il suo apice con gli “elitisti” di fine ‘800.

  7. dicksick Says:

    E’ sempre il tempo delle rivoluzioni. Cambiano solo i modi di farle. Noi, dal canto nostro, dovremmo prima premunirci di un’arma fondamentale e, se ben utilizzata, anche unica: l’intelligenza.

  8. @ PEPITO

    Mi è piaciuta la precisazione.. davvero!
    Premetto subito che “anarchia” non è sinonimo di “anomia”.
    L’Anarchia (intesa come anarchismo politico) presuppone l’assenza di un potere gerarchico, fondato su una organizzazione verticale su base coercitiva, che non prevede mutualità tra gli aderenti al ‘patto sociale’.
    L’Anomia è l’assoluta mancanza di regole, nella negazione del concetto stesso di società e di organizzazione condivisa. E’ puro arbitrio del caos più amorale.

    Quindi ogni impianto legislativo sottende un concetto etico
    In realtà, la cosa non è così evidente né conseguenziale. Ora, non è che voglia avventurarmi nel campo della Filosofia del diritto, tuttavia i giuristi si arrovellano da almeno tre secoli sul contenuto della tua affermazione.
    So bene che la cosa è quanto di più lontana possibile dal tuo pensiero, ma le correlazioni tra l’impianto legislativo e l’etica vennero studiate e interpretate in epoca moderna soprattutto dalle scuole di pensiero giuridico tedesche (passando per Hegel), e massimamente dalla c.d. Scuola di Kiel, che rielaborarono la definizione di “Stato etico” in parallelo con la dottrina di Karl Schmitt.
    Lo “Stato etico” non coincide assolutamente con lo “Stato di diritto” (di concezione liberal-democratica), ma a livello embrionale è quanto mai prossimo alla definizione di Stato totalitario (nei comportamenti, nei contenuti, nel concetto di bene-fedeltà-ubbidienza). Non per niente, per gli studiosi del settore, lo “Stato etico” per eccellenza si identifica con il nazismo hitleriano.

    ..tutte le volte che i cattolici propongono la loro visione etica si alzano steccati.
    Un conto è proporre, un altro conto è imporre.
    Nessuno vieta ai “cattolici” di comportarsi secondo la propria coscienza. Tuttavia, la visione etica di certi cattolici, implica il divieto agli altri di seguire un’etica alternativa che non sia conforme ai dettami della dottrina cattolica (o meglio “vaticana”, visto che sono aspetti non contemplati dai Vangeli). E’ la storica differenza tra jus facere e non facere. Il primo contempla una libertà di scelta individuale; il secondo impone una serie di divieti tassativi. Il testamento biologico sul finis vitae riguarda, esclusivamente, il malato terminale che compie una scelta drammatica e personalissima. Non introduce una nazistoide “eutanasia di Stato” da imporre a chiunque contro la volontà dei malati, come si è andato asserendo in certi ambiti cattolici. Il politicante presunto “cattolico” non decide come gestire il proprio corpo e la conclusione della sua esistenza, ma pretende di imporre agli altri quale sia il comportamento da seguire (obbligatoriamente). Vedasi il caso Welby, e la recente legge sul testamento biologico: posso staccare le macchine artificiali che mi tengono in vita solo quando accertato che sono clinicamente morto (e grazie al cazzo!).

    Se l’etica cristiana si limitasse a partecipare come elemento dialettico nel sistema democratico, sarebbe una inesauribile fonte di ricchezza.
    Ma, nella pratica, l’etica di certi cattolici si struttura piuttosto come elemento impositivo, basato sulla proibizione: è così e basta perché tale è ciò che prescrive il Dogma. Non sono previste deroghe di alcun tipo. Si ubbidisce, non si discute. E nella fattispecie si ubbidisce fedelmente alle indicazioni (e ingerenze) d’Oltretevere, esercitando una specie di diritto di veto (religioso).
    Se la legge non gli piace, il “cattolico” può esercitare la sua obiezione di coscienza, in attesa di poter cambiare la legge sgradita e imporre la sua visione non negoziabile. Vedasi il caso della prescrizione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, in teoria legale ma di fatto introvabile (è un contraccettivo!).

    Come giustamente lasci sottendere dalle tue parole, un impianto legislativo è innanzitutto un impianto storico che segue e muta a seconda della sensibilità dei tempi. Quindi è inevitabilmente relativo in funzione della sua storicità temporale e sociale.
    Quella che forse impropriamente chiamiamo “etica cattolica” si basa sul “diritto naturale”, immutabile ed eterno, in quanto diretta emanazione terrena dell’ordine divino. Dunque si configura come un diritto assoluto, astorico, e pertanto non negoziabile.
    Per sua stessa natura, non contempla un “diritto di scelta” ed è difficilmente conciliabili con le interazioni ed i compromessi di una società aperta e complessa. E soprattutto laica. Parliamo della storia occidentale degli ultimi 300 anni, che in certi settori cattolici (da altrettanto tempo) viene anatemizzata come: secolarismo, relativismo, laicismo, deriva morale etc. nella nostalgia dei bei tempi che furono (il Medioevo), dove l’Ordo contemplava una sola Religio (temporale) al vertice della piramide secolare, con una Inquisitio per i comportamenti non conformi (eretici)…
    La Chiesa fonda la sua influenza in ambito legislativo sul diritto naturale; e con la propria autorità morale e religiosa, non di rado, pretende di influenzare le scelte tanto del giurista quanto del legislatore (cattolico), facendo leva sulla sua devozione religiosa e obbedienza, chiedendo conformità di leggi e comportamenti personali alla propria etica, reputata “universale”. Non sempre ci riesce. Ma in ogni caso, il contributo ha molto il sapore dell’imposizione. Capisci bene che, quando ciò avviene (e avviene spesso), questo non è un apporto dialettico costruttivo, ma una negazione delle ragioni dell’Altro, privato di ogni riconoscimento perché confinato in una posizione (non)etica di inferiorità subalterna. E per di più persistente nella reiterazione dell’errore. Il concetto ha un suo fondamento teologico… ne avevo già parlato QUI e non potrei aggiungere molto a quanto già esplicitato.
    Gli scambi, per essere proficui, si fondano sul dare e non sul negare; sull’allargare la sfera dei diritti e non sull’estendere i divieti per proibizione.

    • Anonimo Says:

      Voglio segnalare che la proibizione è un carattere tipico della legge.
      L’esempio del divieto limite di velocità è studipo, ma aiuta.
      Se io voglio andare a 140 e ritengo che andandoci non faccio nulla di male (peraltro convinzione non balzana, visto che in altri stati vige talelimite) sono coercito nella mia libertà a non fare quello che vorrei fare.
      Sono anche costretto a non rubare . E se esistesse (anzi ai tempi degli espropri proletari è esistita) una visione del mondo che dice tollera il furto… non si sentirebbe questa persona limitata?
      Cosa potremmo rispondergli? Diremmo: non devi rubare, perchè rubare non è giusto (non si scappa all’etica ci si arriva …).

      Quindi la domanda di ogni legge, ultimamente è sempre: “è giusto o non è giusto”.
      Anch’iocredo di essere orientato ad un approccio libertario.
      Lo stato ha il diritto (meglio ancora ha il dovere) di intervenire a limitare la possibilità di scelta solo:
      – dove c’è un interesse della collettività da tutelare (senza interesse non ha senso la legge);
      – dove c’è una parte debole che non potrebbe difendere il suo diritto diversamente.
      Per il resto, per me, ognuno faccia pure quello che vuole.
      In questo senso concordo con molte tue affermazioni. Lo stato non deve assicurarsi la moralità dei suoi cittadini (che ultimamente dipende da loro). Deve formare regole che permettano la convivenza civile, che rendano possibile per ciascuno seguire la propria strada.

      Aggiungo tre osservazioni per me importanti:
      1) La questione dello stato etico si gioca ad un livello più profondo: da dove originano i valori, la pietra di paragone. Nascono dalla realtà o dallo stato stesso.
      Per chi afferma lo stato etico lo stato è la fonte dei valori, non il luogo dove essi devono essere riconosciuti. Se nascono dalla realtà il dibattito è aperto a tutti.
      2) Correttamente osservi come da cattolico io debba pensare che esistano dei valori assoluti. Questa non è una caratteristica solo cristiana, anzi. Ma è così: per me ci sono avoli oggettivi che valogono per ogni uomo.
      Il problema per me, è riconoscere che il significato della realtà mi sovrasta (è trascendente) e quindi non posso avere la pretesa di esaurirlo con il mio grado di compensione (in fondo con l’immagine che mi sono fatto); si intravede sempre e solo un pezzo del significato totale. Anche il cristiano, lontano da una visione esaustiva e definitiva del significato, è sempre alla ricerca. La pretesa cristiana è di aver incontrato (incontrato non posseduto, è molto diverso) una risposta.
      3) in ogni caso anche le certezza che posso avere sulla vita non possono essere condivise con gli altri che con il confronto .
      Del resto la libertà l’ha inventata un vecchietto con la barba bianca che la sapeva lunga. 🙂

      Un saluto
      Pepito

      • Lo posso dire?
        Questa volta, concordo pienamente con la tua riflessione e sono pronto a sottoscrivere ogni singolo passaggio del tuo ragionamento.
        Le osservazioni da te proposte, non sono “importanti”… costituiscono praticamente l’essenza del Pensiero filosofico per eccellenza:
        L’individuazione e definizione del concetto di “bene comune” nella sua dimensione astratta e ideale. Ovverosia l’elaborazione di una sfera valoriale condivisa e universalmente applicabile…
        La libertà come realizzazione personale, mutuata nelle forme e nelle auto-limitazioni del ‘patto sociale’…
        La ricerca della Verità, o quantomeno di più verità di principio dalle quali trarre esempio e ispirazione per comportamenti ‘virtuosi’…
        L’eterna dicotomia tra Trascendenza e Immanenza, nelle sue variabili ontologiche e gnoseologiche…

        Praticamente, i grandi interrogativi dell’animo umano…
        Una perfetta nullità come me non può eccepire in proposito, nell’evidente consapevolezza dei propri limiti..:)
        Ma certo riconosco il valore del “confronto”, che specialmente in questo caso ha percorso venature particolarmente interessanti.

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